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La sindrome di Rett prospettive e strumenti per l'intervento cap 1, Sintesi del corso di Pedagogia Sperimentale

Viene affronta la sindrome di Rett, una rara patologia progressiva dello sviluppo neurologico

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 23/03/2020

andrea-vannuccini
andrea-vannuccini 🇮🇹

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Scarica La sindrome di Rett prospettive e strumenti per l'intervento cap 1 e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia Sperimentale solo su Docsity! La sindrome di Rett Più di trentacinque anni sono trascorsi da quando la sindrome di Rett è stata fatta per la prima volta oggetto di studio, emergendo nel corso del tempo quale tema di interesse e ricerca comune a diversi ambiti disci- plinari. Le conoscenze che sono venute accumulandosi verranno espo- ste ripercorrendo la storia della sindrome di Rett, scandita attraverso cinque tappe significative. Dapprima verranno forniti l’excursus storico (PAR. 1.1) e la descrizione (PAR. 1.2) della sindrome; nei paragrafi suc- cessivi (1.3, 1.4, 1.5, 1.6) verranno presi in esame quei “contenitori dia- gnostici” che nel corso degli anni hanno consentito di pervenire a una sempre più accurata conoscenza della sindrome di Rett. 1.1. Excursus storico La prima tappa prende avvio dal lavoro pionieristico di Andreas Rett del 1965: questo pediatra austriaco, colpito dalle particolarità presentate da due sue giovani pazienti, iniziò a studiare una casistica di soggetti dei quali delineò un inusuale quadro sintomatologico. Esso era caratterizza- to da stereotipie nei movimenti delle mani, demenza, comportamenti autistici, inespressività della mimica facciale, andatura atassica1, atrofia corticale e iperammoniemia2 (Rett, 1966). La sindrome venne inclusa nell’ambito dell’autismo e negli anni seguenti si perse l’interesse verso di essa. In un convegno all’inizio degli anni Ottanta si ebbe un riconosci- mento ufficiale della sindrome, quando Bengt Hagberg descrisse sedici casi di bambine svedesi con un quadro sindromico simile a quello indi- viduato anni prima da Rett e si confrontò in quella stessa occasione con i colleghi Aicardi, Dias e Ramos, individuando in tutto una trentina di casi di bambine svedesi, francesi e portoghesi il cui profilo patologico coincideva con il quadro originariamente descritto da Rett. 12 LA SINDROME DI RETT: PROSPETTIVE E STRUMENTI PER L’INTERVENTO Il contributo di Hagberg, Aicardi, Dias e Ramos (1983) segna così la seconda tappa, quella che fece uscire dall’oblio il lavoro di Rett ricono- scendogli la “paternità” della scoperta e che aprì una fase di studi sull’i- dentità nosografica della sindrome. È stato questo un nodo non facile da sciogliere, se si considera il dato, riportato da Witt-Engerström e Gillberg (1987), secondo cui più del 70 % dei casi di sindrome di Rett avrebbero ricevuto una precoce diagnosi errata di autismo infantile, il che è comprensibile alla luce del fatto che, soprattutto nei primi due stadi3, la sintomatologia tipica della sindrome di Rett è vaga e accompagnata da tratti autistici, che fanno sospettare l’attraversamento di una vera e propria fase di ritiro autistico. Diviene così comprensibile lo sforzo che ha impegnato i ricercatori nella definizione di parametri che garantissero il più possibile precisio- ne, affidabilità e precocità della diagnosi, requisiti indispensabili soprat- tutto in assenza di markers biologici con i quali identificare la sindrome. In effetti gli anni Ottanta segnano una terza tappa significativa nella delimitazione di un contenitore diagnostico adeguato. Nel 1984, infatti, una conferenza internazionale promossa a Vienna da Rett stesso stabilì i criteri diagnostici di inclusione ed esclusione (Hagberg et al., 1985), ulteriormente aggiornati nel 1988 (Haas, 1988) dal Rett Syndrome Diagno- stic Criteria Working Group (RSDCWG). Anche la diagnosi differenziale dall’autismo si fece sempre più accu- rata (Olsson, Rett, 1985; Olsson, 1987; Percy et al., 1988; Olsson, Rett, 1990), fino a consentire una precisa collocazione della sindrome di Rett tra le categorie diagnostiche del DSM-IV (1994). È questa la quarta tap- pa: da allora la sindrome di Rett è stata inclusa tra i Disturbi Generaliz- zati dello Sviluppo (DGS) insieme con l’Autismo, la sindrome di Asper- ger, il Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia e il DGS Non Altrimenti Specificato, incluso l’autismo atipico. Anche la definizione stessa della patologia è andata via via precisandosi: il fatto che accanto alla forma classica sussistessero anche forme atipiche (Hagberg, Gillberg, 1993) suggerì l’utilizzo della terminologia di “Rett Complex” (Zappella, Gill- berg, Ehlers, 1998; Gillberg, 1997) per comprendere sotto un’unica eti- chetta sia la forma classica di sindrome di Rett sia le varianti. Infine, la quinta e ultima tappa: nel 1999 la scoperta della mutazione del gene MECP2 (Amir et al., 1999) ha confermato l’ipotesi dell’eziologia genetica della sindrome. Questa tappa, a lungo attesa per ricavare quei markers biologici che garantissero la precisione della diagnosi, ha appor- tato un notevole contributo conoscitivo in questa direzione. Per procedere a un’analisi più approfondita dei diversi “contenitori diagnostici” ai quali la sindrome di Rett è stata ricondotta nel tempo, 1. LA SINDROME DI RETT sono irritabili, soffrono di insonnia e possono mettere in atto com- portamenti autolesionisti, come mordersi le dita o schiaffeggiarsi. 3. stadio pseudo-stazionario (dai 2 ai 10 anni): sono comparsi tutti gli elementi che caratterizzano il quadro della sindrome, che si è ormai stabilizzato anche a motivo della diminuzione della sintomatologia autistica. 4. stadio di deterioramento motorio tardivo (dai 10 anni in avanti): aumentano debolezza, scoliosi, ritardo della crescita, deformità spa- stiche e distoniche, compromettendo ulteriormente il quadro moto- rio. Si rilevano un miglioramento del contatto oculare e uno stato di serenità ormai libero da forti sbalzi di umore o segni di ansia. Sebbene siano stati forniti dei marcatori cronologici per ciascuno stadio, è difficile stabile con esattezza il passaggio da una fase all’altra, soprattutto per quanto riguarda il terzo e il quarto stadio. Tuttavia, ai fini della comprensione della dinamica evolutiva della sindrome, l’indi- viduazione degli stadi ha fornito un contributo decisivo, che negli anni non ha subito revisioni. Qualche differenza sussiste per i casi che non rientrano nella defini- zione ormai condivisa di sindrome di Rett; questi casi, chiamati in Gran Bretagna “forme atipiche” e in Svezia “varianti”, comprendono la va- riante congenita (esordio della malattia appena dopo la nascita), la va- riante con convulsioni precoci (convulsioni presenti già prima della re- gressione), la variante a forme fruste (esordio più tardivo, dopo i quat- tro anni), la variante a linguaggio conservato (l’uso di semplici forme linguistiche continua anche dopo la regressione) e la variante maschile (Hagberg et al., 1985; Hagberg, Gillberg, 1993; Hagberg, Rasmussen, 1986; Hagberg, Skjeldal, 1994; Zappella, Gillberg, Ehlers, 1998). Lo studio delle forme atipiche o varianti ha sollevato degli spunti degni di nota: Zappella e collaboratori (1998) si sono infatti chiesti se non fosse più corretto, alla luce delle conoscenze del momento, intro- durre il concetto di “Rett Complex”. Esso comprenderebbe le forme più gravi di sindrome di Rett o “forma classica”, così come le forme relati- vamente più lievi o “forme atipiche”, tra le quali la più frequente sareb- be la variante a linguaggio conservato. Ora che l’oggetto di indagine è stato delineato passeremo in rasse- gna quelli che abbiamo chiamato “contenitori diagnostici” della sin- drome di Rett. 1.3. Un primo contenitore: i criteri LA SINDROME DI RETT: PROSPETTIVE E STRUMENTI PER L’INTERVENTO In assenza di markers biologici, la sindrome di Rett fu definita sulla base di un insieme di criteri clinici stabiliti nel corso della conferenza inter- nazionale organizzata nel 1984 a Vienna da Rett. Mancando ancora de- scrizioni dettagliate delle forme atipiche o incomplete, la cui esistenza era comunque nota, i Criteri di Vienna individuati furono suddivisi in due categorie: criteri di inclusione e criteri di esclusione (Hagberg et al., 1985). Criteri di inclusione: − Sesso femminile. − Periodo pre- e perinatale normale, sviluppo psicomotorio normale nei primi 6 mesi, spesso fino a 12-18 mesi. − Circonferenza cranica normale alla nascita e successiva decelerazio- ne della crescita della testa (per inferenza anche del cervello) fra i 6 mesi e i 4 anni. − Iniziale regressione psicomotoria, sociale e comportamentale con perdita delle abilità acquisite; insorgenza del disturbo di comunica- zione e segni di demenza. − Perdita delle abilità dell’uso finalizzato delle mani tra il primo e il quarto anno di vita. − Comparsa, nello stesso periodo, delle stereotipie delle mani, quali hand-washing, hand-clapping, hand-wringing. − Sempre nello stesso periodo, comparsa di andatura atassica e di atas- sia-aprassia del tronco. − Diagnosi incerta fino all’età di 3-5 anni. Criteri di esclusione: − Visceromegalia14, altri segni di immagazzinamento organico. − Retinopatia o atrofia ottica prima dei sei anni. − Microcefalia congenita. − Danni cerebrali acquisiti in epoca perinatale. In seguito alla descrizione di Goutieres e Aicardi (1986) di sette pa- zienti con manifestazioni cliniche riconducibili alla sindrome di Rett che non soddisfacevano tutti i criteri diagnostici sopra elencati, se ne rese necessaria una revisione. Dal confronto tra i suddetti criteri e quelli del- le forme atipiche emerge una maggiore elasticità per il periodo di com- parsa dei comportamenti tipici e un costante riferimento alla presenza di tali comportamenti al momento della valutazione, come si può evin- cere dal seguente elenco dei criteri delle forme atipiche: − Il sesso femminile non è necessario. − Periodo pre- e perinatale normale con successivo sviluppo psicomo- torio normale fino ai 6 mesi di vita. 1. LA SINDROME DI RETT − Circonferenza cranica normale alla nascita, microcefalia al momento dell’esame e/o decelerazione della crescita della circonferenza crani- ca. − Regressione evolutiva e psicomotoria; ritardo mentale e disturbo della comunicazione di tipo autistico al momento dell’esame. − Uso inizialmente normale delle mani, assente al momento della valu- tazione. − Stereotipie delle mani, esibite in sede di esame. − Atassia/aprassia della marcia. Infine, nel 1988, il Rett Syndrome Diagnostic Criteria Working Group pose mano ai Criteri di Vienna suddividendoli in tre categorie: criteri necessari, criteri di supporto e criteri di esclusione (Haas, 1988). Criteri necessari: − Periodo pre- e perinatale apparentemente normale. − Sviluppo psicomotorio apparentemente normale nei primi sei mesi di vita. − Circonferenza cranica normale alla nascita. − Decelerazione della crescita del cranio fra i 5 mesi e i 4 anni. − Sviluppo di una grave compromissione del linguaggio espressivo e recettivo e presenza di un apparente ritardo psicomotorio grave. − Perdita delle abilità acquisite dell’uso finalizzato delle mani, momen- taneamente associato a disturbo della comunicazione e a ritiro socia- le. − Movimenti stereotipati delle mani concomitante alla perdita dell’uso finalizzato delle stesse. − Comparsa di atassia della marcia e di atassia/aprassia del tronco tra 1 e 4 anni. − Diagnosi sospetta da 2 a 5 anni di età. Criteri di supporto: − Disfunzioni respiratorie, come apnea periodica in veglia, iperventila- zione intermittente, brevi periodi di trattenimento del respiro, espul- sione forzata di aria o saliva. − Anomalie nel tracciato elettroencefalografico. − Epilessia. − Spasticità, spesso associata a distonia e debolezza muscolare. − Disturbi vaso-motori periferici. − Scoliosi. − Ritardo della crescita. − Piedi piccoli. Criteri di esclusione: − Organomegalia o segni di disturbo di immagazzinamento. LA SINDROME DI RETT: PROSPETTIVE E STRUMENTI PER L’INTERVENTO Le tabelle sotto riportate, direttamente tratte dal contributo cui si fa riferimento, forniscono un’analisi esauriente di tale confronto. TABELLA 1.1 Caratteristiche non comportamentali ed evolutive (da Olsson, Rett, 1990; trad. it. no- stra) atrofia cerebrale diffusa e funzioni manuali gravemente ritardate ra, e senza adeguata masticazione dell’avambraccio in almeno uno degli arti superiori AI RMA SR Sesso femminile +– +– ++ Decelerazione della crescita e crescita del capo rallentata; – +– ++ Accessi, EEG anomalo +– + + Ritardo mentale severo con alalia (assenza di linguaggio) – +– ++ Ritardo motorio grave con aprassia e atassia nell’andatu- – +– + Tendenza all’adduzione del pollice o alla pronazione +– + ++ Tendenza alla cifo-scoliosi +– +– ++ AI = autismo infantile ++ in tutti i casi RMA = Grave ritardo mentale con Autismo o tratti autistici + sopra il 50% dei casi SR = Sindrome di Rett +– – sotto il 50% dei casi in nessun caso 1. LA SINDROME DI RETT TABELLA 1.2 Stereotipie e attività autolesive (da Olsson, Rett, 1990; trad. it. nostra) AI RMA SR Hand-washing – +– + Mani bagnate con saliva – – +– Ricco repertorio di movimenti stereotipati + +– – Attrazione per oggetti ruotanti e acqua corrente + +– – Attività autolesive + + +– Lesioni epidermiche causate dalle stereotipie (hand-wa- shing) – – +– AI = autismo infantile ++ in tutti i casi RMA = Grave ritardo mentale con Autismo o tratti autistici + sopra il 50% dei casi SR = Sindrome di Rett +– sotto il 50% dei casi – in nessun caso TABELLA 1.3 Ulteriori aspetti comportamentali (da Olsson, Rett, 1990; trad. it. nostra) li in mano e manipolarli mento AI RMA SR Occhi spalancati e vivaci, anche nel guardare le persone – – + Reazioni difensive agli stimoli sociali + +– +– Predominante o esclusiva messa a fuoco di oggetti vicini o parti degli arti superiori e rapidi cambiamenti nella + direzione degli occhi + +– Maggiore durata nel guardare gli oggetti rispetto al tener- – +– ++ Introduzione di oggetti in bocca – +– +– Tendenza a portare le mani unite davanti al petto o al – +– + LA SINDROME DI RETT: PROSPETTIVE E STRUMENTI PER L’INTERVENTO Episodi di iperventilazione attraverso la bocca (non at- traverso il naso) Inalazione e ritenzione di aria seguita da deglutizione o udibile espulsione d’aria Ecolalia o scambio di pronomi AI = autismo infantile RMA = Grave ritardo mentale con Autismo o tratti autistici + sopra il 50% dei casi SR = Sindrome di Rett +– sotto il 50% dei casi – in nessun caso L’analisi di queste tabelle e di altri contributi (Olsson, Rett, 1985, 1990; Percy et al., 1988) fornisce il seguente quadro: mentre nell’autismo si riscontra una regressione delle abilità linguistiche ma non di quelle mo- torie, nella sindrome di Rett è proprio l’area motoria (oltre a quella del linguaggio) a risultare seriamente compromessa, sia sotto il profilo fino- motorio sia sotto quello grosso-motorio. Le differenze riscontrabili a un livello immediato di analisi riguardano le stereotipie: se le mani dei soggetti autistici sono costantemente impegnate in giochi con oggetti a cui imprimere rotazioni veloci e continue, le mani delle bambine con sindrome di Rett restano chiuse nelle stereotipie di hand-washing, hand- wringing e simili, o sono portate alla bocca e bagnate con saliva. Altro elemento degno di nota è lo sguardo (Olsson, Rett, 1985, 1990): esso è fisso e luminoso nelle bambine con sindrome di Rett, che si mostrano attratte dagli oggetti (trascorrendo più tempo a guardarli che non a manipolarli) e dal volto, soprattutto dagli occhi. Gli autistici, invece, evitano lo sguardo dell’altro e trascorrono anche molto tempo a manipolare oggetti piuttosto che a osservarli. Anche Lindberg (1988), riportando un dato raccolto dalle interviste con i genitori di bambine con sindrome di Rett, segnala che, nonostante il deterioramento rela- zionale che le affligge soprattutto nei primi due stadi, nel loro sguardo non è mai rilevabile una barriera così profonda e impenetrabile come in quello degli autistici. Se rilevare queste differenze è piuttosto facile nei bambini ormai cresciuti, diviene sempre più difficile farlo a mano a mano si risale a ritroso ai primi anni dello sviluppo e ai primi mesi di vita. Il fatto che il secondo stadio, ovvero quello della regressione rapida dai 18 mesi ai 2 – – + – – +– + – – ++ in tutti i casi 1. LA SINDROME DI RETT la precisione, le aree geografiche a forte incidenza della sindrome coin- ciderebbero con le zone del cremasco e della Versilia, nelle aree confi- nanti tra i comuni di Massa e Camaiore. Di lì a poco la scoperta della mutazione del gene responsabile della sindrome avrebbe rimescolato le carte in tavola, producendo nuovi fermenti negli studi sulla sindrome. 1.6. Un quarto contenitore: la mutazione genetica Nel corso della ricerca genetica sulla sindrome di Rett sono stati propo- sti diversi modelli esplicativi (Willard, Hendrich, 1999). Inizialmente la spiegazione più semplice fu che la sindrome fosse una condizione do- minante legata al cromosoma X, letale nei maschi ma non nelle femmi- ne, che sopravvivono ma manifestano la patologia. Questa ipotesi fa riferimento ai meccanismi di trasmissione genetica legati ai cromosomi X e Y che determinano il sesso: XX nelle femmine e XY nei maschi. Nel caso delle femmine (XX), è necessario che una sola copia dei due cro- mosomi X sia funzionale per le relative informazioni genetiche: uno dei due cromosomi X viene “disattivato” in un processo detto di “disattiva- zione X”, per cui in ogni cellula, in modo casuale, un cromosoma X vie- ne “spento” e l’altro cromosoma X viene lasciato funzionale. Dunque le femmine sopravviverebbero, ma sviluppando la patologia. Invece i ma- schi (XY) non possiedono una copia di riserva del cromosoma X che possa compensare quello difettoso, dunque le mutazioni sull’unico cromosoma X in loro possesso sarebbero tali da non permettere neppu- re la sopravvivenza dell’individuo. Tuttavia, questa possibile spiegazione necessitava di ulteriori con- ferme dalla ricerca genetica, soprattutto in confronto con le conoscenze già presenti relativamente ad altri disordini legati al cromosoma X di quel tipo. Allo stesso tempo, infatti, l’identificazione (Schanen, Francke, 1998) di un maschio affetto da severa encefalopatia neonatale in una famiglia con forme ricorrenti di sindrome di Rett rafforzò l’ipotesi che essa fosse causata da un gene legato al cromosoma X: pertanto fu avan- zato il modello di un disordine dominante legato al cromosoma X, che però non era detto fosse necessariamente letale nei maschi, i quali pote- vano, in rari casi come quello sopra citato, anche sopravvivere. Le ricerche si focalizzarono pertanto sul cromosoma X e sul con- fronto tra soggetti appartenenti alla stessa famiglia: bambine con sin- drome di Rett e sorelle o sorellastre. Fu così individuata la zona Xq28: il LA SINDROME DI RETT: PROSPETTIVE E STRUMENTI PER L’INTERVENTO riscontro di numerose mutazioni sul gene MECP2 portò alla sua indivi- duazione come causa prima della malattia. Durante lo sviluppo un gran numero di geni viene “espresso”, cioè tradotto in proteine che svolgono un ruolo vitale in diversi tessuti del corpo con tempi e livelli differenti. Il gene MECP2 genera una proteina (Amir et al., 1999) che interessa lo sviluppo del cervello in modo così rilevante da essere essenziale alla vita in sé, cosicché i maschi nella mag- gioranza dei casi non sopravvivono e le femmine manifestano la malat- tia con il quadro altamente invalidante che essa comporta. Infatti il gra- do con cui la sindrome di Rett si manifesta sarebbe funzione del nume- ro di cellule con una copia normale del gene lasciate in funzione dopo la disattivazione casuale di uno dei cromosomi X in ciascuna cellula. In altre parole, se tale disattivazione spegne casualmente il cromosoma X che trasporta il gene mutato nella maggioranza delle cellule, i sintomi saranno leggeri, e viceversa. Tuttavia, nuove questioni si sono aperte (Kerr, 2002). Innanzitutto devono essere ancora individuate tutte le mutazioni a carico del gene MECP2: dato che ogni bambina può presentare una differente mutazio- ne sul gene, la posizione della mutazione sul gene in questione potrebbe essere indicativa del grado di affezione dei sintomi, dunque della varia- bilità all’interno della sindrome. In un recente studio condotto in Svezia (Erlandson et al., 2001) sono state identificate sia mutazioni che avven- gono nella maggior parte dei casi a carico del gene MECP2, sia mutazio- ni che avvengono de novo, cioè che non sono state rilevate nei genitori, sia mutazioni senza senso che si verificano in parti diverse del gene, che riflettono probabilmente la funzione del dominio nel MECP2. Interessanti sono anche i dati acquisiti su un vasto campione (166 soggetti) di soggetti tra i 2 e i 34 anni con sindrome di Rett (Hoffbuhr et al., 2001), da cui è emerso che nel 63% dei casi vi sono mutazioni del MECP2, che rappresentano un totale di 30 mutazioni. Sono state anche qui rilevate nuove mutazioni, di cui due in due soggetti maschi, uno con sindrome di Kleinefelter e sindrome di Rett, l’altro con un’inversione dell’Xq27-28. Che non si possa più escludere con certezza la presenza di casi ma- schili appare confermato dai recenti contributi della letteratura genetica. Cohen e collaboratori (2002) riportano il caso di un maschio affetto da sindrome di Rett, disturbi linguistici e schizofrenia. Per comporre que- sto inusuale quadro gli autori suggeriscono che lo spettro fenotipico delle mutazioni del gene MECP2 possa estendersi ben al di là della clas- sica diagnosi di sindrome di Rett e di ritardo mentale, fino a includere 1. LA SINDROME DI RETT disturbi nello sviluppo del linguaggio e l’esordio di una schizofrenia infantile. Altri due casi di soggetti maschi che soddisfano tutti i criteri diagno- stici della sindrome di Rett sono descritti da Leonard e colleghi (2001), i quali rilevano però a livello genetico dati discordanti. Il primo soggetto presenta infatti un cariotipo17 normale (46, XY) nel 97,6% delle cellule con assenza della mutazione nella zona codificata dal MECP2; mentre il secondo è caratterizzato da un mosaicismo della sindrome di Kleinefel- ter. Gli autori concludono pertanto a favore dell’esistenza di casi ma- schili di sindrome di Rett, la cui identificazione clinica è per ora difficile non rientrando appieno nella casistica diagnostica della sindrome di Rett. La questione del mosaicismo ci porta a considerare anche l’eventua- lità della sovrapposizione fenotipica tra due sindromi: è il caso della sindrome di Rett e della sindrome di Angelman18 (Angelman, 1965), che per le somiglianze del quadro clinico appaiono talvolta interscam- biabili, rendendone incerta la definitiva identificazione. Passando infatti in rassegna le caratteristiche cliniche di 31 casi di pazienti con sindrome di Rett tra i 4 e i 35 anni, Ellaway e collaboratori (1998) hanno confer- mato le similarità fenotipiche tra le due sindromi. Permangono però differenze a livello genetico: nella sindrome di Angelman l’anomalia genetica riscontrata nel 70-80 % dei casi è nella regione 15q11-13 del cromosoma 15 di origine materna (Molinari, 2002), che risulta invece intatto nella sindrome di Rett. Anche restando all’interno dello spettro della sola sindrome di Rett iniziano ad affacciarsi nuove questioni. Il fatto che il fenotipo di pazien- ti con sindrome di Rett classica e di pazienti con ritardo evolutivo unito alla presenza di tratti simili alla Rett fosse correlato alla presenza e al tipo di mutazione del gene MECP2 nonché all’inattivazione del cromo- soma X (Auranen et al., 2001) pone interrogativi circa la reale entità del- lo spettro della sindrome di Rett (si ricordi a tal proposito la proposta di introdurre il concetto di Rett Complex) e il legame tra fenotipo e genoti- po all’interno di questo range patologico. Ecco allora spiegarsi il fiorire di studi volti a indagare il fenotipo della sindrome di Rett e a individuarne il legame con il genotipo, alla ricerca di una messa a fuoco sempre più accurata del contenitore dia- gnostico. Recentemente alcuni autori britannici (Mount et al., 2001) hanno ipotizzato che i comportamenti descritti in letteratura possano realmen- te concorrere a costituire un fenotipo comportamentale della sindrome di Rett. Essi hanno passato in rassegna molti lavori con lo scopo di ar-
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