Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

La sindrome hikikomori: definizione ed aspetti psicopatologici, Tesi di laurea di Sociologia

Un'analisi di diversi articoli, saggi, esperimenti condotti e considerazioni, sul triste e curioso fenomeno nato in Giappone e che, negli ultimi tempi, ha trovato terreno fertile in diversi paesi, mutando il significato,e alterando i concetti proposti propagandosi fino in occidente. Sì analizzeranno inoltre i risultati di un esperimento condotto all'interno di una comunità hikikomori italiana, al fine di evidenziare le peculiarità culturali del fenomeno giapponese e della controparte Italiana.

Tipologia: Tesi di laurea

2018/2019

In vendita dal 13/04/2022

lasray
lasray 🇮🇹

3 documenti

1 / 50

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica La sindrome hikikomori: definizione ed aspetti psicopatologici e più Tesi di laurea in PDF di Sociologia solo su Docsity! INDICE ABSTRACT………………………………………...….......……………… 4 INTRODUZIONE………………………………………………………….. 6 1. LA “SINDROME” HIKIKOMORI: DEFINIZIONE E ASPETTI PSICOPATOLOGICI...………………………………………….......... 8 1.1 Il termine Hikikomori……………………………....................................... 8 1.2 Hikikomori e fatti di cronaca………………………………........................ 8 1.3 Hikikomori in Giappone……………………………………….................... 11 1.4 Hikikomori e possibili cause.................................................................. 14 2. DIFFUSIONE DEL FENOMENO NEL MONDO.............................. 18 2.1 Hikikomori in Asia.................................................................................. 18 2.1.1 Hong Kong......................................................................................... 18 2.1.2 Corea del Sud.................................................................................... 20 2.2 Hikikomori in Occidente.......................................................................... 21 2.2.1 Spagna.............................................................................................. 23 2.2.2 USA.................................................................................................... 24 2.2.3 NEET e hikikomori, due fenomeni a confronto........................................................…………...................... 24 3. HIKIKOMORI IN ITALIA: COSTRUZIONE DEL SELF E GRUPPI DI RIFERIMENTO.................................................…………………...... 29 3.1 La diffusione della sindrome: Hikikomori in Italia......................................................…...……...………........................ 29 3.2 Etnografia di una comunità virtuale di Hikikomori..…….…….................. 32 3.2.1 Aspetti metodologici: L’etnografia virtuale...................................... 33 3.2.2 L’accesso al campo........................................................................ 35 3.3. Analisi dei dati ............................................................................................. 37 3.3.1. Creazione e gestione dell’immagine di sé....................................... 37 3.3.2. Esibizione narcisistica della propria “stranezza”.............................. 39 3.3.3. Importanza rituale della festa.......................................................... 41 3.3.4. Altri temi ricorrenti........................................................................... 42 CONCLUSIONI...………......................................................................... 45 BIBLIOGRAFIA ………………................................................................ 47 SITOGRAFIA.......................................................................................... 51 RINGRAZIAMENTI................................................................................. 53 4 ABSTRACT Il presente elaborato ha come oggetto lo studio della propensione all’autoreclusione di adolescenti e giovani conosciuta con il nome Hikikomori, e ne analizza la diffusione e le caratteristiche al difuori del contesto sociale nipponico. Sebbene infatti i primi casi della sindrome Hikikomori siano stati individuati e studiati in Giappone, il fenomeno non può essere ricondotto esclusivamente a fattori di stampo culturale nipponico, poichè, nel corso del tempo, ha iniziato a manifestarsi con caratteristiche peculiari in contesti sociali eterogenei. Negli ultimi anni si è allargato su scala mondiale, creando allarmismi. Diversi studi psico-sociali riguardano i casi riconducibili alla sindrome hikikomori in Cina e nella Corea del Sud. Altri studi riguardano paesi occidentali come Spagna, Stati Uniti, Regno Unito e Italia. Una parte dell’elaborato si concentra sulla situazione italiana, e riporta i risultati di una ricerca sociologica da me condotta. Tra i mesi di Aprile e di Giugno 2018, sono entrato in contatto online con alcune comunità italiane di hikikomori. La tecnica di rilevazione utilizzata è stata quella dell’etnografia virtuale, particolarmente efficace in situazioni come quelle degli hikikomori che evitano le relazioni sociali ma che hanno una intensa vita sociale online. L’analisi degli scambi di conversazione tra i partecipanti alle comunità ha permesso di evidenziare alcune delle pratiche con cui i soggetti studiati gestiscono l’immagine di sé, la loro definizione della situazione, i loro altri significativi e i loro gruppi di riferimento. Parole chiave: etnografia virtuale, identità, problemi sociali, interazione. The aim of this paper will be, not only to analyze the phenomenon of hikikomori, definable as the adolescent propensity towards self-delusion, but also to analyze its diffusion and characteristics outside the Japanese social context. Although the first cases of the hikikomori syndrome have been identified and studied in Japan, the phenomenon cannot be strictly limited to the Japanese culture, because, over time, it has started to manifest itself, with peculiar characteristics, in heterogeneous social contexts. In recent years, for example, it has expanded on a global scale, creating alarmism. Several psycho-social studies concerning cases related to the hikikomori syndrome in China and South Korea have been carried out. There have also been other studies done involving Western countries such as Spain, the United States, the United Kingdom and Italy. 7 hikikomori con la sindrome Amae2, condizione molto comune in Giappone e legata ai valori confuciani. Il secondo capitolo, si concentra sulla diffusione della sindrome fuori dal Giappone. Il fenomeno hikikomori, infatti, negli ultimi anni si è allargato su scala mondiale, creando allarmismi. Tra i primi paesi colpiti, la Cina e la Corea del Sud che presentano delle differenze, seppur minime, rispetto al vicino Giappone. Alcuni studi riguardano anche paesi occidentali come Spagna, Stati Uniti, Oman, Regno Unito e Italia, dimostrando che il fenomeno non può essere messo rigidamente in relazione a fattori di stampo culturale nipponico ma che si manifesta con caratteristiche peculiari in contesti sociali eterogenei. La sindrome definita come hikikomori infatti non presenta per tutti gli stessi sintomi, e varia considerevolmente in base ai fattori comportamentali e caratteriali dell’individuo colpito. Il terzo capitolo prende in considerazione in particolar modo la situazione italiana. Alcune ricerche condotte in città come Milano, Arezzo e Napoli, confermano la presenza di hikikomori anche sul suolo italiano. Inoltre sono nate cooperative e centri di ricerca che stanno cercando di sensibilizzare l’opinione comune tramite l’attivazione di programmi e strutture professionali, che rappresentano un aiuto fondamentale per tutti i ragazzi che presentano caratteristiche associabili al fenomeno hikikomori. La parte centrale del capitolo riporta infine i risultati di una ricerca sociologica da me condotta: tra i mesi di Aprile e di Giugno 2018, sono entrato in contatto online, e ho interagito virtualmente, con gli utenti di alcune comunità analizzando le interazioni e gli scambi di post di un gruppo di hikikomori che presentavano un’età compresa tra i 25 e i 39 anni. La tecnica che ho adottato è stata quella dell’etnografia virtuale, si tratta di una metodologia di ricerca sociologica innovativa e ancora poco praticata, ma particolarmente efficace in situazioni come quelle degli hikikomori che evitano le relazioni sociali, ma che hanno una intensa vita sociale online. L’analisi dei dati raccolti ha permesso di mettere in luce alcune delle pratiche con cui i soggetti studiati gestiscono l’immagine di sé, la loro definizione della situazione, i loro altri significativi e i loro gruppi di riferimento. 2 Derivato dal verbo Ameru, lett. “dipendere da”, Doi T., Anatomia della dipendenza, Raffaello Cortina Edizioni, Milano, 2001, p. 76. 8 1. LA “SINDROME” HIKIKOMORI: DEFINIZIONE E ASPETTI PSICOPATOLOGICI 1.1. IL TERMINE HIKIKOMORI E’ il 1998 quando viene pronunciato, dallo psichiatra giapponese Saito Tamaki il termine “Hikikomori”3 ( letteralmente "stare in disparte, isolarsi", dalle parole hiku "tirare" e komoru "ritirarsi"), un termine utilizzato per indicare adolescenti o adulti sotto i 40 anni, nella maggioranza di sesso maschile, che decidono volontariamente di tagliare, o limitare al massimo, i contatti con la società4. Anche se molto spesso si tende a designare Saito come l’inventore del termine, questo fu utilizzato per la prima volta da Kitao Norihiko, che utilizzò il termine nel suo articolo “Ochikobore, Mukiryoku, Hikikomori”5 pubblicato dal Journal of Education and Medicine, nel 1986. Gli hikikomori effettuano dei veri e propri ritiri che avvengono tra le mura domestiche, e che possono durare mesi o in alcuni casi anche anni. Queste personalità rifuggono scuola e lavoro, e scegliendo di evitare il mondo esterno, si autorecludono nella propria camera, dove i contatti sono limitati all’universo virtuale, dove vivono una realtà parallela caratterizzata da rapporti sociali esclusivamente virtuali6. Tagliati i ponti con il mondo che sta fuori, alcuni di questi hikikomori si rifugiano in un universo parallelo attraverso la rete, videogiochi e i social network, grazie alla quale è possibile costruire legami senza mettere in gioco la propria fisicità: su Internet è tutto virtuale, nessuno si aspetta nulla, ed è facile crearsi una vita fuori dalla vita7. 1.2. HIKIKOMORI E FATTI DI CRONACA Il Giappone ha iniziato a prendere coscienza del fenomeno Hikikomori tra il 1999 e 2000, successivamente ad episodi di origine violenta che hanno visto come protagonisti degli Hikikomori. Si iniziò a parlare di un uomo di Niigata, arrestato perchè aveva tenuto una 3 Hikikomori – Persone colpite da una sindrome che induce l’individuo a chiudersi nella propria stanza senza mai uscirne (letteralmente «stare in disparte»), piuttosto diffusa in Giappone. Voce in in Enciclopedia Treccani http://www.treccani.it/enciclopedia/hikikomori_(Lessico-del-XXI-Secolo)/. 4 Ricci C., Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione, Franco Angeli Edizioni, Milano, 2008, p. 74. 5 Kitao N., “Ochikobore, Mukiryoku, Hikikomori (Dropout, Apathy and Withdrawal)”, in Kyoiku to Igaku (Journal of Education and Medicine), 34, 5, 1986, pp. 439- 443. 6 Volpi A. , Asia al centro, Università Bocconi Editore, Milano, 2014, pp. 178- 227. 7 Marrone C., “Chi sono gli hikikomori, gli adolescenti autoreclusi sempre attaccati a Internet”, in Corriere della sera, 26 Novembre 2017, p. 56. 9 ragazzina imprigionata per 10 anni nella sua stanza. La ragazza era stata rapita all’età di 9 anni, mentre tornava da scuola. L’uomo, che l’ha segregata per tutti questi anni, era un trentasettenne che si è ritirato dalla società da adolescente, senza più uscire di casa se non raramente8. Un altro caso risale al 1997, quando la stampa riporta la notizia di un adolescente di quattordici anni con lo pseudonimo di Sakakibara che a Kobe ha decapitato un bambino di undici anni, lasciando poi la testa fuori dal cancello della sua scuola9. Nel Giugno del 2000, un diciassettenne che faceva parte di una squadra di atletica della scuola ha aggredito dei compagni con una mazza, poi tornato a casa ha ucciso la madre. Nel Maggio dello stesso anno, un diciassettenne ha dirottato un pullman, obbligando il conducente ad una corsa di diciannove ore, poi, successivamente, ha ucciso un passeggero lungo la strada10. Sempre in Maggio un ragazzino ha ucciso una donna dopo essersi intrufolato nella sua abitazione, dichiarando successivamente, quando interrogato dalla polizia, di averlo fatto perché spinto dalla curiosità di uccidere qualcuno11. I casi di cronaca sopra citati hanno scosso il paese, che per diverse settimane è rimasto sconvolto dall’efferatezza di questi crimini, cercando di trovare e comprenderne le ragioni, nel tentativo di trovare una spiegazione a tanta violenza, soprattutto per mano di ragazzini12. La diretta conseguenza, è stata quella di considerare casi del genere come perpetrati da individui lontani dal modo di essere della società. Una tendenza a definire questo genere di situazioni è entrata a far parte della logica del senso comune in Giappone: si è portati a credere che simili episodi avvengano per mano di persone mentalmente disturbate. Per questo motivo gli hikikomori, nonostante gli sporadici casi di violenza di cui alcuni di loro si sono macchiati, sono stati giudicati dai mass media, come individui violenti e malati. In un’intervista riportata da Zielenziger (2006), Sadatsugu Kudo13, uno psicoterapeuta che cura gli hikikomori da più 27 anni, considera però un errore assimilare la sindrome di hikikomori alla devianza giovanile e alla malattia mentale. Il problema sarebbe invece da ricercare nel contesto in cui si vive. Kudo, a tal proposito, dice:- “ Non si possono definire le ragioni, ma si può definire il contesto: è il Giappone. 8 Larimer T., “Natural-born killers?”, In Time,2000, Volume 156(9), p. 37. 9 Schreiber M., “Joi o osotta shōnen A, (Ragazzo A attaccò la dottoressa)”, in Shūkan shinchō (週刊新潮) The Japan Times, 31 Gennaio 2015 10 Cit. Larimer, 2000 11 Ibid. 12 Ibid. 13 Sadatsugu Kudo, nato a Fukushima (Giappone) nel 1950. Nel 1977, fondò il primo centro di riabilitazione, Tame- Juku, che diventato poi “NPO Youth Support Center”(1999). E’ considerato uno dei pionieri nello studio e nell’aiutare ragazzi con disturbi riguardanti la reclusione sociale (Hikikomori). Il ministero della salute ha modificato il suo programma per condurre gli Hikikomori su terapie di supporto ideate dal dott.Kudo. Tobira no muko, 2008. 12 A causa di questa situazione, la società ripone una maggiore aspettativa di successo in ambito lavorativo sulla figura maschile. Come diretta conseguenza, la figura maschile, per paura di fallire, dedica anima e corpo alle attività lavorative, trascurando però l’ambiente familiare. Tuttavia, se da un lato il padre è assente fisicamente, dall’altro è dominante a livello psicologico: la madre racconta spesso al figlio i successi del padre in ambito scolastico e lavorativo, e il figlio quindi sviluppa l’obbligo morale di dover emulare il padre22. Il figlio, soggetto a queste pressioni, tende a scoraggiarsi per eventuali fallimenti se ad esempio non riesce ad ottenere una formazione scolastica eccellente, o una posizione di lavoro prestigiosa. Il risultato è che il ragazzo decide semplicemente di mollare tutto, ritirandosi dalla società. Un’altra interpretazione tende ad evidenziare una correlazione tra lo stato di hikikomori e la sindrome chiamata Amae23, coniata dallo psicanalista Takeo Doi, che consiste in una dipendenza morbosa che un individuo sviluppa nei confronti di un’altra persona. Sin dai primi anni madre e figlio vivono in una costante simbiosi, e il figlio svilupperà, crescendo, un senso di dovere e obbligo nei confronti del genitore24. Questa condizione è molto comune in Giappone, e vede molto spesso come protagonista il figlio maschio primogenito che vive in casa con i genitori anche superati i 40 anni. Inoltre questo è atteggiamento che non viene criticato negativamente, perché impregnato di valori confuciani25. Tra le ragioni che portano gli adolescenti giapponesi a rinchiudersi nelle proprie stanze, è stato considerato anche il mutamento subito dal sistema familiare, a seguito della seconda guerra mondiale26. A causa dei profondi cambiamenti nella struttura familiare giapponese, appaiono centrali lo stretto rapporto di dipendenza nel rapporto tra madre e bambino, le pratiche e le culture di allevamento, e il ruolo sempre più marginale dei padri giapponesi nell’educazione dei figli e nella partecipazione alla loro crescita27. Anche diverse survey tendono a confermare la specificità nipponica della sindrome hikikomori. Nel 2001, nel 2003 e nel 2010 sono stati effettuati dei sondaggi dal Ministero della salute e del lavoro, per cercare di capire il numero di hikikomori in Giappone. Queste ricerche sono conosciute come Hikikomori studies. Nel settembre del 2016 è stata 22 Ricci C., Hikikomori: narrazioni da una porta chiusa, Aracne, Roma, 2009, pp. 36- 39. 23 Derivato dal verbo Ameru, lett. “dipendere da”, Doi T., Anatomia della dipendenza, Raffaello cortina Edizioni, Milano 2001, p. 76. 24 Fowler F., La struttura familiare giapponese e il concetto di amae, 2015. 25 Secondo la tradizione confuciana prendersi cura degli anziani era considerato un obbligo morale. Questo è ciò che si definisce “pietà filiale” (xiaoshun 孝顺). De Grandis M., Pietà filiale: un obbligo morale, 2015. 26 Gioia A.M., Hikikomori: Da ritiro sociale a fenomeno psicopatologico, 2013, p. 3 27 Ibid. 13 pubblicata un’altra ricerca28, commissionata dal governo giapponese, che stima il numero di hikikomori presenti in Giappone. Lo studio29 riporta i risultati di una prima indagine svolta nel 2010. All’epoca fu costituito un team di psichiatri e psicologi, al fine di condurre una ricerca30 denominata “Investigation on youths consciousness”. Il campione era costituito da 5000 individui tra i 15 e i 39 anni, ai quali fu somministrato un questionario. I questionari validi furono 3287 (il 65,7% del campione). Tra di questi, 59 individui (1,79%) furono classificati come hikikomori. Sulla base di stime demografiche condotte dal “Ministry of Internal Affairs and Communications” (2008), l’hikikomori corrispondeva a più di 696.000 individui su scala nazionale31. Nel dicembre 2015 furono somministrati altri 5000 questionari ad un campione di individui che nel 90% dei casi viveva con un familiare. Si cercò inoltre di proporre delle domande che si basavano su criteri di inclusione o esclusione. Sulla base dei risultati del sondaggio del 2010, è stata formulata una stima di 696.000 casi di Hikikomori in tutto il Giappone e, in base al sondaggio del 2016, è stato inferito un numero di 541.000 hikikomori. Il numero totale di hikikomori sembrerebbe essere quindi diminuito nell’arco di tempo compreso tra il 2010 e il 2016. Tuttavia, nel sondaggio del 2010, il 23,7% dei soggetti classificati come hikikomori aveva tra 35 e 39 anni. Poiché questo gruppo aveva più di 39 anni nel 2015 non è stato incluso nel campione del 2016. L'assenza di considerazione degli individui sopra i 39 anni è una delle ragioni per cui esperti (Kato et al., 2017), sono giunti alla conclusione, che 541.000 non sarebbe il numero effettivo di soggetti che presenta i tratti del fenomeno hikikomori. Altre ragioni potrebbero, per esempio riferirsi al numero elevato di cadute, visto che il 38% dei questionari è stato considerato non valido. È probabile che degli individui hikikomori si collochino in questo gruppo. Poiché alcuni di loro sono insicuri e tormentati, possono aver compilato in maniera incompleta o scorretta i questionari, che quindi sono stati annullati e non sono stati presi in considerazione ai fini della stima. Il gruppo che risultò a rischio di sviluppare la sindrome, rappresentava 1,55 milioni di individui nel 2010, e nel 2016 sarebbe di 1,65 milioni: ciò che risulta è che il numero delle persone che hanno alte probabilità di sviluppare la sindrome, è in aumento.32 28 Naikakufu N. (Cabinet office of Japan), Wakamono no seikatsu ni kansuru chōsa hōkokusho (Research survey of youth’s life), Kyoto University Institute for Research in Humanities, 2016 29 Ibid. 30 Ibid. 31 Tajan N., Hamasaki Y. e Pionnié-Dax N., “Hikikomori: The Japanese Cabinet Office’s 2016 Survey of Acute Social Withdrawal”, in Asian Pacific Journal, 15, 5, 2017, pp. 3- 6. 32 Ibid. 14 1.4. HIKIKOMORI E POSSIBILI CAUSE Molti dei giovani “Hikikomori” condividono alcuni aspetti patologici con chi soffre di “taijin- kyofu-sho”33. Quest’ultima patologia consiste fondamentalmente nel mostrare un sentimento di vergogna e forte timidezza alla presenza degli altri. Gli hikikomori si differenziano invece dagli “Otaku” (giovani che condividono una comune ossessione verso personaggi, giochi o anime ) per la maniera in cui utilizzano i media e la tecnologia. Mentre l’otaku utilizza i media per approfondire il proprio sapere sull’ oggetto d’ossessione, l’hikikomori usa invece gli stessi per evadere dalla realtà. Da una parte quindi è presente la televisione, che permette loro di avere notizie del mondo senza essere osservati o controllati, e dall’altra i videogame, che rappresentano un passatempo che non implica interazione umana. Anche se molti “Hikikomori” utilizzano Internet per comunicare, si tratta pur sempre di una forma di comunicazione che non comporta nessun contatto umano face to face34. Uno degli aspetti che dal punto di vista psichiatrico crea dei problemi nella definizione del problema hikikomori, è che gli hikikomori di per se non hanno patologie riconosciute dal DSM35. Chiaramente alcuni individui hanno delle caratteristiche che, in ambito psichiatrico, ritrovano delle conferme, ma in linea generale non è ancora stato possibile fornire una definizione psicopatologica univoca36. Inoltre le possibili cause di un ritiro sociale possono essere molteplici, in quanto la figura dell’hikikomori è molto eterogenea, e quindi non è possibile stabilire un motivo che prevalga in assoluto. Nel dettaglio è opportuno notare che ci sono opinioni discordanti che riguardano il tempo di reclusione, il luogo di reclusione e la tipologia di relazione interrotta. Se infatti c’è chi considera il ritiro dalle attività sociali come il solo ritiro dall’istituzione scolastica, c’è chi considera hikikomori chi evita ogni tipo di relazione personale37. Altri parlano di soggetti le cui uniche relazioni personali sono quelle con i genitori, poichè incapaci di crearne altre. Per quanto riguarda i motivi di reclusione gli esperti hanno analizzato più aspetti familiari, come la tendenza dei genitori ad essere iperprotettivi38, e, come accennato precedentemente, modelli comportamentali di stampo 33 Scritto anche TKS, è un disturbo relativo all’ansietà con caratteristiche peculiari delle aree del Giappone e Corea; Saylor A., “Taijin-kyofu-sho in Japan and South Korea”, in Anthropology 204, 2012, p. 1 34 Adams R., Hikikomori / Otaku Japans Latest Out-Group, 2004 35 AAVV, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder, American Psychiatric Press, Chicago, 2013, p. 176. 36 Toscano G., “Hikikomori la paura viene dall’oriente”, in Rivista italiana di Costruttivismo, 2016, Volume4(1), p. 6. 37 Teo, A.R., Gaw, A.C., “Hikikomori, a Japanese culture-bound syndrome of social withdrawal? A proposal for DSM-5”, in Journal of Nervous and Mental Disease, 198, 6, 2010, pp. 444–449. 38 Amae è un sostantivo usato per spiegare, il comportamento di una persona che cerca di indurre una figura autoritativa, come un genitore, un coniuge, un insegnante o un superiore, a prendersi cura di lei. Amae è la forma 17 dotato di resilienza, cioè quella capacità di rielaborare in maniera positiva eventi traumatici per poi lasciarseli alle spalle. A differenza di una malattia fisica dove il corpo rimane provato anche dopo che la malattia viene debellata, la condizione di hikikomori non lascia una traccia fisica, ma ovviamente è legata al modo di percepire ed interpretare la vita e i suoi eventi. La condizione di hikikomori può essere percepita quindi come la manifestazione delle difficoltà ad approcciarsi alla vita, non solamente sul piano sociale ma anche esistenziale. L’hikikomori non ha stimoli, ed è pervaso da un senso di pessimismo ed apatia, quindi non è semplicemente soggetto a dei problemi con la società, quanto con la percezione che lui ha di essa. E’ opportuno specificare comunque che l’hikikomori non è sempre uguale, chiaramente può avere comportamenti comuni ad un altro hikikomori, ma stiamo sempre parlando di un disturbo comportamentale e sociale, che, essendo la conseguenza di un determinato trauma o di una certa infanzia, ha degli aspetti che variano da individuo in individuo. Ad esempio delle ricerche svolte nel 2003 in Giappone da parte del Ministero della salute, hanno dimostrato che su 14.069 casi studiati, il 50% risultava essere hikikomori già da 5 anni. Tuttavia solo il 27% non lascia mai la propria abitazione. Le cause possono essere differenti: si può lasciare l’abitazione per fare la spesa, per andare a lavorare o semplicemente per prendere una boccata d’aria per qualche minuto. In ogni statistica, studio o ricerca, rimane sempre il problema dell’accessibilità: i dati che i ricercatori analizzano, sono sempre dati parziali; i sondaggi effettuati non raggiungono quasi mai il target desiderato. Questo problema non è solo relativo agli studi in senso generale, ma impedisce di dare una valutazione obbiettiva al fenomeno, in modo da attivare dei gruppi di supporto, o trattamenti in case di cura adeguatamente efficienti42. In conclusione, l’hikikomori è un fenomeno ancora misterioso, di cui ancora non si conosce molto, ma che preoccupa l’opinione pubblica per le notizie apprese sui giornali e per la velocità con cui si propaga. Le recenti ricerche per definire il numero degli hikikomori risultano per certi versi utili, per altri lacunose a causa delle problematiche relative al numero riconosciuto di gente che presenta la patologia. Stanno nascendo delle strutture e del personale di supporto per hikikomori, in modo da aiutare queste persone tramite un processo di riabilitazione nel corso del quale cambieranno il modo di vedere la società circostante, fino a poter vivere in serenità al suo interno. 42 Ogino T., “Managing categorization and social withdrawal in Japan”, in International Journal of Japanese Sociology, 13, 2004, p. 120-133. 18 2. DIFFUSIONE DEL FENOMENO NEL MONDO 2.1. HIKIKOMORI IN ASIA Nell’analizzare il fenomeno hikikomori, molti autori, tra cui Ricci43 e Zelenziger44, hanno individuato caratteristiche tipiche della società nipponica che portano a considerare la sindrome come il riflesso di qualcosa di unico, che origina nella storia e nella cultura giapponese. Sussistono però, aspetti comportamentali dell’hikikomori anche in altri paesi, i quali condividono con il Giappone i valori confuciani di una cultura, che sostiene l’attaccamento alla famiglia45. È quindi possibile riscontrare il fenomeno anche in paesi come la Corea o la Cina. 2.1.1. Hong Kong Un esempio è fornito dal termine youth issue proposto nel 2004 a Hong Kong in Cina. Degli studi condotti dal LET’S WALK (Life engagement training scheme)46 del “Hong Kong christian service” (HKCS), hanno dimostrato che già nel 2004 la popolazione dei teenagers compresa tra i 15 e i 19 anni, che mostrava i segni della youth issue, si aggirava intorno ai 6.000, mentre degli studi più recenti, condotti nel 201447 da Wong e da suoi colleghi, hanno fornito dei dati allarmanti sulla crescita esponenziale del numero degli individui che si aggirano intorno ai 100.000. Lo studio del 2014 effettuato a Hong Kong dimostrava che il numero di individui colpiti dalla sindrome hikikomori è paragonabile a quello del Giappone. Gli individui colpiti manifestavano caratteristiche simili, ed erano inoltre affetti da altre problematiche come, ad esempio, l’autolesionismo. Lo studio fu effettuato utilizzando Weibo, che è forse la più famosa piattaforma social esistente in Cina, tramite un questionario somministrato a circa 206,139 individui, di età compresa tra i 13 e i 39 anni tutti situati tra città come Pechino, Shenzhen o Shanghai. Wong e i colleghi 43 Ricci C., Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione, Franco Angeli Edizioni, Milano, 2008, p.78. 44 Zielenziger M., Shutting Out the Sun: How Japan Created Its Own Lost Generation, Nan Talese, New York,2006, p. 80. 45 Pierdominici C., “Intervista a Tamaki Saito sul fenomeno Hikikomori", in Psychomedia Telematic Review, 2008 46 Il LET’S Walk è un progetto organizzato e diretto dall “Hong Kong Christian Service”, iniziato nel 2004 il progetto mira a fornire servizi al fine della comunicazione con giovani autoreclusi, al fine di reinserire questi giovani nella società. 47 Wong P.W.C, MH Li T., Chan M. et al, “The prevalence and correlates of severe social withdrawal (hikikomori) in Hong Kong: A cross-sectional telephone-based survey study”, in International Journal of Social Psychiatry, 61, 4, 2014, pp. 330- 342. 19 riuscirono ad individuare comportamenti devianti che includevano il ritiro dalla società in riferimento a 3 dimensioni48: 1. isolazionismo fisico in qualche posto particolare; 2. mancanza di interazioni sociali; 3. durata del ritiro dalla società nel caso fosse superiore a tre mesi. Si ottennero circa 137 questionari validi in un periodo di rilevazione compreso tra Ottobre 2015 e Maggio 2016. I risultati dimostrarono che su 137 persone, 108 non avevano problemi riguardanti la sfera sociale, 13 avevano l’abitudine di isolarsi per brevi periodi, 7 furono classificati come asociali, mentre i restanti 9 furono classificati come hikikomori. Tra i dati più interessanti emersi si constatò che la maggior parte degli hikikomori era di sesso maschile, che non aveva un ruolo all’interno della società e che nella maggioranza dei casi aveva già visitato istituti per la salute mentale e che molti di loro avevano tendenze suicide49. Gli psichiatri Alan R. Teo, Takahiro A. Kato suggeriscono inoltre che la prevalenza di hikikomori a Hong Kong potrebbe essere superiore a quella riportata nell' articolo di Wong50. Wong e i suoi colleghi hanno definito l'hikikomori per lo più in linea con la definizione proposta da Teo & Gaw nel 2010, che richiedeva il passare la maggior parte del giorno e quasi tutti i giorni confinati a casa, evitare costantemente situazioni sociali e relazioni sociali e infine constatare il ritiro di almeno sei mesi. Tuttavia il campione sembra escludere quegli individui che, in qualche modo, hanno reso il sondaggio non idoneo. Poiché il numero di questi si aggira intorno al 12% del campione globale, alcune persone all'interno della percentuale sarebbero potute essere classificate come hikikomori, aumentando quindi il numero dei positivi alla sindrome. Sebbene i dati raccolti siano pochi, considerando la natura esplorativa di questo studio, e la difficoltà nel raggiungere gli individui che hanno effettuato il ritiro sociale, i risultati dimostrano il sussistere del fenomeno hikikomori in Cina51. 48 Wong P.W.C., Liu Lin L., Does hikikomori exist among young people in urban areas of china? , Elsevier, New York, 2017, p. 4. 49 Ibid. 50 Teo A.R, Kato T.A, “The prevalence and correlates of severe social withdrawal in Hong Kong”, in Journal of Social Psychiatry, 61, 1, 2015, pp. 102-103. 51 La situazione cinese, inoltre, consta di dati che farebbero insorgere delle preoccupazioni: in primo luogo infatti, la Cina è la seconda più grande popolazione di giovani al mondo, il che vuol dire che molti ragazzi potrebbero essere a rischio, in secondo luogo, a causa della politica del figlio unico (1979-2015), una grande percentuale di ragazzi è figlio unico, e in una società in cui i genitori si affidano ai loro figli per prendersi cura di loro durante la vecchiaia, questo 22 Il fenomeno degli hikikomori infatti non riguarda esclusivamente il Giappone58, ma altri paesi asiatici59 e nazioni come Spagna60, Italia, Francia, USA, Australia e UK. Alcuni psicologi, come Sakamoto, hanno effettuato degli studi sul fenomeno fuori dalle zone influenzate dalla cultura nipponica. Lo studio seguiva il caso clinico di un ventiquattrenne che vive nell’Oman ( il quale rifiutava di assumere psicofarmaci poichè non riteneva di essere malato), in uno studio pubblicato nel 2005 sulla rivista «The International Journal of Psychiatry in Medicine»61. Sakamoto ritiene che la sindrome hikikomori si diffonderà sempre di più a livello mondiale, dato che è influenzata dal contesto culturale, ma che non dipende da esso62. Un altro studio riportato dallo psichiatra Alan R. Teo, in un articolo pubblicato sul "International Journal of Social Psychiatry"63, ha dimostrato che gli individui con hikikomori sono un problema concreto in più paesi. Gli individui coinvolti nella ricerca sono stati contattati tramite siti in India, Giappone, Corea, e Stati Uniti. La sindrome Hikikomori è stata definita come un periodo di autoreclusione di 6 mesi o più, il quale è trascorso quasi tutto in casa, evitando relazioni sociali di ogni genere, associato a disagi o traumi di varia natura. Inoltre alcune valutazioni si sono servite della “UCLA LONELINESS SCALE”64(University of California, Los Angeles) e della Lubben Social Network Scale (LSNS-6). Nell'articolo di Teo vengono identificati un totale di 36 partecipanti affetti da hikikomori, con casi rilevati in tutti e quattro i paesi. Questi individui presentavano alti livelli di solitudine (UCLA Loneliness Scale M = 55.4) e relazioni sociali limitate. Di questi partecipanti, 28 (78%) hanno desiderato un trattamento per il loro ritiro sociale, con preferenze significativamente più alte per la psicoterapia rispetto alla farmacoterapia. In tutti i paesi, i partecipanti con hikikomori, avevano avuto simili preferenze di trattamento e caratteristiche psicosociali. In conclusione, l'hikikomori esiste a livello nazionale, e può essere valutato con uno strumento di valutazione 58 Mastropaolo L., “Nuove patologie adolescenziali o nuove emergenze sociali? L’hikikomori è solo giapponese?”, in Terapia familiare, 2011, pp. 31-57. 59 Kato H. et al, “Does the ‘hikikomori’ syndrome of social withdrawal exist outside Japan? A preliminary international investigation”, in Social Psychiatry and Psychiatric Epidemiology, 47, 7, 2012, pp. 1061- 1075. 60 García-Campayo J, Alda M, “A Case Report of Hikikomori in Spain” in Medicina Clinica, 129, 8, 2007, pp. 318- 319. 61 Noriyuki S., “Hikikomori, is it a Culture-Reactive or Culture-Bound Syndrome? Nidotherapy and a Clinical Vignette from Oman”, in International Journal of Psychiatry in Medicine, 35, 2, 2005, pp. 191- 198. 62 Ibid. 63 Teo A.R., Fetters M.D., “Identification of the hikikomori syndrome of social withdrawal: Psychosocial features and treatment preferences in four countries”, in International Journal of Social Psychiatry, 61, 1, 2015, pp. 64-72. 64 Russell D., “Developing a measure of loneliness”, in Journal of Personality Assessment, 42, 3, 2010, pp. 290- 294. 23 standardizzato65. Inoltre questi hikikomori presentano una notevole disabilità in ambito psicosociale, e alcuni potrebbero desiderare di essere trattati ed aiutati per uscire da questa condizione66. 2.2.1 Spagna Anche in Spagna è stato condotto uno studio67, diretto dalla psichiatra Ángeles Malagón- Amor che ha dimostrato, insieme al suo team, la concretezza del fenomeno hikikomori anche sul suolo spagnolo. La ricerca si basava su 200 soggetti, presi in riferimento al CRHT (Crisis Resolution Home Treatment)68, a causa dell'isolamento sociale. Lo studio considera un ritiro, generalmente in casa, della durata di almeno 6 mesi. Furono analizzati dati socio-demografici e clinici, inclusi “Severity of Psychiatric Illness” (SPI), Global Assessment of Functioning (GAF) e le scale WHODAS (World Health Organization Disability Assessment)69. Furono valutati 164 casi. Gli hikikomori erano prevalentemente giovani di sesso maschile, con un'età media di 40 anni, e con in media una durata di reclusione per un periodo di 3 anni. Su 164 casi solamente tre persone non presentavano sintomi che potessero indicare disturbi mentali. Tra il resto dei partecipanti, psicosi e ansia erano i disturbi più comuni. La metodologia applicata descrisse la presenza di sintomi gravi come la compromissione del normale funzionamento riguardo la sfera degli atteggiamenti sociali. Inoltre i campioni mostrarono una scarsa volontà per possibili trattamenti. Lo studio fornito da Ángeles Malagón-Amor mostrò l'esistenza del fenomeno hikikomori in Spagna. Come per la Cina e la Corea del Sud, la sua difficile individuazione e la difficoltà nel trattamento, evidenziò la necessità di personale specializzato per visite domiciliari. L’autrice crede inoltre che la sindrome, possa essere associata a molteplici malattie 65 Teo A.R., Fetters M.D., “Identification of the hikikomori syndrome of social withdrawal: Psychosocial features and treatment preferences in four countries”, in International Journal of Social Psychiatry, 61, 1, 2015, pp. 64-72. 66 Ibid. 67 Malagón Amor, “Hikikomori in Spain: A descriptive study”, in International Journal of Social Psychiatry, 61, 5, 2014, pp. 475- 483. 68 Johnson S., “Crisis resolution and home treatment teams: an evolving model”, in Advances in Psychiatric Treatment, 19, 2, 2013, pp. 115-123. 69 Chwastiak L., “Disability in Depression and Back Pain: Evaluation of the World Health Organization Disability Assessment Schedule (WHO DAS II) in a primary care setting”, in Journal of Clinical Epidemiology, 56, 6, 2003, pp. 507– 514. 24 mentali. Sarebbero inoltre necessari futuri studi su scala mondiale, per descrivere la sua definizione e la sua psicopatologia. 2.2.2. Usa La sindrome hikikomori fu studiata anche in America da Alan R. Teo nel 201270, a partire dallo studio di un caso clinico. Lo studio, al fine di fornire una valutazione diagnostica del paziente tramite colloquio clinico, fu strutturato con strumenti psicometrici, che rivelarono che la sindrome hikikomori e il disturbo bipolare, in cui l'astinenza sociale del paziente avveniva esclusivamente durante episodi depressivi maggiori. Anche se il paziente rifiutò una terapia farmacologica, l'hikikomori e la depressione iniziarono a diminuire dopo 25 sessioni di terapia cognitivo-comportamentale, una terapia indirizzata al suo isolamento sociale. Il caso analizzato da Teo è il primo che riporta episodi di hikikomori in USA. Questo studio dimostra che l' hikikomori e il disturbo dell'umore sono correlati, e come per altri studi, è di fondamentale importanza l’analisi del fenomeno su scala mondiale, al fine di tracciare e delineare potenziali strategie di trattamento, per questa grave forma di isolamento sociale. 2.2.3 NEET e Hikikomori, due fenomeni a confronto Anche se la sindrome Hikikomori è arrivata in occidente, il fenomeno è stato spesso confuso con un’altra sindrome, riportata nel 1999 dalla “Social Exclusion Unit” del Regno Unito 71, con il nome di NEET (Not employed educated, or trained). Un NEET è una persona (generalmente sotto i 30 anni), che non è coinvolta in alcun genere di mansione lavorativa. Le cause possono essere di diversa natura, come lo scarso rendimento scolastico , pigrizia, o difficoltà nel reperire lavoro. Solitamente questi individui riescono a mantenersi grazie ai programmi di assistenza sociale, assegni di disoccupazione, o vengono mantenuti dai genitori. Il fenomeno NEET e il fenomeno hikikomori possono entrare qualvolta in contatto, ma è bene ricordare che un hikikomori e un NEET non sono assimilabili. Mentre il NEET vive dei problemi, legati all’apatia e alla pigrizia nei confronti del mondo del lavoro, l’hikikomori nella definizione del termine, non ha nulla a che vedere con la disoccupazione. Il disturbo dell’ hikikomori riguarda il contatto sociale, il NEET ha problemi ad inserirsi nel mondo lavorativo della società. L’hikikomori, di solito, è una 70 Teo A.R., “Social isolation associated with depression: A case report of hikikomori”, in International Journal of Social Psychiatry, 59, 4, 2012, pp. 339-341. 71 Social Exclusion Unit, Bridging the Gap: new opportunities for 16-18 year olds not in education, employment or training, 2012. 27 il successo in ambito accademico e lavorativo (cioè coloro che falliscono nell'utilizzo lento di strategie), potrebbero non avere l'opzione o l'attitudine ad adottare strategie veloci. Pertanto, l'emarginazione in una società con forti pressioni verso strategie lente può assumere una forma di un ritiro dalla competizione e dall'interazione piuttosto che un’adozione di strategie veloci. In definitiva il fenomeno Hikikomori ha provocato molta preoccupazione in Giappone, facendo temere una grave crisi adolescenziale di massa, che avrebbe delle conseguenze sul piano dell’ integrazione sociale, salute del paese e partecipazione economica. I giovani si possono ritirare per una serie di motivi, alcuni a causa di condizioni cliniche diagnosticabili, altri invece sono socialmente inattivi e cercano stili di vita alternativi. Affrontare questo fenomeno richiede uno sviluppo di nuove iniziative incentrate sui giovani come, ad esempio, lo sviluppo di un'ampia gamma di misure di sostegno incluse terapie domiciliari, sostegno e informazioni. I genitori, gli insegnanti, i datori di lavoro così come gli operai e naturalmente i giovani stessi, hanno bisogno di sviluppare una sensibilizzazione al problema, ponendo maggiore attenzione sulla nuova economia e le competenze necessarie per sopravvivere in una società caratterizzata dall'ordine, la velocità ed il controllo. Chiaramente i casi sopra citati ci portano a pensare che il ritiro sociale è un aspetto che si sta diffondendo anche tra i giovani occidentali; anche se il problema non ha ricevuto molta attenzione da parte dei politici, esistono prove fornite da professionisti della salute mentale, che operano in tutto il mondo, e che sottolineano il ritiro sociale come un grave problema attuale, che richiede la dovuta attenzione. Sul piano economico, così come su quello culturale, esistono differenze fondamentali tra le società occidentali ed il Giappone. Sia in occidente così come in Giappone le dinamiche giovanili sono cambiante radicalmente, con transizioni di massa sostituite da altre più individuali. Alcuni autori come Beck78 prevedono che il livello di insicurezza che caratterizza il mercato del lavoro giapponese si diffonderà ben presto anche in occidente, come parte di un processo descritto come “brasilizzazione”: un processo che renderà i mercati del lavoro occidentali come assumenti caratteristiche di paesi meno sviluppati come il Brasile. 78 Beck U., The Brave New World of Work, Cambridge, Polity Press, 2000, pp.421- 432. 28 I giovani occidentali hanno avuto un maggior spirito d’adattamento nei confronti di processi di precarietà e situazioni di incertezza per più di 20 anni; in queste circostanze, è probabile che il ritmo più lento del cambiamento, combinato ad un più forte sistema di sostegno, abbia offerto un maggior grado di protezione contro un fenomeno così particolare e complesso come quello degli hikikomori. Indubbiamente, anche se i giovani occidentali sembrano aver reagito diversamente ai cambiamenti degli ultimi decenni, il fenomeno dell’autoreclusione rimane una problematica di fondamentale importanza, che ha la necessità di essere analizzata con cura, affinchè si riesca in futuro a diagnosticare più facilmente la sindrome, e che porti una soluzione efficace e definitiva. 29 3. HIKIKOMORI IN ITALIA: COSTRUZIONE DEL SELF E GRUPPI DI RIFERIMENTO Nei capitoli precedenti sono state definite le caratteristiche della sindrome Hikikomori, e la sua diffusione oltre il contesto nipponico. In questo capitolo si prenderà in considerazione la situazione italiana. Dopo aver fornito una panoramica sull’incidenza della sindrome in territorio nazionale, riporterò i risultati di una ricerca sociologica da me condotta, partecipando ad alcuni social network italiani dedicati al problema hikikomori, e interagendo online con vari giovani che si definiscono hikikomori o che manifestano una particolare sensibilità al tema. 3.1. LA DIFFUSIONE DELLA SINDROME: HIKIKOMORI IN ITALIA Se il fenomeno hikikomori si sta diffondendo in Occidente, la situazione interessa in particolar modo anche l’Italia. Recentemente psicologi e ricercatori, come Giannini e Loscalzo, hanno messo in evidenza che gli adolescenti italiani hanno una forte tendenza a sviluppare alti livelli di ansia sociale79 e, dal momento che l’hikikomori potrebbe rappresentare una forma estrema di questo disturbo80 , ipotizzano che nel paese potrebbe diffondersi o essersi già diffuso senza essere riconosciuto come tale. Sebbene in Italia sia stata rivolta poca attenzione ai casi di hikikomori, negli ultimi anni sembra esserci un interesse crescente, come dimostrano ad esempio testi come quelli dell'antropologa Carla Ricci81. Inoltre la sensibilizzazione nei confronti del fenomeno ha già portato alla creazione e all’attivazione di alcuni programmi e alcune strutture che possono fornire un supporto per tutti quegli individui che lamentano o palesano un disturbo di tipo sociale. Ad esempio A Napoli, l’Unità Operativa di Psicopatologia degli Adolescenti (U.O.P.A.) ha creato un protocollo per ragazzi in autoreclusione. Questo nucleo operativo prevede inoltre figure di supporto per i genitori, e di uno psicoterapeuta per il ragazzo. Nei casi più difficili, quando la persona affetta dalla sindrome non accetta di uscire o di incontrare gli psicoterapeuti, si è rivelato utile il contatto telefonico, almeno per le prime volte. 79 Giannini M., Loscalzo Y., “Social Anxiety and Adolescence: Interpretation Bias in an Italian Sample”, in Scandinavian Journal of Psychology, 57, 1, 2016, pp. 65-72. 80 Nagata T., Yamada H., Teo A. R., “Comorbid social withdrawal (hikikomori) in outpatients with social anxiety disorder: Clinical characteristics and treatment response in a case series”, in International Journal of Social Psychiatry, 59, 1, 2013, pp. 73-78. 81 Ricci C., Hikikomori: narrazioni da una porta chiusa, Aracne, Roma, 2009, pp. 36- 39. 32 comunicativo con “l’altro”. E’ in questa maniera che, con il passare del tempo, più hikikomori, interagendo tra loro, hanno formato delle vere e proprie comunità virtuali. Queste comunità sono state notate da studiosi del fenomeno, che di conseguenza, studiando la patologia da molto vicino grazie al web, sono riusciti a raccogliere molte informazioni sugli aspetti comportamentali di questi individui. Come conseguenza, negli ultimi anni sono nati in Italia diversi blog e social networks, che promuovono, tramite conferenze e convegni presso atenei e cliniche psichiatriche, una sensibilizzazione al fenomeno hikikomori sul suolo italiano. Uno dei blog, divenuto poi la base della prima associazione hikikomori in Italia, è “Hikikomori Italia”. Questo blog ha ricevuto un notevole successo, è molto attivo sui social, ed è possibile trovare i link di indirizzamento al blog semplicemente digitando hikikomori su Google. Il blog è molto attivo ed è possibile trovare sotto lo stesso nome, gruppi di supporto, sia per i giovani che per i genitori che non riescono a stabilire un contatto comunicativo soddisfacente con i figli. Oltre blog come Hikikomori Italia, esistono altri blog e rubriche che hanno trattato il tema hikikomori, analizzando la figura maschile e quella del padre. 3.2. ETNOGRAFIA DI UNA COMUNITA’ VIRTUALE DI HIKIKOMORI A partire dalle precedenti considerazioni, ho ritenuto che per avere una conoscenza approfondita del fenomeno hikikomori un buon punto di partenza fosse quello di condurre una ricerca etnografica entrando in contatto online, e interagendo virtualmente all’interno di alcune comunità virtuali di hikikomori. La tecnica dell’etnografia virtuale adottata è innovativa e ancora poco praticata, ma si rivela particolarmente efficace in situazioni come quelle degli hikikomori che evitano le relazioni sociali e che hanno una intensa vita sociale online. Sebbene innovativa, l’etnografia condotta online è strettamente legata alla tradizione qualitativa della ricerca sociologica classica. Nell’ambito della sociologia, la ricerca etnografica ha assunto rilevanza con la Scuola di Chicago, che negli anni ’20 e ’30 grazie a sociologi come Park, Burgess e Anderson, ha realizzato una serie di studi sulle subculture urbane statunitensi come quelle dei vagabondi, delle gang, delle prostitute, dei ghetti, producendo ricerche interessanti e suggestive86. La tecnica etnografica, si basa sull’interazione tra lo studioso e il gruppo sociale indagato: lo studioso vive all’interno della comunità studiata, comprende e parla la lingua, assiste 86 Righetti N., “Etnografia ed Etnografia digitale”, in Netnologia: Digital Research, 2017, p. 5 33 alla sua quotidianità e partecipa, senza però discostarsi mai dal suo intento conoscitivo e dal suo ruolo di osservatore esterno87. Uno degli elementi più importanti della ricerca etnografica è il modo in cui ci si pone dinanzi all’oggetto studiato (che può essere un evento, un fenomeno, un attore o una situazione socio culturale). L’oggetto studiato viene visto dallo studioso in tutta la sua unicità e particolarità, e viene analizzato in maniera approfondita prima di affermare qualcosa a riguardo. Essendo analizzato in tutta la sua complessità, l’attenzione posta dal ricercatore comprende tutti quelle proprietà e caratteristiche, che potrebbero essere considerate irrilevanti da un occhio meno esperto88. Il soggetto deve essere studiato nel suo ambiente naturale, senza subire influenze da parte dello studioso. Il ricercatore, quindi, cerca di studiare i fenomeni così come si manifestano nel mondo reale. Inoltre questo tipo di ricerca tende a dare importanza ai significati che i soggetti studiati attribuiscono al mondo in cui vivono. Secondo il metodo interazionista infatti, i gruppi sociali consistono di persone che sono coinvolte in azioni e che interagiscono con esse. Il sociologo interazionista Blumer, spiega che queste azioni consistono di una moltitudine di significati che gli individui attribuiscono alle situazioni che affrontano durante la vita89. 3.2.1 Aspetti metodologici: L’etnografia virtuale Oggigiorno, la crescente evoluzione a cui stiamo assistendo in campo tecnologico, sta cambiando il modo in cui comunichiamo e interagiamo. Questi cambiamenti in campo etnografico pongono delle sfide, poichè l’etnografo non ha solo nuovi spazi di indagine, cioè le "Virtual community" come le chiama il sociologo Rheingold90, ma anche nuove tecnologie e altri elementi da considerare, che sociologi come Hakken hanno etichettato come “Automated Information Tecnology” (AIT)91. Con il termine etnografia virtuale, netnografia o Cyberetnografia, si intendono quindi quelle ricerche di stampo etnografico che avvengono nel cyberspazio92. Diversi autori hanno cominciato a riportare resoconti di 87 Ibid. 88 Ivi pag 17 89 Blumer H. (1969), Interazionismo simbolico prospettiva e metodo, il Mulino, Bologna, 2008, pp. 6. 90 Rheingold H., The Virtual Community: Finding Connection in a Computerized World, Addison Wesley Longman, Boston, 1993, p. 2. 91 Hakken D., “An Ethics for an Anthropology in and of Cyberspace”, in Carolyn Fluehr-Lobban, Ethics and the Profession of Anthropology: Dialogue for Ethically Conscious Practice, Altamira Press, UK, 2003, cap 8 pp. 179-260. 92 Il cyberspazio ‹saiberspàzio̯› è lo spazio virtuale nel quale utenti e programmi sono connessi fra loro attraverso una rete. E’un ambiente creato per mezzo del collegamento in rete di innumerevoli sistemi di computer; indica le risorse e le informazioni che circolano attraverso le reti informatiche. Il termine è ora diffusamente applicato ad Internet, sebbene alle origini, nei racconti di fantascienza (il termine è stato coniato dallo scrittore William Gibson), 34 spedizioni tra i “villaggi” più o meno sperduti del cyberspazio. Vere e proprie etnografie, risultato di ore e ore trascorse davanti allo schermo ad analizzare lunghissimi log di interminabili avvenimenti virtuali. Saggi, articoli e tesi di dottorato, frutto per lo più degli sforzi di giovani ricercatori ancora piuttosto ai margini del contesto accademico, appaiono come una discreta mole di lavoro93 che merita di essere tenuta in considerazione94. Quando si parla di virtuale, le persone tendono a definire il termine come l’opposto di reale. Ma il virtuale non è l'opposto del reale. Il virtuale è solo uno dei molteplici modi di vivere, adattati ad un dato contesto95. Il sociologo Nicola Righetti individua tre parametri che dimostrano la validità dell’etnografia virtuale rispetto ad altre tecniche di ricerca96 : 1. analizza comunicazioni spontanee e autentiche e non sollecitate dal ricercatore. 2. può far emergere insight capaci di orientare le decisioni, e talvolta persino di suggerire idee innovative, grazie alla sua natura esplorativa; 3. è un metodo economico e piuttosto rapido di ottenere informazioni, dal momento che i dati sono già disponibili in rete per essere raccolti. indicasse l’immersione totale dei sensi umani in un ambiente generato artificialmente, voce Cyberspazio in Enciclopedia Treccani http://www.treccani.it/vocabolario/ciberspazio/ 93 E’ possibile ritrovare numerosi siti e articoli su questo argomento. Chiunque sia interessato potrà quindi consultare siti come “Cybersoc Sociological and ethnographic Research of Cyberspace” curato da Robin Hamman sociologo dell'università di Liverpool, o il “Cyberstudies Resource Centre” che sta cercando di creare un collegamento tra i siti dedicati agli studi sociali e culturali sul Cyberspazio. Il “Center for the Study of Online Communities” in California Los Angeles, cerca di presentare e spiegare su come i computer e le reti alterano la capacità delle persone di formare gruppi, organizzazioni e istituzioni, e come queste formazioni sociali sono capaci di assolvere agli interessi collettivi di coloro che ne vengono a far parte. 94 Bitti V., Cultura, “Identità ed etnografia nell'epoca di Internet: Note dal cyberspazio”, in Alberto M. Sobrero (a cura di ), Culture della complessità , Cisu, Roma, 2001, pp. 161 – 180. 95 Teli M., Pisanu F., Hakken D., “The Internet as a Library-of-People: For a Cyberethnography of Online Groups”, in Forum: Qualitative social research, 8, 3, art. 33, 2007. (Il filosofo francese, Pierre Levy, sosteneva questo concetto nei suoi libri “Les technologies de l'intelligence”, “Cyberculture”, and “Qu'est-ce que le virtuel?”, analizzando l'origine della parola "Virtuale", che deriva da una serie di parole latine medievali, come "virtualis" e "virtus". Nella tradizione scolastica filosofica, "virtuale" è tutto ciò che esiste ma non è ancora stato attuato. Utilizzando due citazioni di Levy - "l'albero è virtualmente presente nel seme" e il "virtuale non è contrario al reale, piuttosto è un avversario dell’attuale: la virtualità e l'attualità sono solo due modi diversi di essere "). 96 Righetti N., “White paper : Netnografia”, in Netnologia.it, 2017, p. 4 37 3.3. ANALISI DEI DATI Dall’analisi dei dati, è emerso come chi partecipa ai gruppi considerati tenda ad avere caratteristiche che potrebbero essere associate alla sindrome Hikikomori, per esempio il senso di vergogna, e una chiusura agli stimoli provenienti dalla società esterna. Tuttavia, i soggetti con cui ho interagito, si differenziano in relazione a molte caratteristiche dall’hikikomori giapponese: ad esempio, non sempre si ha un rapporto estremamente conflittuale con i genitori, e i problemi legati alla sindrome giapponese dell’amae non sono presenti. In Giappone la frequente mancanza della figura genitoriale paterna si ritiene generi uno sviluppo estremo dei legami affettivi madre-figlio, i quali diventano dipendenti l’un l’altro. In territorio italiano invece questa condizione non sembra essere molto diffusa. Anche per quanto riguarda il sentimento della vergogna, caratteristico dell’hikikomori giapponese, il corrispettivo nazionale si configura in maniera differente e peculiare e in alcuni casi anzi, alcuni utenti mostrano un atteggiamento molto sicuro di sè. Inoltre, dalle informazioni raccolte, sembra che l’utente del gruppo italiano abbia un forte desiderio di essere inserito in un gruppo sociale, caratteristica non sempre presente nel corrispettivo orientale. Ovviamente queste considerazioni non possono essere estese in maniera generale, poichè ogni individuo ha un carattere e degli atteggiamenti specifici anche se si definisce hikikomori.. Dall’analisi degli stralci di conversazione sono emersi tre temi ricorrenti: 1. l’estrema attenzione alla gestione dell’immagine di sè, 2. la propensione ad esibire in maniera quasi narcisistica la propria “stranezza” e 3. l’importanza rituale attribuita alla festa, vista come espressione dell’appartenenza al mondo sociale degli adolescenti. 3.3.1. Creazione e gestione dell’immagine di sé I problemi relazionali esterni sono spesso al centro delle discussioni dei soggetti considerati che, per qualche ragione, si sentono portatori di uno stigma. Il timore più diffuso sembra quello di non riuscire ad aderire in modo rigido ai tratti subculturali del gruppo dei coetanei. Il problema fondamentale sembra essere la forte pressione del gruppo dei pari di cui hanno pienamente interiorizzato il punto di vista. Analizzando le conversazioni, infatti si nota come alcuni dei partecipanti al gruppo provino un senso di vergogna o si definiscano depressi, manifestando stati emozionali che sono in qualche modo legati a problemi relazionali. 38 Riporto di seguito uno stralcio di conversazione, risalente a giorno 5 Maggio 2018. Nel seguente stralcio chi scrive è un giovane, ritornato nel paese d’origine dopo aver vissuto fuori sede, che si mostra preoccupato per la paura di aver deluso le persone per lui importanti, che immagina lo considerino un “perdente”. Un atteggiamento di vergogna, che sembra in qualche modo essere in linea con i modelli comportamentali degli hikikomori giapponesi98. Utente #1 “...mi sento osservato, mai imparato a fregarmene. Con gli sconosciuti vado quasi sempre bene ormai, che nessuno sappia nulla della mia vita mi rincuora e mi rende libero, molti sono così. Se ci fai caso la chat è simile, si aprono con sconosciuti ed è più facile. Ma proprio come attitudine personale, anche perché mi fa pensare che sono dovuto ritornare qua per cause personali e io tendo a giustificare perché sono qua, ma non voglio che sappiano le mie cose e mento. È logorante alla lunga.... sapere che le persone conoscono qualcosa di me molto probabilmente mi disturba, chi lo sa perché”. Nel precedente stralcio si nota come l’utente sia molto preoccupato di non essere all’altezza delle aspettative delle persone a cui è affettivamente legato, e dei suoi gruppi di riferimento, cioè le persone che frequenta e che ritiene importanti. Si tratta di persone che sono determinanti per la sua autostima. Berger e Luckmann99, affermano anche è possibile distinguere tra persone importanti per un individuo, e persone meno importanti. Le persone meno significative, funzionano come una specie di “coro”. Nel caso in questione, “il coro” delle persone generiche è percepito come rassicurante, in quanto non è in possesso di informazioni rilevanti sul giovane utente del gruppo, non lo giudica e non lo critica. Evitare le relazioni sociali con persone conosciute e privilegiare relazioni anonime, diventa quindi una strategia difensiva dell’immagine di sé, per neutralizzare lo stigma che gli viene riflesso dei suoi altri significativi. Lo stesso giovane di prima, nello stralcio seguente, mostra però che il giudizio degli altri è comunque importante per lui. Inizialmente infatti, sceglie la strategia di mentire, e di presentarsi con un’immagine fuorviante ai suoi altri significativi. In un secondo momento, consapevole che la strategia non ha migliorato la situazione, decide di cambiare i gruppi di 98 Moretti S., “Hikikomori. La solitudine degli adolescenti giapponesi”, Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza, 4, 3, 2010, pp. 41-48. 99 Berger P. e Luckmann T. (1966), La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1969, cap. 3, pp. 195-224. 39 riferimento, svalutando quelli originali, e rivolgendosi ad altri come quelli anonimi. In questa maniera, rivolgendosi a questi gruppi, può gestire meglio l’immagine di sé che vuole dare agli altri. Utente #1 “Ah in quello sono bravo, ma ormai non mento quasi più. Prima neanche mi riusciva di mentire, perché dopo mi veniva da dire perché sono ritornato qua ecc.. .e la gente non vuole sentire i tuoi c****, ovviamente sono domande di routine.” La tendenza a privilegiare relazioni anonime si coniuga a un’attenzione estrema nel salvaguardare la propria privacy utilizzando dei nickname. Non è escluso che alcuni utenti condividano in privato delle informazioni personali, queste notizie però necessitano di rimanere ignote nel gruppo. In un frammento di conversazione ho potuto notare la paura di essere riconosciuti. Utente #8 “**** sei incontentabile.” Utente #9 “Shhh, non rivelare il mio nome!” Utente #8 “Non si capiva! Ora devo rimuoverlo.” Nel gruppo nessuno conosce il vero nome degli altri utenti, o la città di residenza, in questo modo è possibile per questi giovani neutralizzare lo stigma a cui sono soggetti, privilegiando i contatti anonimi che di fatto diventano uno scudo per l’immagine di sé. 3.3.2. Esibizione narcisistica della propria “stranezza” Nascondersi dietro a un nome falso, in qualche modo, rassicura, e l’anonimato diventa quindi una vera e propria strategia difensiva per neutralizzare lo stigma riflesso dagli altri significativi. Il tema dell’autocompiacimento è un altro tema ricorrente in questi gruppi, poichè si nota anche una propensione ad esibire la propria condizione, che tende ad 42 “Se fossi bello, ricco con un sacco di persone che mi invitano alle feste, se entrassi in un locale e fossi accolto come l’anima della festa non sarei anch’io più propenso ad essere festaiolo?” Utente #4 “Quoto! Comunque io odio le feste, pur risolvendo problemi relazionali ecc.. finendo a fare battute per potermi integrare , continuo ad odiarle.” In questi due post è chiaro come il momento della festa sia di fondamentale importanza per questi giovani. Nel primo caso, si percepisce la frustrazione che deriva dall’essere esclusi da questo momento di celebrazione rituale di appartenenza al gruppo, l’umiliazione di essere portatori di uno stigma a causa del proprio apparire e della propria situazione economica. Nel secondo caso, l’odio espresso dal giovane per questi momenti, sottende uno stato di intensa attivazione emotiva, quindi, pur non manifestando interesse nel partecipare, il giovane lascia intuire l’importanza e la rilevanza che attribuisce all’evento. Utente #6 “…non sarò mai una persona diversa, non sarò mai il festaiolo in primo piano, quello che segue chissà quali amicizie tanto per o che farà qualsiasi cosa, voglio creare una vita più tranquilla e normale entro i miei “limiti” di carattere, modi di fare, valori personali e così via...” Anche in questo stralcio possiamo notare come il giovane, nonostante non condivida l’atteggiamento di chi è coinvolto nel momento della festa, riconosca l’importanza della stessa come celebrazione rituale di appartenenza al gruppo. i confini che il giovane si pone nei confronti del gruppo dei pari sono stabiliti da quelli che lui chiama “limiti” che comprendono la sfera caratteriale, morale ed etica. Questo genera in lui un forte senso di esclusione. 3.3.4. Altri temi ricorrenti Nel corso delle conversazioni ritornano anche altri temi, per esempio quello del bullismo e delle forme di umiliazione subita. Infatti anche se molti non si esprimono a riguardo, un messaggio in particolare ha attirato la mia attenzione. Lo riporto di seguito. Utente #7 43 “Ho fatto un incubo stanotte. Ho rivissuto ciò che ho subito da piccolo, non ho dormito per niente. Erano anni che non facevo più questo incubo cosa c**** mi sta succedendo...Sono stato preso a sberle e calci da quattro ragazzi, e uno mi ha spento la sigaretta sul collo. Ogni volta che li vedo mi pare di sentire ancora quella sigaretta...questa cosa mi ha spezzato dentro . Li vedo in giro...paese piccolo. Tutti figli di famiglie per bene eh, voti alti.” Collocando un possibile avvenimento reale in una dimensione onirica e quindi raccontando non il fatto reale ma il sogno, si può in qualche modo di prendere le distanze dall’accaduto, e si può facilmente condividere con gli altri un episodio privato e intimo della propria esistenza. La comunità hikikomori italiana, è anche molto attenta all’immagine che i media danno di loro. La seguente conversazione, per esempio, ha come oggetto una trasmissione televisiva sugli hikikomori. Utente #1 “Mia madre mi ha detto che su RAI 1 hanno fatto un servizio sugli Hikikomori, ma non l'ho visto...l'avete visto?” Utente #2 “So che hanno intervistato un ragazzo e un genitore.” Utente #3 “Della community HI ????” Utente #4 “Potevano solo darci più spazio, fanno servizi brevi, in 10 minuti hanno parlato un ragazzo hikiko, la sorella di un hikiko un padre e Marco Crepaldi.” Utente #1 “Si, di solito in tv ne parlano in maniera molto superficiale e sensazionalista.” Utente #4 44 “Invece stavolta no, ma va visto, l'unico appunto è stato sul tempo, ma era lo stesso per tutti i servizi che han mandato in onda.” Da questo passo di conversazione emerge ancora una volta il senso del “noi” e dell’immagine pubblica che si assume nelle arene mediatiche. I ragazzi del gruppo hanno formato una loro identità comunitaria, si interessano alle interviste che riguardano loro e la loro stessa community, e lamentano il fatto che non si parli abbastanza di loro. Questi hikikomori, desiderano che si parli del fenomeno in maniera più approfondita, che venga dato più tempo e più spazio in una trasmissione, per parlare e fornire maggiori informazioni sul fenomeno. E’ stata attenzionata la tendenza dei giovani ad adottare strategie per gestire l’immagine riflessa dai loro altri significativi, e come questi giovani si sentano in qualche modo portatori di uno stigma. La loro paura di essere considerati dei perdenti li porta a rielaborare, e a modificare i loro gruppi di riferimento, e ad alterare, e a presentare, un’immagine fittizia di sé. E’ emerso come questi giovani tendano ad esibire la propria condizione di stranezza come tratto distintivo e particolare. L’autocompiacimento, e l’esibizione narcisistica della propria condizione, è una costante nelle conversazioni del gruppo. La sensazione di esclusione che questi giovani hanno nei confronti del gruppo dei pari, e il fatto di sentirsi in qualche modo esclusi da questi mondi sociali, sono alcune manifestazioni di problemi relazionali gravi, a cui sono soggetti questi giovani. BIBLIOGRAFIA AAVV, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder, American Psychiatric Press, Chicago, 2013. Beck U., The Brave New World of Work, Cambridge, Polity Press, 2000. Bellinger G., Enciclopedia delle religioni, Garzanti, Milano, 2000. Berger P. e Luckmann T. (1966), La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1969. Bitti V., Cultura, “Identità ed etnografia nell'epoca di Internet: Note dal cyberspazio”, in Alberto M. Sobrero (a cura di ), Culture della complessità , Cisu, Roma, 2001, pp. 161 – 180. Blumer H. (1969), Interazionismo simbolico prospettiva e metodo, il Mulino, Bologna, 2008. Chwastiak L., “Disability in Depression and Back Pain: Evaluation of the World Health Organization Disability Assessment Schedule (WHO DAS II) in a primary care setting”, in Journal of Clinical Epidemiology, 56, 6, 2003, pp. 507–514. Del Giudice M., “The Evolutionary Basis of Risky Adolescent Behavior: Implications for Science, Policy, and Practice”, in American Psychological Association (APA), 2012, 48, 3, pp. 806- 809. Doi T., Anatomia della dipendenza, Raffaello Cortina Edizioni, Milano 2001. Furlong A., “The Japanese hikikomori phenomenon: acute social withdrawal among young people” in The Sociological Review, 56, 2, 2008 pp. 309- 325. García-Campayo J, Alda M, “A Case Report of Hikikomori in Spain” in Medicina Clinica, 129, 8, 2007, pp. 318- 319. Giannini M., Loscalzo Y., “Social Anxiety and Adolescence: Interpretation Bias in an Italian Sample”, in Scandinavian Journal of Psychology, 57, 1, 2016, pp. 65-72. Goffman E. (1969), La vita quotidiana come rappresentazione, il Mulino, Bologna, 1997. Hakken D., “An Ethics for an Anthropology in and of Cyberspace”, in Carolyn Fluehr-Lobban, Ethics and the Profession of Anthropology: Dialogue for Ethically Conscious Practice, Altamira Press, UK, 2003, cap 8 pp. 179-260. Hongyee G. e Hongyee C., Hidden youth and the virtual world: The process of social censure and empowerment, Routledge, London, 2016. Hwang S.K, Yeo I.S., “Support Plan for Socially Maladaptive Adolescents”, in Psychiatry and Clinical Neurosciences, 67, 2013, pp. 193- 202. Johnson S., “Crisis resolution and home treatment teams: an evolving model”, in Advances in Psychiatric Treatment, 19, 2, 2013, pp. 115-123. Kato H. et al, “Does the ‘hikikomori’ syndrome of social withdrawal exist outside Japan? A preliminary international investigation”, in Social Psychiatry and Psychiatric Epidemiology, 47, 7, 2012, pp. 1061- 1075. Kitao N., “Ochikobore, Mukiryoku, Hikikomori (Dropout, Apathy and Withdrawal)”, in Kyoiku to Igaku (Journal of Education and Medicine), 34, 5, 1986, pp. 439- 443. Koyama A., Kawakami N., “Lifetime prevalence, psychiatric comorbidity and demographic correlates of “hikikomori” in a community population in Japan”, in Psychiatry Research, 176, 1, 2010, pp. 69- 74. Kudo S., Hey hikikomori! It’s time, let’s go out, Tokyo Studio Potshuppan, Tokyo, 2001. Larimer T., “Natural-born killers?”, in Time, 156, 9, 2000, p. 37. Lee H.R., “I want to go out”, in Psychiatry and Clinical Neurosciences, 67, 2005, pp. 193- 202. Levy P., Cyberculture. Report to Council of Europe, Odile Jacob edition, Parigi, 1997. Levy P., Les technologies de l'intelligence, La Découverte, Parigi, 1998. Lévy P., Qu'est-ce que le virtuel?, La Découverte Parigi, 1998. Li T.M., Wong P.W., “Youth social withdrawal behavior (hikikomori): A systematic review of qualitative and quantitative studies”, in Aust. N.Z. J Psychiatry, Australia, 2015, volume 49(7), pp. 595- 609. Malagón Amor, “Hikikomori in Spain: A descriptive study”, in International Journal of Social Psychiatry, 61, 5, 2014, pp. 475- 483. Marconi A., “Prospettive cliniche per il fenomeno hikikomori: una possibile risposta all'urlo muto di una gioventù senza porta” in Rivista sperimentale di freniatria: la rivista dei servizi di salute mentale, volume 3, 2009, pp. 161-168. Marrone C., “Chi sono gli hikikomori, gli adolescenti autoreclusi sempre attaccati a Internet”, in Corriere della sera, 26 Novembre 2017, p. 56. Masataka N., “Low anger-aggression and anxiety-withdrawal Characteristic to Preschoolers in Japanese Society with “Hikikomori“ is Becoming a Major Social Problem”, in Early Education & Development, 2002, 13, 2, 2002, pp. 187-199. Mastropaolo L., “Nuove patologie adolescenziali o nuove emergenze sociali? L’hikikomori è solo giapponese?”, in Terapia familiare, 2011, pp. 31-57. Mead H. G. (1934), Mind, Self, and Society: The definitive edition, University of Chicago Press, Chicago, 2015. Minotauro Cooperativa, La bruttezza immaginaria - Intervento clinico con ragazzi ritirati. Evento culturale tenutosi a Milano il 9 e 10 maggio 2014. Moretti S., “Hikikomori. La solitudine degli adolescenti giapponesi”, in Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza, 4, 3, 2010, pp. 41-48. Nagata T., Yamada H., Teo A. R., “Comorbid social withdrawal (hikikomori) in outpatients with social anxiety disorder: Clinical characteristics and treatment response in a case series”, in International Journal of Social Psychiatry, 59, 1, 2013, pp. 73-78. Noriyuki S., “Hikikomori, is it a Culture-Reactive or Culture-Bound Syndrome? Nidotherapy and a Clinical Vignette from Oman”, in International Journal of Psychiatry in Medicine, 35, 2, 2005, pp. 191- 198. Ogino T., “Managing categorization and social withdrawal in Japan”, in International Journal of Japanese Sociology, 13, 2004, p. 120-133. Ranieri F. , “Adolescenti tra abbandono scolastico e ritiro sociale: il fenomeno degli Hikikomori ad Arezzo”, in Il Cesalpino, 2015, Volume 39, pp. 13-18. Rheingold H., The Virtual Community: Finding Connection in a Computerized World, Addison Wesley Longman, Boston, 1993. Ricci C., Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione, Franco Angeli Edizioni, Milano, 2008. Ricci C., Hikikomori: narrazioni da una porta chiusa, Aracne, Roma, 2009. Ronzon F., Sul campo: breve guida pratica alla ricerca etnografica, Meltemi, Roma, 2008. Russell D., “Developing a measure of loneliness”, in Journal of Personality Assessment, 42, 3, 2010, pp. 290- 294. Schreiber M., “Joi o osotta shōnen A, (Ragazzo A attaccò la dottoressa)”, in Shūkan shinchō (週刊新潮) The Japan Times, 31 Gennaio 2015 Suwa M., Suzuki K., “The phenomenon of “hikikomori” (social withdrawal) and the socio-cultural situation in Japan today”, in Journal of Psychopathology, 19, 2013, pp. 191-198. Tajan N., Hamasaki Y. e Pionnié-Dax N., “Hikikomori: The Japanese Cabinet Office’s 2016 Survey of Acute Social Withdrawal”, in Asian Pacific Journal, 15, 5, 2017, pp. 3- 6. Teli M., Pisanu F., Hakken D., “The Internet as a Library-of-People: For a Cyberethnography of Online Groups”, in Forum: Qualitative social research, 8, 3, art. 33, 2007. Teo, A.R., Gaw, A.C., “Hikikomori, a Japanese culture-bound syndrome of social withdrawal? A proposal for DSM-5”, in Journal of Nervous and Mental Disease, 198, 6, 2010, pp. 444–449. Teo A.R., Fetters M.D., “Identification of the hikikomori syndrome of social withdrawal: Psychosocial features and treatment preferences in four countries”, in International Journal of Social Psychiatry, 61, 1, 2015, pp. 64-72. Teo A.R., “Social isolation associated with depression: A case report of hikikomori”, in International Journal of Social Psychiatry, 59, 4, 2012, pp. 339-341. Teo A.R, Kato T.A, “The prevalence and correlates of severe social withdrawal in Hong Kong”, in Journal of Social Psychiatry, 61, 1, 2015, pp. 102-103. G. Toscano, “Hikikomori: la paura viene dall’Estremo Oriente. Costruzione del disagio giovanile e dinamiche di panico morale”, in Rivista italiana di Costruttivismo, 4, 1, 2016, pp. 63-82. Vogel E., Japan as Number One: Lessons for America, Harvard University Press, Cambridge, 1971. Volpi A., Asia al centro, Università Bocconi Editore, Milano, 2014.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved