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La sitazione in Italia all'alba del fascismo, Sintesi del corso di Storia

I nuovi partiti e movimenti politici nel dopoguerra porta inevitabilmente al biennio rosso, periodo in cui si ha l'ascesa del fascismo + delitto Matteotti, secessione dell'Aventino

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 22/03/2022

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leti_rossi 🇮🇹

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Scarica La sitazione in Italia all'alba del fascismo e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! LE DIFFICOLTA’ ECONOMICHE E SOCIALI ALL’INDOMANI DEL CONFLITTO Dopo la prima guerra mondiale l’Europa si trovava pesantemente indebitata con gli Stati Uniti, oltre alle morti e alla distruzione, si aggiungevano le difficoltà economiche. In Italia tali effetti misero in evidenza gli squilibri nel tessuto economico e sociale; nel periodo di massimo sforzo bellico infatti tutte le risorse economiche erano state riversate nell'industria pesante, tuttavia con la fine del conflitto la spesa pubblica era crollata e le industrie erano state costrette a provvedere in tempi brevi a una riconversione produttiva, tale operazione fu accompagnata dalla caduta generale del tenore di vita. Lo sforzo di riconversione fu aggravato anche dai problemi finanziari; la crisi ebbe il suo culmine nel 1921, quando il fallimento di alcuni grandi trust come i complessi Ilva e Ansaldo, provocò il crollo di importanti istituti bancari e colpì anche la piccola e media borghesia. La produzione agricola a sua volta era crollata a causa dell'abbandono delle campagne, rese improduttive dalla lunga assenza degli uomini che combattevano al fronte; le conseguenze complessive dell’occupazione furono pesanti, inoltre nel dopoguerra gli Stati Uniti avevano imposto delle limitazioni all'immigrazione precludendo così un'importante possibilità di cercare fortuna. In tutto ciò il quadro sociale era aggravato dalla smobilitazione: gli uomini chiamati alle armi all'inizio del conflitto si ritrovavano ora in situazioni economiche difficili, essi reclamavano una più equa ripartizione delle terre incolte che erano state loro promesse nei duri giorni al fronte. Tuttavia il governo italiano non aveva attuato nessuna riforma agraria e, soprattutto il meridione, la terra restava concentrata nelle mani di pochi latifondisti. In breve tempo nel paese si crearono due movimenti, uno autoritario e antidemocratico e un altro socialista e rivoluzionario. Alle rivendicazioni delle classi popolari corrispondevano atteggiamento di chiusura di vasti settori della società, d'altra parte in ampi strati della popolazione la crisi d'identità sociale tendeva a manifestarsi in uno sfogo di nazionalismo; in tale contesto ebbe inizio una stagione di proteste e scioperi. NUOVI PARTITI E MOVIMENTI POLITICI NEL DOPOGUERRA Le forze liberali che si erano formate nel periodo risorgimentale e fino ad allora avevano dominato la storia unitaria italiana, non erano riuscite a dar vita a un partito politico di impostazione moderna; all'indomani della guerra la scena politica vide l’ascesa dei due partiti di massa, quello socialista e quello costituito da una nuova forza matrice cattolica. All’inizio del 1919 nacque così un partito di ispirazione cattolica, il partito popolare italiano, fondato da Luigi Sturzo. Tra i punti più qualificanti dei programma del nuovo partito vi era una radicale riforma agraria, si proponeva inoltre l'adozione del sistema elettorale proporzionale in sostituzione del vecchio sistema uninominale, con l’estensione del voto alle donne. Questi principi favorire l’aggregazione di più persone appartenenti a classi sociali diverse, i popolari entrarono da subito in competizione con i socialisti, tuttavia ciascun partito si ritagliò una sfera d'azione privilegiata: il partito di Sturzo conobbe una forte penetrazione nelle campagne, mentre presso il proletariato industriale delle città era maggiormente diffusa l'ideologia socialista. All’interno del partito socialista dopo la guerra prevalse sempre più la corrente rivoluzionaria o massimalista guidata da Giacinto Menotti Serrati, più vicina alla classe operaia, ma lontana dal proporre un piano d'azione concreto, invocato invece dei riformisti. E proprio i disponenti riformisti, guidati da Filippo Turati, sottolineavano che il partito non avrebbe dovuto rinunciare all’uso degli strumenti che il sistema democratico poteva offrire. Dello stato di confusione della politica italiana seppe approfittarne Benito Mussolini. Dopo essere stato espulso dal partito socialista nel 1914 aveva fondato poco dopo il quotidiano “Il popolo d’Italia”, anche grazie alla sua non comune capacità oratoria era riuscito a raccogliere intorno a sé alcuni simpatizzanti con il quale aveva fondato i fasci di combattimento. Il programma del nuovo movimento si caratterizzava per un forte nazionalismo, ma al tempo stesso prevedeva l’instaurazione di una repubblica con ampie autonomie regionali e comunali, il suffragio universale esteso anche alle donne, l’abolizione del senato in quanto di nomina regia e l'eliminazione della coscrizione obbligatoria. Il programma di Sansepolcro raccoglieva dunque un insieme di posizioni eterogenee, proponendosi come un movimento capace di superare gli schieramenti tradizionali di destra e sinistra. Rispetto della presenza di differenti correnti all'interno del movimento, era già possibile cogliere gli aspetti fondamentali del primo fascismo:  Il nazionalismo  L’esaltazione dell'azione individuale e della violenza  L’ostilità sia verso le classi abbienti si è verso i socialisti  Un sostanziale antiparlamentarismo Un significativo segno di quali sviluppi potesse avere il nuovo movimento si ebbe il 15 aprile 1919 quando durante uno sciopero generale un gruppo di fascisti saccheggio e incendio la sede dell'Avanti. LA CRISI DEL LIBERALISMO La notizia della creazione di un nuovo ministero con Mussolini fu accolta con un sospiro di sollievo dalla maggioranza e Parlamento, che riteneva in tal modo scongiurato il rischio di una guerra civile. Mussolini del resto proponeva un governo di coalizione. Tuttavia Mussolini continuava ad appoggiare le azioni illegali degli squadristi, al fine di mettere a tacere gli avversari più temibili, ciò non poteva non suscitare perplessità anche nei partiti che sostenevano il governo, che cercarono di esprimere il proprio dissenso in Parlamento o attraverso la stampa. Allo stesso tempo Mussolini cercò di svuotare il Parlamento di ogni prerogativa, così nel dicembre 1922 istituì il gran consiglio del fascismo, destinato a prendere decisioni politiche e quindi a limitare notevolmente le funzioni parlamentari. Tra la fine del 1922 e l'inizio del 1923 era iniziata in tutta Europa una favorevole fase di espansione economica, così il nuovo governo fascista applicò all'economia i principi del liberismo e procedette all'abolizione di alcune tasse, nonché alla stipulazione di numerosi trattati commerciali con altri paesi europei. I provvedimenti economici adottati ebbero risultati positivi, quali la riduzione del disavanzo dello Stato e un notevole sviluppo dell'industria e dell'agricoltura, tuttavia tale indirizzo risultava a svantaggio della classe popolare, ormai privata della forza contrattuale dei sindacati dei lavoratori. Mussolini si impegnò anche sul piano politico perseguendo una politica di riavvicinamento alla chiesa cattolica, che il nuovo Papa Pio XI guardò con un certo favore, tuttavia quando nel 1923 l'accordo tra popolari e fascisti si incrinò, Pio XI impose il sacerdote le dimissioni da segretario dei popolari, indebolendo così il partito e costringendo Sturzo all’esilio. Dal momento che il fascismo disponeva ancora di un numero esiguo di deputati Mussolini decise di indire nuove elezioni nell'aprile del 1924, dopo aver fatto approvare la cosiddetta legge Acerbo, che reintroduceva il sistema maggioritario; l'iniziativa era fondata sulla certezza di poter ottenere molti consensi, una certezza motivata tre ragioni:  Il clima di violenza che regnava nel paese  L’appoggio di alcuni autorevoli politici  Il fatto che una gran parte della popolazione poteva essere facilmente convinta dalla propaganda fascista Inoltre al fine di assicurarsi il successo alla lista Mussolini volle che le operazioni elettorali si svolgessero sotto il segno dell'intimidazione violando così il segreto delle urne. L’opposizione protestò chiedendo l'annullamento delle elezioni, la denuncia più vigorosa delle irregolarità ed e soprusi commessi fu pronunciata dal deputato del psu Giacomo Matteotti che, il 10 giugno 1924 fu rapito e assassinato da alcuni sicari fascisti. L’opposizione decise di non partecipare più ai lavori parlamentari finché il governo non avesse chiarito il suo coinvolgimento nella tragica vicenda. Il 27 giugno 1924 cominciò la protesta ribattezzata secessione dell'Aventino, ma il re non accolse la protesta e riconfermo la fiducia Mussolini dandogli così la possibilità di dare vita a un governo (1 luglio 1924). Così il 3 gennaio 1925 Mussolini rivendicò a sé la responsabilità di quanto era accaduto e del delitto Matteotti; a questo atto seguirono restrizioni della libertà di stampa e di riunione dei gruppi avversari, instaurando così una dittatura.
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