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la situazione dell'Italia dopo la Prima Guerra Mondiale, Schemi e mappe concettuali di Storia

Sintesi su il primo dopoguerra italiano con riferimento a battaglie principali, spedizioni e l'avvento del fascismo

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 06/06/2023

tonia116
tonia116 🇮🇹

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Scarica la situazione dell'Italia dopo la Prima Guerra Mondiale e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia solo su Docsity! L'ITALIA NEL PRIMO DOPOGUERRA All'indomani della Grande guerra nei Paesi più fragili come Italia e Germania, si formarono dei movimenti ultranazionalisti, che avevano riferimenti ideologici tra loro contrastanti: - da un lato auspicavano ad una rivoluzione radicale che portasse al rinnovamento del sistema politico; - dall'altro si professavano conservatori e tradizionalisti. Erano inoltre ostili nei confronti dei socialisti e comunisti, guadagnandosi così l'appoggio dell'élite economiche e sociali oltre a quello della piccola-media borghesia e classi rurali (a loro questi movimenti sembravano offrire un rimedio al sentimento di disorientamento che la guerra aveva generato) entrambe impoverite dal conflitto. LA VITTORIA MUTILATA L'Italia era uscita dalla Grande Guerra da vincitrice, almeno formalmente Nei tavoli di trattativa della conferenza di pace di Parigi, tuttavia, le sue richieste non furono esaudite. All'Italia vennero concessi: l'Alto Adige, il Trentino, la Venezia Giulia, Istria e Trieste. Le furono negate invece la Dalmazia e Fiume: la prima era abitata in prevalenza da slavi (dunque fu assegnata alla Jugoslavia) la seconda invece seppur italianizzata era destinata a rimanere dell'Austria. Questa decisione mortificò i rappresentanti politici italiani, il Primo Ministro Vittorio Emanuele Orlando e il Ministro degli Esteri Sidney Sonnino. Questi abbandonarono il tavolo delle trattative in segno di protesta. Il Patto di Londra del 1915 non era stato rispettato. Orlando si dimise. Il malcontento si diffuse anche nella nazione. Si iniziò a parlare di vittoria mutilata, espressione coniata da Gabriele D'Annunzio, poiché i sacrifici patiti dagli italiani in guerra non ebbero gli effetti desiderati. La spesa pubblica era crollata, il debito pubblico si era accumulato e le industrie belliche furono costrette a una riconversione produttiva, cioè al passaggio da un'economia di guerra a una di pace. La grande instabilità in cui versava l'Italia portò a varie conseguenze:  il bisogno di una RIVOLUZIONE DEMOCRATICA (per superare un sistema liberale corrotto)  esigenza di una RIVOLUZIONE SOCIALE e riorganizzazione del sistema produttivo con una classe operaia in forte crescita  e infine la necessità di una RIVOLUZIONE MILITARISTA E NAZIONALISTA (appoggiata dagli ex combattenti). IL BIENNIO ROSSO 1919-1920 Nel nord Italia tra gli operai prevalevano organizzazioni socialiste come le Camere del Lavoro: erano strutture sindacali ma anche luoghi di incontro e cooperazione nate per difendere gli interessi dei lavoratori. Tali camere facevano tutte capo alla Confederazione generale del lavoro (Cgl), un grande sindacato unitario, e al Partito Socialista. Vi erano poi quelle di stampo cattolico come la Confederazione italiana dei lavoratori (Cil) e quella anarco-sindacalista Unione italiana del lavoro (Uil). Dopo la guerra i sindacati dovettero far fronte allo scoppio di scioperi e proteste spontanee, dovute ad uno stato di esasperazione delle masse per via del carovita: IL 1919-1920 PASSARONO ALLA STORIA COME IL "BIENNIO ROSSO", anni di: occupazioni di terre incolte da parte dei braccianti, saccheggi di mercati e negozi e una mobilitazione di una portata tale da non riuscire ad essere contenuta. Le classi dirigenti temevano addirittura che in Italia potesse ripetersi l'esperienza della Rivoluzione Russa del 1917. Il culmine del biennio rosso si ebbe quando gli operai del settore metallurgico (i più attivi e organizzati nella lotta per il miglioramento nelle condizioni dei lavoratori) riuscirono ad occupare delle fabbriche e ad impedire così le serrate (ossia la chiusura prolungata di alcuni reparti) e non interrompere la catena produttiva. Dal 1920 le iniziative operaie cominciarono a partire dai consigli di fabbrica, ispirati ai soviet, che miravano alla cogestione della fabbrica stessa ossia la gestione del lavoro. La protesta si concluse nel novembre dello stesso anno con un accordo che pur prevedendo l'accettazione delle richieste operaie era morto per quanto riguarda un punto centrale: il controllo dei lavoratori sulla produzione. Si trattò dunque di un totale insuccesso. I PARTITI ITALIANI La crisi nell'immediato dopoguerra portò ad una sfiducia nei confronti del partito liberale, che si trasformò con lo spostamento dei voti verso due partiti: il Partito socialista e il Partito Popolare Il Psi registrò un significativo aumento degli iscritti. Ciò era dovuto in buona sostanza alla crisi economica, all'aumento della disoccupazione e all'inflazione. Il Partito Socialista, dal canto suo, non era omogeneo, ma diviso in correnti. • l'ala riformista (maggioranza nei sindacati, minoranza nel partito), guidata da Filippo Turati e Claudio Treves. Questa corrente mirava all'integrazione del partito nel gioco democratico istituzionale; • l'ala massimalista (da Serrati, erano una maggioranza nel partito), ispirata dalla Rivoluzione bolscevica, rifiutava di partecipare al governo "borghese" e mirava, come ultimo obiettivo, alla costituzione di un nuovo ordine politico; • l'ala ordinovista, guidata da Antonio Gramsci (a capo della rivista "L'Ordine nuovo"), che accusava i massimalisti di non essere realmente in grado di preparare le masse ad una rivoluzione. I contrasti tra le varie correnti portarono alla nascita del Partito Comunista d'Italia (gennaio 1921), la sezione italiana della Terza Internazionale comunista nata a Mosca due anni prima. Un'altra figura di spicco era Amadeo Bordiga, direttore della rivista "Il Soviet", era sostenitore del modello bolscevico e sosteneva che dovessero essere preparate le masse per una rivoluzione imminente. Gramsci faceva invece leva sui Consigli di fabbrica, costituiti dai rappresentanti dei lavoratori eletti democraticamente tra gli operai, e sul fatto che dovevano essere gli strumenti della lotta politica. L'importante per Gramsci e Togliatti era conquistare l'egemonia del popolo (fare gli interessi di tutti) e non conquistare il potere ed instaurare una "dittatura del proletariato" Nel gennaio 1919 nasce il Partito Popolare Italiano, fondato dal sacerdote siculo Luigi Sturzo (1871-1959). La fondazione di questo partito è una novità nel panorama politico italiano. I cattolici, infatti, facevano generalmente parte della coalizione liberale, almeno dal Patto Gentiloni. Il PPI si proponeva invece come forza politica autonoma, di ispirazione cattolica, ma di natura laica. Altre del pensiero popolare erano la cooperazione tra capitale e lavoratori. Sebbene dunque i popolari prestassero attenzione alle istanze sociali, non condividevano il concetto socialista lotta di classe. I FASCI DI COMBATTIMENTO Nel mentre in Italia cominciò a prendere piede il militarismo aggressivo e nazionalista. In questa situazione di tensione e violenza nel marzo 1919, BENITO MUSSOLINI FONDÒ A MILANO I FASCI ITALIANI DI COMBATTIMENTO. I fascisti rifiutavano i trattati di pace e trovavano grande il supporto da parte degli ex combattenti facendo leva sul senso di insoddisfazione. e mettere il governo di fronte alla necessità di dimettersi, costringendo così il re a nominare Mussolini capo di un esecutivo fascista. Le camicie nere occuparono le stazioni ferroviarie e le strade che portano a Roma, istituirono posti di blocco ed estesero la loro rete di controllo militare del territorio. In diverse città si impadronirono delle centrali elettriche, telegratiche e teletoniche. *Da un punto di vista militare la «marcia su Roma» poteva certo essere fermata, ma si sarebbe dovuto impegnare l'esercito, e molti ufficiali vedevano invece con favore l'avvento di un governo fascista. Il capo del governo Facta proclamò lo stato d'assedio affinché i carabinieri potessero intervenire . *stato di assedio*: provvedimento eccezionale con il quale vengono sospese temporaneamente alcune leggi che garantiscono la libertà dei cittadini o la Costituzione. Ma Vittorio Emanuele III, ormai convinto che il fascismo rappresentasse il male minore, e decise di cedere: non firmò il decreto di stato d'assedio e chiamò Mussolini a presiedere il nuovo governo. È importante specificare che Mussolini partecipò indirettamente alla marcia su Roma.. egli infatti si trovava a Milano e tutto ciò che aveva fatto era organizzare un piano in cui qualcun altro ci avrebbe messo la vita. Una volta saputa la notizia, si apprestò ad assumere l’incarico. IL GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO Il governo formato da Mussolini comprese numerosi ministri popolari e liberali, dando l'impressione di non violare le regole del costituzionalismo, e i borghesi e i liberali trassero un sospiro di sollievo. In molti, perfino tra gli oppositori, erano convinti che il governo fascista rappresentasse soltanto un episodio transitorio. Tuttavia, Mussolini volle dare un segnale di novità, offendendo gravemente il parlamento con il «discorso del bivacco» tenuto alla Camera dei deputati il 16 novembre 1922. Mussolini diede assicurazione che le libertà sancite dallo Statuto sarebbero state rispettate e le violenze nelle piazze sarebbero cessate. Per di più, precisò che il suo governo non sarebbe stato un governo di soli fascisti e assicurò interventi drastici in campo economico, invitando minacciosamente la Camera a non ostacolarlo. Nel dicembre 1922 venne istituito un organo ufficiale di raccordo fra il Partito e le pubbliche istituzioni, il Gran Consiglio del fascismo, che doveva preparare i principali provvedimenti legislativi e aveva compiti di vigilanza e di epurazione della pubblica amministrazione. Le squadre in camicia nera, inoltre, non furono semplicemente sciolte ma, nel gennaio del 1923, inquadrate nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (Mvsn): la milizia fascista diventava così un corpo militare ufficialmente riconosciuto e agli ordini del capo del governo. Nel novembre del 1923 fu varata una nuova legge elettorale maggioritaria, presentata dal deputato Giacomo Acerbo (I888-1969): essa prevedeva che la lista che avesse ottenuto la maggioranza relativa dei voti, arrivando almeno al 25%, occupasse in parlamento i 2/3 dei seggi grazie a un forte premio di maggioranza. Alle elezioni indette nell'aprile del 1924, il fascismo si presentò con un «listone» unitario che includeva, oltre ai fascisti, tutti coloro a cui il nuovo governo ispirava fiducia. La campagna elettorale fu turbata da gravi atti di intimidazione e di violenza da parte dei fascisti contro gli oppositori, in particolare socialisti e comunisti. IL «LISTONE» VINSE LE ELEZIONI con il 65%. Da quel momento il Partito fascista e Mussolini ebbero il controllo totale del parlamento. IL DELITTO MATTEOTTI Ovviamente a rovinare il tutto ci fu un grave fatto di sangue che senza alcun dubbio turbò il clima politico. Il deputato socialista riformista Giacomo Matteotti (1885-1924) denunciò in Parlamento i brogli elettorali e le violenze fasciste, tali secondo lui da invalidare il voto. Il 10 giugno Matteotti fu sequestrato per strada in pieno giorno, portato via in un'auto e assassinato. Le opposizioni abbandonarono la Camera dei deputati, dichiarando che non avrebbero più avallato con la loro presenza la svolta sanguinaria del governo. La loro assenza dal Parlamento fu chiamata «Aventino», in riferimento al fatto che sul colle Aventino si era ritirata l'opposizione plebea nell’antica Roma per protestare contro i patrizi nel secolo V a.C. Lo scopo di tutto questo era di indurre il re a ripristinare la legalità, costringendo Mussolini alle dimissioni. Questi, però, non si dimise e l'opposizione non seppe trovare l'unità di azione indispensabile per approfittare della passeggera debolezza del nuovo regime e nemmeno Vittorio Emanuele III intervenne per destituirlo, come invece speravano gli aventiniani. E il 3 gennaio del 1925, in un discorso parlamentare, Mussolini si assunse in prima persona la responsabilità politica e morale del delitto, coprendo gli esecutori materiali, che non furono perseguiti penalmente . La crisi provocata dal delitto Matteotti si era risolta non con la fine dell'avventura fascista ma con la disfatta dei partiti dell'opposizione: il fascismo si avviava a costruire un vero e proprio regime. LE LEGGI FASCISTISSIME Nei quattro anni seguenti al delitto Matteotti fu costruito il regime «totalitario», che il fascismo voleva contrapporre ai suoi due grandi avversari ideologici: la democrazia e il socialismo. Si trattava di concepire istituzioni politiche fortemente autoritarie, ma che fossero anche capaci di coinvolgere le masse popolari e di controllare rigorosamente le coscienze; Una serie di leggi, le cosiddette «leggi fascistissime», emanate fra il 1925 e il 1928, cancellarono l’idea liberale di equilibrio e di controllo reciproco fra i poteri dello Stato, modificando di fatto lo Statuto albertino del 1848. Il potere esecutivo veniva nettamente innalzato al di sopra degli altri: Mussolini veniva detto DUCE In tal modo: o Egli si arrogava la facoltà di scegliere e destituire i ministri e non dipendeva più dalle maggioranze parlamentari, essendo responsabile unicamente nei confronti del re. o il governo ottenne anche il potere di prendere provvedimenti con forza di legge eludendo il controllo parlamentare, cioè sottraendo al parlamento parte del potere sovrano per eccellenza, quello legislativo. o Vennero soppresse le autonomie locali, prima nei piccoli Comuni, poi anche nei grandi: al posto del sindaco fu istituito un podestà di nomina governativa, che fu affiancato da un consiglio comunale anch'esso nominato dall'alto. o Le libertà di stampa, di associazione, di insegnamento vennero cancellate a partire dal novembre 1926. o Furono autorizzati solo i giornali rigidamente controllati dal regime o vennero sciolti tutti i partiti, eccetto, s'intende, quello fascista. Gli impiegati dello Stato furono obbligati a iscriversi al partito, compresi i professori universitari. LE ELEZIONI “PLEBISCITARIE” DEL 1928 La fine dell'ordinamento liberale, per definizione legato a elezioni democratiche, fu perfezionata dalla nuova legge elettorale varata nel 1928. Il Parlamento non venne più democraticamente eletto bensi nominato con elezioni «plebiscitarie», con le quali non si poteva più scegliere fra liste o candidati contrapposti ma solo accettare o respingere in blocco una lista unica di deputati proposta dal Gran Consiglio del fascismo. Il Gran Consiglio diventava l'organo costituzionale più importante del Paese. Il Partito fascista si identificò con lo Stato. Il regime rimodellò infine le relazioni industriali. Non si permise più che fosse la libera contrattazione a determinare i livelli salariali e le politiche aziendali. I sindacati furono aboliti - tranne quelli fascisti - e vennero sostituiti dalle «corporazioni», associazioni che presero il nome delle arti medievali e che raggruppavano sia i padroni sia gli operai di ciascun settore produttivo. La Confindustria (l'organizzazione di categoria degli industriali) fu invece mantenuta. È chiaro che il controllo sociale veniva così realizzato in maniera efficiente e che la conflittua lità risultò abolita. A farne le maggiori spese furono gli operai, soprattutto quelli delle grandi industrie, dove le organizzazioni sindacali erano state forti; e questo perché non potevano più servirsi dell'arma dello sciopero. Tuttavia fu imposto per legge il contratto collettivo di lavoro, teoricamente a scapito di quei padroni, in particolare delle piccole aziende, che in precedenza avevano potuto sfruttare i lavoratori senza controllo. In realtà, sull'applicazione dei contratti collettivi obbligatori il regime vigilò con assai scarsa attenzione. Le corporazioni non ebbero solo il ruolo di armonizzare le relazioni industriali ma addirittura una funzione costituzionale, paragonabile a quella del Gran Consiglio del fascismo. Infatti, nel 1939 la Camera dei deputati fu sostituita da una Camera dei fasci e delle corporazioni, nominata per metà dal vertice del sistema corporativo e per l'altra metà dal Gran Consiglio. Con questo atto il totalitarismo raggiungeva il suo pieno sviluppo: il potere politico supremo non rappresentava più gli interessi dei cittadini elettori, chiamati a concorrere per formare la volontà generale, ma lo Stato come organizzazione politica fascista e come organizzazione economica corporativa. Risultava così completata la rivoluzione istituzionale totalitaria: i cittadini cessavano di avere voce nella cosa pubblica e non possedevano più i mezzi per ispirarne le finalità. Viceversa, lo Stato disponeva ora degli strumenti necessari a controllare i cittadini: le loro opinioni, le loro azioni, la dinamica dei loro interessi economici. I PATTI LATERANENSI Il successo più significativo del regime fu ottenuto nei confronti della Chiesa cattolica. Fin dall'inizio il fascismo aveva riscosso consensi da parte del Vaticano, che proprio per ques to aveva allentato i propri legami con il Partito popolare, il quale, sotto la guida di don Sturzo, aveva scelto una decisa opposizione. La Chiesa trovò nel fascismo un alleato nella sua antica battaglia contro due comuni avversari: - il liberalismo - il socialismo. La violenza dei fascisti non poteva essere condivisa in Vaticano, anche perché aveva colpito esponenti religiosi come don Giovanni Minzoni, ucciso in un agguato squadrista nel 1923. Eppure, il nuovo regime si presentava come difensore dell'ordine e c'erano, quindi le condizioni per una soluzione complessiva della «questione romana», aperta dalla occupazione della Città eterna nel 1870. Furono avviate a questo proposito trattative che si conclusero l'11 febbraio 1929 con la firma dei Patti lateranensi, i quali,
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