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La socializzazione come trasmissione di valori, modelli di comportamento e norme (pdf), Guide, Progetti e Ricerche di Teoria Sociale

sociologia

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2014/2015

Caricato il 17/11/2015

luisa_cipolla
luisa_cipolla 🇮🇹

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Scarica La socializzazione come trasmissione di valori, modelli di comportamento e norme (pdf) e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Teoria Sociale solo su Docsity! 1 LA SOCIALIZZAZIONE COME TRASMISSIONE DI VALORI, MODELLI DI COMPORTAMENTO E NORME Corso di laurea magistrale in Italianistica e Scienze Linguistiche Luisa Cipolla 2 Con il termine “socializzazione” si intendono gli sforzi dissipati dai membri più potenti di una società al fine di plasmare i comportamenti e i valori dei suoi membri meno potenti. Ma non sempre ciò accade, infatti all’interno del sistema scolastico a volte non si riesce a “socializzare” gli alunni, cosi come non sempre si riesce ad insegnare il curricolo ufficiale; e come curricolo si intende il programma di insegnamento svolto a scuola. Facendo riferimento a Steven Brint, egli afferma che nelle società contemporanee l’istruzione scolastica si pone tre obiettivi principali: la trasmissione dei saperi scolastici, la socializzazione (cioè l’addestramento ai valori, agli atteggiamenti e alle abitudini comportamentali) e infine la selezione sociale, cioè l’individuare chi andrà a ricoprire posizioni di elevato o basso status nella società. La socializzazione è senza dubbio una della maggiori attività dell’istruzione scolastica. Infatti a scuola l’attenzione e il comportamento degli alunni vengono organizzati in base a norme di condotta implicite ed esplicite. Ad esempio quando una maestra dice “fate attenzione” sta socializzando i suoi alunni alla sottomissione alle autorità. Oppure quando un insegnante restituisce un compito con un sorriso o con un espressione di disapprovazione, egli sta socializzando gli alunni a valorizzare le qualità che la scuola reputa ben fatti. La socializzazione innanzitutto deve avvenire all’interno del nucleo familiare e poi nella scuola. La famiglia infatti produce la capacità di fiducia e autocontrollo che permette lo sviluppo di una personalità sana; la scuola favorisce la formazione di personalità adatte per il mondo pubblico. Le scuole si sono specializzate nella creazione di persone capaci di adeguarsi ad ambienti di lavoro impersonali e di perseguire i loro interessi con o contro altre persone che non sono né familiari né amici intimi. Se i bambini non frequentassero l’ambiente socializzante della scuola, la maggior parte di loro non sarebbe sufficientemente preparato per la vita adulta. 5 della altre persone. Questo concetto di responsabilità di ruolo è fondamentale e chi non lo rispetta è destinato all’emarginazione. Ad esempio un meccanico, un medico, non solo devono avere quelle capacità professionali basilari, ma anche l’abilità di comportarsi responsabilmente con quelle persone con cui viene a contatto nel suo lavoro. Quindi la classe scolastica deve essere considerata come un’agenzia di primaria importanza attraverso la quale si creano queste tre diverse componenti di impegni e capacità che una persona deve ricevere e apprendere fin da bambino. L’educazione ricevuta a scuola è il primo importante passo di un bambino al di fuori del nucleo familiare e come afferma Parsons nel suo saggio: “All’interno della famiglia sono stati posti alcuni fondamenti del sistema motivazionale del ragazzo. Ma la sola caratteristica fondamentale per i ruoli futuri che sia stata determinata chiaramente e fissata psicologicamente in quel momento, è il ruolo sessuale. Il ragazzo entra nel sistema educativo formale nel periodo post- edipico già chiaramente categorizzato come maschio o femmina, ma oltre a questo il suo ruolo non è ancora differenziato”. Inoltre un fattore molto importante è il grado di indipendenza del ragazzo nel momento in cui entra a scuola. Già il ragazzo entrando nel sistema scolastico ha un suo livello di autosufficienza rispetto alla guida degli adulti, la capacità di assumersi responsabilità e di prendere decisioni nell’affrontare situazioni nuove e diverse. E tutto questo il bambino lo trae dall’esperienza familiare. “La famiglia è una collettività entro la quale la struttura di base dello status è attribuita in termini di posizione biologica, cioè in base alla generazione, al sesso e all’età. Nell’esperienza del ragazzo, la scuola è la prima agenzia socializzante che istituzionalizzi una differenza di ruoli su basi non biologiche” afferma Parsons. Il sociologo Steven Brint afferma che gli ambienti di socializzazione scolastica possono essere ricondotti a quattro tipi ideali. 6 Il primo, la socializzazione da villaggio o rurale, si trova in alcune aree rurali più povere del paese, ad esempio fra i braccianti messicani del Central Valley in California o zone più povere del delta del Mississippi. La conformità comportamentale in questo tipo di ambiente è relativamente debole, la conformità morale ha un’importanza relativamente scarsa, la conformità culturale è adeguata ai ritmi della vita del villaggio. Per quanto riguarda il secondo tipo, la socializzazione industriale, lo si può osservare in molte scuole di zone urbane e operaie. A differenza del villaggio rurale, in questo ambiente la conformità comportamentale ha un’importanza elevata ed esplicita, cosi come la conformità morale. Nel terzo tipo di ambiente, la socializzazione burocratica o del consumo di massa, la conformità comportamentale fonda le radici nelle regole e nelle pratiche, mentre alla conformità morale non viene data molta importanza. Gli alunni poi sono acculturati in questo particolare ambiente attraverso due versanti: l’organizzazione burocratica e il consumo di massa. Infine la socializzazione d’élite la troviamo nei collegi privati che viene naturalmente frequentata da quegli studenti che fanno parte degli strati superiori di ogni società. In questo ambiente la conformità comportamentale è largamente implicita ( basata sulle determinazione della condotta ); mentre la conformità morale è relativamente forte e altamente ritualizzata e inoltre vi è la preparazione al mondo del potere e dello status. E’ importante riconoscere che la scuola di oggi è diversa rispetto a quella di tanti anni fa e i cambiamenti si accentuano di più man mano che ci si allontana col tempo. Oggi nella aule c’è poca disciplina, non vengono presi i giusti provvedimenti quando un ragazzo manca di rispetto all’insegnante o trasgredisce alle regole, perciò il ragazzo è portato sempre a sbagliare. Addirittura sono quasi gli insegnanti a “spaventarsi” nel prendere un provvedimento nei confronti dell’alunno, perché troppo ribelle o irrequieto. 7 Questo deriva anche dal fatto che il rapporto insegnante-alunno è cambiato. Non c’è più gentilezza e rispetto nei confronti del professore nella maggior parte dei casi, anzi c’è un rapporto di confidenza, non si distinguono più i ruoli. Prima questo non esisteva, anzi si aveva soggezione del professore. Infatti le scuole di tanti anni fa erano luoghi più moralizzanti rispetto ad oggi. Come scrisse Steven Brint: “Le scuole dell’Ottocento insegnavano un insieme di virtù che rispecchiavano tre tradizioni morali primarie: il codice morale giudaico-cristiano, basato sull’onestà, la decenza, la tolleranza, l’amore della bontà e la gentilezza; l’etica del lavoro protestante basato sull’operosità, l’imprenditorialità, la pianificazione e la temperanza; la “religione civile” repubblicana e nazionalista, basata sul patriottismo, il coraggio in battaglia, l’amore della libertà, il rispetto per lo stato di diritto, la costituzione e la partecipazione responsabile alle istituzioni politiche della società”. Possiamo dire che tutto questo oggi è crollato, nel senso che quanto disse Brint non viene più insegnato nelle scuole. Forse l’educazione morale la ritroviamo oggi più nelle scuole elementari che in quelle secondarie. Oggigiorno le scuole ospitano un gran numero di messaggi socializzanti sia nelle aule che nei cortili. In aula la socializzazione è organizzata intorno ad un nucleo di norme e di pratiche quotidiane. Questo nucleo di norme sostenute da sanzioni e pratiche quotidiane dell’istruzione, acculturano gli studenti al mondo dell’organizzazione impersonale e della scelta consumistica. Queste pratiche consolidate comprendono degli elementi che ricorrono nell’istruzione scolastica, fra cui il mettersi in fila, il lavoro indipendente, la scelta fra materie facoltative e la partecipazione ad esami. Intorno a questo nucleo vi sono gli anelli dell’educazione morale esplicita e meno esplicita. Per quanto riguarda l’educazione morale esplicita, si tratta dell’insegnamento diretto di virtù morali e si trova soprattutto nell’istruzione elementare, mentre l’educazione morale meno esplicita avviene nei casi più avanzati per mezzo dell’esposizione alle lezioni etiche della 10 possono essere concepite come norme di orientamento incentrate rispettivamente sullo status categoriale e sulle competenze specialistiche. Nelle scuole le categorie di persone sono spesso più importanti dei singoli individui, cosi per mezzo dei processi di raggruppamento, le scuole fanno sì che gli alunni abbiano le possibilità di compiere le comparazioni sociali basate su elementi categoriali anziché particolaristi. Gli alunni imparano a tracciare una distinzione fra le persone e le posizioni sociali che esse occupano. Questa competenza è estremamente importante nelle società organizzate burocraticamente, in cui gli individui sono obbligati a vedere se stessi come membri di particolari categorie e ad accettare i doveri e i privilegi associati a queste appartenenze categoriali. Afferma Brint che gli studenti apprendono anche a manifestare soltanto parti specifiche della loro personalità, in particolare quelle pertinenti per una specifica situazione. L’intera personalità raramente ha una qualche importanza nell’aula scolastica. Ciò che conta è ad esempio il grado di preparazione in matematica o in lettere. La personalità complessiva viene suddivisa in parti e gli studenti imparano che soltanto alcune di queste parti sono rilevanti. Anche la consapevolezza di questo fatto serve per agire in una società burocraticamente organizzata. Dunque le scuole e le famiglie sono le principali sedi di socializzazione , però vi sono alcune differenze. Infatti le scuole sono strutturalmente adeguate per preparare gli individui ad agire in ambienti burocratici, mentre la maggior parte delle famiglie non lo è. Inoltre le scuole hanno due vantaggi rispetto alle famiglie. Innanzitutto i bambini passano moltissimo tempo nelle aule scolastiche, poi a differenza delle famiglie le aule sono definite esplicitamente come luoghi orientati alle prestazioni e di solito sono organizzate da autorità formali e relativamente distanti. Da ciò si può dedurre che i maestri sono i primi “datori di lavoro” dei bambini e i compiti scolastici costituiscono la loro prima “occupazione”. In secondo luogo, un’aula scolastica ospita molti più bambini di quanto non faccia una famiglia e le relazioni che man mano si sviluppano nel corso 11 dell’anno si interrompono alla fine dell’anno scolastico. Poi i bambini non hanno lo stesso maestro ogni anno, cosi come non hanno gli stessi compagni di classe. Dunque questi fattori , e cioè le grandi dimensioni della classe che ospita tanti bambini e la discontinuità annuale della vita in aula, impediscono la formazione di profondi legami affettivi come quelli invece che contraddistinguono le famiglie. L’interesse dell’insegnante è necessariamente limitato a caratteristiche specifiche dei bambini e ne è distaccato in termini emotivi. Questa impersonalità poi si accentua mano a mano che il bambino passa dai primi anni del ciclo elementare agli ultimi, fino a diventare predominante nella scuola secondaria. Come dicevo prima, oggi l’educazione morale è stata quasi completamente eliminata dall’istruzione pubblica, ma Steven Brint asserisce che l’educazione morale non è totalmente scomparsa dalle scuole pubbliche: la maggior parte degli istituti di istruzione primaria continuano a svolgere un’opera di esortazione morale, incoraggiando l’operosità, la pianificazione, l’onestà, la lealtà, il coraggio, la gentilezza ecc.. E molti continuano ad usufruire di racconti in cui compaiono celebri eroi e fiabe ( come ad esempio la cicala e la formica), affinché si imprimano virtù morali tradizionali. La maggior parte degli insegnanti ritiene che le scuole debbano insegnare alcuni valori morali importanti per la giusta formazione del bambino, fra cui l’onestà, la puntualità, la responsabilità e l’operosità. Proprio per questo gli studi sociali e i testi di lettura continuano ad attribuire importanza a valori tradizionali come: onestà, coraggio, compassione, tenacia, audacia. “Per di più nella società americana, l’educazione morale è stata arricchita da almeno due valori che sono diventati rilevanti. Uno è il valore dell’equità e l’altro è il rispetto della diversità. Proprio per questo quasi tutti gli insegnanti ritengono che sia una cosa indispensabile insegnare ai propri alunni il rispetto per gli altri a prescindere dalla loro estrazione razziale o etnica.” (Brint) 12 Mano a mano che gli studenti avanzano nei diversi cicli dell’istruzione scolastica, l’educazione morale o si attenua moltissimo oppure diventa sempre più implicita e complessa. Ad esempio l’importanza dell’educazione morale diminuisce notevolmente per gli alunni che frequentano programmi generali o professionalizzanti nelle scuole secondarie. Infatti i valori del lavoro industriale continuano ad avere una certa importanza, però l’educazione morale scompare nel curricolo ufficiale. Di contro a ciò invece l’educazione morale ha un importanza rilevante per gli studenti che si iscrivono ad indirizzi accademici, soprattutto se si studiano molte materie umanistiche come la letteratura e la filosofia. L’educazione morale delle discipline umanistiche si svolge su un piano superiore rispetto agli elenchi di virtù che i critici contemporanei dell’istruzione scolastica vorrebbero aggiungere ai programmi di insegnamento. Non tutti gli insegnanti sono capaci di trarre lezioni morali dalla letteratura e dalla storia, ma queste lezioni costituiscono i mattoni delle più elevate forme di giudizio morale. Oltre a ciò gli insegnanti per gli alunni nella maggior parte dei casi sono dei modelli a cui ispirarsi. Infatti gli insegnanti sono consapevoli del ruolo di socializzazione che svolgono nei confronti dei giovani e si sforzano di esprimere determinati valori per mezzo delle loro azioni in aula. Nei primi anni dell’istruzione elementare, ad esempio, i maestri cercano di comunicare i valori della gentilezza e dell’empatia. Vi sono però anche certi docenti che sono più portati a trasmettere agli occhi dei propri studenti una certa qualità piuttosto che un’altra. Ad esempio un insegnante durante l’ora di lezione potrebbe dare importanza alla precisione e alla chiarezza nel corso delle sue attività in aula e manifestare il suo riguardo per questi valori mediante la chiarezza della sua grafia, la perseveranza nella correzione del linguaggio impreciso, l’attenzione prestata ai dettagli nello svolgimento di una dimostrazione. 15 L’incontro con il tempo della lezione, con la parola viva della lezione, quando avviene, quando accade, rende davvero possibile l’incontro con il nuovo, con il non ancora visto, il non ancora saputo, il non ancora conosciuto. Penso che debba essere proprio questo l’effetto della lezione e della scuola in generale: aprire mondi. Non è solo il luogo istituzionale dove si ricicla il sapere, ma è anche potere dell’incontro che trasporta, muove, anima, risveglia il desiderio, non può e non deve essere ridotto ad un sapere anonimo e burocratico, privo di soggettivazione. Sapere ripetuto senza invenzione, senza desiderio, sapere morto che consolida l’ignoranza istituzionalizzandola. Ma la scuola non può essere ridotta a questa condizione. Una lezione è tale solo se sa tenere sveglio il desiderio, se sa generare transfert, trasporto, innamoramento sul sapere. I veri insegnanti non sono quelli che ci hanno riempito la testa con un sapere già istituito, dunque già morto, ma quelli che hanno trasmesso una curiosità al fine di animare un nuovo desiderio di sapere. Sono quelli che hanno fatto nascere domande senza dare risposte precostituite. E’ un processo che non riguarda solo l’allievo, ma l’essere del maestro stesso. E’ l’effetto inatteso e retroattivo di guadagno di sapere che dà al maestro la sensazione che vi sia stato un effetto di trasmissione. Il vero insegnante non è colui che istruisce raddrizzando “la pianta storta”, né qualcuno che sistematicamente trasferisce i contenuti da un contenitore all’altro, secondo schemi o mappature cognitive, ma colui che sa portare e dare la parola, sa coltivare la possibilità di stare insieme, sa fare esistere la cultura come possibilità della Comunità, sa valorizzare le differenze, la singolarità, animando la curiosità di ciascuno senza però inseguire l’immagine di “allievo ideale”. Affinché il dono della parola sia possibile, ogni insegnante deve rinunciare al sapere già saputo, deve rendere il già saputo, il già conosciuto, la memoria che custodisce il sapere già acquisito, ogni volta nuovi, rinnovati. L’ora di lezione allora non può più essere assorbita nella ripetizione 16 anonima del dispositivo didattico perché fa scattare l’apertura di un’altra porta. E’ la tensione continua tra oblio e memoria che abita ogni autentico insegnamento: mostrare che quel sapere che ritenevamo morto è vivo, si muove, respira. In questo modo il maestro, sempre, mentre insegna impara, ovvero ridà vita a tutto ciò che lo ha formato. E’ un’esperienza di decentramento radicale che definisce, dai livelli più elementari della trasmissione del sapere sino a quelli più alti, l’arte dell’insegnamento. Recalcati nel suo saggio scrisse: “I maestri che non scordiamo sono quelli che hanno lasciato un’impronta indelebile dentro di noi. E’ l’etimo del verbo insegnare: lasciare un’impronta, un segno, nell’allievo. Non li scordiamo non solo per quello che ci hanno insegnato, per il contenuto dei loro enunciati, ma innanzitutto per come ce lo hanno insegnato, per l’enigma irrisolvibile della loro enunciazione , per la loro forza carismatica e misteriosa. E’ quello che più conta nella formazione di un bambino o di un giovane. Non il contenuto del sapere, ma la trasmissione dell’amore per il sapere.” Insegnare non può, dunque, limitarsi ad una trasmissione di usi e nozioni, ma deve preoccuparsi di affinare le coscienze, andare oltre alle materie di insegnamento, diventare maestri di vita. Per tal motivo, tra le pressanti esigenze della società contemporanea, emerge la necessità di potenziare le qualità morali, per uscire dall’egocentrismo ed avvicinarsi sempre di più ad una concezione solidale della vita. Anche laddove gli insegnamenti morali sono accettati in linea di principio, non sempre influiscono in maniera determinante sui comportamenti; le tentazioni dell’egoismo, della disonestà, della pigrizia e della codardia sono sempre in agguato. Per di più l’organizzazione della scuola a volte incrina persino le più semplici lezioni morali. Le scuole ad esempio sottoscrivono il valore dell’onestà, però spesso inavvertitamente premiano gli imbroglioni, spinti dall’importanza che le stesse scuole attribuiscono alle buone prestazioni. 17 Tuttavia le scuole predicano le pari opportunità, ma tendono anche a scoraggiare le ambizioni dei ragazzi di estrazione sociale inferiore, perché non hanno disponibilità economica per poter continuare a studiare. Oltre la socializzazione all’interno delle aule scolastiche, è molto importante per il bambino, per la sua formazione, la socializzazione fuori dall’aula. Infatti il cortile scolastico rappresenta una parte importante della socializzazione infantile. Se le aule scolastiche costituiscono un’introduzione alla vita burocratica, il cortile rappresenta un’introduzione alle reti sociali informali. Le esperienze scolastiche fuori dall’aula preparano i bambini alla vita adulta, poiché insegnano loro come imporsi e controllarsi fra amici e colleghi. I valori dell’aula scolastica coesistono in maniera pacifica, ma in alcune scuole superiori i valori adolescenziali prevalgono su quelli scolastici. Sia l’aula che il cortile possiedono importanti caratteristiche strutturali che sono diverse rispetto a quelle che vengono osservate a casa. Innanzitutto la presenza degli adulti funge solamente da sorveglianza, permette alle attività dei bambini di svolgersi in maniera indisturbata. Poi nel cortile i bambini si mescolano, vengono a contatto fra di loro, quindi teoricamente coltivano numerose relazioni con bambini che non fanno parte necessariamente della propria classe. Di solito hanno la stessa età ma non sono né parenti né abitano vicino l’uno con l’altro. La somiglianza di età pone un limite sulla distanza sociale tra i bambini, ma l’aggregazione di numerose conoscenze crea molte opportunità per il consolidamento, la modifica e la terminazione dei rapporti sociali. Questa varietà dei contatti possibili consente ai bambini di sviluppare giudizi sempre più raffinati circa le potenzialità e i problemi dell’intenzione sociale. Dunque i bambini fuori dalle aule scolastiche, vengono in contatto fra di loro e apprendono a gestire i rapporti sociali. Infatti nel cortile i bambini devono far fronte ai prepotenti, alle spie, ai falsi amici, agli snob ecc.. E decidere come comportarsi di fronte a questi tipi contribuisce ad affinare le capacità di giudizio. 20 BIBLIOGRAFIA Steven Brint, Scuola e Società, Il Mulino, 2007 Emile Durkheim, Educazione come socializzazione, La Nuova Italia, 1996 Emile Durkheim, Per una sociologia della famiglia, Armando Editore, 1999 Emile Durkheim, La una divisione del lavoro sociale, Einaudi, 1999 Emile Durkheim, Le regole del metodo sociologico, Editori Riuniti, Roma, 1996 Lorenzo Fischer, Lineamenti di sociologia della scuola, Il Mulino, 2007 Lorenzo Fischer, Sociologia della scuola, Il Mulino, 2003 Talcott Parsons, Il sistema sociale, Einaudi, 1996 Talcott Parsons, Famiglia e socializzazione, Mondadori, 1984 Talcott Parsons, La struttura dell’azione sociale, Il Mulino, 1987 Massimo Recalcati, L’ora di lezione, Einaudi, 2014 21
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