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Riassunto La società anarchica (H. Bull), Sintesi del corso di Relazioni Internazionali

Riassunto di "La società anarchica" di Hedley Bull, suddiviso in capitoli e paragrafi, breve ma preciso e con un layout che aiuta la memorizzazione.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 16/04/2021

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Scarica Riassunto La società anarchica (H. Bull) e più Sintesi del corso in PDF di Relazioni Internazionali solo su Docsity! 1 LA SOCIETÀ ANARCHICA Hedley Bull Parte 1: La natura dell’ordine nella politica mondiale 1. IL CONCETTO DI ORDINE NELLA POLITICA MONDIALE 1. L’ordine nella vita sociale Ordine inteso come opposto del disordine. L’ordine che gli uomini cercano nella vita sociale non è una qualsiasi regolarità nelle relazioni umane tra individui o gruppi, ma un modello che conduce a un particolare risultato, tale da promuovere alcuni scopi o valori (senso finalistico o funzionale). S. Agostino: ordine come disposizione di realtà uguali e disuguali, ognuna al proprio posto. È un concetto relativo: una sistemazione che è ordinata in relazione a uno scopo può essere disordinata in relazione ad un altro. Esiste solo in relazione a dati fini: alcuni si distinguono come fini elementari o primari, quindi il loro raggiungimento è una condizione della vita sociale in quanto tale. Tutte le società riconoscono scopi primari e prevedono alcune disposizioni volte al loro raggiungimento: • Protezione dalla violenza • Mantenere promesse e osservare gli accordi • Mantenere stabile il possesso delle cose Questi scopi sono elementari, perché gruppi nei quali essi non esistono possono difficilmente essere considerati una società; inoltre qualunque sia il fine che una società stabilisce per sé stessa, esso presuppone per un certo grado la realizzazione di questi 3 scopi. Sono anche scopi universali, perché ogni società sembra tenerne conto. Tali scopi non dovrebbero avere una priorità sugli altri in caso di conflitto, ma il raggiungimento di altri scopi presuppone un precedente qualche raggiungimento di questi. L’ordine non è il solo valore in relazione a cui si forma la condotta umana e non è prioritario rispetto ad altri. L’ordine sociale è talvolta definito in termini di obbedienza a regole di condotta, altre volte come obbedienza alle regole del diritto. Di fatto, l’ordine nella vita sociale è strettamente legato a questi due aspetti, ma esso può in linea di principio esistere anche senza regole, che è meglio considerare come strumenti per la creazione dell’ordine piuttosto che come parte della sua definizione. Si è talvolta affermato che l’ordine sociale ha a che fare con la conformità della condotta umana a delle leggi scientifiche di prevedibilità: se i modelli di comportamento vengono costantemente confermati, diventano conosciuti e rendono possibile formulare leggi generali. Questo implica una confusione tra una conseguenza e la cosa stessa; anche un comportamento privo di ordine può conformarsi alla legge scientifica. 2. L’ordine internazionale Ordine internazionale: modello di attività che sostiene gli scopi elementari o primari della società degli Stati o società internazionale. Punto di partenza è l’esistenza degli Stati: comunità politiche indipendenti che ha un governo e stabilisce la propria sovranità su una particolare porzione di crosta terrestre e su un particolare segmento della popolazione umana. Hanno sovranità interna, intesa come supremazia su ogni altra autorità sul proprio territorio e popolazione, e sovranità esterna, intesa come indipendenza da autorità esterne. La sovranità deve esistere sia sul piano normativo che fattuale. Una grande varietà di comunità politiche esistite nella storia non hanno costituito Stati in tal senso, quindi non rientrano nella teoria delle relazioni internazionali ma solo in quella delle relazioni tra potenze. Sistema di Stati (o sistema internazionale): due o più Stati stabiliscono un sufficiente contatto e assumono sulle decisioni dell’altro un impatto tale da far sì che ognuno si comporti come parte di un tutto. L’interazione tra Stati può essere diretta o indiretta (trattare con uno Stato terzo), può avere la forma di cooperazione, conflitto, neutralità o indifferenza rispetto agli obiettivi altrui, può riguardare un’intera gamma di settori o solo alcuni di essi. Aron: devono coltivare relazioni regolari ed essere suscettibili di venire coinvolti in una guerra generale. Wight: distinzione tra 2 • Sistema internazionale di Stati: composto da Stati sovrani; può esserci uno Stato egemone, ma deve avere una supremazia permanente. • Sistema a Stato sovrano: un solo Stato afferma e mantiene la sua supremazia sugli altri; l’egemonia passa da una potenza all’altra ed è oggetto di disputa. Non è considerato propriamente un sistema di Stati. Distingue anche tra • Sistemi di Stati primari: composti da Stati. • Sistemi di Stati secondari: composti da sistemi di Stati, valutare se contiene Stati è che interazione hanno. Kaplan: sistema internazionale come particolare tipo di sistema di azione, per cercare di spiegare e prevedere il comportamento internazionale. Heeren: unione di Stati limitrofi, conformi per religione e cultura, vincolati tra loro per interessi reciproci → più vicino a idea di società internazionale. Società di Stati (o società internazionale): un gruppo di Stati conscio di alcuni valori e interessi in comune e dove ciascuno si concepisce vincolato da un insieme di regole comuni e partecipa al funzionamento di istituzioni condivise. Presuppone un sistema internazionale, ma non viceversa; ci possono comunque essere comunicazioni, scambi e accordi. Non sono sempre facilmente distinguibili. Le società internazionali storiche furono tutte fondate su una comune cultura o civilizzazione (lingua, religione, codice etico o tradizioni artistiche…), che rendono più facile la comunicazione e la comprensione reciproca e quindi la definizione di regole e istituzioni comuni e che rinforzano il senso di interesse comune che porta gli Stati ad accettare tali regole e istituzioni. Scopi della società degli Stati: 1) Preservazione del sistema e della società internazionale: assicurarsi di essere la forma prevalente di organizzazione politica universale. 2) Mantenimento dell’indipendenza (sovranità esterna) degli Stati: spesso è stata sacrificata per far sopravvivere la società stessa, partecipando alla società degli Stati essi sperano nel riconoscimento della propria indipendenza da parte di un’autorità esterna. 3) Pace: assenza della guerra tra gli Stati membri come condizione normale delle loro relazioni, scopo subordinato ai due precedenti, può entrare in conflitto con le esigenze della sicurezza. 4) Mantenimento degli scopi comuni di ogni esistenza sociale (vd sopra); gli Stati accettano limitazioni all’uso della violenza, pacta sunt servanda, riconoscimento reciproco della sovranità. 3. L’ordine mondiale Ordine mondiale: modelli o disposizioni dell’attività umana che sostengono gli scopi elementari o primari della vita sociale all’interno dell’umanità intesa come totalità. Solo dalla seconda metà del XIX secolo è emerso un sistema politico genuinamente globale, prima l’ordine mondiale era semplicemente la somma dei vari sistemi politici che fornivano ordine alle varie parti del mondo. Il primo sistema politico globale ha preso la forma di un sistema globale di Stati, causato dall’espansione del sistema degli Stati europei su tutto il globo e da attività prima di individui e gruppi (esplorazioni, commercio). L’ordine mondiale può essere ottenuto anche mediante altre forme di organizzazione politica universale, non solo mediante un sistema di Stati. L’ordine mondiale implica qualcosa di differente dall’ordine internazionale: l’ordine nella comunità complessiva degli esseri umani è più esteso dell’ordine tra gli Stati (perché include anche l’ordine su scala domestica e locale e quello interno al sistema politico mondiale di cui il sistema di Stati è solo una parte), è più basilare e originario (perché le unità ultime sono i singoli uomini e non gli Stati) e moralmente prioritario (ordine mondiale come valore). 5 1.3. La società internazionale mondiale XX secolo L’idea di società internazionale si riavvicina a quella dei primi secoli del sistema degli Stati. Cessa di essere una realtà europea e diventa una realtà globale o mondiale. Lorimer: distingue tra umanità civilizzata (Europa e Americhe), barbara (Stati indipendenti dell’Asia ai quali spetta un riconoscimento parziale) e selvaggia (resto del mondo, riconoscimento umano o naturale). Se la società internazionale contemporanea possiede una base culturale, non si tratta di una cultura genuinamente globale, ma è piuttosto quella della modernità, cioè quella delle potenze occidentali dominanti. Oltre allo Stato come portatore di diritti e doveri, si riconosce il ruolo delle organizzazioni internazionali e degli individui. C’è un ritorno ai principi del diritto naturale. Dal punto di vista politico e giuridico, ci si focalizza più su dei princìpi intenzionati a mostrare come gli Stati dovrebbero comportarsi piuttosto che sulla cooperazione. Le regole di coesistenza vedono il ritorno degli assunti universalisti e solidaristi. Riappare la distinzione tra cause di guerra oggettivamente giuste o ingiuste e si tenta di proibire la guerra di aggressione. Si considerano ONU, Società delle Nazioni e organizzazioni simili le istituzioni principali della società internazionale. Torna la tendenza a confondere il diritto internazionale con la moralità o il progresso internazionale. 2. La realtà della società internazionale Questa idea (groziana) della società internazionale riflette davvero la realtà? 2.1. L’elemento della società Nel sistema internazionale moderno, un elemento di società sia stato e rimane presente. Essa riflette tutti e 3 gli elementi elaborati dalla tradizione hobbesiana, kantiana e groziana; in differenti fasi storiche uno di questi può predominare sugli altri. Solo dal XIX secolo l’elemento della società internazionale è stato dominante, ma è comunque sempre stato presente, alla luce dell’influenza che esercita sugli attori per mezzo di regole comunemente accettate, interessi comuni degli Stati e istituzioni condivise. Anche durante le guerre (stato hobbesiano) o i conflitti ideologici (kantiano), l’idea della società internazionale non sparisce, ma diventa sotterranea, e continua ad influenzare la condotta degli Stati. Non vi sono conseguenze pratiche che dipendono dalla condivisione o meno della stessa idea di società internazionale da parte di diverse comunità politiche: in una società in cui si deve avere una giusta causa per fare guerra, i membri utilizzano comunque dei pretesti per coprire i loro reali intenti; Grozio distingue a proposito tra cause di guerra giustificabili e cause di guerra persuasive. Lo Stato che reclama una giusta causa, a prescindere dalla propria pretestuosità, ammette di dover offrire agli altri una giustificazione della propria condotta. Portare guerra senza nessuna spiegazione (‘guerre di selvaggi’) equivale invece a disprezzare gli altri Stati e dubitare delle aspettative. 2.2. La società anarchica Molti hanno sostenuto che l’anarchia, intesa come assenza di governo o autorità, smentisca l’esistenza della società internazionale. Elementi pro: gli Stati potrebbero formare una società solo se subordinati a un’autorità comune (come per gli individui, ‘analogia domestica’), perché senza governo essi vivono nello stato di natura hobbesiano. Elementi contro: 1) Il sistema internazionale moderno non somiglia interamente a uno stato di natura hobbesiano. In quest’ultimo: - Non può esistere agricoltura, navigazione, commercio o ogni altra forma di progresso nelle condizioni di vita, perché gli uomini sono impegnati a provvedere alla propria sicurezza → FALSO: l’assenza di un governo mondiale non impedisce lo sviluppo. - Non esistono norme giuridiche o morali → FALSO: rilevanza decisiva dell’idea di torto e ragione. 6 - È uno stato di guerra, di disposizione a combattere e tale che ogni uomo è contro ogni uomo → VERO. 2) Non è vero che la paura di un potere supremo sia la sola fonte dell’ordine dentro uno Stato, perché vi sono anche fattori come interessi reciproci, senso di comunità, volontà generale, abitudine e inerzia. Molto più affine alla descrizione lockiana. 3) Non si riconoscono i limiti dell’analogia con l’ambiente domestico: gli Stati sono molto diversi dagli esseri umani e possono tollerare un maggiore grado di anarchia, in quanto meno e non uniformemente vulnerabili agli attacchi violenti (distinzione tra grandi e piccole potenze). 3. I limiti della società internazionale L’elemento della società non è l’unico né il predominante elemento della politica internazionale e l’ordine che la società internazionale garantisce è precario e imperfetto. 3. COME SI MANTIENE L’ORDINE NELLA POLITICA MONDIALE? 1. Il mantenimento dell’ordine nella vita sociale Il mantenimento dell’ordine in qualsiasi società presuppone che tra i suoi membri vi sia la percezione di interessi comuni negli scopi elementari della vita sociale. Tale percezione può derivare da vari fattori come la paura, un calcolo razionale, l’identificazione nell’altro o la percezione di valori condivisi. Questo senso dell’interesse comune può essere vago e indeterminato; come guida precisa rispetto a quale comportamento sia da considerarsi coerente subentrano quindi le norme: princìpi imperativi e generali che obbligano o autorizzano alcune categorie di persone o gruppi a comportarsi in determinati modi. In linea di principio l’ordine nella vita sociale può essere garantito anche senza norme; bisogna quindi distinguere tra ordine nella vita sociale e norme che ne agevolano la creazione e il mantenimento. Visione marxista: le norme sostengono solo gli interessi particolari della classe dirigente. Ci sono però norme che riflettono l’interesse generale. Il ruolo delle norme dipende dalla loro efficacia: per essere efficace, una norma deve essere obbedita secondo un certo grado e considerata come una variabile nei calcoli di coloro a cui si applica. L’efficacia viene in parte garantita attraverso l’esistenza di istituzioni, che svolgono le funzioni di: - Creazione delle norme - Comunicazione delle norme: affinché il loro contenuto sia noto - Amministrazione delle norme: quando richiedono atti sussidiari per essere applicate - Interpretazione delle norme - Attuazione delle norme: al mancato rispetto si associa una pena - Legittimazione delle norme agli occhi delle persone a cui sono rivolte - Adattamento delle norme a circostanze e bisogni mutevoli - Protezione delle norme da sviluppi sociali che ne possano minare l’operatività 2. L’ordine nello Stato moderno Per rendere effettive le norme sociali elementari, lo Stato moderno può disporre di un governo. Governo: istituzione dello Stato moderno caratterizzata dalla possibilità di fare ricorso all’uso della forza fisica e di possederne il monopolio, a seguito di una sua legittimazione. Ha un ruolo centrale nello svolgimento di varie funzioni, finalizzate a preservare l’ordine, plasmando e gestendo l’ambiente sociale in cui esse operano: - Creazione delle norme: impone un imprimatur, un sigillo o approvazione sociale - Comunicazione delle norme: statuti, sentenze, applicazione, lavoro della polizia - Amministrazione delle norme: gli organi esecutivi le traducono da princìpi generali a obblighi - Interpretazione delle norme: apparato giudiziario - Attuazione delle norme: polizia, forze armate, sanzioni - Legittimazione delle norme: grazie all’influenza che possiede - Adattamento delle norme: gli organi legislativi abrogano, emendano ed emanano nuove norme - Protezione delle norme: ricorso alle forze armate, pacificazione del dissenso 7 3. L’ordine nelle società primitive senza Stato Le società primitive senza Stato, pur essendo prive di un governo e di qualsiasi istituzione politica centralizzata, presentano una forma di ‘anarchia ordinata’ ed esibiscono chiaramente un ordine, nel senso che la condotta al loro interno si conforma agli scopi elementari della coesistenza sociale. Le norme non emanano da nessuna autorità ma sorgono dalla pratica dei gruppi dinastici o locali nelle loro relazioni reciproche e sono incorporate da una consuetudine confermata da credenze morali e religiose. La conformità a tali norme è ottenuta per inerzia, condizionamento, sanzioni ‘morali’, rituali o soprannaturali. Laddove tali sanzioni siano insufficienti vi può essere un atto di autotutela da parte di gruppi che si fanno carico di certificare le infrazioni e che può portare a un conflitto tra gruppo della vittima e del colpevole. Il ricorso alla forza a seguito di un atto ritenuto violazione è riconosciuto come legittimo e la natura della forza è comunque limitata. Analogie tra le società anarchiche primitive e la società internazionale: - Permane qualche fattore di ordine anche senza un’autorità centrale - Particolari gruppi (gruppi dinastici e Stati sovrani) si assumono le funzioni che in uno Stato sono compiute dal governo per rendere effettive le norme - Vige un principio costituzionale per cui la competenza di tali funzioni è assegnata solo a certi gruppi - I gruppi politicamente competenti usano legittimamente la forza in difesa dei propri diritti - Princìpi normativi riconosciuti circoscrivono le relazioni tra gruppi politicamente competenti - Tendenza alla disgregazione della struttura normativa e della società nei periodi di lotta - Fattori operanti al di fuori della struttura normativa inducono i gruppi competenti a conformarsi ad essa. Differenze tra le società anarchiche primitive e la società internazionale: - Le unità politicamente competenti sono diverse, perché lo Stato gode di un diritto esclusivo sui cittadini - La società internazionale è culturalmente eterogenea, mentre quella primitiva è omogenea (cultura come sistema fondamentale di valori) - La cultura delle società primitive si fonda su elementi di credenza magica o religiosa e su valori sacri non criticabili. - Notevoli differenze di estensione tra i due tipi di società. Le società anarchiche primitive presentano nel complesso una maggiore coesione sociale che facilita il mantenimento dell’ordine al loro interno. 4. L’ordine nella società internazionale Nella società internazionale l’ordine non è una conseguenza solo di fattori contingenti che agirebbero anche in assenza di norme, istituzioni e interessi comuni, ma è il frutto di un senso di interesse comune per gli scopi elementari, di norme che prescrivono comportamenti ad essi conformi e di istituzioni che aiutano queste norme ad essere effettive. 4.1. Interessi comuni Il criterio dell’interesse nazionale risulta un indicatore vuoto se non vengono anche specificati quali obiettivi o fini concreti gli Stati perseguano o dovrebbero perseguire. Il mantenimento dell’ordine nella società internazionale ha come suo punto fondante l’emergere tra gli Stati di un senso di interesse condiviso negli scopi elementari della vita sociale, in quanto considerati strumentali per il conseguimento dei propri obiettivi specifici nazionali. 4.2. Norme Il senso di interesse comune non fornisce indicazioni riguardo a quale sia la condotta coerente con questi scopi; a ciò provvedono le norme che possono avere status più o meno formale. In particolare 3 complessi di norme sono importanti per mantenere l’ordine internazionale: 10 quindi non c’è conflitto con l’ordine. Il conflitto tra ordine e giustizia sorge quando non c’è consenso su ciò che la giustizia debba comportare e quindi si deve stabilire a quale vada la priorità. L’ordine è desiderabile perché è la condizione per realizzare altri valori; è prioritario, ma non per questo deve essere sempre preferito. Bisogna considerare anche in che misura la giustizia sia implicata dall’ordine esistente. Tanto più forte è il quadro di ordine internazionale, tanto più sarà capace di resistere all’attacco violento in nome della giustizia. Parte 2: L’ordine nel sistema internazionale contemporaneo 5. L’EQUILIBRIO DI POTENZA E L’ORDINE INTERNAZIONALE 1. L’equilibrio di potenza Equilibrio di potenza: disposizione delle cose per cui nessuna potenza si trova nello stato di predominare in modo assoluto e di imporre legge alle altre (generalmente potenza militare). Distinzioni tra equilibrio di potenza: • SEMPLICE: costituito da 2 potenze, esige parità in termini di potenza, ha come unico mezzo per raggiungere la parità l’aumento della propria forza intrinseca. COMPLESSO: costituito tra 3 o più potenze, non esige parità di potenza grazie alla risorsa addizionale costituita dalle altre potenza. • GENERALE: assenza di una potenza capace di dominare nell’intero sistema internazionale. LOCALE o PARTICOLARE: concentrato in un’area o in un segmento del sistema. Da non confondere con la differenza tra sistema dominante (tipo di equilibrio particolare) e subordinato, valutata in termini di influenza reciproca. • SOGGETTIVO: credenza nell’equilibrio, elemento necessario ma non sufficiente per la sua esistenza. OGGETTIVO: concreta volontà e capacità di uno Stato di resistere alle aggressioni di un altro. • FORTUITO: emerge in assenza di qualunque sforzo cosciente nell’attuarlo; può essere un momento di impasse in una lotta all’ultimo sangue. INTENZIONALE: generato almeno in parte da politiche consapevoli di una o entrambe le parti; si contiene l’altro in relazione al suo potere e si impedisce il suo predominio, facendo una stima della forza militare avversaria. Da non confondere con la distinzione tra politiche di progettazione dell’equilibrio, che sono liberamente scelte (opzione di evitare di controbilanciare una minaccia) o determinate (a una minaccia segue sempre una risposta), entrambe parte del modello intenzionale. Il passo successivo è rappresentato dalla politica di preservazione dell’equilibrio di potenza, presuppone l’abilità di percepire le potenze interagenti come parte di un unico sistema. In seguito si deve concepire l’equilibrio di potenza come scopo consapevole del sistema internazionale, che ammette una collaborazione per preservare l’equilibrio. 2. Le funzioni dell’equilibrio di potenza La preservazione dell’equilibrio di potenza ha svolto 3 funzioni storiche: • Prevenire che il sistema internazionale si trasformasse in un impero universale • Preservare l’indipendenza degli Stati, difendendoli dal pericolo di assorbimento e conquista • Fornire le condizioni per il funzionamento di altre istituzioni necessarie per l’ordine internazionale. La funzione principale dell’equilibrio di potenza è preservare il sistema degli Stati, mentre preservare la pace è un obiettivo secondario. Il principio di preservazione dell’equilibrio ha teso ad operare in favore delle grandi potenze e a danno delle piccole. C’è un paradosso nel fatto che l’esistenza dell’equilibrio sia necessaria per il funzionamento del diritto internazionale, ma le misure necessarie a mantenerlo spesso comportano la violazione del diritto internazionale: le potenze dominanti sono in grado di imporre legge alle altre e spesso per preservare l’equilibrio è necessario l’uso o la minaccia della forza. Le esigenze dell’ordine sono ritenute prioritarie a 11 quelle della legge, agli interessi delle piccole potenze e al mantenimento della pace. Alcuni capi di grandi potenze hanno comunque dimostrato virtù e buone intenzioni. Kant: solo lo Stato costituzionale è capace di una condotta virtuosa e raccomanda una coalizione tra tali Stati che espandendosi porti al dominio della politica internazionale. Acton: ruolo corruttore del potere che porta a una minaccia contenibile solo da una potenza contrapposta. Teoria della politica di potenza: ricerca del potere come interesse preponderante e comune a tutti gli Stati. Tuttavia gli Stati possono sempre scegliere se impegnarsi per il mantenimento o l’espansione della propria posizione. 3. La rilevanza attuale dell’equilibrio di potenza anni ’70 Sistema complesso: USA, URSS, Cina, Giappone. Malintesi a proposito di tale equilibrio complesso: 1) Non tutte le potenze hanno la stessa forza 2) Non hanno lo stesso tipo di influenza o di potere 3) Non sono politicamente equidistanti 4) Non c’è un concerto tra le grandi potenze interessate 5) Non è totalmente fortuito 6) Non si fonda su una cultura comune. Tali malintesi sorgono a causa della confusione tra equilibrio di potenza e sistema europeo dell’equilibrio. L’equilibrio “attuale” svolge le 3 funzioni storiche dell’equilibrio (vd sopra). 4. La mutua deterrenza nucleare Deterrenza: in generale, consiste in un Paese A che dissuade un Paese B dal fare qualcosa; implica che: 1- A comunica una minaccia di punizione a B, qualora questo decida di intraprendere determinate azioni 2- B potrebbe in effetti intraprendere tali azioni 3- B ritiene che A possa in effetti dare applicazione alla minaccia. Sono necessarie tutte e 3 queste condizioni. La deterrenza è una finalità per cui gli Stati hanno sempre cercato di impiegare la loro forza militare. Le strategie di deterrenza si sono evolute lungo 3 direttrici: la gamma di azioni da cui si vuole dissuadere l’avversario, la priorità data alla deterrenza nella politica statale, la forza minacciata per produrre la dissuasione. Scegliere tra deterrenza limitata o estesa. Tra USA e URSS, la deterrenza è stata prefigurata come unico oggetto possibile della politica nucleare (deterrence only), deterrenza più difesa (deterrence plus defence) o contenimento del danno (damage limitation). La forza richiesta per attuare la deterrenza è valutata non solo in relazione alle armi nucleari, ma anche convenzionali. Mutua deterrenza: due o più potenze si dissuadono a vicenda dal fare un ampio numero di cose per mezzo di un’ampia gamma di minacce. Mutua deterrenza nucleare: quasi-istituzione affermatasi dagli anni ’50, condizione in cui 2 o più potenze si dissuadono reciprocamente dal portare deliberatamente un attacco nucleare per mezzo della minaccia di una ritorsione nucleare. Può essere binaria o complessa, locale o complessiva, fortuita o pianificata. 5.La mutua deterrenza nucleare e l’equilibrio di potenza Differenze tra la mutua deterrenza e l’equilibrio di potenza consapevole: - La mutua deterrenza nucleare è solo una parte della relazione di equilibrio di potenza. - La mutua deterrenza non richiede una parità in termini di forza militare, basta che ciascuna potenza abbia una forza nucleare sufficiente a colpire. Anche le alleanze hanno il solo scopo di mantenere un livello sufficiente a rendere effettiva la dissuasione. - La mutua deterrenza è essenzialmente soggettiva, fatta di credenze e bluff. - La mutua deterrenza nucleare ha come scopo il mantenimento della pace. 12 6. Le funzioni della mutua deterrenza nucleare La mutua deterrenza nucleare tra USA e URSS ha svolto le funzioni di: 1) Agevolare la preservazione della pace nucleare. 2) Facilitare il mantenimento della pace anche per conflitti non nucleari. 3) Mantenere un equilibrio di potenza generale facilitando la stabilizzazione di quello dominante. La preservazione della mutua deterrenza nucleare contribuisce al mantenimento della pace, ma entro certi limiti: 1) La relazione di mutua deterrenza deve essere stabile, dal punto di vista tecnologico, politico e psicologico. 2) Rimangono pericoli sulla possibilità che la guerra nucleare si scateni accidentalmente o per errori valutativi. 3) Non può agire per il contenimento o il controllo di una guerra nucleare già scoppiata. 4) Presuppone che gli uomini agiscano in maniera razionale. 5) Non significa che a sicurezza internazionale sia rafforzata dalla presenza di armi nucleari su entrambi i fronti. 6) Impedisce nel lungo periodo di fondare l’ordine internazionale su una base migliore. 6. ORDINE INTERNAZIONALE E DIRITTO 1. La natura del diritto internazionale Diritto internazionale: corpo di norme che vincolano gli Stati e gli altri attori della politica mondiale nelle loro relazioni reciproche e al quale viene generalmente attribuito status giuridico. Alcuni lo definiscono come un particolare tipo di processo sociale, dal momento che comporta considerazioni di natura etica, politica e sociale. La definizione avanzata lo descrive come un corpo di norme che governano la mutua interazione tra gli Stati e anche tra gli altri attori della politica internazionale (individui, gruppi diversi dallo Stato, organizzazioni internazionali). Norme: proposizioni imperative generali. Corpo di norme: insieme di norme logicamente connesse tra loro in modo da esprimere una struttura comune. Nonostante sia parte della realtà sociale, il diritto internazionale è inintelligibile senza un corpo di norme. Questione dello status giuridico: alcuni argomentano che per ottenerlo una legge debba essere il prodotto di sanzioni, forza o coercizione (Austin: diritto come ordine di un sovrano). A differenza del diritto interno, il diritto internazionale non è sostenuto dall’autorità di un governo. Due gruppi di teorici, che sostengono che: • Il diritto internazionale, sebbene operante in assenza di un governo mondiale, è comunque fondato su sanzioni, forza o coercizione. Kelsen: il diritto deve stabilire un monopolio coercitivo della comunità; nella società internazionale le sanzioni sono applicate dai singoli membri secondo un principio di autotutela, che è una forma di coercizione; riconosce che la società internazionale possa contenere elementi di un meccanismo centralizzato di attuazione del diritto, rimanendo comunque relativamente decentrato; intima connessione tra efficacia del diritto ed equilibrio di potenza; la guerra ha spesso la conseguenza di far valere effettivamente il diritto, ma non è il suo primo fine. Problema: la società internazionale fatica a raggiungere un consenso su quale delle parti in guerra rappresenti il trasgressore e quale la comunità internazionale; per Kelsen la guerra può essere solo delitto o sanzione, ma raramente la società internazionale si mobilita sulla base di tali interpretazioni. • Il diritto internazionale non è fondato sulla coercizione, mettono in discussione lo stesso presupposto per cui debba comportare sanzioni, forza o coercizione, concezione che deriva dal diritto interno tuttavia le sanzioni non sono caratteristiche necessarie della norma giuridica in quanto tale. Hart: la concezione del diritto come ‘ordine sostenuto da minace’ è a volte inapplicabile allo stesso diritto interno; un sistema giuridico è caratterizzato dall’unione di norme primarie (che impongono 15 Allargare il campo d’azione a nuove questioni permette di fornire i mezzi per fronteggiare nuovi tipi di minacce alla stabilità, ma questo passaggio da diritto di coesistenza a diritto di cooperazione non significa che il primo sia diventato più sicuro e stabile. Nell’ambito dell’uso della forza, le norme che ne limitano l’uso sono in disaccordo con la prassi, segnando il declino del contributo del diritto internazionale alla restrizione della violenza in generale. Il monopolio della violenza legittima oggi deve affrontare minacce provenienti dai gruppi politici non statali che usano comunque la forza (terrorismo) e la rivendicazione delle OI del diritto di usarla. 8. Le fonti del diritto internazionale Lo spostamento verso il consenso generale può rafforzare l’ordine, ma solo se si manifestasse abitualmente una solidarietà estremamente diffusa in relazione alla questione considerata. Se invece tale consenso non esistesse e ci fosse una divisione in gruppi contendenti, uno dei quali pretendesse di rappresentare il consenso generale e agisse di conseguenza, il risultato non sarebbe dare sostegno alle norme derivanti dall’assunzione del consenso generale, ma anzi minare la stabilità delle norme tradizionali che assumono la mancanza di un tale tipo di consenso. La dottrina del consenso generale deve assicurarsi che il diritto internazionale sia strettamente legato alla prassi degli Stati. 9. Il ruolo del giurista internazionale Il diritto può diventare più efficace ai fini dell’ordine se i giuristi possono adattarlo alle trasformazioni dei valori etici, politici e morali, ma non devono perdere di vista il loro compito essenziale, cioè l’interpretazione delle norme legali esistenti. Si può ammettere che il lavoro dei giuristi sia sempre influenzato dalle loro opinioni e cha a volte ciò sia auspicabile, ma bisogna mantenere la distinzione tra le norme della condotta internazionale che hanno uno status giuridico e quelle che non lo hanno. In conclusione, il risultato conseguito oggi dal diritto internazionale non è aver consolidato l’elemento dell’ordine nella società internazionale, ma piuttosto aver aiutato a preservare il quadro dell’ordine internazionale esistente. Il diritto internazionale a cui più o meno tutti gli Stati oggi garantiscono il proprio assenso è ancora in grado di esercitare le sue funzioni tradizionali. 7. DIPLOMAZIA E ORDINE INTERNAZIONALE 1. La diplomazia Diplomazia: la condotta delle relazioni tra Stati e altre entità rilevanti della politica mondiale da parte di agenti ufficiali e attraverso l’uso di mezzi pacifici. (Altre definizioni: gestione di queste relazioni per mezzo di diplomatici professionisti attraverso il negoziato; gestione delle relazioni tra Stati condotta in modo ‘diplomatico’ ovvero sottile e pieno di tatto.) Il termine di diplomazia va applicato anche alle relazioni tra altre entità politiche rilevanti nel sistema mondiale, non solo agli Stati. Il nucleo dell’attività diplomatica tradizionale è consistito nelle relazioni ufficiali tra Stati sovrani, pertanto è incerto come applicare norme e procedure sviluppate nella storia della diplomazia interstatale a entità politiche diverse dallo Stato sovrano, nonostante la rilevanza di tali attori sia indubbia. Per superare la questione, la diplomazia è stata definita come “la pratica delle relazioni esterne di ciascun soggetto di diritto internazionale con qualsiasi altro soggetto simile, condotta attraverso organismi rappresentativi e mezzi pacifici”, ma vi è un esteso dissenso su quali siano i soggetti di diritto internazionale. La forma primitiva della diplomazia consiste nella trasmissione di messaggi tra comunità politiche indipendenti. Oggi bisogna tenere presente 3 distinzioni sulla diplomazia: • FORMULAZIONE: include la raccolta e la valutazione di informazioni sull’ambiente internazionale e la considerazione di linee politiche alternative. 16 ESECUZIONE: comprende la comunicazione agli altri governi e popoli della linea di politica estera decisa e i tentativi di spiegazione e di giustificazione di essa. • RELAZIONI BILATERALI: formalmente legano uno Stato/governo a un altro, ma nella prassi includono anche dei legami tra ‘popoli’, tra un sistema politico e un altro. RELAZIONI MULTILATERALI: la condotta degli affari tra 3 o più Stati per la comune risoluzione dei problemi; può assumere la forma di conferenze tra 2 o più Stati, oppure di conferenze permanenti, cioè di OI. Se un organismo internazionale occupasse una posizione tale da rendere i legami di ogni Stato con sé più importanti delle relazioni tra di essi, sarebbe segno della scomparsa del sistema degli Stati. • AD HOC: negoziazione di un determinato affare. ISTITUZIONALIZZATA: contatti mantenuti indipendentemente dai particolari temi affrontati e condotti sulla base di regole e convenzioni ben comprese da tutti. • DIPLOMATICA: relazioni tra i governi di due Paesi. CONSOLARE: relazioni tra privati cittadini di un Paese e governo o cittadini di un altro. La diplomazia presuppone l’esistenza sia di un sistema che di una società internazionale (esigenza di norme e convenzioni in comune), ma la società non presuppone necessariamente l’esistenza di istituzioni diplomatiche. Callières (1700): ha formulato la più importante analisi generale della diplomazia e del suo ruolo. Riteneva che ogni principe avesse un bisogno continuo di negoziazione nella forma di ambasciate permanenti. Il negoziato doveva essere continuo, universale e condotto in maniera professionale. I negoziatori non dovevano appartenere a professioni ecclesiastiche, militari o giuridiche; il loro ruolo è assicurare che gli interessi dei principi trionfino sulle loro passioni. Per mezzo della ragione e della persuasione devono portare il principe ad agire in base ad un vero riconoscimento dei suoi interessi e a riconoscere gli interessi condivisi. L’ambasciatore deve agire in base alla razionalità, nel senso di un’azione coerente sia internamente sia rispetto a determinati scopi. 2. Le funzioni della diplomazia 1) Agevola le COMUNICAZIONI tra i leader politici degli Stati e delle altre entità rilevanti della politica mondiale; il compito essenziale è quello di essere messaggeri, per permettere il quale è riconosciuta l’immunità diplomatica dell’inviato. 2) NEGOZIAZIONE degli accordi: determinare l’area di convergenza degli interessi e renderne le parti consapevoli con ragionamento e persuasione. Dipende dalla misura in cui uno Stato concepisce la propria politica estera come un razionale perseguimento di interessi. 3) RACCOLTA DI INFORMAZIONI e conoscenze sui Paesi stranieri: ognuno cerca di negare alcuni dati su di sé e ha interesse a fornirne degli altri. 4) MINIMIZZARE gli effetti delle FRIZIONI, date dalla giustapposizione di comunità politiche differenti, osservando le convenzioni nei suoi rapporti con gli ufficiali stranieri e influenzando la politica del suo stesso Stato. I diplomatici per costruire fiducia reciproca dovrebbero essere sempre sinceri, ma devono tuttavia evitare di esplicitare dati troppo crudi. 5) Essere un SIMBOLO dell’esistenza della SOCIETÀ degli Stati: i diplomatici sono espressione di norme comuni. 3. La rilevanza attuale della diplomazia Molti sostengono che dalla 1GM il ruolo dei diplomatici sia in declino, dal momento che: - L’ambasciatore residente è scavalcato dai capi di governo e dagli altri ministri, che spesso si incontrano direttamente, da missioni speciali di ufficiali civili del suo Paese o da altre missioni permanenti. Alcuni prevedono che nei casi in cui tra 2 Stati vi siano relazioni molto strette e intime e non ostili, l’istituzione della missione diplomatica potrebbe sparire. - La diplomazia bilaterale è in declino, a differenza di quella multilaterale che cresce grazie al proliferare di OI; più che un declino, questo è un cambiamento del ruolo del diplomatico. Questo aspetto riflette un declino del negoziato, sostituito da una ‘politica dello stato di guerra’ (tipica dei periodi di basso 17 consenso e caratterizzata da appelli impliciti a Stati terzi e da un contesto oratorio) e dalla gestione tecnica (cercare i mezzi più efficienti per raggiungere uno scopo) dei problemi internazionali. L’efficacia della diplomazia diminuisce non solo dall’aumento di situazioni dove gli Stati non percepiscono nessun interesse in comune, ma anche dove considerano i propri interessi identici. - Le istituzione diplomatiche sono in declino perché, nonostante il consolidamento e l’estensione delle forme legali in cui norme ed istituzioni si esprimono, è molto diminuita la loro osservanza. Nicolson è convinto che il declino della vecchia diplomazia sia un evento deplorevole; tuttavia egli non prende in considerazione i cambiamenti generali della vita internazionale che hanno reso necessaria la nuova diplomazia, quali la mobilitazione politica di masse popolari e la crisi del consenso tra le grandi potenze europee. Il declino della diplomazia professionale è sia causa che effetto di un più generale decadimento delle condizioni dell’ordine internazionale. 3.1. Comunicazione In passato il messaggero era necessario per la comunicazione, mentre ora è soppiantato da incontri diretti o da mezzi tecnologici. I diplomatici tuttavia non devono solo convogliare informazioni, ma anche umori e intenzioni, relazionandosi al contesto e valutando linguaggio e occasione più opportuni. Sono specialisti nella comunicazione precisa e accurata. 3.2. Negoziato Anche la negoziazione può avvenire senza la mediazione dei diplomatici, ma il loro ruolo resta importante perché spesso la conclusione degli accordi deriva da un lungo processo di ricognizione, prova e verifica delle proposte condotto dai diplomatici; sono anche depositari di competenze e tecniche nell’attività negoziativa. 3.3. Informazione La raccolta di notizie può avvenire attraverso una certa varietà di mezzi; tuttavia il diplomatico ha una competenza particolare nella raccolta delle informazioni relative alle opinioni e agli orientamenti delle politiche di un Paese e conosce le personalità, al situazione corrente e le sue possibilità di sviluppo. Tale tipo di conoscenza può essere ingannevole se non affiancato da una comprensione delle società straniere nel loro complesso e delle tendenze di lungo periodo. 3.4. Minimizzare le frizioni Anche questa funzione può svolgersi senza il ruolo dei diplomatici, che tuttavia hanno cercato di adattare a tale esigenza il proprio ruolo e di incorporare tradizioni e convenzioni. Il negoziatore ideale deve essere calmo, paziente e di buon temperamento e tale era considerato anche ai tempi di Callières. 3.5. Funzione simbolica Simboleggiare l’esistenza della società di Stati e rappresentare l’elemento di unità nell’organizzazione politica dell’umanità spetta anche alle OI a carattere universale. Le relazioni diplomatiche presuppongono per natura il riconoscimento reciproco dei diritti di sovranità, indipendenza e uguaglianza degli Stati. La professione diplomatica è custode dell’idea di società internazionale e ha a cuore il suo sviluppo; si è parlato di ‘collegialità’ della professione diplomatica, ma è in declino. Uno dei pochi segni restanti dell’accettazione universale dell’idea di società internazionale è la volontà degli Stati di abbracciare procedure diplomatiche spesso arcaiche e incomprensibili. 8. LA GUERRA E L’ORDINE INTERNAZIONALE 1. La guerra 20 Ranke: definisce lo status militare delle grandi potenze in termini di autosufficienza o indipendenza dagli alleati, definizione troppo vaga. Sia USA che URSS possono fare a meno di alleati, ma sono entrambi fisicamente vulnerabili a un attacco nucleare e quindi non possono, come nemmeno gli altri Stati, garantire la propria sicurezza in maniera unilaterale. Inoltre vi sono numerose piccole e medie potenze neutrali o non allineate, che però possono provvedere alla propria sicurezza senza alleati solo finché gli altri Stati preservano l’equilibrio generale di potenza. - Devono essere riconosciuti come detentori di particolari diritti e doveri da parte degli altri membri della società internazionale, della propria classe politica e popolazione. L’idea di grane potenza presuppone quindi l’idea di una società internazionale distinta dal sistema internazionale, ovvero caratterizzata da norme e istituzioni comuni, dal contatto e dall’interazione. Superpotenza: termine introdotto dopo la 2GM, riconosce la comparsa di una nuova classe di potenze, superiori alle tradizionali potenze europee, e capaci da sole di assumere il ruolo di direzione della politica internazionale. Di fatto non aggiunge niente di nuovo al concetto di “grande potenza”. È erroneo definire le grandi/superpotenze in relazione al possesso di armi nucleari strategiche. Anni ’70: superpotenze USA, URSS (nella pratica ha una percezione dei diritti e doveri delle grandi potenze) e Cina (però debole militarmente e percepisce diritti e doveri, ma non quanto l’URSS). Si tratta quindi di un’accettazione solo informale di diritti e doveri. 2. Il ruolo delle grandi potenze Il contributo delle grandi potenze all’ordine deriva dalla disparità di potere tra gli Stati del sistema internazionale, che ha l’effetto di semplificare il modello delle relazioni internazionali facendo prevalere volontà e richieste degli Stati forti a scapito di quelle degli Stati deboli. Inoltre le grandi potenze possono promuovere l’ordine praticando politiche in suo favore (o contro di esso); possono svolgere questa funzione soprattutto in 2 modi tra loro interconnessi: gestendo le relazioni reciproche e sfruttando la propria posizione di preponderanza per imporre un certo livello di direzione centralizzata agli affari della società internazionale. Gestione delle relazioni reciproche: 2.1. Preservazione dell’equilibrio generale Implica le azioni volte a conservare l’equilibrio generale di potenza e a garantire le condizioni di esistenza del sistema degli Stati. Questo equilibrio generale ha come condizione necessaria le grandi potenze e le azioni intraprese per difenderlo dipendono principalmente da misure negoziali. 2.2. Prevenzione e controllo delle crisi La gestione delle relazioni tra le grandi potenze deve comprendere le azioni volte ad evitare crisi che possano portare a una guerra, oppure a controllarle qualora si verifichino: include cioè le misure che gli Stati possono attuare in queste situazioni. Tuttavia non sempre le grandi potenze sono interessate ad impedire o a soffocare le crisi e a volte le crisi stesse possono ricoprire un ruolo costruttivo in relazione agli scopi dell’ordine internazionale. Inoltre, le misure per controllare ed evitare le crisi sono una parte essenziale anche nelle relazioni dirette tra le grandi potenze (e non solo quindi nella gestione delle relazioni tra le grandi potenze). Nei casi in cui le potenze sono state alleate di parti opposte di un conflitto locale, hanno cercato di contenere i rispettivi alleati o consociati. Sia USA che URSS si sono poi astenuti dall’intervento diretto in un certo numero di conflitti al di fuori delle proprie zone di influenza, in casi in cui un loro intervento avrebbe coinvolto l’altro. Nei confronti diplomatici diretti hanno talvolta agito con cautela e auto-limitazione, evitando atteggiamenti provocatori e concedendosi a vicenda una via d’uscita relativamente dignitosa (vd Crisi dei missili). Il concetto di azione congiunta per evitare o controllare le crisi comprende varie possibilità, suddivise da Holbraad tra: - Azioni parallele ma non coordinate 21 - Azioni con un certo elemento di coordinazione di politiche parallele - Azioni programmate congiuntamente e diplomaticamente o militarmente eseguite (caso estremo). Bisogna poi valutare in che misura queste strategie di controllo, unilaterali e congiunte, possano essere formulate come princìpi generali o norme. USA e URSS hanno sviluppato delle regole operative di gioco nel corso degli anni, la cui esistenza è dimostrata dal fatto che le due potenze abbiano seguito una condotta conforme ad esse, ma è comunque difficile valutarne il contenuto. Evitare e controllare le crisi è il compito perenne delle grandi potenze in relazione all’ordine internazionale. 2.3. Contenimento della guerra Comprende le misure prese per prevenire o contenere una guerra; oltre a preservare l’equilibrio e ad evitare o controllare le crisi pericolose. I tentativi di prevenzione includono le pratiche volte a impedire una guerra per errore, ridurre le incomprensioni, risolvere le dispute con il negoziato, controllare la competizione militare, prevenire guerre tra potenze minori che si potrebbero espandere e nel caso limitarne l’espansione, gestire le relazioni degli Stati minori tra loro e con le grani potenze. Le strategie di contenimento di guerre già scoppiate tra le grandi potenze comprendono la distinzione tra conflitti convenzionali e nucleari, la conservazione di limiti alla guerra nucleare, il mantenimento di canali di comunicazione, del comando effettivo e del controllo delle forze militari. Tali misure possono essere adottate unilateralmente o con lo sviluppo di regole procedurali o di intese tacite. Sfruttando la propria posizione di preponderanza: 2.4. L’esercizio unilaterale del predominio locale Lo sfruttamento unilaterale del predominio politico si distingue in: • DOMINIO: si caratterizza per l’uso abituale della forza da parte di una grande potenza nei confronti degli Stati minori che formano il suo contesto politico, e per l’abituale rifiuto delle norme universali del comportamento interstatale. La grande potenza tratta i piccoli Stati o quasi-Stati come membri di seconda classe della società internazionale. • PRIMATO: la preponderanza viene acquisita senza nessun ricorso alla forza o alla sua minaccia e senza un particolare rifiuto alle norme universali interstatali; la posizione di primato è liberamente concessa da parte degli Stati minori. • EGEMONIA: il ricorso alla forza e alla minaccia persistono, ma in maniera occasionale e riluttante, senza rifiutarli in linea di principio ma preferendo fare affidamento su strumenti diversi. Caratterizza le relazioni tra URSS e Stati dell’Europa orientale (dottrina Breznev) e tra USA e Paesi dell’America centrale e dei Caraibi: entrambe le potenze hanno voluto assicurare che il loro intervento è stato parte di un’azione collettiva e non unilaterale e hanno giustificato i loro interventi facendo riferimento a princìpi come pace e sicurezza; inoltre entrambe le egemonie producono un certo tipo di ordine. 2.5. Sfere di influenza, interesse e responsabilità Le grandi potenze contribuiscono all’ordine internazionale anche accordandosi nella delimitazione delle aree di influenza, di interesse e di responsabilità. La funzione più semplice è confermare le grandi potenze interessate nelle rispettive posizioni di predominio locale e di evitare collisioni tra loro. Lindley: ha individuato 3 tipi fondamentali di accordo: - Tra potenze coloniali che si riconoscono reciprocamente un diritto esclusivo in aree risultanti territorium nullius o abitate da gruppi non identificabili come Stati sovrani. - Tra potenze coloniali riguardo al territorio di uno Stato terzo, assegnato in tutto o in parte alla sfera di una sola potenza, generalmente per fini di sfruttamento economico. - Tra una potenza coloniale e uno Stato locale, dove quest’ultimo accetta di non cedere territorio o fare concessioni a nessuno Stato terzo. Riguardo alle intese relative alle sfere di influenza, bisogna distinguere tra: • ACCORDI DI FATTO: due potenze riconoscono la rispettiva preponderanza in qualche area. ACCORDI DI DIRITTO: riconoscono i rispettivi diritti nell’area. 22 La distinzione tra essi non è sempre chiara; le potenze possono considerarsi detentrici di diritti derivanti da regole del gioco; possono elaborare un codice di comportamento per evitare le collisioni pericolose ma senza formalizzarlo, ma piuttosto confermandolo unilateralmente. • ACCORDI CHE CONCEDONO DIRITTI SPECIFICI E LIMITATI ACCORDI CHE CONCEDONO ‘MANO LIBERA’: implica la volontà reciproca di ogni potenza di disinteressarsi completamente a ciò che l’altra compie nella sua sfera, all’interno di alcuni limiti dati per scontati. • ACCORDI POSITIVI: stabiliscono una divisione del lavoro tra le parti nelle esecuzioni di un obiettivo comune, stabilendo quindi delle sfere di responsabilità. ACCORDI NEGATIVI: ogni potenza cerca di escludere le altre dalla sua sfera di operazioni. Lippman: divisione del mondo in quattro sistemi regionali, cioè aree di responsabilità, al cui interno una grande potenza (o una combinazione di esse) avrebbe dovuto garantire il mantenimento della pace. Ciascuna potenza minore avrebbe dovuto accettare la protezione della grande potenza a cui era stata assegnata la sua regione e rinunciare ad alleanze con potenze di altre regioni. Gli interessi delle piccole potenze avrebbero dovuto essere garantiti dalle politiche di ‘buon vicinato’ delle rispettive grandi potenze. Sfere di influenza di USA e URSS: senza accordi formali, rispettano i diritti delle regole del gioco, conferiscono solo diritti limitati e specifici, gli accordi sono di tipo negativo; tali sfere sono stabilite da lotta e competizione, da cui poi scaturisce una norma procedurale. 2.6. Il concerto o condominio delle grandi potenze Le grandi potenze si possono accordare anche sull’unione delle loro forze nella promozione di politiche comuni all’interno del sistema internazionale nel suo complesso. ‘Concerto’ è il termine migliore, perché ‘condominio’ implica l’idea di un governo congiunto e ‘co-imperio’ d una gerarchia formale degli Stati. Non c’è stato nessun tentativo di formalizzare un concerto sovietico-americano. 3. Le grandi potenze oggi USA e URSS contribuiscono a sostenere un certo ordine, ritenuto però ingiusto da altre potenze come la Cina. Le grandi potenze possono svolgere i loro compiti di direzione solo se godono di un consenso da un numero di Stati ampio abbastanza da garantirne la legittimità. Le condizioni in base a cui le superpotenze possono legittimare il loro ruolo sono: il divieto a formalizzare e rendere integralmente esplicita la propria posizione speciale; il divieto a rendersi responsabili di grosse fonti di disordine; il tentativo di soddisfare alcune domande di giusto cambiamento; dove la posizione politica delle grandi potenze è limitata da potenze secondarie di grande peso, tentativo di lasciare spazio ad esse. Parte 3: Le strade alternative verso l’ordine mondiale 10. LE ALTERNATIVE AL SISTEMA DEGLI STATI CONTEMPORANEO 1. Forme alternative del sistema degli Stati Cambiamenti nella struttura politica del mondo che sono però solo una transazione da una fase all’altra del sistema degli Stati. 1.1. Un mondo disarmato Prevede che nello stadio finale di un processo di disarmo progressivo gli Stati sovrani cesserebbero di possedere armi e forze militari, fatta eccezione per le questioni di sicurezza interna. Ciò non comporterebbe la scomparsa del sistema degli Stati; lo farebbe se ad esso fosse accompagnato lo sviluppo di un’autorità mondiale detentrice del controllo sulla forza. Proposto da Litvinov. Argomento in favore: secondo la ‘forma forte’, il disarmo totale renderebbe la guerra materialmente impossibile; secondo invece la ‘forma debole’, la renderebbe comunque meno probabile. Obiezione: è irrealizzabile, non solo perché prevede il mantenimento di forze di sicurezza interna, ma anche perché gli Stati potrebbero condurre una guerra a livello primitivo e potrebbero reinventare o ricordare le armi abolite. Un trattato di disarmo può solo proibire certi specifici tipi di armi e forze armate, con l’effetto di aumentare l’importanza strategica di ciò che è lasciato fuori dal trattato. 25 - Governo mondiale realizzato per mezzo della conquista, cioè su una “sfida all’ultimo sangue” tra le grandi potenze e basato sul dominio della potenza conquistatrice. - Governo mondiale come conseguenza di un contratto sociale tra gli Stati, cioè una repubblica universale o una cosmopoli fondata su una forma di assenso o consenso. Potrebbe fondarsi rapidamente (come dopo una catastrofe) o gradualmente. Non è mai esistito un governo del mondo, ma spesso c’è stato un governo supremo su buona parte del mondo conosciuto. Argomento in favore: sostiene che il modo migliore per garantire l’ordine tra gli Stati consiste nel ricorrere agli stessi mezzi con cui si stabilisce l’ordine tra i singoli individui all’interno dello Stato, ovvero attraverso la creazione di un’autorità suprema. Argomento contro: afferma che, sebbene riesca a ottenere un ordine più stabile, il governo mondiale si dimostra nocivo nei confronti della libertà o dell’autonomia. La questione del governo mondiale sembra fondarsi sull’attribuzione di una priorità allo scopo dell’ordine rispetto alla giustizia umana o internazionale. In ogni caso, il sistema degli Stati offre prospettive migliori del governo mondiale anche per quanto riguarda il raggiungimento dell’ordine. 2.4. Un nuovo Medioevo È possibile che gli Stati sovrani scompaiano, sostituiti da una versione moderna e secolarizzata del tipo di organizzazione politica universale esistente nell’Occidente cristiano durante il Medioevo. In quel sistema nessuno Stato e nessun governatore potevano dirsi sovrani nel senso moderno, ovvero detentori di una suprema autorità sopra un dato territorio e popolazione. Ognuno era obbligato a condividere la sua autorità. Non è privo di senso immaginare una versione moderna e secolare di quel modello, che ne comprenda però le caratteristiche fondamentali: un sistema di autorità sovrapposte e di lealtà multiple. È riconosciuto che oggi gli Stati sovrani condividono il campo della politica mondiale con altri attori; se tale condivisione dovesse proseguire ed evolversi anche dal punto di vista della lealtà dei cittadini e dell’autorità su di essi, allora una forma di ordine politico universale neomedievale avrebbe preso il sopravvento. Argomento in favore: questo modello si propone di eludere i classici pericoli del sistema di Stati sovrani, per mezzo di una struttura di autorità sovrapposte e lealtà incrociate che riuscirebbe a legare insieme tutti i popoli in una società universale, evitando la concentrazione di potere del governo mondiale. Argomenti contro: non ci sono garanzie che sia un modello più ordinato e stabile del sistema di Stati sovrani. 2.5. Alternative non conformi ad alcun precedente storico È possibile la nascita di un sistema che non sia conforme a nessun modello citato, alla luce del progresso o declino tecnologico, morale, politico, scientifico o da catastrofi militari, economiche o ecologiche. 11. IL SISTEMA DEGLI STATI È IN DECLINO? 1. Un sistema senza società Non è difficile immaginare una situazione in cui il sistema degli Stati cessi di dare vita a una società internazionale, a causa di tensioni ideologiche, tra Stati ricchi e poveri, per la scarsità delle risorse o fattori accidentali. Vi sono però anche dei fattori che sostengono la sua continuità: il quadro generale di norme e istituzioni è infatti sopravvissuto nonostante tutti gli eventi del XX secolo e i nuovi Stati hanno in generale sempre accettato le strutture e i princìpi fondamentali del sistema. Nella società internazionale non esiste un consenso generale riguardo alla necessità dell’equilibrio di potenza o sul suo mantenimento, ma si può affermare che tuttavia un equilibrio generale di potenza esiste, fondato sulla relazione di mutua deterrenza USA-URSS. Anche l’ONU è sopravvissuta, come simbolo dei valori e interessi comuni nel sistema. 2. Stati senza sistema 26 È plausibile la situazione in cui gli Stati esistano, ma senza dar vita a un unico sistema globale: sarebbe un ritorno alla situazione pre XIX secolo. La scomparsa del sistema potrebbe realizzarsi solo in conseguenza di un collasso della nostra odierna civiltà scientifica, industriale e tecnologica. Tuttavia è difficile pensare che possa fallire il sistema degli Stati. È possibile osservare nella politica contemporanea un maggiore regionalismo, sia riguardo all’organizzazione di pace e sicurezza, sia degli affari economici internazionali, come avverrebbe con la divisione in sfere di influenza sotto la responsabilità delle grandi potenze, che manterrebbero tra loro una forma di cooperazione molto allentata. Questa visione è però molto lontana dal rappresentare uno stato di cose in cui non esiste un sistema di Stati globale; la caratteristica essenziale non è l’esistenza di organizzazioni internazionali, ma da un’interazione globale tra Stati. 3. Un governo mondiale Gli Stati sovrani non accetteranno nel XX secolo di sottomettersi a un governo mondiale fondato sul consenso, anche perché la necessità di raggiungere una tale soluzione avrebbe creato le condizioni per renderla possibile. L’idea che un governo mondiale possa formarsi a seguito di una catastrofe presume che in una situazione tale il comportamento internazionale debba essere più “razionale”. Dilemma: Kant e altri sostengono che gli Stati sovrani siano posti in uno stato di natura hobbesiano e che per uscirne si debbano subordinare a un governo comune, ma una cosa esclude l’altra. Pertanto lo schema di un governo mondiale è realistico solo ammettendo che le relazioni internazionali non riflettano uno stato di natura hobbesiano. Nel passato l’ipotesi del governo mondiale per mezzo di conquista sembrava un’eventualità più probabile di quella del consenso; nel XX secolo però la possibilità di un governo mondiale tramite conquista sono scarse, perché: - Lo stallo nucleare aumenta notevolmente la stabilità dell’equilibrio centrale e chi possiede il nucleare può prevenire così i tentativi di attacco. - È emerso un equilibrio di potenza complesso o multilaterale, che ha accresciuto la stabilità dell’equilibrio di potenza generale. - È rilevante l’attivismo politico dei popoli del mondo, specialmente espresso nella forma del nazionalismo. 4. Un nuovo Medioevo Bisogna valutare se l’invasione nel campo della sovranità da parte delle altre consociazioni è tale da rendere la supremazia dello Stato solo fittizia. Ci sono 5 caratteristiche che dimostrano che è in atto un tale corso delle cose. 4.1. L’integrazione regionale degli Stati Tendenza di alcuni Stati a cercare di integrarsi in unità più ampie, come la CEE e l’integrazione europea. Argomento contro: se l’integrazione europea portasse alla nascita di un unico Stato europeo, l’esito sarebbe di ridurre il numero degli Stati sovrani, lasciando però inalterata l’istituzione stessa dello Stato sovrano. Tale Stato europeo sarebbe più pacifico e rispettoso della legge rispetto agli Stati che gli hanno reso la loro sovranità; tuttavia il movimento per l’integrazione europea riflette l’ambizione anche dei cittadini che, in un mondo di Stati continentali come le superpotenze, vogliono realizzare un’entità politica che permetta loro di impegnarsi con maggiore efficienza nell’esercizio della politica di potenza; non viene nemmeno riconosciuto l’aspetto della connessione tar lo sviluppo di un’Europa federale e di un’identità europea. Può essere utile guardare al processo nella sua fase intermedia per notare come esso vada a mutare il sistema degli Stati: è possibile che il percorso di integrazione europea arrivi a un punto in cui non si possa 27 ancora parlare di Stato europeo, ma ci sia al contempo un dubbio sul fatto che la sovranità risieda nel governo nazionale o negli organi della “comunità”. Da tale incertezza sulla sede della sovranità si potrebbe verificare un piccolo spostamento verso un “nuovo Medioevo”. In Europa ciò non comporterebbe la scomparsa del sistema degli Stati, ma solo l’esistenza di un’entità ibrida. 4.2. La disintegrazione degli Stati Tendenza degli Stati a mostrare segni di disintegrazione, soprattutto per rivendicazioni di autonomia locale o di rottura di uno Stato e nascita di uno nuovo. Anche tale fenomeno sarebbe rilevante in una fase intermedia: se nuove unità dovessero sorgere fino a mettere in dubbio la sovranità effettiva degli Stati esistenti e se rinunciassero al contempo alla pretesa di avere per sé la sovranità, l’istituzione della sovranità stessa sarebbe in declino. Tuttavia l’inerzia del sistema degli Stati genera un circolo al cui interno sono confinati i movimenti per la creazione di nuove comunità politiche; il processo si concluderebbe semplicemente con la creazione di nuovi Stati sovrani. 4.3. La restaurazione della violenza internazionale privata Ricorso alla violenza da parte di gruppi diversi dallo Stato e che rivendicano tale ricorso come un proprio diritto. Il monopolio statale sulla violenza legittima è stato violato da OI che hanno rivendicato il diritto all’esercizio della forza in ambito internazionale; l’OI può venire però considerata semplicemente come l’agente di un gruppo di Stati cooperanti. Una violazione più importante è quella di violenza da parte di gruppi politici che non sono Stati sovrani e nemmeno autorità legittime e non usano la violenza solo nei confronti di un governo, ma anche di cittadini e diplomatici. Manca inoltre una solidarietà tra Stati a riconoscere come illegittimo tale ricorso alla forza. I Paesi socialisti e del Terzo Mondo hanno cercato di estendere a questi attori la protezione delle leggi di guerra, nei casi di conflitto per l’autodeterminazione, contro un dominio coloniale, occupazione straniera o governi razzisti. Il proseguimento di questa situazione metterebbe in dubbio il monopolio statale della forza e sarebbe un segno della restaurazione della condizione medievale, in cui la violenza era esercitata anche da privati. La violenza dei gruppi anti-governativi si è spesso estesa oltre le frontiere. In realtà gli Stati non sono mai stati gli unici a ricorrere alla violenza e i gruppi non statali che la usano ambiscono di solito alla creazione di nuovi Stati o al controllo di altri già esistenti. 4.4. Organizzazioni transnazionali Organizzazione transnazionale: opera attraverso i confini nazionali, a volte su scala globale, e cerca di stabilire legami tra differenti società nazionali o sezioni di esse → imprese multinazionali, movimenti politici, associazioni non-governative, religiose o intergovernative. Huntington: distingue tali organizzazioni sulla base del controllo, della composizione nazionale del personale e l’estensione geografica di esse. Le organizzazioni sono transnazionali se il loro raggio di azione può essere considerato tale. Si sostiene che esse stiano facendo scomparire il sistema degli Stati perché lo scavalcano e connettono la società e l’economia globale. Le imprese multinazionali sono simboli di una tecnologia geocentrica, in futuro in grado di prevalere su una politica di natura etnocentrica; ma la loro ascesa ha allarmato i nazionalisti, che le vedono come strumenti dell’imperialismo dei Paesi capitalisti avanzati. Non è certo che stiano destabilizzando il sistema degli Stati: - Gli Stati hanno dimostrato una notevole forza nel resistere alle imprese multinazionali, con negazioni o restrizioni alla loro attività: gli Stati hanno assunto consapevolezza dell’impatto economico delle multinazionali. - L’accesso al territorio non comporta necessariamente una diminuzione del potere o un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi dello Stato. - Per operare, le multinazionali necessitano di una condizione minima di pace e sicurezza garantita dagli Stati. 30 - Trascura la possibilità che possa emergere, attraverso le istituzioni del sistema di Stati, una maggiore solidarietà umana rispetto alle minacce ambientali. 4. Il sistema degli Stati e l’ordine mondiale Il sistema degli Stati si dimostrerà obsoleto solo se le sue parti non saranno capaci di preservare ed estendere il senso di interessi, norme e istituzioni comuni che hanno moderato i conflitti in passato. Nessuna forma di organizzazione politica universale in cui mancasse un consenso su esigenze minime di pace, giustizia e gestione dell’ambiente potrebbe funzionare. 13. IL SISTEMA DEGLI STATI PUÒ ESSERE RIFORMATO? 1. Un concerto delle grandi potenze: il modello Kissinger Consiste in un concerto delle grandi potenze volto alla creazione di una ‘struttura di pace’, sebbene la pace garantita al suo interno potrebbe essere solo quella tra le grandi potenze stesse e non di tutto il mondo. Si concentra anche sullo scopo della giustizia economica internazionale, da perseguire attraverso l’attuazione di misure di ‘assistenza allo sviluppo internazionale’. L’attenzione ai problemi ambientali è solo retorica. Negli anni ’70 non esiste un concerto tra grandi potenze, ovvero un sistema di collaborazione generale tra le grandi potenze per il mantenimento dell’equilibrio. Le grandi potenze, quando entrano in un sistema di collaborazione reciproca, sono capaci di promuovere l’ordine internazionale e di sfruttare la loro preponderanza sul resto della società internazionale. Negli anni ’70 la creazione di un concerto mira al rafforzamento del sistema di collaborazione USA-URSS, includendo anche la Cina. La presenza di alcuni elementi minimi di cooperazione tra le grandi potenze è uno dei fondamenti essenziali dell’ordine mondiale all’interno di un sistema di Stati. Non è vero che ogni tentativo di spingere le grandi potenze a una maggiore collaborazione serva solo i loro interessi, sebbene essi occupino una posizione preponderante; inoltre è vero che, nella ricerca di collaborazione, è spesso trascurabile il senso di responsabilità universale delle grandi potenze; anche quando tale interesse sarà presente, gli interessi specifici saranno in una posizione privilegiata. Il modello del concerto tra grandi potenze ignora le domande di cambiamento dei Paesi e popolazioni più deboli; oggi non è possibile ottenere un consenso se si è indifferenti alle richieste di giusto cambiamento. Un concerto non sarebbe necessariamente sordo a queste richieste, a fronte delle quali vengono già adottate misure simboliche, e potrebbe promuoverle. La mera esistenza di un gruppo di Stati insoddisfatti non è sempre una minaccia alla sopravvivenza del regime internazionale. Tale insoddisfazione non può essere risolta da gesti simbolici e finirà per insidiare il sistema, sebbene i Paesi poveri siano ancora deboli militarmente; essi rappresentano però la maggioranza degli Stati della società internazionale. La potenza militare, la capacità di unirsi e la disponibilità ad adottare tattiche di confronto con le grandi potenze da parte dei Paesi poveri possono crescere; anche se ciò non accadesse, però, ignorare le loro richieste sarebbe una mancanza di autorità morale. 2. Centralismo globale: il modello ‘salvazionista’ radicale Un’altra risposta consiste in un modello di direzione centralizzata degli affari globali, basato su una volontà generale della comunità umana nel suo complesso, generata da una percezione crescente dell’emergenza globale attraversata dall’”astronave terra”. I suoi promotori sono attratti da una forma di direzione centralizzata degli affari che prescinda dal sistema degli Stati, ma riconoscendo che quest’ultimo sia destinato a persistere nel futuro, cercano di favorire il massimo di direzione centralizzata attuabile e ad esso compatibile. Sperano di creare un senso di interesse superiore comune dell’umanità e non solo delle grandi potenze. Falk: rafforzare le attuali istituzioni centralizzate, sviluppare agenzie specializzate nelle UN e altri organismi funzionali; schemi informali di cooperazione tra i principali attori mondiali. Gli attori transnazionali o multinazionali dovrebbero diventare gruppi di pressione; le organizzazioni regionali o sub-regionali dovrebbero spostare oltre lo Stato nazione la loro sfera di interesse. Prospetta un programma di attivismo mondiale e crescita della consapevolezza, attraverso dichiarazioni di emergenza ecologica, università della 31 sopravvivenza, accademie dei peacekeeper e un partito politico mondiale. Arca del rinnovamento come mezzo estremo per ricostruire il mondo. Pro: la cooperazione è necessaria, non basta quella tra le grandi potenze, va incontro alle richieste dei Paesi poveri. Contro: non considera quali siano le vere richieste dei Paesi del Terzo Mondo, tutti si devono convertire alle sue personali preferenze. La centralizzazione rifletterebbe i valori delle grandi potenze prevalenti oggi. Necessità di una redistribuzione delle risorse e del potere al TM. È poco verosimile che una struttura globale del genere possa formarsi solo grazie a Falk. 3. Regionalismo: un modello terzomondista Un altro approccio attribuisce un maggiore ruolo alle organizzazioni regionali (OR), in quanto capaci di svolgere alcune delle funzioni delle OI sui temi di pace, sicurezza, giustizia economica e sociale e ambiente; inoltre non si prestano alle obiezioni mosse ad alcune OI. Nye: 5 dottrine stabiliscono un legame tra sviluppo delle organizzazioni regionali e un ordine mondiale più pacifico: 1) Le OR impediscono la concentrazione del potere nella mani delle superpotenze. 2) Attuando un’alleanza degli Stati piccoli e deboli, si elimina la tentazione dell’intervento straniero nel conflitto. 3) Creazione di istituzioni al di sopra dello Stato che limitino la sovranità. Riducendo i pericoli classici del sistema di Stati sovrani. 4) Le OR inibiscono il ricorso alla guerra tra Stati appartenenti alla stessa regione. 5) Le OR sono abili a gestire i conflitti tra Stati membri, perché possono isolare le regione e hanno una posizione privilegiata per comprendere le cause del conflitto. Il regionalismo non coincide sempre con un tentativo di modifica dei pericoli del dominio delle grandi potenze, tanto che spesso viene immaginato come una divisione del mondo in sfere di influenza o responsabilità. Kothari: regionalismo connesso a una politica di risveglio del TM contro il dominio delle grandi potenze e di consolidazione dell’autonomia. Propone un sistema di 20/25 federazioni regionali, sulla base della contiguità geografica e della complementarietà delle risorse; le grandi potenze ne uscirebbero ridimensionate. Si oppone sia al governo mondiale che alla centralizzazione globale del potere, perché consoliderebbero l’ordine vigente e le sue ingiustizie; per costituire tale autorità serve inoltre consenso, che non può esistere senza una previa redistribuzione delle risorse e del potere al TM. Obiezioni: - È difficile che un sistema di OR sostenga l’ordine mondiale senza un sostegno di dimensione globale. Soluzione di Kothari: fare del Consiglio economico l’organo fondamentale delle UN, creare un’assemblea parlamentare mondiale e una forza armata a disposizione dell’organismo mondiale → idee utopistiche. Kothari non spiega come creare una cornice globale di ordine partendo dalle forze politiche attualmente esistenti. - È insoddisfacente: non spiega come costruire i vari raggruppamenti regionali e del loro processo di integrazione, rischiando così che gli Stati piccoli siano lasciati alla mercé di quelli grandi. Soluzione: sviluppare un senso di comunità abbastanza saldo, ma Kothari non ne parla. - Molte prescrizioni riguardano solo il futuro di India e TM, con una difficoltà a prescrivere soluzioni universali a problemi universali. 4. Rivoluzione: un modello marxista Via della rivoluzione proletaria universale di Marx ed Engels, superando così il sistema degli Stati, con prescrizioni che però sono rivolte solo alla rivolta delle classi e delle nazioni oppresse. Viene attribuita priorità al giusto cambiamento piuttosto che alla preservazione dell’ordine. Polemica cinese: è impensabile una coesistenza pacifica tra classi e nazioni oppresse e i loro oppressori. Pro: riconoscere scopi che non erano tenuti nel giusto conto da altri modelli. Le vie della rivoluzione e dello scontro non sono le uniche che possono fornire gli strumenti per realizzare un cambiamento. L’ordine viene 32 infranto in nome di un giusto cambiamento, ma a questa fase segue la creazione di una nuova struttura politica ed economica in cui l’ordine viene restaurato: sono ostili ai vecchi valori, non all’ordine in sé. Abolizione del capitalismo e delle classi dominanti come unico modo per raggiungere l’ordine. Tuttavia la rivoluzione proletaria non rimuove il sistema degli Stati, quindi la questione del mantenimento dell’ordine internazionale si pone anche a seguito della rivoluzione stessa. 5. Le aspettative della società internazionale Il sistema degli Stati può sopravvivere solo se viene preservata e rafforzata la società internazionale e allargato il consenso. Dovrà comprendere il senso di interesse comune delle grandi potenze e le richieste dei Paesi deboli (redistribuzione del potere). La rivoluzione è il solo mezzo per assicurare giusti cambiamenti in alcuni Stati, ma non risolve la questione del mantenimento dell’ordine tra Stati indipendenti. Le aspettative della società internazionale sono legate ai destini della cultura cosmopolitica: comune cultura intellettuale e valori. Distinzione tra cultura diplomatica e cultura politica internazionale; esiste almeno una cultura diplomatica o elitaria, ovvero quella della modernità. Bisogna preservare ed estendere la cultura cosmopolitica, che oggi è calibrata in favore della cultura occidentale dominante.
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