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La società di antico regime (XVI-XVIII secolo), Dispense di Storia Moderna

riassunto di tutto il libro con divisione tra capitoli e paragrafi. integrazione appunti lezione.

Tipologia: Dispense

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Scarica La società di antico regime (XVI-XVIII secolo) e più Dispense in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! La società di antico regime (XVI-XVII secolo) Capitolo 1. Il lavoro dello storico 1.1 Storia e storiografia La parola storia è piuttosto ambigua poiché nella lingua italiana distinguiamo: - divenire degli eventi nel corso del tempo, ovvero una realtà oggettiva, un evento - storia narrata dagli uomini, ovvero un prodotto soggettivo, una narrazione - un racconto basato sulla realtà o frutto di fantasia concentriamoci sulle prime due. Nel primo caso il vocabolo da usare sarà storia e nel secondo caso sarà storiografia. Storia è un termine che deriva dal greco che significa “osservare, cercare di vedere, informarsi, indagare”. L’idea greca di storia è quindi inscindibile dalla ricerca. Per quanto riguarda la storiografia, essa è il frutto dell’interpretazione e della narrazione dello storico. Mentre la conoscenza del presente deriva dalla percezione, la conoscenza del passato è sempre mediata, per questo si parla di storia della storiografia. Le funzioni della storiografia sono tre: ricordare, ammaestrare e spiegare. Dalla prima deriva la storiografia narrativa, dalla secondo la storiografia pragmatica e dalla terza la storiografia scientifica. La storiografia risponde pertanto ad un bisogno sociale fondamentale: la ricerca di identità. L’identità è innanzitutto ciò che definisce i tratti comuni con i nostri simili, ma è anche ricerca della comune origine. Oggetto della ricerca storica è dunque l’uomo, gli uomini e le donne nelle loro relazioni reciproche, quindi la società umana, le società umane nelle trasformazioni nel corso del tempo. Lo storico riflette e scrive la storia, ma è anche implicato nelle vicende storiche del suo tempo. 1.2 Storia e memoria una persona senza memoria è priva di identità. Senza memoria non ci si riconosce più e ci si perde, serve qualcuno che gli racconti il suo passato. Un passato ricostruito tuttavia, che non sarà mai il proprio passato, così come l’aveva vissuto. Lo storico è colui che può risalire alla memoria dei testimoni. Il suo compito è quello di ricostruire il passato dello smemorato: fornisce una lettura del passato ma sempre in chiave soggettiva. Il discorso analogo vale per le comunità: senza memoria storica una comunità perde la sua identità. Si pensi agli immigrati che vanno in un luogo loro sconosciuto dove non conoscono le tradizioni e le usanze. La pratica storiografica si basa quindi sulla memoria ma non deve identificarsi con essa. Lo storico infatti non deve essere un testimone dei fatti, ma deve essere un interprete critico. Oggi sappiamo che lo storico non è il testimone, anzi potrebbe inquinare le prove poiché nessuno, anche il più attento e smaliziato, è consapevole della portata storica degli eventi che sta vivendo: non si poteva avere idea di trovarsi in quella che in seguito si sarebbe chiamata battagli di Waterloo. Il distacco è necessari per formulare un giudizio storico. 1.3 scrivere di storia nel 1975 secondo Furet, la storia doveva avvicinarsi sempre di più all’approccio scientifico. Nel 1979 invece con Stone, c’è il ritorno alla narrativa che non implica una rinuncia all’analisi, ma la consapevolezza che la narrazione e l’eleganza stilistica rappresentavano elementi ineliminabili del “discorso storico”. La storiografia infatti nasce come racconto, fare storia significa raccontare una storia. Solo la narrazione può dare senso agli avvenimenti. Il discorso storico si svolge su due piani distinti: - quello della descrizione o narrazione, nel quale lo storico espone i fatti e fa parlare i documenti relativi - quello dell’analisi o dell’interpretazione, nel quale lo storico esprime le proprie considerazioni. Un buono storico fa buon uso delle tecniche narrative, più le usa bene e più il suo prodotto storiografico sarà fruibile. L’autore di un testo si ispira infine alla veridicità, ossia a far conoscere il suo testo come veritiero. Per fare ciò non solo fa sapere la verità sul passato ma ne dimostra anche il vero. Ovviamente si tratta di una verità relativa, “fino a prova contraria”. Lo storico deve credere e far credere che ciò che afferma è la verità, sapendo però che non si tratta mai di una verità assoluta, indiscutibile. 1.4 Le fonti conoscere la società di antico regime significa conoscerne le fonti, la storiografia, le categorie storiografiche, i grandi dibattiti tra storici. Partiamo dal concetto di fonte distinguendola da documento. Documento rispecchia il passato (il mondo di cui è testimonianza), la fonte è futuro (la conoscenza che lo storico vuole ricavare dal documento). Le fonti possono essere primarie (testimonianze dirette), secondarie (indirette), manoscritti (reperibili dagli archivi) o a stampa. Ma possono essere anche oggetti o tracce presenti sul territorio. La bibliografia rappresenta tutto ciò che è stato scritto sull’oggetto di cui lo storico si occupa: è lo strumento principale della ricerca. Il luogo della ricerca è l’archivio, è una memoria organizzata di un’istituzione. Un archivio non è organizzato per argomenti come in biblioteca ma per funzioni. Per chi studia gli stati europei di antico regime ci sono gli archivi di stato presenti in ogni capoluogo di provincia. Dobbiamo ricordare anche gli archivi pubblici e quelli ecclesiastici (privati ma aperti al pubblico). 1.5 Le interpretazioni le interpretazioni proposte dagli storici non sempre sono condivise. Vediamo alcuni temi di dibattito: - rinascimento, autunno del medioevo o alba della modernità? Per Burckhardt il Rinascimento è rinnovamento della società, ciò che avrebbe portato all’affermazione della moderna civiltà liberale. Baron proponeva la categoria di umanesimo civile come antidoto alle barbarie ed ai totalitarismi. Il dibattito se il rinascimento sia l’inizio o la fine di qualcosa rimane irrisolto. - Riforma, controriforma e Riforma cattolica: controversia sulla natura della crisi religiosa del Cinquecento. -la crisi del Seicento: ha impegnato gli storici del secondo dopoguerra sulla natura della crisi, sul suo carattere di crisi generale, sul ruolo della rivoluzione inglese, sul ruolo degli spazi italiani nel quadro della crisi. Una prima divisione era tra Marxisti (sinistra) e non (orientamento liberale). Per i primi, la crisi del seicento era il segnale di crisi del modo di produzione feudale e dell’emergere del capitalismo; per i secondi si doveva guardare le cause nella sfera politica guardando la frattura tra società e stato. - il settecento è davvero l’epoca dei lumi? Innanzitutto c’è da dire che l’Illuminismo fu un fenomeno di minoranza, inoltre esso è spesso associato ad una rivoluzione, come se il primo fosse la matrice della seconda. Esso è uno degli aspetti più rilevanti della cultura ottocentesca, ma non può essere usato per spiegare contesti culturali e politici differenti. Capitolo 2. Le molte dimensioni della modernità. 2.1 La periodizzazione storica gli storici hanno diverse opinioni sulla periodizzazione, nessuna delle quali può considerarsi definitiva. Le periodizzazioni servono a rendere pensabili i fatti. Per fare una periodizzazione seria bisogna: definire i punti di partenza (inizio e fine di un evento), usare misure di tempo compatibili (giorni, anni, secoli), individuare epoche con segno comune, creare categorie storiche sulle quali fondare ipotesi interpretative (Rinascimento, barocco, controriforma, ecc). l’età moderna è una di queste categorie di periodizzazione. La parola moderno si può definire come “più recente” e non come contemporaneo (come viene spesso frainteso). La categoria età moderna può essere stata definita in modi diversi a differenza della periodizzazione adottata, ossia dalle date di inizio e fine che delineiamo convenzionalmente. La data 1492 è quella ormai adottata da tutti i manuali italiani come inizio (scoperta dell’America) di un mondo globalizzato, con il conseguente allargamento dei confini geografici e l’avvio di una straordinaria espansione della civiltà europea. In Germania considerano l’inizio nel 1517: affissione delle 95 tesi di Wittenbeg da parte di Marti Lutero. Il 1789 è vista come la fine della modernità da parte dei francesi (scoppio della rivoluzione francese e fine dell’antico regime). Lo storico americano Mayer vede la definitiva crisi dell’antico regime nel 1848 con le grandi rivoluzioni europee e il movimento socialista. Altri storici italiani vedono il 1861 (unità d’Italia) come la definitiva fine dell’antico regime. 2.2. età moderna o antico regime? Paradossalmente la creazione della categoria storiografica di antico regime rappresenta la morte di quella società. Infatti venne usato questo termine per la prima volta nel 1789 per definire la società che volevano spazzare via. Se la categoria di età moderna è dinamica, in quanto suggerisce di osservare i mutamenti in atto nelle società di tre-quattro secoli, quella di antico regime è una categoria abbastanza statica, in quanto descrive le caratteristiche generali di un sistema sociale tra cinquecento e settecento. Nello studio di una società lo storico deve tener conto di 4 fattori: - economico (comprendere quali sono le basi economiche della società, metodi di produzione): ci troviamo in una società prevalentemente agricola non ancora determinata dallo sviluppo industriale - sociale (su cosa si fondano le gerarchie sociali e qual è la loro natura): la società di divide per corpi, ceti e ordini (clero, nobiltà, terzo stato) e non per individui. I privilegi hanno natura giuridica e non possono essere messi in discussione. Il dominio dei ceti privilegiati è regolato da leggi e consuetudini. - politica: governo prevalente è la monarchia assoluta. - cultura (modelli culturali prevalenti dell’epoca): l’autorità degli antichi domina sui moderni. La cultura è materia dei ceti privilegiati (che sono quelli alfabetizzati, i ricchi). 2.6 sei grandi cambiamenti che segnano il passaggio della modernità 1. Le grandi scoperte geografiche (1492-1524): scoperta dell’America e mondializzazione della storia e dell’economia 2. rottura dell’unità del mondo cristiano (1517-1555): in seguito alla Riforma protestante a alla conseguente grave crisi del papato e della chiesa di Roma. Periodo di conflitti religiosi ma scoperta di un pluralismo religioso all’interno del cristianesimo. 3. Nascita degli stati moderni: definizione confini e dotazione di un esercito a proteggerli, sistema fiscale efficace, sovrani con poteri ampi tesi ad affermare il proprio potere sugli organi rappresentativi dei ceti. 4. NASCITA del capitalismo: trasformazione dell’economia da agricola a commerciale ed industriale e la nascita del capitalismo (economia di mercato). 5. invenzione della stampa: circolazione delle idee, minor costo di produzione di un libro, tempi più rapidi 6. Rivoluzione militare: trasformazione del modo di fare guerra. Capitolo 3. Gli spazi della vita ed il modo rurale. 3.1 i quadri ambientali La campagna è il luogo dove viveva la maggior parte della popolazione europea, un mondo basato sulla comunità di villaggio e l’economia rurale. Le campagne europee sono caratterizzate da aree coltivate e aree incolte. Le vie di comunicazione sono limitate e i mezzi di trasporto sono lenti, scodi e costosi. Le merci deteriorabili viaggiano lungo il fiume seguendo il corso della corrente. Le campagne hanno una bassa densità insediativa. Per raggiungere qualsiasi meta borghesie di antico regime sono formate da 2 gruppi di riferimento che potremmo definire come i mestieri del denaro ed i mestieri del sapere: • i proprietari e gli uomini d’affari • I professionisti e i funzionari 5.2 fra economia naturale ed economia monetaria. L’economia era naturale di sussistenza o monetaria di mercato? C’era chi proponeva il baratto come forma prevalente e chi contrapponeva un’economia di autoconsumo. Oggi si è dimostrato che, mentre la moneta si affermava, lo scambio di beni resisteva e si consolidava, non rappresentando per forza un segno di arretratezza economica. In certi ambiti la moneta circolava ampiamente, mentre in altri dominava il baratto: la moneta era usata per certi impieghi e non per altri (il pagamento di tributi, ma non l’acquisto di beni). Ogni territorio aveva la propria moneta e tutte avevano libero corso ovunque. Nessuna aveva valore facciale, ossia un valore scritto sulla faccia: il suo valore ufficiale era stabilito dall’autorità, ma il valore reale corrispondeva al peso del metallo che la componeva e che variava a seconda delle diverse fusioni o a seconda delle operazioni fraudolente di commercianti. Operazioni come l’erosione e la limatura delle monete d’oro diminuiva il valore reale, mentre la doratura o l’argentatura camuffava monete di metallo. Si pensa che la nascita del capitalismo coincida con la nascita del credito a breve termine basato sulle lettere di cambio: il credito era gestito dai grandi mercanti che prestavano e anticipavano il denaro ad alti tassi di interesse. Con le lettere di cambio si trasferiva denaro a distanza. I negozianti erano mercanti con sedi nelle principali città commerciali europee: Genova, Lione, Siviglia, Amsterdam, Londra.. Il Banco di San Giorgio di Genova, fondato nel 1408, fu la prima grande banca di Stato. 5.4 Telai ed altiforni. Manifattura e protoindustria. È difficile determinare la nascita della fabbrica moderna. In età moderna, le più grandi concentrazioni di lavoratori sono in stabilimenti per i poveri, le Case di lavoro. Create da fine ‘500 in Inghilterra, in Olanda e in altri paesi del nord Europa, sono le più grandi concentrazioni di lavoratori in stabilimenti. Fino al ‘700 la tipologia più diffusa in Europa è la bottega artigiana o la manifattura diffusa, senza una precisa struttura fisica dove concentrare il lavoro. Con “Rivoluzione industriale”, termine coniato nel 1880 da TONYBEE e rielaborato da MANTOUX nel 1905, si indica la trasformazione epocale dalla metà del ‘700 in Europa con l’affermarsi dell’economia di mercato, del macchinismo e del sistema di fabbrica. La macchina a vapore inventata nel 1691 da Papin, realizzata nel 1712 e brevettata solo nel 1769 è il simbolo più evidente di questa trasformazione. Negli ultimi decenni il concetto di rivoluzione industriale è stato sottoposto a critica e ad un notevole ridimensionamento. L’attenzione degli studiosi si è spostata sulla cosiddetta protoindustrializzazione e sulle molteplici vie verso l’industrializzazione prese dai paesi europei, mostrando come la rivoluzione industriale inglese fosse soltanto una delle vie possibili. Protoindustrializzazione: categoria creata da MENDELS che nel 1972 vi raggruppò tutte le manifatture che ci sono sviluppate prima della piena affermazione del sistema di fabbrica nell’Inghilterra del ‘700. Sono produzioni manifatturiere basate sui contadini, dispersi sul territorio e con massiccio impiego del lavoro a domicilio: in Italia nel ‘600 la manifattura si era spostata fuori dalle città per aggirare i vincoli corporativi e trovare manodopera a basso costo costante. La concentrazione dei lavoratori in uno stabilimento apparve la scelta più giusta per consentire sia un miglior controllo e disciplinamento della manodopera che un miglioramento di qualità della produzione e una rapida meccanizzazione delle varie fasi di produzione. 5.5 La rivoluzione dei consumi. Recentemente gli studiosi hanno constatato che la rivoluzione economica del 700 non va vista solo come rivoluzione industriale, ma anche come rivoluzione dei consumi. ROCHE sostiene che non si può consumare altro che quello che si è prodotto, ma la trasformazione dei beni precede la domanda. Un bene prodotto, come un paio di scarpe, può non essere richiesto finchè il contesto sociale non lo rende fruibile a gruppi che prima non lo utilizzavano. Se per esempio, mettiamo sul mercato le forchette da tavola non implica che diventeranno un bene di largo consumo, almeno finchè continuerà ad esisterà l’usanza di mangiare con le mani. Ecco perchè Roche dice che è la produzione e il consumo degli uomini che creano i beni attraverso il lavoro e con il valore che danno agli oggetti, tenendo conto dell’utilità e del valore simbolico. La gerarchia del valore che noi attribuiamo ai beni è dunque relativa. Nel ‘700 si afferma un consumo di massa, rendendo le differenze sociali meno evidenziate: abbigliamento, riscaldamento, illuminazione, arredo, cibo, trasporti, cultura diventano per tutti, anche se con notevoli differenze di qualità. È la società dei consumatori che accetta di accogliere e consumare prodotti di minor qualità ma a miglior prezzo. Si impone la “necessità del superfluo”, ovvero l’esigenza di possedere beni non necessari alla sopravvivenza. La “rivoluzione dell’igiene” ha rappresentato un miglioramento delle qualità di vita dell’Europa, favorendo una minor diffusione delle malattie e un aumento della vita media (senza contare la necessità di creare lavanderie e stirerie che si trasformarono in vere e proprie imprese). La diffusione di nuovi metodi di riscaldamento e illuminazione è un’altra delle più evidenti trasformazioni. Si introducono vetri trasparenti di grandi dimensioni nelle case, l’illuminazione delle strade determina sia maggior sicurezza che la possibilità di allungare l’orario di lavoro, le stufe di ceramica e ghisa sostituiscono focolari e caminetti: sono trasformazioni che rendono le case più simili alle nostre di oggi. Compaiono i corridoi che collegano le stanze e consentono una differenziazione funzionale, i primi servizi igienici interni, armadi e comò in verticale sostituiscono cassapanche e bauli orizzontali, ci sono poltrone e divani e i letti ormai hanno tutti materasso e lenzuola. Le cucine e le sale da pranzo hanno credenze dove sono riposte stoviglie e vasellami, nelle case di uomini di cultura non possono mancare una biblioteca e una scrivania. Ci sono trasformazioni decisive anche nell’abbigliamento: i prodotti in cotone soppiantano quelli in panno e lana, consegnando la seta a un mercato di nicchia e di lusso. Tutti indossano la biancheria e la camicia è cambiata quasi ogni giorno. Gli abiti più leggeri vanno sostituiti più spesso, incrementando il mercato. La moda diventa un’industria e il gusto si raffina e si estende ai ceti medi: il polsino di pizzo non è più solo dei nobili, il bottone soppianta spilla e lacci, il corpetto femminile si diffonde anche tra il popolo, così come le scarpe con i tacchi alti. La parrucca si riduce di dimensione e si estende anche alla borghesia e ai ceti medi. Capitolo 6: Le nobiltà europee 6.1 la nobiltà: la genesi di un concetto. L’ “aristocratico” nell’antica Grecia era chi si distingueva fra tutti per valore, non era nobiltà di sangue. Nell’antica Roma era chi apparteneva a una delle famiglie originarie della città e aveva il diritto di sedere in Senato. Nel medioevo “nobile” era chi per nascita o per titolo concesso dal sovrano godeva di privilegi. I 3 elementi della nobiltà antica erano natali illustri, virtù e coraggio militare, possesso di una casa e una terra. La nobiltà è un ceto, un ordine o uno stato. “Ceto” è un gruppo sociale distinto per la sua posizione all’interno della gerarchia sociale. “ordine o stato” è un gruppo sociale distinto per la sua posizione giuridica all’interno di una gerarchia prestabilita. DUMèZIL , storico, ha mostrato come la tripartizione sociale sia una delle caratteristiche di ogni società: oratores (re o sacerdoti, impegnati nel governo della cosa pubblica e nella preghiera) bellatores (guerrieri, impegnati nella difesa) laboratores (lavoratori, impegnati nel quotidiano mantenimento e alla riproduzione della comunità). 6.2 l’enigma della nobiltà. Nobiltà: ceto privilegiato che costituisce l’élite dell’antico regime, ha il controllo politico e sociale. Si distingue per nascita, ruolo sociale e possesso, è propensa alla conservazione e alla difesa della tradizione. I principali titoli della nobiltà sono: • duchi: prima sono i comandanti militari e poi i governatori dei territori conquistati, in età carolingia sono i grandi feudatari cui spetta il governo ereditario delle varie province (ducati) per conto del sovrano • Marchesi: governatori delle marche, province di confine o di importanza strategica • Conti: fedeli collaboratori del sovrano • Visconti: sostituti dei conti, feudatari con titolo ereditario inferiore a quello dei conti • Baroni: nobiltà feudale di natura inferiore, senza nessuna specificazione particolare Privilegio: qualsiasi esenzione o distinzione rispetto a un insieme di norme o leggi valide per altri individui o gruppi sociali. La conseguenza è la disuguaglianza. Si diventa nobili per nascita, per diritto ereditario, per servizio (ottenendo dal sovrano un titolo di ricompensa per i servizi prestati) per venalità (acquistando un titolo). Che cos’è un privilegio? È quasi un’esenzione o una distinzione rispetto ad un insieme di leggi valide per gli altri individui: esenzione al pagamento di tasse, diritto a portare la spada e simboli di privilegio, ecc. Chi è nobile? Solo chi dimostra di possedere i titoli di nobiltà, ossia privilegi concessi dal sovrano dalla consuetudine o dal tempo. Tanto più antica è la nobiltà tanto più bisogna portar rispetto a chi li possiede. Tipi di nobiltà europea: • nobiltà terriera: “di sangue” (ereditaria) e “di spada” (di origine militare) • Patriziati urbani: le famiglie del Consiglio • Nobiltà di toga: acquisita per diritto dopo aver esercitato cariche di giustizia • Nobiltà di servizio: acquisita dopo servizi resi al sovrano • Nobiltà di fatto: riconosciuta per “consuetudine”. Si può perdere la nobiltà se si dimostra impurità di sangue. I ceti nobiliari di antico regime sono in cerca costante di legittimazione: nei confronti dei poteri superiori, nei confronti degli altri ceti privilegiati, nei confronti dei ceti inferiori. Elementi di legittimazione possono essere: purezza del sangue, l’onore, la competenza (successione di servizi di corte o di governo), l’autorità (esercizio di potere in ambito locale), i beni posseduti. 6.3 nobiltà e ricchezza. Non tutti i nobili erano ricchi, a discapito dei luoghi comuni, e la ricchezza non fu mai un elemento decisivo per connotare un nobile. I maggiori patrimoni terrieri erano nelle mani della grande nobiltà, così la piccola e la media nobiltà erano ricchi come i borghesi e i proprietari terrieri non nobili. Nel ‘600 nobili ricchi e nobili poveri non si sentivano più parte di uno stesso ceto ormai consapevoli di ciò che li divideva: dopo il 1650 in Francia sorsero numerosi istituti per aiutare i nobili poveri con elargizioni, borse di studio per i figli e doti per le figlie. A Venezia invece fu lo Stato a farsi carico di loro assegnando una pensione annua. Ciò che caratterizzava la nobiltà non era il possesso di terra in se, ma il possesso di terre nobili legate d un’antica giurisdizione feudale e ad alcune funzioni delegate dal sovrano, oltre che ai diritti signorili e ad i privilegi. Ai nobili erano vietate le attività bancarie e commerciali, ma non lo sfruttamento dei prodotti della terra, comprese le risorse del sottosuolo (ferro, piombo, metalli preziosi); così come la speculazione edilizia. L’attività bancaria o il prestito di interesse erano comunque esercitate dai nobili, che spesso prestavano il denaro ai sovrani indebitati. “ricchezza” per un nobile di antico regime significa sì guadagno, ma soprattutto spese, che di solito erano superiori alle entrate. Contrarre debiti è una necessità, il vero nobile non bada a spese a differenza dei borghesi: il debito è simbolo di potere, non di incapacità economica. 6.4 nobiltà e potere. In molti territori europei, i nobili esercitano potere giurisdizionale in sede locale oppure in altri casi hanno giurisdizione di polizia con la facoltà di conferire pene all’interno dei loro feudi. Nella maggior parte delle monarchie europee, la nobiltà di antica origine detiene il controllo dei comandi militari e degli incarichi diplomatici, cedendo agli altri ceti le cariche amministrative, finanziarie e di giustizia. Nelle città e nelle repubbliche patrizie (Genova e Venezia per esempio) i ruoli amministrativi sono in mano all’aristocrazia urbana. Ogni componente della nobiltà si ritiene superiore e migliore delle altre e ne cerca legittimazione sul piano storico (maggiore antichità) o sul piano del potere reale (ostentando la propria vicinanza al sovrano). Uno degli strumenti di organizzazione e identificazione delle nobiltà europee sono gli Ordini cavallereschi, creati nel ‘500 dalle monarchie per rispondere alle richieste di un ulteriore distinzione per la nobiltà. Il più prestigioso degli ordini era il Sovrano Ordine Militare degli Ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme, più conosciuto come Ordine di Malta, creato in Terrasanta nel 12° secolo e reclutava nobili di tutta Europa, chiedendo loro di documentare la propria discendenza da 8 matrimoni fra coniugi nobili. Per lo più i nobili di età moderna erano molto ignoranti: fino al ‘700 privi di un’istruzione adeguata, imparavano fin da piccoli norme di comportamento che li distinguevano dal volgo: i rudimenti dell’arte della guerra, dell’equitazione, di caccia e danza, solo raramente latino o una lingua straniera. I giovani nobili spesso erano rozzi e violenti, segnalati per duelli o stupri e gli anziani erano incapaci di guardare al nuovo senza diffidenza e sospetto. Da fine ‘600 i giovani aristocratici vengono formati nei collegi dei Gesuiti, mentre i figli della nobiltà di toga seguivano percorsi specifici per formarsi alle cariche pubbliche a loro destinate; i figli della nobiltà di corte invece si preparano a diventare cortigiani, esperti di musica, poesia, architettura. “Cortigiano” diventa sinonimo di “cortese” e il dialogo di Baldassarre Castiglione del 1528 diventa presto il modello ideale di formazione aristocratica, mentre il “Galateo” di Giovanni della Casa è sinonimo di buona creanza. Alcuni casi di nobiltà europee: • FRANCIA: 2 nobiltà distinte: nobiltà di spada, antica, deriva il suo potere dall’esercizio delle armi, dalle giurisdizioni feudali e dalla proprietà terriera, autonoma dal sovrano a cui spesso si oppone; nobiltà di toga, recente, deriva il suo potere dall’esercizio di cariche di giustizia e finanza, dipende dal sovrano a cui deve tutta la sua fortuna. Dal 1680 il re mantiene a proprie spese a corte la nobiltà di spada, in modo da consegnare lo Stato alla nobiltà di toga, subordinata al sovrano. • INGHILTERRA: al vertice della gerarchia sociale troviamo i Lords, nobiltà di antica origine feudale, con titolo ereditario da molte generazioni, siede di diritto in uno dei 2 rami del Parlamento ed è quasi sempre di orientamento politico conservatore (tory). Sotto i Lord troviamo la Gentry, la nobiltà “di fatto”, con potere acquisito da proprietà terriera, spesso di orientamento politico progressista (wigh). • RUSSIA: dal ‘700 c’è un’aristocrazia feudale (Boiardi) con immense proprietà terriere e giurisdizioni estesissime, in grado di armare piccoli eserciti per lo zar, proprietaria di grandi regioni con villaggi abitati da servi della gleba. Con Pietro I il Grande questa aristocrazia è trasformata in un ceto di funzionari al servizio dell’imperatore da ci dipende la conferma dei loro titoli e ogni carriera di servizio, vincolata da un preciso percorso con esami da superare. Questo ha consentito la nascita di un sistema burocratico-militare che consentirà all’aristocrazia di acquisire sapere e cultura. Da metà ‘700 viaggi di istruzione in Europa e conoscenza di lingue straniere diventano lo strumento di evasione-reazione al sistema dello zar. Nascerà un bisogno d’immergersi nella civiltà europea per civilizzarsi, prima di civilizzare a sua volta il proprio popolo. • POLONIA: nobiltà in soprannumero. Ogni esponente maschio maggiorenne della nobiltà ha accesso al potere politico, siede di diritto nella Dieta (luogo di rappresentanza della nobiltà e organo legislativo), godono dell’elettorato alla carica di re. La Polonia è una monarchia elettiva, composta da nobili che eleggono il re, il quale non trasmette alcuna dignità ai figli, che sono nobili come gli altri. La Dieta sorveglia l’operato del sovrano. Capitolo 7: Sovranità e potere politico. 7.1 una definizione di stato moderno. “Stato moderno” è un’espressione che compare a inizio ‘800. 6 caratteristiche che gli storici hanno individuato nella categoria “stato moderno”: • monopolio statale della forza con eserciti professionali e permanenti: sviluppo di fanteria e artiglieria, dotate di armi da fuoco leggere o pesanti, al posto della cavalleria con le armi bianche (spade, picche, lance, ecc.) -> crisi di ruolo di cavalleria, quindi di nobiltà. Artiglieria è plebea e borghese, affidata alle capacità tecniche e manuali di fabbri e artificieri, tutto il contrario di coraggio e valore della cavalleria. • Burocrazia permanente con competenza professionale ed esperienza amministrativa: funzionari reclutati tramite chiamata diretta dei più capaci o tramite vendita di cariche e uffici (venalità) o tramite concessione di titoli nobiliari ereditari • Diplomazia permanente presso corti straniere, che vanno a sostituire gli inviati temporanei. • Monopolio statale del prelievo attraverso il fisco, sistema di tassazione unico e esteso a tutto il territorio statale • Tentativo di affermare una legislazione statale, a scapito di giurisdizioni territoriali autonome o di diversi ceti privilegiati 9.1 Dalle milizie feudali agli eserciti permanenti. PARKER individuò 7 trasformazioni fra ‘500 e ‘600 nel modo di fare la guerra: • passaggio da eserciti temporanei a permanenti e di grandi dimensioni: corpo disciplinato con competenze professionali precise. • Fanteria al posto della cavalleria dopo l’invenzione delle armi da fuoco • Strategia mutata per necessità di retribuire, alimentare e spostare sul territorio masse crescenti di uomini in armi, ma con più garanzie che la guerra sarà effettivamente portata a termine e non interrotta per la stagione del raccolto o fatta solo per difesa dei territori vicini a una città. • Più importanza del militare nella società • Tecnologia applicata alla guerra • Architettura militare (città fortificate,ecc.) • Marina militare decisiva nell’espansione coloniale Esercito interarmi: composto cioè da diversi corpi specializzati (fanteria, cavalleria, picchieri, bombardieri, ecc.) è la soluzione più efficace anche se la più costosa. Machiavelli era testimone di queste trasformazioni, nel suo trattato del 1521 “Arte della guerra” parlava di come solo compagnie ben addestrate, tecnicamente preparate e ben retribuite potessero rispondere alle esigenze delle guerre europee di lunga durata. Le guerre d’Italia, tra il 1494 e il 1530, si svolgono tutte durante la fase di trasformazione e questo spiega l’esito incerto di molte campagne. Alcune battaglie erano ancora “medievali”, con il ruolo fondamentale della cavalleria; altre erano decise dalla fanteria e dai picchieri; altre ancora dalle nuove armi da fuoco. Da metà ‘500 la guerra comprendeva anche navi di flotte ben equipaggiate. 9.2 Dall’arma bianca alle bocche di fuoco. Nel 1453, la presa di Costantinopoli da parte dei turchi capeggiati dal sultano Mehmet II il Conquistatore, fu possibile anche grazie alla terribile “bocca da fuoco”, il primo grande cannone della storia moderna realizzato da un armaiolo della Transilvania: lungo 10 metri, con una canna spessa 20 cm, sparava proiettili pesanti 600kg che dovevano essere sollevati da 7 uomini, e poteva sparare solo 7 volte al giorno. Il passaggio da arma bianca ad arma da fuoco segnò una delle più grandi rivoluzioni nella storia dell’umanità. Per secoli la cavalleria era il nerbo degli eserciti medievali e il valore militare era uno delle principali virtù che doveva possedere un uomo. Con l’introduzione delle armi da fuoco divenne sempre più importante il ruolo dell’artiglieria, sia quella pesante (di cui erano responsabili fabbri e artificieri) che quella leggera (affidata a fucilieri, archibugieri e moschettieri addestrati). 9.3 guerre e fiscalità. con la costruzione di eserciti permanenti e di mestiere, le spese crescono in maniera esorbitante inducendo principi e sovrani ad indebitarsi. Tra ‘400 e ‘500 gli Stati preferiscono differenziare il peso fiscale tra la città capoluogo (carico minore) e i territori e le città suddite (carico maggiore) piuttosto che aumentare a tutti le tasse. Nel ‘500 il costo di eserciti e guerre si fa proibitivo, riducendo il numero di principi in grado di sostenerne il peso. La difficoltà di retribuire i soldati provoca spesso diserzioni o ammutinamenti, o costringe i sovrani a delegare poteri militari, politici e finanziari ai “signori della guerra”, veri imprenditori militari. Chi sono questi soldati e come vengono arruolati? Oltre al reclutamento volontario e all’acquisto di mercenari stranieri: arruolamento forzato di poveri, delinquenti e sbandati, arruolamento obbligatorio di prigionieri di guerra, rischioso ma almeno erano soldati esperti I grandi eserciti non erano composti solo da soldati, ma da cuochi, cucinieri, vivandieri, infermieri, sarti e prostitute. Spesso c’erano le mogli dei soldati o le donne con cui avevano una relazione. Era una massa senza un’uniforme, con solo la distinzione delle armi usate. I primi ad adottare un’uniforme furono gli inglesi e nel ‘700 ogni esercito nazionale aveva la propria. A metà ‘700 compaiono le prime caserme, ma prima gli eserciti alloggiavano nelle città requisendo palazzi, case, stalle e granai. Nascono anche le prime scuole militari. 9.5 guerre e paci nell’Europa moderna. Fra ‘500 e ‘600 ci sono i conflitti più numerosi: per il predominio in Italia, tra Francia e Austria e quelli di religione in Germania. Si concentrano anche le guerre più devastanti, come quelle civili o a sfondo religioso. È nel ‘700 che si parla di “guerre minuetto”, per il carattere formalizzato dei conflitti: le truppe si muovono al rullo del tamburo con movimenti regolari, sparando a intervalli prestabiliti. È una guerra di posizione, con numerosi assedi e pochi scontri campali. I conflitti agiscono meno sulla vita della società civile. Capitolo 10: Povertà, criminalità e controllo sociale. 10.1 il pauperismo. Pauperismo: fenomeno di massa nato nel ‘500 in Europa dove una grande quantità di poveri, disoccupati e vagabondi si spostano a ondate dalle campagne alle città, creando situazioni di disagio, miseria e delinquenza diffusi. Diventa una delle principali piaghe sociali causata da: • aumento della popolazione -> pressione su campagne le cui risorse non bastano per sfamare tutti • Aumento dei prezzi -> riduzione del valore della moneta, dei salari e aumento della miseria • Eccesso di manodopera -> crollo di domanda di lavoro e disoccupazione di massa • Inizio di trasformazione dell’economia agraria capitalistica con esproprio di terre comuni e concentrazione della proprietà in mano a pochi • > crisi della piccola proprietà contadina: in città mancano i legami di solidarietà che in campagna assicuravano la sopravvivenza ai più poveri. È davvero povero chi non ha altro mezzo di sostentamento se non il lavoro, chi non ha una rendita ed è costretto a lavorare per vivere. GUTTON, storico: • poveri strutturali: poveri impossibilitati a uscire dalla condizione di povertà perchè impossibilitati a lavorare (vecchi, vedove, malati) • Poveri congiunturali: poveri a causa della crisi, ma capaci di risollevarsi, stando però sempre in bilico PULLAN, storico: • poveri non indigenti: poco sopra alla soglia minima di sussistenza • Poveri occasionali: cadono nell’indigenza e si risollevano solo grazie a un lavoro temporaneo • Poveri strutturali: anziani, disabili, malati, vedove La povertà è un concetto relativo e variabile, comunque in campagna il povero è sempre nella comunità, mai ai margini. 10.2 Uomini senza padrone. “Uomini senza padrone”: titolo di un saggio dello storico polacco GEREMEK, indica chi riesce a sopravvivere negli interstizi della società di antico regime. Senza legami fissi, potevano godere di molta libertà, ma con una precarietà che li esponeva alle incertezze della vita. Diverse forme di marginalità (gruppi ai margini della società) ed emarginazione (coloro che vengono espulsi o respinti ai margini): • a livello economico: chi non partecipa al processo produttivo o ne viene espulso • A livello sociale: chi non rispetta le regole o non condivide doveri o privilegi del gruppo di appartenenza • A livello spaziale: chi viola le regole del luogo organizzato o non vi partecipa • A livello culturale: chi non condivide i valori dominanti o prevalenti del gruppo di appartenenza e i comportamenti universalmente accettati. La condizione di “marginale” è data da chi governa a chi non rispetta le regole sociali e i valori condivisi dalla maggioranza, e si può verificare sul piano dell’assenza e del rifiuto. La diffidenza nei confronti dei forestieri o di chi apparteneva a una minoranza etnica o religiosa e quindi non condivideva i valori della comunità dominante, generava sentimenti xenofobi, di insicurezza in chi ritiene di essere “normale”. Il caso più evidente è quello di ebrei e zingari, delle donne ritenute streghe e delle persone dedita a magia e alla medicina popolare, delle prostitute. Il vagabondaggio è la marginalità per eccellenza: chi vagabonda non partecipa o rifiuta di partecipare ai legami sociali, quindi deve essere punito, anche se non danneggia nessuno. 10.3 Il povero: da immagine di Cristo a delinquente potenziale. Una delle convinzioni della dottrina cristiana fino a fine ‘400 era che i poveri fossero l’”immagine di Cristo sofferente” e quindi dovevano essere aiutati. Per la Chiesa l’esistenza dei poveri era tollerata da Dio perchè i ricchi peccatori potessero acquistare meriti attraverso la pratica della carità cristiana. Facendo carità il nobile rafforzava la sua posizione di preminenza sociale, creandosi una rete di debitori, pronti a servirlo all’occorrenza. I passaggi successivi dalla carità alla beneficenza e all’assistenza del ‘500, sono conseguenza della desacralizzazione del povero, visto come ozioso e pericoloso. Si ritenne che non dovessero essere solo le istituzioni religiose a doversene occupare, ma anche istituzioni pubbliche appositamente create. Cosa ha cambiato l’immagine del povero? Molti fattori, soprattutto la riforma protestante, in cui il credente non deve cercare il favore di Dio compiendo opere di bene per salvarsi l’anima, ma solo confidare nella propria fede e nel perdono gratuito di Dio. Quindi non c’è più alcun modo di ingraziarsi Dio, bisogna solo affidarsi alla fede per la salvezza. Di conseguenza, la mendicità vuene bandita e carità individuale vietata. Nasce la prassi di “discriminare”, distinguere tra veri e falsi poveri. La reclusione era la sola soluzione possibile e la povertà era abolita in presenza di istituti pubblici destinati al soccorso dei poveri. Per VOLTAIRE la povertà era una colpa di chi non sa uscire dal proprio stato di ozio e ignoranza, mentre il lavoro è visto come un valore etico capace di riscattare dalla miseria e di portare a un discreto successo economico. 10.4 Le istituzioni dei poveri: assistere e recludere. Si verificano diverse ondate migratorie in età moderna, soprattutto nel ‘500. Nel 1522 a Norimberga viene deliberata la centralizzazione dell’assistenza ai poveri per la prima volta, con divieto assoluto di mendicità, organizzazione pubblica dell’assistenza, case di lavoro con fondi comuni. Spesso vengono usate le strutture di antichi lazzaretti per rinchiudere i poveri. In Italia settentrionale dal ‘500 si fondano istituti assistenziali con fondi privati di cittadini e confraternite. Gli ospedali dei poveri, spesso gestiti da Ordini religiosi o confraternite che godono di esenzione fiscale, ricevendo molte donazioni, eredità e beni, tanto che spesso costituivano doti per aiutare le donne a sposarsi, o davano contributi ai ricoverati più volenterosi che uscivano dall’istituto per aprire una bottega. FOUCAULT, filosofo: “grande internamento” del ‘600, operazione di concentrazione e segregazione dei poveri in istituti e case di lavoro, concepiti sia come luogo di assistenza che di disciplinamento e punizione, capaci di trasformare i poveri oziosi in docili lavoratori. L’internamento è simbolo di come la società rifiuta e respinge chi non porta caratteristiche fisiche, comportamenti o atteggiamenti conformi alle norme stabilite e accettate. La concentrazione in uno spazio e l’isolamento dalla società sono i tratti di una politica disciplinante da cui nasceranno in futuro manicomi, carceri, cliniche e campi di concentramento. L’internamento priva i soggetti della libertà, costringendoli a lavorare, così il lavoro si trasforma in strumento di coercizione. Per riavere la propria libertà bisogna accettare docilmente l’internamento, consentire di essere rieducato e disciplinato, mettersi a disposizione dell’autorità e seguire le norme di comportamento prescritte, lavorare e pregare. Solo così le “classi pericolose” potranno trasformarsi in “classi laboriose”. La severità delle pene e il loro carattere esemplare era l’unica soluzione per limitare il numero di reati. La pena era vista come punizione e non come correzione, e la legge era diseguale a seconda del ceto sociale o del gruppo di appartenenza del reo. L’85% dei reati in antico regime comunque poteva essere compreso in furto e aggressione. Criminalità rurale: furto campestre, furto di bestiame, brutalità domestica su donne e ragazzi, violenza pubblica come in osteria o in piazza con le risse. Il crimine rurale è per lo più spontaneo, individuale, dettato dal bisogno o da uno scatto d’ira. È una criminalità interclassista, cioè fatta all’interno della stessa classe sociale. Brigantaggio: diffuso in ambiente rurale, soprattutto i territori di confine e lungo le principali vie di comunicazione, in regioni boscose e montagnose. I briganti in bande assaltavano con le armi viaggiatori isolati e carrozze e carri con merci, per dileguarsi subito dopo. Criminalità urbana: la città concentra più popolazione in spazi ristretti, ci sono meno controllo e più differenze sociali; domina il furto ma è compiuto con destrezza da bande di ladri e borseggiatori, da bande di scassinatori e ladri di appartamento. La violenza è più diffusa, il crimine è per lo più premeditato ed è una criminalità interclassista, esercitata fra esponenti di classi diverse, di solito da quelli di classi inferiori a danno di quelli di classi superiori. Cambiamenti tra 15° e 18° secolo nella criminalità: • declino dei reati contro la persona a favore di reati contro la proprietà • Sistema giuridico basato su difesa della proprietà privata più che sulla difesa dei diritti dei cittadini; lotta contro l’illegalismo diffuso. Dopo il 1726, con la pubblicazione del trattato di Beccaria “dei delitti e delle pene”, non si parla più di punizione, ma di correzione. Non si punisce quindi il delitto, ma si corregge il delinquente. Capitolo 11: La dimensione religiosa. 11.1 Religione e vita quotidiana. La vita quotidiana in antico regime è permeata di religiosità. Il senso di precarietà dell’esistenza e quindi la paura della morte e delle pene dell’inferno domina la vita dei credenti, consci della loro natura peccaminosa. Credere nel soprannaturale è un modo per spiegare l’inspiegabile, dalla meteorologia alle malattie, alle guerre, all’andamento dei raccolti. In una società molto gerarchizzata pochi osavano rivolgersi direttamente a Dio, si preferiva farlo tramite figure di mediazione come la Vergine Maria e i santi. Il culto mariano era diffuso in Europa soprattutto fra le donne per cui era più facile rivolgersi a una figura femminile, materna e amorevole. La percezione del tempo era segnata dalla religiosità oltre che dia ritmi di stagioni e lavoro: i contadini non conoscevano il calendario, ma conoscevano quello liturgico e quello dei lavori agricoli, in base a cui riuscivano a organizzare il loro tempo. Pasqua era la festa più importante, ogni credente doveva confessarsi almeno 1 volta all’anno e chi non lo faceva era subito tacciato di miscredenza e peccato. 11.2. battesimi, matrimoni e sepolture. Battesimo: primo dei sacramenti che consentiva di iscrivere alla comunità un nuovo componente, attribuendolo a una famiglia. Era un atto civile oltre che religioso, la scelta dei padrini era fondamentale per alleanze famigliari o rapporti di protezione. Prima comunione: è l’ingresso nella comunità di fedeli per il cristiano; la confessione rappresenta la pacificazione con i propri nemici e la richiesta di perdono a Dio tramite la Chiesa. Dal Concilio di Trento il matrimonio diventa il sacramento fondamentale che rappresenta l’atto di costituzione di una nuova famiglia e in genere l’unione di 2 patrimoni; fino a metà ‘500 però il matrimonio era un atto civile, fatto di fronte a un giudice o un notaio, o semplicemente con i rappresentanti delle 2 famiglie (in assenza dei coniugi), perchè era un patto tra famiglie: maggiori erano i patrimoni scambiati minore era il consenso richiesto ai coniugi. L’estrema unzione è il sacramento che si riceve quando si moriva nel proprio letto con i conforti della religione, mentre chi muore lontano da casa non la riceve e solo in alcuni casi può avere degna sepoltura. Parroco: mediatore tra società contadina e sistema dei poteri di cui fa parte la Chiesa. Amministratore dei sacramenti e della liturgia, ma anche confessore e quindi al corrente di tutti i segreti dei parrocchiani; mediatore di conflitti famigliari e sociali del villaggio, notaio, maestro di scuola, musicista o maestro di canto, agente di prestito, comunque organizzatore della vita sociale della comunità. Il Concilio di Trento definisce i doveri del parroco, colpisce così gli abusi ma spezza anche i legami che univano i parroci alle loro comunità.Chiesa come carriera: nel ‘400 la figura del Papa si rafforzò, facendone il sovrano assoluto di uno Stato e di un territorio i cui interessi contavano più di quelli della Chiesa universale. Nepotismo: procedura per cui si facevano entrare membri della propria famiglia nelle alte cariche. Nella Chiesa dominava il clero italiano. Carriera ecclesiastica: carriera come un’altra, riservata agli esponenti delle principali famiglie nobili romane, ma anche ai figli delle dinastie signorili italiane e alcuni intelligenti e abili figli di famiglie di provincia che in questo modo raggiungevano traguardi impensabili per il proprio ceto. Chi proveniva da una potente famiglia o aveva legami con una di esse spesso raggiungeva vertici molto alti e in giovane età, ma altrettanto rapidamente poteva cadere in disgrazia con una successione papale; mentre chi aveva raggiunto il suo posto dopo una lunga carriera rimaneva in auge più facilmente. In
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