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LA SOCIETA' DI ANTICO REGIME (XVI-XVIII SECOLO), TEMI E PROBLEMI STORIOGRAFICI DI GIAN PAOLO ROMAGNANI., Sintesi del corso di Storia Sociale

Esame storia, società e famiglia Fedele al libro

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 06/01/2021

lalla345
lalla345 🇮🇹

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Scarica LA SOCIETA' DI ANTICO REGIME (XVI-XVIII SECOLO), TEMI E PROBLEMI STORIOGRAFICI DI GIAN PAOLO ROMAGNANI. e più Sintesi del corso in PDF di Storia Sociale solo su Docsity! STORIA, SOCIETA' E FAMIGLIA LIBRO: LA SOCIETA' DI ANTICO REGIME (XVI-XVIII SECOLO), TEMI E PROBLEMI STORIOGRAFICI DI GIAN PAOLO ROMAGNANI. CAPITOLO I: IL LAVORO DELLO STORICO La parola storia è piuttosto ambigua e possiede molteplici significati, con lo stesso vocabolo indichiamo: -il concreto divenire degli eventi nel corso del tempo, ossia una realtà oggettiva; -la storia così come è narrare ed intepretata da uomini, cioè un prodotto soggettivo o un racconto vero o inventato che sia. Lasciando da parte la storia-racconto, la storia viene presentata come un evento (parte oggettiva) e la sua narrazione (soggettiva). In italiano possiamo distinguere quindi la storia dalla storiografia. La parola storia deriva dal greco antico traducibile come osservare, vedere, informarsi e indagare. L'idea greca di storia è quindi inscindibile da quella di ricerca. Nel mondo greco i due più grandi storici come Erodoto e Tucidide individuano da un lato la storia come ricerca dall'altro la storia come narrazione. Importante in questa sede è la storia della storiografia. La storiografia narrativa (ricordare), la storiografia pragmatica (ammaestrare) e quella scientifica (spiegare). La storiografia risponde al bisogno sociale presente in tutte le epoche: la ricerca di identità. L'identità è ciò che definisce i tratti comuni, ciò che differenzia dall'altro. E' una comune origine. Può essere alla base di nazionalismi, al razzismo e dell'intolleranza degli altri. Per Marc Bloch lo storico non si concentra tanto sulle carte ma il suo interesse sono gli uomini e la loro vita (territorio, linguaggio, musica, archivi, costumi e piante delle città). Ma l'oggetto di ricerca non è l'uomo isolato piuttosto gli uomini e le donne nelle loro relazioni reciproche, le società umane nella loro molteplicità, nelle trasformazioni nel corso del tempo. La storiografia è dunque una disciplina che ha come coordinate fondamentali lo spazio e il tempo. Lo storico è al tempo stesso soggetto e oggetto di storia, riflette e scrive la storia ma è anche implicato nelle dinamiche e vicende storiche del tempo al quale appartiene. Possiamo dire che la storia della storiografia è la storia che riflette su sé stessa tendendo conto di questa duplicità ineliminabile. STORIA E MEMORIA Una persona se privata della propria memoria è privata della propria identità, senza questa un individuo si perde, cessando di esistere. Un passato ricostruito non sarà mai esattamente il proprio passato come lo si era vissuto e memorizzato. Sarà un passato filtrato, la memoria umana è selettiva ed egocentrica (organizzata intorno all'io), ciò di persone, suspence, drammatizzazione, flashback) e suscitare anche reazioni emotive con una narrazione evocativa e drammatica. Ogni genere storiografico implica un organizzazione del discorso diversa e quindi uno stile narrativo differente. Un buono storico non deve essere del tutto ignaro delle buone tecniche narrative, più farà un uso consapevole più il suo prodotto sarà fruibile. Egli dà prova di ciò che dice, certificando i documenti. Lo storico deve far credere che ciò che dice è la verità sapendo che non si tratterà mai di una verità assoluta e indiscutibile. LE FONTI Il concetto di " antico regime " è stato coniato nei giorni della Rivoluzione Francese segnandone l'atto di morte (almeno nelle intenzioni). Per conoscere le società di "antico regime" è necessario comprendere le fonti, la storiografia, i grandi dibattiti degli storici. Gli storici quindi attingono da fonti che si definiscono rispetto al futuro e i documenti che invece si definiscono rispetto al passato. Le fonti possono essere primarie frutto di testimonianze dirette, secondarie ossia di testimonianze indirette; possono essere manoscritte o a stampa , oppure oggetti d'arte o manufatti quotidiani, o tracce presenti nel territorio , nella lingua , nelle tradizioni e nelle leggende . La bibliografia è invece tutto ciò che è stato scritto su un determinato argomento: anche questa si può distinguere in bibliografia primaria ossia libri e secondaria ossia i libri scritti lavorando su altri libri. Vi sono discipline ausiliare della storia importanti per lo storico come ad esempio la filologia (ricostruzione di un testo manoscritto), codicologia , paleografia (studio delle antiche scritture), la diplomatica (studio degli antichi diplomi e documenti istituzionali), la grafologia, l' epigrafia (studio di epigrafi su pietra), la sfragistica (studio dei sigilli impiegati nelle lettere) e l' araldica . L'archivio è un luogo di conservazione dei documenti e soprattutto una memoria organizzata, vi sono archivi nazionali, statali, della monarchia, archivi privati di famiglie, imprese e associazioni ed infine ecclesiastici . L'archivio non è quasi mai organizzato per argomenti ma per funzioni . LE INTERPRETAZIONI Il problema dell'inizio dell'età moderna è segnato da un dibattito storiografico tra i più vivi. Ad esempio il dilemma se il Rinascimento sia stato la fine di qualcosa o l'inizio di qualcos'altro resta ancora irrisolto. Un'altra delle controversie storiografiche è quella sulla crisi religiosa del Cinquecento (la riforma di Lutero) come fattore determinante per il passaggio alla modernità. Il Seicento era considerato un secolo di grande crisi (rivolte) in generale ma secondo altri fu un secolo caratterizzato da vari elementi di sviluppo. IL SETTECENTO E' DAVVERO IL SECOLO DEI LUMI? Uno degli stereotipi storiografici più diffusi è quello che identifica il Settecento con l'Illuminismo ed in particolare con il razionalismo filosofico, senza tenere conto comunque che la filosofia dei Lumi era un fenomeno di minoranza e che la maggior parte degli uomini e donne del popolo credeva all'esistenza delle streghe, del demonio e si svolgevano ancora processi per stregoneria. Il carattere emancipatorio viene messo in discussione nel corso del Novecento. CAPITOLO 2: LE MOLTE DIMENSIONI DELLA MODERNITA' LA PERIODIZZAZIONE STORICA Le periodizzazioni servono a rendere plausibili i fatti. Per costruirne una è necessario: - definire dei punti di partenza, - usare unità di misura comparabili, - individuare epoche con un segno comune, - creare categorie storiografiche su cui basare delle interpretazioni. L'età moderna è appunto una di queste periodizzazioni, moderna significa più recente: da qui l'equivoco tra moderno e contemporaneo per indicare epoche vicine a noi. Fino a qualche tempo fa molti manuali abbigliamento è umile. Per altri studiosi raramente le persone vivevano isolate ma in villaggi organizzati attorno ad una piazza centrale, una strada principale, un palazzo nobiliare e una chiesa. La maggiore o minore dimensione della casa non è necessariamente legata al reddito dei suoi abitanti ma piuttosto in base alla struttura della famiglia e alle condizioni lavorative. Le case contadine non sono soltanto un luogo di abitazione ma anche un riparo per gli animali ed un luogo di lavoro. Il panorama materiale della casa contadina è generalmente costituito da legno, paglia, lana, cuoio, pelle o osso. L'utilizzo del ferro era limitato. In genere vi è solo un focolare mentre nelle case di montagna in seguito si diffonderà la stufa in muratura. Soltanto nel '500 compaiono i veri e propri materassi mentre prima si utilizzavano paglia, lana o fogliame. NASCERE E MORIRE Il fattore umano è il più concreto ma sulla popolazione dell'antico regime possediamo dati materiali abbastanza imprecisi. L'intellettuale Montesquieu era convinto che Francia in questo periodo stesse subendo un calo demografico invece al contrario negli anni centrali del Settecento si assiste ad una crescita demografica senza precedenti, mascherata però da un parziale spopolamento delle campagne e il trasferimento alle grandi città. In assenza di rilevamenti statici, gli unici dati a disposizione sono quelli degli archivi parrocchiali. Infatti sotto il Concilio di Trento si impone a tutti di compilare i registri di battesimo, matrimonio e di sepoltura. Gli archivi parrocchiali sono oggi considerati dagli storici fonte importantissima per la storia demografica in quanto svolgono la funzione di una vera e propria anagrafe della popolazione. Il fattore determinante per comprendere l'andamento demografico di un paese è sempre dato dalla mortalità. La morte non dipende certo dalla volontà dell'individuo ma non si può considerare un fatto puramente biologico: è infatti fortemente condizionata da fattori ambientali e sociali. Un alto tasso di mortalità è per lo più indizio di miseria e di disagio sociale, mentre un basso tasso di mortalità e un allungamento della speranza di vita sono segni di benessere. In antico regime si moriva molto più frequentemente in giovane età e la percezione stessa della morte era assai diversa da quella attuale. Per certi aspetti era meno drammatica anche se più ritualizzata (si moriva per parto spesso e si reagiva risposandosi più frequentemente). Una vedova si risposava per assicurarsi il mantenimento della prole, una donna sola con figli infatti non aveva un ruolo sociale per permettersi di mantenere i figli autonomamente. Secondo alcuni dati molti uomini di 21 anni circa risultavano spostati più di una volta mentre le donne faticavano di più a contrarre un secondo matrimonio. La maggior parte delle malattie erano incurabili: una grave infenzione, malattie polmonari, cardiopatia conducevano sicuramente alla morte. Si poteva distinguere fra malattie egualitarie (come la peste, che colpivano tutti indifferentemente dal ceto sociale di appartenenza) oppure legate all'ambiente malsano delle paludi, che riguardavano solamente i poveri; o le patologie alimentari che alcune colpivano i poveri a causa della malnutrizione o alcune che riguardavano soltanto i ricchi perché invece erano gli unici a nutrirsi eclusivamente di carne e selvaggina. Si poteva morire anche a causa del clima, troppo freddo, troppo caldo o troppo umido. La mortalità seguiva flussi stagionali ben individuabili: d'inverno le malattie polmonari, durante l'estate le malattie intestinali oppure le malattie cardiovascolari che colpivano gli anziani. Si moriva per carestie, a causa delle guerre, si poteva morire per banali incidenti di lavoro. Frequentemente si moriva per percosse o maltrattamenti o vittima di aggressione. Pochi raggiungevano indenni la vecchiaia e quei pochi erano oggetto di rispetto in quanto portatori di memoria e di un'esperienza che non tutti possedevano. La natalità è più soggetta alle scelte individuali quindi più condizionata da fattori sociali e culturali. Nonostante la povertà di alcuni contesti parrocchia possiede infatti immobili e un patrimonio terriero. La decima era la quota di prodotto agricolo destinato ai parrocchiani (dono spontaneo). Dalla metà del Seicento il parroco svolge anche il ruolo di maestro. LE BASI AGRICOLE DELL'ECONOMIA. IL FEUDO La decima venne abolita (anche se sarà ancora parte dell'economia a lungo), in seguito troveremo anche la rendita signorile. Oltre alle crovées imposte ai contadini, ai signori spettano i ricavi dei pedaggi su strade e ponti, i diritti di transito su tutte le merci che attraversano i loro feudi, diritti sui mulini, sui frantoi, sui raccolti di uva, sui mercati settimanali ecc. I contratti agrari più diffusi sono: affittanza, mezzadria, soccida e pastinato. In alcuni casi il padrone fornisce ai contadini solo la terra e la casa, in altri casi una quota proporzionale al prodotto agricolo. E' gravoso dare al padrone metà del raccolto più che pagare un affitto per questo il contadino in molti casi occulterà il prodotto e lo venderà illegalmente al mercato. Il rapporto contrattuale più avanzato elaborato in età moderna era infatti l'affitto diffuso soprattutto nella Pianura Lombarda (fra l'Adda e Ticino). Oltre al canone fisso l'affittuario era tenuto a fornire al padrone anche alcuni prodotti agricoli in natura definiti "appendizi". La forza lavoro impegata sui terreni dell'affittuario era costituita da braccianti salariati. Mentre i lavoratori stagionali venivano pagati in danaro, quelli fissi era più vicini alla condizione di servo: solo una piccola parte era in denaro, il resto era il vitto e alloggio. Nella prima metà moderna le forme del possesso terriero sono essenzialmente due: il feudo e l' allodio . Il feudo appartiene al patrimonio della corona, non è quindi un proprietà privata. Il feudatario può essere solo il nobile, non il borghese. L'allodio e un bene invece goduto in piena proprietà e gli allòderi possono essere nobili, borghesi o anche contadini. Da queste due forme di possesso si distingue il demanio come insieme delle terre del principe territoriale. Diversi tipi di feudalesimo si distinguono in Europa e in Italia. CAPITOLO 4: LA CITTA' E IL MONDO DEL LAVORO LO SPAZIO URBANO IN ETA' PREINDUSTRIALE La struttura fisica di una città di antico regime è riconoscibile ancora oggi dal centro storico. Entro la cinta muraria si distinguono quasi sempre: un centro amministrativo (con palazzo municipale e piazza ), un centro commerciale (mercato) e un centro religioso (chiesa o cattedrale). All'interno dello spazio urbano si distinguono spesso ampi spazi vuoti, coltivati, frutteti o destinati al pascolo. Le dimore aristocratiche e borghesi posseggono quasi sempre orti e giardini, mentre le stalle per gli animali da trasporto sono praticamente ovunque. Le abitazioni povere si trovano in concomitanza al mercato o nella periferia. Nell'urbanistica e nella toponomastica si possono vedere ancora l'importanza di varie caratteristiche: il palazzo del podestà, la casa dei mercanti, il Duomo e il palazzo vescovile dovevano essere immediatamente riconoscibili. Una città di antico regime poteva chiamarsi così solo se aveva: mura difensive, guarnigione, uffici giudiziari o magistratura, mercato. Ciò che caratterizza una città è la presenza di privilegi concessi e riconosciuti dal sovrano, il privilegio più importante è l'autoamministrazione ossia il poter eleggere i propri organi di governo. La città opera il suo potere sul contado (comunità rurali). LA COMUNITA' URBANA E LE SUE COSTITUZIONI Gli abitanti della città di antico regime in ordine d'importanza sono: nobili, ecclesiastici, professionisti, artigiani, servi e poveri. Ma chi abita in città non è per forza un cittadino: la cittadinanza è un privilegio di pochi , solo di chi è in possesso di un documento. L'organo amministrativo principale è il consiglio comunale di cui fanno parte solo le famiglie più eminenti. Sotto al patriziato urbano esiste un ceto borghese formato da mercanti che si riconoscono nelle corporazioni di mestiere per di più di origine feudale in seguito alla nascita dei patriziati urbani che monopolizzavano le cariche municipali divennero una nobiltà chiusa, abbandonando le botteghe e più raramente i commerci. Gli artigiani: erano dunque i cittadini per eccellenza; l'arte è il mestiere, l'insieme accumulato di saperi e pratiche, tecniche e segreti che si trasmettevano di generazione in generazione e che spesso fanno parte o comandano una corporazione. Ogni arte ha degli specialisti diversi per ogni città. I tessitori e i sarti erano paradossalmente più ricchi degli orefici che erano dei lavoratori in proprio. In alcune città europee alcune professioni hanno più dignità di altre, ciò riflette anche la posizione geografica e le attività produttive di ogni luogo. DENTRO LA BOTTEGA. LE REGOLE DELLE ARTI E DEI MESTIERI All'interno della bottega la piramide gerarchica è ben strutturata: alla base stanno i garzoni, per lo più adolescenti non salariati ma ospitati in casa del maestro; quindi i lavoratori salariati e con dimora propria infine i maestri ossia i capi o i titolari delle botteghe artigiane, gli unici che hanno accesso alle cariche corporative e alle magistrature cittadine. I rapporti tra loro potevano essere molto buoni oppure gli apprendisti potevano essere sfruttati e i capi subivano furti ecc. I contratti di apprendistato erano a carico della famiglia dell'apprendista. La bottega era prima di tutto una scuola e il maestro un docente, educatore ed istruttore. Questa è la nostra antica origine della tesi di laurea. Le donne in genere non potevano mettersi in proprio, a volte potevano subentrare nelle corporazioni tramite il marito o padre defunto, ma non potevano ricoprire cariche sociali. Sono esistite casi di corporazioni tutte al femminile ma sotto tutela di uomini. L'apertura delle Arti alle donne era più frequente fra il Tre e il Quattrocento piuttosto che nei tre secoli successivi. CAPITOLO 5: I CETI BORGHESI E LE ORIGINI DEL CAPITALISMO CHI SONO I BORGHESI DI ANTICO REGIME? In antico regime con il termine borghese si indicvano realtà assai diverse tra loro. Bisogna perciò utilizzarlo con cautela. Nel medioevo con borghesi s'intendevano gli abitanti dei borghi o delle città per distinguerli dagli abitanti delle campagne. Successivamente il termine borghese si è caricato di un significato più complesso e fra 400 e 500 la qualifica di borghese è stata attribuita ai soli abitanti di una città dotati di privilegi, di pieni diritti di cittadinanza, residenti da generazioni, titolari di attività e proprietari di una casa tenuti a pagare le tasse. Collocati ad un livello leggermente inferiore al patriziato urbano costituiva una vera e propria aristocrazia cittadina, si distingueva così un ceto borghese formato dagli esponenti delle famiglie mercantili che facevano parte delle Corporazioni di mestiere, o dai professionisti che si riconoscevano nei Collegi delle Arti e che erano in genere rappresentanti del Consiglio Cittadino. Egli si distingue sia dai nobili che dai semplici cittadini. Nel Seicento si indicherà come borghese un'appartenente al Terzo Stato, né ecclesiastico né nobile. Ovviamente non tutti i semplici cittadini ma bisognava comunque distinguere in base al ceto di appartenenza. Le borghesie di antico regime erano distinte in due gruppi di riferimento: "i mestieri del denaro" e i "mestieri dei saperi", nel primo gruppo troviamo i proprietari (terrieri, manifatture ecc) e nel secondo i professionisti (notai, avvocati, medici) e funzionari (ufficiali, professori, amministatori pubblici). FRA ECONOMIA NATURALE ED ECONOMIA MONETARIA Fra il V e il XV secolo gli scambi avvenivano prevaletemente in maniera naturale, in Italia addirittura fino ai primi del Novecento i contadini venivano pagati in natura. Essendo la distribuzione del reddito fortemente sbilanciata, in certi contesti la moneta circolava ampiamente in altri affatto. La di mercato, del macchinismo e del sistema di fabbrica strettamente connesso con la nascita del capitalismo. Nel Settecento ci fu lo sviluppo dell'industria metallurgica, mineraria e tessile mentre nell'Ottocento si introdussero i battelli a vapore e le ferrovie. Negli ultimi decenni, il concetto tradizionale di rivoluzione industriale è stato sottoposto a revisione critica. Alcuni studiosi si sono domandati se l'impiego di quel concetto non avesse generato un vero e proprio mito: trasformando il caso inglese in un modello universale. L'attenzione degli studiosi si è spostata da un lato della cosiddetta "protoindustrializzazione" e l'altro sulle molteplici "vie verso l'industralizzazione" intraprese dai diversi paesi europei e dai molti extraeuropei. Pare che il caso inglese di rivoluzione industriale fosse soltanto una delle vie possibili e non la sola. La categoria storiografica di protoindustrializzazione si deve allo storico dell'economia americano Mendels. Nella penisola italiana, già nel Seicento la manifattura era intrecciata con l'industria. LA RIVOLUZIONE DEI CONSUMI Come abbiamo visto l'interpretazione classica della rivoluzione industriale poneva al centro i grandi mutamenti avvenuti nella prima metà del Settecento. Da alcuni anni però gli studiosi si sono concentrati sui consumi, la rivoluzione dei consumi. Il Settecento è il secolo nel corso del quale si afferma un consumo tendenzialmente di massa, rendendo le differenze sociali meno percepibili. Si impone via via, anche presso i ceti interiori, la necessità del "superfluo ", ossia l'esigenza di possedere beni non strettamente necessari. Il consumo di massa si afferma come il fattore più importante di rinnovamento e trasformazione, non solo dell'economia ma anche dei constumi. Con l'età moderna l'acqua si afferma come la principale risorsa energetica. Tutto ciò implicherà inevitabilmente un crescente inquinamento delle acque, l'igiene del corpo si diffonderà maggiormente. La rivoluzione dell'igiene rappresenta indubbiamente un miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni favorendo una minor diffusione delle malattie. Anche il passaggio dalla biancheria in lana a quella in cotone sarà importante. La diffusione nelle principali città europee di nuovi metodi di riscaldamento e di illuminazione è un'altra delle più evidenti trasformazioni. L'illuminazione delle strade determina sia una percezione di maggior sicurezza sia la possibilità di allungare in molti ambiti l'orario di lavoro. Le stufe in ghisa e ceramica entrano a far parte dell'arredamento domestico sostituendo i caminetti e i focolari. La stufa coronerà un diverso modo di vivere e di socializzare , il calore della stufa si distribuisce più uniformemente. La struttura interna delle abitazioni si evolverà, ci sono più stanze unite da corridoi, ci sono armadi, si differenzia la zona giorno da quella notte. CAPITOLO 6. LE NOBILTA' EUROPEE NOBILTA': GENESI DI UN CONCETTO Le società di antico regime erano dominate dall'aristocrazia che fondava il suo potere sul privilegio. I termini aristocratico e aristocrazia derivano dal greco aristos: il governo dei migliori. Nel mondo greco infatti era aristocratico colui che si distingueva fra tutti per particolare valore, per eccellenza della sua natura. Non era quindi una nobiltà di sangue ma aristocrazia di virtù e dello spirito. Nel mondo romano invece l'élite era rappresentata dal patriziato coloro che potevano ereditare la discendenza da un pater. Nel mondo tardo antico e medievale una persona era nobile per nascita, o per un titolo concesso dal sovrano, era un privilegiato. I tre elementi costitutivi della nobiltà antica erano nell'ordine: la nobilitas ossia i natali illustri, da dimostrare attraverso l'albero genealogico; la virtus, ossia la virtù e il coraggio militare e la certa habitatio cioè il possesso di una casa e di una terra. In una parola la nobiltà è un ceto, un ordine o uno stato. Il concetto di "classe" distingue un gruppo sociale per la sua posizione economica all'interno del decisivo per connotare un nobile, una significativa minoranza era decisamente povera. Molti di loro durante il Settecento caddero in miseria. Un altro luogo comune storiografico si basa sulla doppia immagine settecentesca di una nobiltà in declino e una borghesia in ascesa, in realtà il sistema di potere nobiliare è estremamente elastico e capace di adattamenti successivi, alcuni borghesi aspiravano alla nobiltà e alcuni nobili invece si facevano portatori di valori e stili di vita che oggi definiremmo borghesi. Il vero nobile crea legami sociali anche attraverso il debito e/o prestiti. In molti territori europei i nobili esercitano il potere giudiziario, comandi militari e incarichi diplomatici. Solo i sovrani limitano i loro ruoli. Gli Ordini Cavallereschi rappresentano una vera e propria internazionale delle aristocrazie capace di definire modelli comportamentali, stili di vita e spesso anche strategie matrimoniali. Nella maggioranza i nobili di età moderna erano profondamente ignoranti. Diverso il discorso per i figli della nobiltà di toga o di servizio, indotti a seguire precisi percorsi formativi per poter accedere a cariche pubbliche loro destinate. Anche la nobità di corte viene istruita. NOBILTA' EUROPEE A CONFRONTO LA FRANCIA: LE DUE NOBILTA'. Qui si assiste alla presenza di due nobiltà ben distinte e in conflitto fra loro. Da un lato la nobiltà di spada, di origine più antica, che deriva il suo potere dall'esercizio delle armi, sono proprietari terrieri e dotati di titolo ereditario, godono di maggior considerazione sociale e controllano il potere politico e amministrativo. Dall'altro lato troviamo la nobiltà di toga che è di origine più recente, deriva il suo potere dall'esercizio delle cariche di giustizia e di finanza, ha ottenuto il titolo nobiliare per via ereditaria ma gode di minor prestigio sociale, la sua ricchezza proviene soprattutto dalle rendite degli uffici (dipende totalmente dal sovrano). A partire dal 1680 Luigi XIV realizza una complessa operazione politica mantenendo a proprie spese la corte di Versailles la maggior parte dei nobili di spada e consegnando lo stato alla nobiltà di toga, colta e preparata, ma totalmente subordinata al sovrano. Secondo il sovrano la competizione tra le due non sarebbe mai dovuta sfociare in un conflitto, consentendo ai sovrani di esercitare la funzione di "arbitri". L'INGHILTERRA. UN'ELITE APERTA? Anche il caso inglese presenta due nobiltà distinte e indipendenti ma di origine nettamente diversa da quelle francesi. Al capo della gerarchia vi sono i Lords (Pari): nobiltà antica di origine feudale, militare e terriera, dotata di titolo ereditario da molte generazioni, che gode di grande prestigio sociale e di considerevole potere politico e siede di diritto in uno dei due rami del Parlamento: la Camera dei Lords (orientamento politico Conservatore). Al di sotto dei Pari troviamo la Gentry (una nobiltà di fatto) dotata di minori prestigio sociale, esercita una notevole autorità in sede locale attraverso le cariche elettive di giudici di pace, magistrati di contea o deputati alla Camera dei Comuni. Può essere di origine più o meno antica o recente e la sua autorità si rifà in base all'autorevolezza acquisita in sede locale. LA RUSSIA: UNA NOBILTA' DI STATO. Il caso russo è del tutto particolare: infatti qui troviamo fin dai primi del Settecento un'aristocrazia di origine feudale, dotata di immense proprietà terriere e giurisdizionali estesissime. A partire dal regno di Pietro I il Grande la situazione muta radicalmente con la costituzione di un'unica nobiltà di servizio, suddivisa in base alla cosidetta tavola dei ranghi in tre livelli gerarchici e tre diverse carriere (militare, civile e cortese) sottoposta al potere assoluto dello zar che costituisce l'unica fonte di diritto e l'unica ragione di distinzione sociale. Quella che era una aristocrazia feudale viene trasformata in pochi anni in un immenso ceto di funzionari al servizio dell'imperatore dal quale dipende la conferma dei loro titoli. Dopo Pietro I quindi la nobiltà russa non è più né feudale né proprietaria poiché tutta la competenza professionale ed esperienza amministrativa. Si tratta inizialmente di notai e cancellieri permamenti al servizio del sovrano (o della Repubblica) in possesso di conoscenze precise in materia diplomatica, di diritto e di economia. Quelli che oggi chiameremo funzionari pubblici ammessi a seguito di un pubblico concorso. Qui la concessione di titoli avviene tramite eredità o a seguito della decisione di altri più potenti, questa è la cosiddetta nobiltà di servizio trattata nel cap. 6. La terza linea è data dalla presenza di una diplomazia permanente presso le corti straniere che sostituisce gli inviati temporanei. L'invio di residenti stabili presso le corti straniere, implicava disponibilità di denaro, di conoscenze e soprattutto di capacità di agire e sapersi muovere in maniera adeguata negli ambienti di corte prerogative esclusive della nobiltà più istruita e più ricca. La quarta linea di tendenza è la progressiva affermazione del monopolio statale del prelievo attraverso il fisco, ossia attraverso un sistema di tassazione unico ed esteso a tutto il territorio statale. L'autorità fiscale viene a sostiuirsi a quella militare. La quinta linea di tendenza è invece il tentativo di affermare una legislazione unitaria, passando attraverso codici scritti. La sesta ed ultima tendenza è data dalla progressiva affermazione di un mercato ampio ed esteso. Le politiche economiche messe in atto da molti governi europei a partire dalla metà del Seicento consolidarono un maggior controllo da parte dello stato sull'economia. Durante la formazione dello Stato moderno si possono individuare tre fasi successive. Una prima fase è caratterizzata dal patto sancito fra poteri autonomi. Una seconda fase è segnata dalla progressiva affermazione del dominio del sovrano sugli altri poteri. Una terza fase è caratterizzata dall'affermazione del principio costituzionale di rappresentanza politica come base di ogni governo, riducendo il ruolo del sovrano a puro garante delle leggi dello stato. La storia dello Stato Moderno è quindi storia di lotte e di compromessi fra poteri diversi, fino all'affermazione di un potere sovrano superiore. Nell'arco di alcuni secoli si passa infatti da un'idea di sovrano come vertice della scala feudale ed incarnazione dello Stato ad un'idea di Stato Sovrano come entità superiore, autonoma ed astratta. In antico regime ad essere rappresentati non erano gli individui, o i gruppi politici ma i ceti. In tutti i territori europei esistevano organi di rappresentanza di ceti di origine medievale. Monarchie composite e Stati territoriali. Se esaminiamo da vicino le dinamiche della statualità di antico regime, tra Quattro e Settecento, si possono individuare quattro tendenze. 1) La tendenziale razionalizzazione del potere sul territorio che porta alla riduzione del numero dei piccoli stati regionali in favore di un ristretto numero di grandi Stati territoriali. 2) La progressiva autonomizzazione dei più forti poteri territoriali (i principi sovrani) rispetto alla suprema autorità feudale (l'Impero) e la contestuale affermazione dell'autorità di fatto dei medesimi poteri in sede locale. 3) La progressiva marginalizzazione dei poteri locali (città, chiese, feudalità), delle magistrature e degli organismi rappresentativi (Parlamenti, Stati Generali, Diete, Cortes, Consigli) rispetto al potere dei principi sovrani. La fine delle corti itineranti e la nascita di capitali stabili, sede del sovrano, della corte, delle magistrature e dell'alta burocrazia statale. 4) Nell'arco di un secolo (1440- 1550 circa) si manifesta quindi una spiccata tendenza alla concentrazione dei poteri, che suscita una serie di controspinte da parte di tutti i soggetti in vario modo colpiti. In quasi tutti i casi i sovrani affrontano le resistenze contrattando con diversi poteri. Lo storico inglese John H. Elliott ha coniato il concetto di "monarchia composita" per indicare quelle monarchie solo apparentemente unitarie, ma all'interno delle quali sopravvive e si intreccia una molteplicità di giurisdizioni. La monarchia spagnola (Carlo V) è un tipico esempio di monarchia composita costituita a partire dal 1469 dall'unione dei regni di Castiglia e di Aragona, poi quelli di Navarra e di Portogallo, nella penisola iberica e in Italia (Napoli, Sicilia e Sardegna); famigliari e feudali. MONARCHIE ASSOLUTE E REPUBBLICHE OLIGARCHICHE. Uno dei più diffusi luoghi comuni storiografici relativi allo Stato moderno è quello secondo cui l'assolutismo monarchico sarebbe stato il modello dominante delle monarchie europee fra Cinque e Settecento. In realtà l'assolutismo fu solo una tendenza e in nessun paese si realizzò in forma compiuta. Lo stesso concetto di assolutismo (monarchia sciolta da ogni vincolo) è stato introdotto da Bodin ed entrerà a far parte del lessico solo dopo la Rivoluzione Francese, impiegato con connotazione negativa poi reso parzialmente positivo. Fatto sta che la monarchia assoluta è per lo più un prodotto storiografico che una realtà. L'assolutismo europeo è stato dunque considerato come un processo tendente a realizzare in forme e tempi diversi nei paesi europei, una sovranità più libera da controlli istituzionali ma pur sempre limitata. La forma più diffusa di governo rimane quella dello Stato Cetuale, fondato su una molteplicità di poteri e fondato sulla condivisione della sovranità fra il principe, i ceti e i loro organi rappresentativi. Completamente diversa è la situazione delle antiche repubbliche oligarchiche e patrizie, come Venezia, Genova e Lucca fondate su organismi rappresentativi delle élite cittadine e su complicati sistemi elettorali. BUROCRAZIA E UFFICI: DALLA VENALITA' ALLA CARRIERA Il termine "burocrazia" viene coniato a metà del Settecento dall'economista francese Vincent de Gournay e poi impiegato dagli economisti fisiocratici per denunciare il potere crescente dei funzionari governativi nella vita pubblica della Francia. Il termine deriva dal vocabolo francese bureau (lo scrittoio) ed indica sia un sistema di potere dominato dai funzionari e dalle loro regole poco trasparenti, sia l'insieme degli impiegati pubblici. Alla definizione del concetto di burocrazia dedica pagine importanti il sociologo Max Weber che la indica come espressione idealtipica dell'autorità e dell'organizzazione razionale e funzionale dello Stato moderno. Appurato che lo Stato moderno implica comunque lo sviluppo di apparati burocratici. Definizione di moderna burocrazia: secondo Weber lo strumento principale attraverso cui i sovrani assoluti sarebbero riusciti ad esercitare il loro potere era la titolarità degli uffici, ossia la concessione agli ufficiali del possesso patrimoniale (o ereditario) della carica, concepita come un beneficio feudale. In molti casi gli uffici venivano messi in vendita dal sovrano e gli ufficiali che gli acquistavano si garantivano la titolarità per sé stessi e per gli eredi. La vendita degli uffici e delle cariche prende il nome di venalità. Nella prima età moderna, fino alla metà del Cinquecento, la maggioranza degli uffici ha carattere patrimoniale o venale, mentre nella seconda età moderna, tra Seicento e Settecento, col crescere della burocrazia, i pubblici ufficiali divengono funzionari stipendiati dipendenti dal sovrano. Il servizio alle dipendenze dello Stato, diventa così una vera e propria carriera che consente il passaggio dagli uffici inferiori a quelli superiori e meglio remunerati. In alcuni casi il segretario conclude la carriera come ministro. Lo sviluppo di una burocrazia permanente nasce dunque con lo Stato moderno come conseguenza delle nuove necessità poste dalla guerra e dall'amministrazione di territori sempre più ampi. I segretari di Stato tendono ad assumere un ruolo preminente in seno ai Consigli, mentre le funzioni amministrative, prima demandate all'aristocrazia, tendono a differenziarsi e a specializzarsi, dotandosi di organi ad hoc (segreterie, uffici). Nel corso del Cinquecento si passa dalla progressiva estensione delle competenze e del numero dei segretari regi alla costituzione di un vero e proprio corpo autonomo di professionisti al servizio dello Stato, in possesso di precise competenze giuridiche e economiche. Gli ufficiali venivano reclutati in tre modi: si reclutavano esponenti della piccola nobiltà desiderosi di distinguersi agli occhi del sovrano, si reclutavano giuristi non nobili e oppure si concedeva l'ufficio in beneficio o lo si vendeva al miglior offerente. Il modello della venalità era prima istanza nelle città prive di Parlamento. Al livello intermedio si collocavano i tribunali di presidio, con funzione d'appello di prima istanza. Ad un quarto livello si collocavano i Parlamenti provinciali e vere e proprie corti d'appello composti da magistrati esperti. Al supremo livello si collocava il Parlamento di Parigi, prima corte sovrana del Regno di Francia, con autorità su tutti gli altri parlamenti francesi. I Parlamenti al plurale indicano gli organi giudiziari, il Parlamento indica l'organo di rappresentanza politica e legislativa. Alcuni Parlamenti accanto alle competenze giudiziare, possedevano altre prerogative di carattere più politico: la facoltà di emettere sentenze regolamentari (interpretazione delle leggi vigenti), la facoltà di pronunciare giudizi in equità e la facoltà di esercitare il diritto di registrazione (ogni editto regio, prima di entrare in vigore in un territorio, veniva prima registrato quindi promulgato dal Parlamento. La mancata registrazione implicava la sospensione del valore dell'editto in quel territorio. Se il re del territorio non intendeva accogliere la legge aveva comunque il potere di imporre la registrazione mediante la convocazione di un lit de justice (letto di giustiza) ossia una convocazione straordinaria del Parlamento alla presenza sua o di un suo rappresentante, in una sessione plenaria che non poteva subire interruzioni fin quando l'editto non fosse stato registrato. Per contro la convocazione dei lits de justice da parte del sovrano era sempre un atto gravissimo che poneva fine ad un braccio di ferro da risolvere a suo vantaggio, la resistenza della magistratura testimoniava un grave malessere (poteva provocare come a metà Seicento la fronda parlamentare che portò la Francia sull'orlo di una guerra civile. Anche in Inghilterra l'estendersi del potere delle corti regie su tutti i territori della monarchia rappresentò un momento di rafforzamento dello Stato, diversamente dalla Francia, la giustizia locale rimase ancora per molto tempo nelle mani di giudici non dipendenti dal sovrano ed eletti localmente: gli sceriffi di contea, funzionari di origine medievale con compiti di vigilanza, polizia e bassa giustizia, e i giudici di pace non "togati" scelti per lo più fra gli esponenti della gentry. La Common Law rimase allungo il tratto distintivo del sistema giuridico britannico. Le corti d'appello non erano attive tutto l'anno ma soltanto quattro volte. A fine Quattocento esistevano a Londra quattro corti centrali con competenze diverse tutte fondate sul diritto comune. Ma nel corso del Cinquecento, sotto i Tudor, si costituì un secondo sistema di tribunali centrali. L'organo supremo era presieduto da re, dal quale dipendevano i tribunali regi distribuiti su tutto il territorio del regno, era comunque un sistema abbastanza efficace. In antico regime i sistemi penali dei paesi dell'area mediterranea seguivano per lo più la tradizione del diritto romano-canonico, fondato sul metodo accusatorio o inquisitorio che prevedeva tre figure: l'accusatore o inquisitore che doveva portare a giudizio un reo, estorcerne la confessione anche con la tortura ed infine esibire le prove davanti al giudice, poi vi era l'accusato (spettava il diritto di difesa ma non sempre un avvocato) e il giudice al quale spettava il giudizio finale. In genere l'accusato viene considerato innocente solo in questo caso è il presunto colpevole a dover dimostrare la propria innocenza. In tutti i tribunali di antico regime i processi non erano pubblici ma si svolgevano a porte chiuse e i testimoni venivano interrogati separatamente. LA FISCALITA' IN ETA' MODERNA: VERSO IL MONOPOLIO DEL PRELIEVO. Con la parola fisco si indicava la cassa privata dell'imperatore distinta da quella dello Stato, destinata a finanziare l'esercito e le opere pubbliche. Successivamente, agli inizi dell'età moderna il termine è venuto a connotare lo Stato ed in particolare un sistema di prelievo esercitato sui sudditi ed esteso ad un intero territorio. Oggi solo lo Stato ha il monopolio del prelievo, mentre in antico regime i soggetti del prelievo erano diversi: oltre al sovrano, i signori territoriali, i feudatari, la Chiesa, gli enti ecclesiastici, le città, le Corporazioni e le comunità locali (o in denaro o in natura). Fra il Quattrocento e Settecento in Europa è in atto una trasformazioni fra Cinque e Seicento nel modo di fare guerra: 1) passaggio dagli eserciti temporanei agli eserciti permanenti di grandi dimensioni, 2) una trasformazione tattica che vede prevalere la fanteria sulla cavalleria dopo l'introduzione delle armi da fuoco. 3) Strategia mutata per necessità di retribuire, alimentare e spostare sul territorio masse crescenti di uomini, 4) più importanza del militare nella società, 5) tecnologia applicata alla guerra, 6) architettura militare e 7) la marina militare sarà importante nell'espansione coloniale. Per Jeremy Black nega la rivoluzione militare ma parla di semplici adeguamenti. Nella storia militare di antico regime si nota la trasformazione degli eserciti da feudali a professionali, un corpo disciplinato, gerarchicamente organizzato e in possesso di competenze specifiche. Già a metà del Quattrocento i corpi dei piccheri (reclutati dai Cantoni Svizzeri per lo più), sostituiscono la fanteria leggera mentre i soldati mercenari sostituiscono progressivamente le milizie cittadine volontarie. Il modello dell'esercito interami, ossia composto da diversi rami specializzati (bombardieri, fanteria ecc) si afferma come soluzione più efficace. L'aggregazione di spazi diversi nell'ambito delle nuove monarchie territoriali ed il rafforzamento degli Stati impone eserciti di maggiori dimensioni e soprattutto eserciti permanenti e di mestiere. Ciò implica costi più elevati, in quanto i professionisti di guerra vanno retribuiti, diversamente dai cavalieri feudali ma implica anche un lavoro più soddisfacente. Il testimone più efficace di tale trasformazione è senza dubbio Niccolò Macchiavelli, autore nel 1521 del celebre trattato sull'Arte della guerra nel quale si discute l'alternativa tra le milizie cittadine della tradizione repubblicana e le compagnie mercenarie di quella signorile, lui preferisce le seconde. La lunga stagione delle Guerre d'Italia (1494-1530) si svolgeranno tutte durante la fase di transizione e questo spiega l'esito incerto di molte campagne di guerra (alcune hanno ancora carattere medievale, con la cavalleria, altre vengono decise dalla fanteria e armi da fuoco). Nelle Fiandre Spagnole (dove vi era il primo grande esercito permanente) dell'età moderna vengono rapidamente bastionate tutte le città, vengono costruiti i primi alloggi per militari, viene istituito il primo ospedale militare, si provvede al sostentamento dei reduci, degli invalidi, degli orfani e delle vedove di guerra; viene predisposta la prima struttura logistica attraverso l'Europa lungo la linea Genova-Milano- Bruxelles, attraversando il cosiddetto corridoio militare, in modo di consentire il rifornimento delle truppe lungo un itinerario di alcune centinaia di chilometri. Se ci si sposta dalle città fortificate e dai campi di battaglia europei verso le coste marittime, ci si rende conto facilmente che a partire dalla metà del Cinquecento la guerra non era solo questione di eserciti e di cannoni, ma anche di navi e di flotte ben equipaggiate. La storia Europea è anche storia di conflitti navali (Spagna vs Portogallo, Spagna vs Impero Ottomano nelle acque di Lepanto del 1571). L'introduzione delle armi da fuoco sulle navi e la trasformazione delle stesse, fra Quattrocento e Cinquecento, segnano una tappa importante: si passa infatti dalla pratica dell'arrembaggio alla battaglia navale condotta a distanza con le armi da fuoco e volta alla distruzione fisica della flotta nemica. Sono gli anni in cui si passa dalle agili galere a remi ai pesanti velieri armati di cannoni. Le battaglie navali implicavano nozioni tecniche, ben più complesse della tecnica dell'arrembaggio, intrecciate con la matematica, fisica, la logistica, la geografia e la meteorologia. Una delle date simbolo della storia moderna: 1453 (presa di Costantinopoli da parte dei Turchi del sultano Mehmet II il conquistatore) rappresenta anche una delle prime apparizioni della terribile "bocca da fuoco". Realizzato da un armaiolo della Transilvania e comprato dal Sultano per attaccare la capitale Bizantina, il primo grande cannone della storia moderna era lungo dieci metri, con una canna di bronzo di appena venti centimetri, sparava proiettili del peso di seicento chili. Il passaggio si fa più pesante (quasi tutti gli Stati dedicano alla guerra la maggior parte delle loro entrate fiscali). Perché ci si arruolava? La miglior risposta ci viene fornita da un nobile friulano Giulio Savorgnan, generale dell'esercito di Venezia, il quale nel 1572 scriveva che ci si arruola per sfuggire al mestiere dell'artigiano e di bottega, per evitare una condanna penale, per vedere cose nuove e per ottenere onori. Gli altri si arruolano per avere qualcosa in più per vivere. Per garantire eserciti permanenti di grandi dimensioni i sovrani europei ricorrevano, oltre al reclutamento volontario e all'acquisto di mercenari stranieri: all'arruolamento obbligatorio dei prigionieri di guerra e all'arruolamento dei poveri, delinquenti e sbandati o dell'esercito nemico quindi già addestrati. Sono modalità di arruolamento che si riscontrano fino agli inizi del Settecento soprattutto nei paesi con una forte tradizione feudale. I grandi eserciti di antico regime non erano composti solo da soldati ma anche da un seguito di personale di servizio (cuoche, infermiere, sarti e prostitute). In molti casi i soldati si portavano appresso le mogli, o aggregavano al reggimento le donne incontrate durante la marcia. Ecco perché non era infrequente trovare documentata la presenza di donne e bambini nei ranghi degli eserciti. Tutto questo è molto diverso dagli eserciti del nostro tempo, ma anche da quelli del Settecento e Ottocento. Nel Settecento vennero adottate definitivamente anche le uniformi. Fino alla metà del Settecento inoltre gli eserciti alloggiavano nelle città requisendo palazzi, case, stalle, granai per loro necessità, più tardi verranno costruiti i primi alloggi, le prime caserme e quartieri militari in muratura che evidenziano e mascherano allo stesso tempo la presenza dei militari permettendo di separarli dalla popolazione civile e disciplinandone la presenza. Sempre nel Settecento nascono le prime scuole militari di artigliera e del genio volte a formare quadri tecnici, premiando il merito sulla nascita. Se si osservano i tre secoli dell'età moderna sotto il profilo bellico si possono avanzare alcune osservazioni. Fra Cinquecento e Seicento la densità dei conflitti appare particolarmente elevata: (Italia per 35 anni, 1494-1530), 38 anni di guerre franco-asburgiche (1521-59), 26 anni di guerre di religione in Germania (1521-47). Nei 150 anni successivi quello che Henry Kamen ha definito come il secolo di ferro abbiamo 80 anni di guerra fra la Spagna e i Paesi Bassi (1566-1648), 40 anni di guerre di religione in Francia (1559-98) e quasi ininterrotti 50 anni di guerra durante il regno di Luigi XIV. C'è una concentrazione di guerre civili in questo periodo a sfondo religioso: la sola strage degli ugonotti della notte di San Bartolomeo, fra il 24 e 25 agosto 1572, provoca in Francia 11.000 morti. E' nel Settecento che il modo di fare la guerra cambia radicalmente, si parla infatti di "guerre minuetto" per il carattere altamente formalizzato dei conflitti. La guerra Settecentesca è principalmente una guerra di posizione, coinvolge professionisti e seguono complesse trattative diplomatiche alle quali è affidato l'esito dei conflitti. Nel Settecento dopo la sanguinosa guerra di successione spagnola e prima delle guerre napoleoniche di fine secolo, troviamo solo la guerra di successione polacca, quella austriaca, quella dei Sette anni e la guerra di indipendenza americana. E' necessario qui periodizzare la rivoluzione militare nelle sue diverse fasi: fra il 1450 e il 1520 possiamo collocare la prima grande trasformazione degli eserciti europei, con l'introduzione delle armi da fuoco, il declino della cavalleria pesante e la comparsa dei corpi dei picchieri. Negli anni tra il 1530 e il 1560 (l'età di Carlo V) si colloca invece il balzo avanti nella dimensione degli eserciti. Fra il 1620 e il 50 sullo sfondo drammatico della guerra dei Trent'anni e della guerra civile Inglese si affermano i grandi eserciti permanenti e artiglieria più leggera. Fra il 1672 e 1710 durante il regno di Luigi XIV avviene il secondo balzo avanti nella dimensione degli eserciti in servizio permanente. Mentre le spese militari impegnano sempre maggiori quote del bilancio statale. Ci sarà un ritorno degli squadroni di cavalleria che saranno creazione di una massa di poveri concentrata nelle città. Lo spostamento di una massa di contadini impoveriti dalla campagna alla città crea disorientamento non solo a livello economico. Infatti la mobilità sulla terra e l'espulsione della monodopera libera dalla campagna allentano i legami feudali, ma anche la solidarietà di villaggi, annullando quella rete di protezione che il villaggio e le famiglie allargate potevano garantire. In città mancano quei legami di solidarietà. Il luogo di origine del pauperismo è dunque prevalentemente la campagna anche se lo spazio dove si manifesta più drammaticamente è la città, nel momento in cui il numero dei poveri è superiori alla capacità di assorbimento. Povero è chi non possiede una rendita ed è costretto a lavorare per vivere, quindi una larghissima fetta della popolazione urbana e rurale è da annoverare tra i poveri. E' difficile stabilire un quadro statistico della povertà in antico regime: i poveri non avevano voce, non hanno lasciato traccia di sé. Lo storico francese Jean Pierre Gutton, pioniere degli studi sul pauperismo, ha per primo delineato una sorta di tipologia della povertà partendo dalle fasce marginali della società e distinguendo fra poveri strutturali e poveri congiunturali. Nella prima categoria rientrano i poveri impossibilitati ad uscire dalla loro condizione di povertà perché non in grado di lavorare, ossia le categorie più deboli come i vecchi, vedove, malati costretti a mendicare. Nella seconda categoria rientrano tutte quelle persone come lavoratori a giornata, operai spinti verso la povertà dalla crisi, indebitati, ma capaci di risollevarsi nei momenti di maggior benessere, mantenendosi però sempre in bilico al limite del livello di sussistenza. Lo storico inglese Brian Pullan, in un celebre saggio del 1978, ha successivamente tentato una quantificazione della povertà sulla base dei dati demografici relativi ad un campione di città europee di diverse dimensioni. Prendendo in esame innanzitutto la povertà urbana, ha definito come "povera" una quota variabile fra il 75% e il 90%. Una prima fascia era composta dai poveri non indigenti (artigiani, ambulanti, piccoli impiegati) collocati di poco sopra la soglia minima di sussistenza; una seconda fascia pari al 20% di poveri occasionali (disoccupati, lavoratori saltuari ma in grado di lavorare) e una terza fascia costituita dai poveri strutturali (anziani, disabili, vedove) assistiti dalla pubblica carità. La povertà è dunque un concetto relativo, variabile e dipendente da quella che i sociologi definiscono la "soglia di povertà", esistono la povertà assoluta ad esempio in Africa cioè chi muore di fame e quella relativa come ad esempio in Italia c'è chi possiede una casa ma non ha un lavoro stabile ed è costretto ad indebitarsi. UOMINI SENZA PADRONE. E' il titolo di un celebre saggio dello storico polacco Bronislaw Geremek, con questo termine lo studioso indica coloro che riuscivano a sopravvivere ingegnadosi senza mai inserirsi in una categoria sociale. Oggi gli storici impiegano l'espressione di "marginali" per indicare questi individui o direttamente "emerginati". Entrambi i concetti implicano una concezione della società con un centro e un margine con regole ben precise e condivise dalla maggioranza. Si possono quindi individuare diverse forme di manginalità e di emarginazione: a livello economico, non partecipavano al processo produttivo. A livello sociale, non rispettavano le regole o chi non gode di privilegi del gruppo di appartenenza. A livello spaziale e livello culturale, chi non condivide i valori dominanti del gruppo di appartenenza ed i comportamenti universalmente accettati. In genere in antico regime ai marginali veniva attribuito il marchio di infamia come ai delinquenti, alle prostitute, i figli illegittimi ecc. La marginalità si può verificare su due piani distinti: quello dell'assenza e quello del rifiuto. Assenza di legami ritenuti normali (famiglia, corporazione, religione) e rifiuto consapevole di quei legami e quelle regole. Da marginale è quindi facile cadere nella posizione di emarginato. In antico regime i gruppi che appartenevano a una minoranza etnica, che parlavano un'altra lingua o fondi di privati cittadini e di confraternite. In altre parti d'Italia nascono poi gli ospedali per i poveri e gli ospizi. Michel Foucault pose l'attenzione sul "grande internamento" europeo metà seicento, internare i poveri oziosi per traformarli in docili lavoratori. Questa attitudine non rispondeva tanto a questioni di ordine pubblico ma a ciò che viene definito con una duplice categoria dagli antropologi "disciplinamento" e "controllo della devianza". L'internamento segnala il fatto che la comunità rifiuta individui portatori di determinate caratteristiche fisiche o comportamentali. La concentrazione è il primo tratto di una politica del disciplinamento da cui nasceranno successivamente, secondo Foucault, il manicomio e il campo di concentramento. Obbligati a lavorare e privati della libertà. CRIMINALITA' E MARGINALITA'. Lo studio della criminalità come quello della povertà è abbastanza recente. La maggior parte dei reati implicava non la detenzione ma i castighi corporali e in molti casi la pena di morte. La criminalità rurale (intraclassista, all'interno della stessa classe sociale) è caratterizzata da piccoli reati come il furto campestre, di bestiame, violenza pubblica e collettiva. Il brigantaggio diffuso in ambiente rurale diversa da quello urbano (interclassista, agito al di fuori della propria classe di appartenenza) dove domina il furto, organizzati in bande. Se prima venivano puniti dopo il 1762 grazie a Cesare Beccaria, il delinquente verrà corretto. In alcuni casi esisteva il mito del "bandito gentiluomo". CAPITOLO 11. LA DIMENSIONE RELIGIOSA RELIGIONE E VITA QUOTIDIANA. La vita quotidiana degli uomini e delle donne di antico regime è profondamente segnata dalla dimensione religiosa. A tutti i livelli sociali è presente il senso della precarietà dell'esistenza e di conseguenza la paura della morte e delle pene dell'inferno domina la vita dei presenti, consci della propria natura da peccatori. La credenza del soprannaturale era forte e in una società gerarchizzata come quella di antico regime pochi si rivolgevano all'Altissimo direttamente ma lo facevano tramite figure di mediazione (culto Mariano molto diffuso nella chiesa cattolica ma non in quella Luterana e protestante). Alla vigilia della Riforma la religione, al contrario di quanto di potrebbe credere, era in netta crescita (fondazioni di nuove chiese, confraternite, pellegrinaggi, culto dei santi e delle reliquie). La percezione stessa del tempo era influenzata dall'elemento religioso, alcuni contadini non distinguevano i mesi e i giorni ma conoscevano perfettamente il calendario liturgico. Netta era la distinzione fra giorni di lavoro e giorni di festa. Ogni credente doveva confessarsi almeno una volta all'anno che su quella base avrebbe poi redatto lo Stato delle anime. Chi non prendeva la comunione era sospettato di essere un miscredente e l'assenza del suo nome dal registro avrebbe a lungo testimoniato contro di lui. BATTESIMI, MATRIMONI, SEPOLTURE. Nella vita di un credente a ciascuna tappa della vita corrisponde un sacramento o un "rito di passaggio". La parrocchia è il luogo di celebrazione di questi riti collettivi e di conservazione della loro memoria scritta (archivi parrocchiali). Dopo il battesimo, la comunione rappresentava l'ingresso nella comunità dei fedeli, la confessione a sua volta rappresentava la pacificazione con i propri nemici e la richiesta di perdono a Dio tramite la Chiesa. Il rifiuto della comunione era interpretato come atto di ostilità e premessa di cattive azioni. Solo a partire dal Concilio di Trento il matrimonio diventa il sacramento fondamentale in quanto rappresenta l'atto costitutivo di una nuova famiglia e l'unione di due patrimoni (alleanza durevole nel tempo). Fino alla metà del Cinquecento infatti il matrimonio era un atto eminentemente civile, celebrato di fronte al notaio o al giudice. L'estrema unzione è un sacramento che ricevono solo coloro i quali spirano nel loro letto con i conforti della religione. PARROCI E PARROCCHIE. La parrocchia in antico regime è il delicato era quello dei tribunali vescovili i quali risolvevano questioni religiose ma anche cause ereditarie e matrimoniali (oggi tribunali civili). DIFFERENZE RELIGIOSE. L'Europa Cristiana non si identifica con l'Europa Cattolica, già nel 1054 ci fu la divisione tra quella cattolica di rito latino e quella ortodossa di rito greco. L'Europa cristiana si spacca ulteriormente con la crisi religiosa del Cinquecento dando inizio a una lunga stagione di conflitti. Contemporaneamente la cacciata degli ebrei e dei musulmani dalla Spagna, nel 1492, sancisce la frattura con le minoranze religiose non cristiane che fino al Quattrocento avevano bene o male convissuto. La lunga stagione di intolleranza si apre dunque con gli inzi del Cinquecento e connota gran parte dell'età moderna, introducendo concetti come minoranze religiose, eterodossi, eretici o infedeli. Le minoranze protestanti sono duramente perseguitate dalla Chiesa di Roma, in Spagna Filippo II addirittura li fa estirpare. Solo in Francia, dopo una lunga e sanguinosa guerra, la monarchia accetta l'esistenza di due confessioni religiose, con l'editto di Nantes si stabilisce il principio della tolleranza religiosa, grantendo il privilegio di religione di Stato alla Chiesa cattolica. Gli ebrei sono perseguitati e rinchiusi nei ghetti, i musulmani presenti in Spagna sono obbligati a convertirsi o a lasciare la penisola iberica. Si è ritenuto da più parti che il protestantesimo abbia favorito o meglio interpretato la modernità rispetto al cattolicesimo che per secoli si è opposto ai grandi mutamenti. Il mondo protestante ha consentito la formazione di un universo mentale diverso, dominato dalla soggettività e dal senso di responsabilità. Esso non conosce conventi, ordini religiosi, il clero è costituito dai ministri del culto, dai pastori e dalle loro famiglie, laicamente inserite nella società (maggiore integrazione nel mondo), il peccato esiste ma risolubile solo nell'ambito del rapporto intimo con Dio, non con la Chiesa e i suoi sacerdoti. Non conoscono il culto dei santi o madonna, non esiste la confessione e l'iconografia non è ricca come quella della chiesa cristiana. Le chiese protestanti sono povere in genere. LA DIASPORA EBREA. Con la cacciata degli Ebrei (1492) dalla Spagna, ha infatti inizio una lunga stagione di relativa intolleranza che aveva caratterizzato i rapporti tra cristiani ed ebrei che raggiungerà il suo momento più drammatico nel Novecento con la promulgazione delle leggi razziali e con la tragedia della Shoah. La storia dell'Europa moderna è infatti anche la storia dell'antisemitismo che ha fatto degli ebrei le vittime preferite di ogni persecuzione. Ci sono due famiglie di Ebrei: i Sefarditi e gli Askenaziti. I primi sono ebrei occidentali del mondo mediterraneo (spagna, portogallo e presenti in italia), gli altri sono originari della Germania, Polonia, Lettonia, Russia. In tutto l'impero Ottomano gli ebrei sono accettati possono esercitare qualsiasi mestiere e possono acquistare proprietà. Fra Quattro e Cinquecento l'Italia accoglie molti ebrei provenienti sia dalla Spagna che dalla Germania. CONVERTITI, RINNEGATI E "CRISTIANI DI ALLAH". Un altro aspetto molto trascurato dalla storia europea e del mondo mediterraneo riguarda coloro i quali durante la vita sono passati da una religione all'altra, attraversando frontiere confessionali e di civiltà: è il caso soprattutto dei cristiani convertiti al protestantesimo; degli ebrei e musulmani o degli indios convertiti al cristianesimo ma sempre legati a un mondo della loro fede originaria. I rinnegati erano invece erano marinai cristiani calabresi, pugliesi, siciliani, sardi, toscani o genovesi catturati dai corsari e convertiti all'islam (es. pastore sardo che era il più potente e temuto governatore di Algeri Hassan Agha che governava una flotta corsara composta da rinnegati di orgine messinese, corsa, genovese, spagnola, veneziana e ecc). Uomini di mare coraggiosi e spietati ma di origini umilissime che avevano trovato nella società ottomana una possibilità di riscatto che mai l'Occidente cristiano avrebbe offerto. L'islam si rivela quindi per molti, soprattutto per i più umili, un veicolo straordinario di ascesa sociale, in Occidente se non si era nobili o religiosi tutto ciò non era volte al centro di intrecci amorosi, poeta e viaggiatore. Nettamente distinti dagli ecclesiastici di alto rango: monsignori, vescovi, cardinali, giuristi, docenti universitari. L'altra figura intellettuale ereditata dal medioevo ed affermatasi soprattutto fra Quattro e Cinquecento è quella del cortigiano (Pico della Mirandola, Ludovico Ariosto, Torquato Tasso, Leonardo Da Vinci, Raffaello e Michelangelo) furono al servizio di principi laici ed ecclesiastici dai quali ottenevano generose pensioni per svolgere le loro attività a corte ma dai quali potevano anche essere cacciati. Erano comunque fortemente condizionati dalla volontà del loro signore. La corte rinascimentale suscita interesse negli storici sia per le caratteristiche artistiche e culturali ma anche per quelle politiche, economiche ed antropologiche. ACCADEMIE E BIBLIOTECHE. Le accademie nate fra Quattro e Cinquecento come luogo autonomo di ricerca, per iniziativa di piccoli gruppi di letterati, filosofi e scienziati per lo più sotto la protezione di nobili mecenati. Organizzate secondo una precisa gerarchia, dotate di statuti, distinte da un motto e da un'impresa (stemma). Più delle accademie letterarie o musicali, furono però quelle scientifiche a segnare il clima di una stagione: la più celebre ed antica accademia scientifica è quella dei Licei fondata a Roma nel 1603 dal principe mecenate Federico Cesi, fra i suoi primi soci ci fu ad esempio Galileo Galilei. Nel corso del Settecento le accademie diventano istituzioni più formalizzate, sostenute e finanziate dallo stato. Esse prevedevano un numero limitato di soci stipendiati che periodicamente comunicavano le loro scoperte. Tra Sei e Settecento nacquero anche laboratori, giardini botanici, osservatori astronomici e grandi biblioteche pubbliche ed universitarie. LA STAMPA E L'EDITORIA. L'invenzione della stampa a metà del Quattrocento fu un fattore decisivo. La capitale dell'editoria italiana era sicuramente Venezia. La diffusione della stampa implicò anche la nascita di nuovi mestieri e la trasformazione di quelli vecchi. Nacquero i tipografi come una sorta di élite alfabetizzata. Nei libri del tempo veniva dato ampio spazio alla dedica e poco all'autore infatti molti di questi erano anonimi. La cosidetta "rivoluzione inavvertita" riguardò solo una ristretta minoranza della popolazione per lo più urbana, in campagna arrivavano pochi libri generalmente di catechismi, lunari e cavallereschi. Il libro poteva essere potenzialmente pericoloso perciò andava controllato e censurato. Gli storici si sono occupati in particolare della cultura che circolava fra gli intellettuali. CAPITOLO 13. EDUCAZIONE E ISTRUZIONE LEGGERE, SCRIVERE, FAR DI CONTO. Le società di antico regime erano dominate dall'analfabetismo, l'oralità dominava sulla scrittura, ma la comunicazione era fatta anche di immagini di simboli e di emblemi (l'appartenenza a una Corporazione o ad un gruppo si riconosceva dall'abbigliamento), un sermone poteva essere illustrato dai volantini distribuiti ai fedeli. Nonostante ciò non erano incapaci di comunicare. Prima si leggeva voce alta e si studiava a memoria, in seguito i libri si leggono in maniera più selettiva o parziale, si diffonde la pratica dell'annotazione e dell'appunto. ALUNNI E INSEGNANTI. Parlare di studenti significa parlare di scuole e maestri. In antico regime le scuole erano presenti in città mentre in campagna erano poco diffuse (famiglie contadine che non volevano sottrare il lavoro dei figli dai campi). Diffusa era la scuola elementare a classe unica. I maestri di villaggio in qualche caso retribuiti dal comune erano per lo più preti e parroci, l'apprendimento era essenzialmente mnemonico e le scuole elementari non era obbligatorie. L'apprendimento della lingua era prevalentemente fonetico e la lingua di base era il latino. Le punizioni corporali erano all'ordine del giorno. COLLEGI E UNIVERSITA'. L'istruzione dei ceti elevati non era affidata alla scuola ma a precettori privati alle
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