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La Spagna e il suo mondo (1500-1700), Sintesi del corso di Storia Moderna

Riassunto completo del libro La Spagna e il suo mondo (1500-1700) di John H. Elliott

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 06/03/2020

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Scarica La Spagna e il suo mondo (1500-1700) e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! La Spagna e il suo impero nei secoli XVI e XVII Durante il XVI e il XVII secolo non ci si riferiva ai possedimenti spagnoli con il termine “impero” si definisce tale solo il Sacro Romano Impero (anche se molte monarchie occidentali prendono ad adottare questo titolo). 1519: Carlo I di Spagna nominato imperatore con il titolo di Carlo V; nel 1556 il titolo imperiale passa al fratello Ferdinando, continuando con esso ad indicare solo i domini tedeschi della casata asburgica. Il sovrano spagnolo era un monarca, che dominava un insieme di territori noti come monarquia espanola  territorio iberico, possedimenti italiani, terre americane. Era comunque presente la mentalità di stare costruendo un impero (XVII secolo, Filippo II appellato con il titolo di “imperatore delle Indie”). Il sogno di egemonia imperiale inizia alla corte di Carlo V; principe come figura intenta all’edificazione di un reame universale (Sotto questo impero un solo ovile sia, un solo pastore) Alle motivazioni messianiche si unisce la stagione di viaggi e scoperte geografiche; gli spagnoli sentono di essere destinati alla costruzione di un impero universale, più grande di quello romano. 1490/1500: arrivo nell’area caraibica; 1560: arrivo nelle Filippine; 1520/1530: conquista del Messico; 1580: annessione del Portogallo e delle sue colonie. 1530/1540: conquista del Perù; si supera l’Impero Romano per estensione e numero di abitanti; gli spagnoli (soprattutto i castigliani) si consideravano eredi diretti e successori dei romani popolo eletto da Dio per realizzare impero universale di matrice cattolica. Ideologia che giustificherebbe l’assoggettamento di altri popoli per difendere ed esportare la fede. Prendendo a modello i romani, I castigliani conquistano e colonizzano per poi iniziare lo sfruttamento effetti devastanti sulla popolazione locale: Il Messico dal 1520 al 1600 passa da 25 a 2 milioni di abitanti.  Cosa ha rappresentato per la Spagna asburgica l’espansione oltre oceano? Non è possibile fornire una valutazione d'insieme dei profitti e delle perdite, ma si può capire in che modo l’aver investito tante risorse nella conquista di un impero abbia influenzato la Spagna. Inizio di un movimento migratorio verso le nuove terre nel corso delle XVI secolo circa 240mila persone, nel caso del XVII secolo 450mila. La media è inferiore a quella di altri paesi, ma il fenomeno non interessa allo stesso modo tutta la penisola: si concentrava infatti in regioni come l’Andalusia e l’Estremadura. Circa un terzo degli emigranti erano donne: pesante riduzione dello sviluppo demografico; ad emigrare non era inoltre solo la feccia della società, ma anche gruppi disagiati come gli ebrei e i conversos. Ad emigrare erano quindi i rappresentanti più abili della popolazione castigliana e andalusa, con talenti difficilmente riacquistabili. Stesso discorso si fa per i missionari, dei quali si continuava ugualmente ad avere bisogno in madrepatria. Problema: definire lo status giuridico delle popolazioni indigene assoggettate alla corona spagnola schiavi o uomini liberi? Quale genere di servizi si poteva loro chiedere? Dibattito durante tutta la prima metà del Cinquecento; gli indiani non erano per natura degli schiavi, ma essendo pagani e quindi privi di una civiltà bisognava istruirli ai costumi cristiani. Problema: tutelare gli indios dagli sfruttamenti dei coloni. Controllo reso efficace da una estesa ed efficiente struttura burocratica e amministrativa, capace di collegare il centro di Madrid con la periferia. Si ricorre allo stesso sistema misto utilizzato da Ferdinando e Isabella, a sua volta ispirato al basso medioevo. La periferia è gestita da un viceré, che fa le veci del sovrano; ci sono poi i consigli, che si riuniscono presso la Corte e discutono le relazioni inviate dai vicerè, fissando le direttive da seguire. C'è poi la audiencia, un collegio di giudici presenti in ogni territorio comunale, che può anche limitare il potere del viceré. Sistema funzionale, ma porta al moltiplicarsi dei funzionari. Espansione delle strutture scolastiche educative; nel XVI secolo in Spagna ci sono 33 università e circa 25.000 studenti. Si diventava letrados, ovvero dottori in legge; i letrados erano il collante che manteneva la coesione fra centro e periferia. Bisognava passare attraverso tutti i gradi per arrivare al Consiglio delle Indie; processo che richiedeva molto tempo, e per questo motivo si parla di gerontocrazia dei funzionari principali. Madrid come centro dell'universo, capitale burocratica di un impero mondiale. Ai primi del 500 Madrid era un villaggio di circa 5000 abitanti; nel 1651 Filippo II la sceglie come pianta stabile per la sua Corte. Boom urbanistico, la cui prosperità era dovuta era dovuta ai redditi imperiali che vi arrivavano, in particolare l'argento dalle Indie che pagava i beni di lusso importati dagli altri paesi. Siviglia è la capitale commerciale della monarchia; nel XVI e XVII secolo contava 150.000 abitanti, unico porto iberico sulla rotta commerciale delle Indie secondo il sistema di navigazione ispano atlantico. Lo sviluppo commerciale garantisce alla regione andalusa una prosperità che dura fino alla seconda metà del 600; le Indie occidentali sono sfruttate soprattutto per i preziosi ( perle, argento oro). L'argento inizia a circolare ancora di più con l'apertura delle miniere peruviane del Potosì nel 1545 e della Zakateras messicane. Viene anche introdotta una nuova tecnica di raffinazione dell’argento attraverso il mercurio; il re spagnolo aveva bisogno di argento per pagare le spese di guerra, i mercanti europei che lo usavano a loro volta per pagare le merci orientali. Traffico bilaterale Siviglia- America per far fronte alla domanda degli emigranti e ottenere metalli preziosi. Ogni anno due flotte partono da Saluncar, divise in due convogli: 1) flota, che salpa a maggio da Siviglia verso Veracruz (Messico); 2) Galeones, che salpano ad agosto da Siviglia veros Nombre de Dios (Panama). A Panama si scaricano le merci destinate ai coloni; le navi trascorrono poi l’inverno lì. Passato l’inverno i due convogli si riuniscono all’Avana per partire prima dell’inizio della stagione degli uragani la flota doveva partire a febbraio con il carico d’argento, mentre i galeones dovevano fermarsi prima a Panama a prendere l’argento trasportato da terra dal Potosì. Oro e argento rappresentano fonte di ricchezza per la Spagna, anche se sprecata senza profitto serviva a pagare i debiti con i banchieri stranieri, arricchiva i funzionari coloniali e gli ecclesiastici così come i mercanti di Siviglia. L’attività di Siviglia aumentava l’occupazione e favoriva nuove professioni boom economico della Castiglia. Si è pensato che l’afflusso di argento sia la causa della “rivoluzione dei prezzi” che ha caratterizzato l’economia cinquecentesca. Sicuramente i preziosi americani hanno contribuito a spingere in alto i prezzi, ma non sono il solo fattore scatenante. Sicuramente molto dell’argento arrivato è stato spedito all’estero: 1) per pagare le merci prodotte fuori la Spagna da spedire in America; 2) per pagare gli eserciti dislocati in Europa e finanziare la politica estera.  I domini americani non sono la principale fonte di guadagno della corona spagnola, almeno durante il regno di Carlo V. l’argento era un bene importante e i banchieri accordavano molto più facilmente prestiti alla corona spagnola. Gli equilibri politici europei iniziano a capire la nuova realtà economica solo dal 1550; con Filippo II l’imperialismo asburgico si sposta fra le due rive dell’Oceano Atlantico spagnolo. Arriva il momento in cui i costi di gestione dell’impero diventano più alti dei vantaggi 1590/1620: mutamento nei rapporti America spagnola/ madrepatria. Es: problema emigrazione: inizia il sottopopolamento della Castiglia e l’impoverimento porta ad aumento clandestinità; la domanda del mercato americano cambia, i coloni sono meno interessati ai prodotti della madrepatria e il flusso di argento diminuisce. 1528: ritorno in patria e amicizia con Giovanni Dantisco, amico di Copernico e partecipazione ad un circolo umanista, nel quale è presente anche Erasmo. Del gruppo faceva parte anche Gomara, primo biografo cortesiano che lo ritrae come un eroe antico, secondo i canoni della storiografia rinascimentale. Cervantes de Salazar dedica a Cortez il Dialogo sulla dignità dell’uomo (1564) la sua azione in Messico viene paragonata a quella di San Paolo. - convergenza fra i circoli umanisti e i missionari francescani, che lo rappresentano come l’uomo mandato da Dio per spianare la strada alla completa evangelizzazione dell’umanità. La scoperta dell’America e la scoperta dell’uomo  Scoperta dell’uomo: termine utilizzato dallo storico francese Michelet; indica il momento in cui l’uomo europeo comincia ad esplorare se stesso e al contempo incontra nuovi individui e società. Il diverso diventa fonte di curiosità, nonostante la ridotta circolazione di materiale di maggior interesse etnografico la conoscenza di nuove società ha influito sulla mentalità e cultura continentali? Nelle cronache dei funzionari e missionari si accumulano nuove informazioni, ma gran parte degli scritti si fondava ancora su una conoscenza classica e ignorava le recenti scoperte si riteneva che la tradizione cristiana classica fosse sufficiente a comprendere. Alcuni viaggiatori iniziano però a chiedersi cosa sia la natura umana; le loro riflessioni non ebbero molta risonanza nel 500, ma contribuiscono ad allargare gli orizzonti culturali di una ristretta elite. Quali erano le caratteristiche essenziali per definirsi essere umano? Cosa distingue un uomo civilizzato da un barbaro? La conquista e la colonizzazione spagnola dell’America giocano un ruolo importante nel processo che porta l’Europa ad entrare in contatto con nuove società. Si riesce a riunire un folto corpus di dati etnografici sulle credenze religiose e la vita degli indigeni. 1577: viene redatto un questionario il cui scopo è quello di raccogliere più informazioni possibili sui territori colonizzati importanti sono le ricerche sulla storia e le civiltà indigene di Diego Duràn (frate domenicano) e Bernardino de Sahagun (francescano).  Nel XVI secolo l’osservazione delle società indigene non si fonda su una distaccata analisi scientifica; si dava per scontata la superiorità cristiana. I funzionari regi raccoglievano dati riguardanti la proprietà fondiaria, le leggi che regolavano le successioni esercitare autorità nel rispetto delle tradizioni locali; i missionari studiavano le loro superstizioni per poterle combattere.  Sono poche le ricerche stimolate dalla pura curiosità, anche se poi esse si trasformano in veri e propri studi (Historia General de las coasa de Nueva Espana di Sahagun rappresenta lo sforzo più serio di delineare un quadro completo della lingua e delle tradizioni azteche. Si indaga sul matrimonio, sulla vita domestica e sulla morte; tutto questo materiale consente anche di studiare gli atteggiamenti degli spagnoli al confronto con nuove società. Molto spesso dalle trattazioni emergono osservazioni personali scusabili, in quanto costituiscono un metro di paragone; così facendo si perviene anche a capire il pensiero dominante nel contesto storico di appartenenza. Emergono tuttavia problemi di metodo; esistono differenze profonde nel bagaglio culturale dei diversi scrittori (non tutti avevano un’istruzione universitaria, alcuni erano chierici e altri si erano formati con gli studi di diritto). I conflitti di interesse e le rivalità politiche contribuivano ad acuire le differenze possiamo ipotizzare che gli spagnoli abbiano condiviso una certa idea circa “l’essere uomo”? Presso i conquistatori c’erano idee comuni; era possibile considerare gli Indios uomini sin dal primo incontro (Colombo scrive di non aver trovato “uomini mostruosi) 1537: bolla papale di Paolo III: gli Indios sono autentici uomini capaci di comprendere la fede cattolica e di accoglierla. La mancata conoscenza di Cristo inoltre non aveva impedito loro di organizzarsi in una società sviluppata si soddisfa così il criterio aristotelico dell’uomo come essere politico portato a vivere in società. Il dibattito sulla natura degli Indios e sui rapporti reciproci tuttavia continua ben oltre il 1570: la questione non era più la loro appartenenza al genere umano, ma il grado di umanità che si poteva loro assegnare. Importante è il fatto che le differenze fisiche non fossero annoverate per sottolineare la loro diversità il colore della pelle era solo un carattere fisico che poteva attestare un grado di maggiore o minore umanità. Las Casas descrive le loro membra come “delicate, sembra che siano tutti figli di principi”, mentre secondo il giurista Matienzo essi sono per natura nati per essere servi, poiché secondo Aristotele la natura ha dato loro un corpo robusto ma minore intelligenza.  Matienzo però scriveva fra il 1560 e il 1570 quando ci si sente di giustificare l’imposizione delle leggi spagnole sui territori conquistati. La teoria aristotelica dell’inferiorità innata è lo strumento teorico più adatto. Secondo Las Casas solo con una corretta comprensione della società si arriverà a capire il valore degli Indios. Persiste per un certo periodo anche il considerare gli Indios la razza più vicina all’innocenza e alla purezza divina quest’idea viene scartata però con il moltiplicarsi dei contatti. Riflesso del cambiamento di mentalità europea è il cambiamento del pensiero che passa dall’ottimismo di stampo rinascimentale alla convinzione che l’uomo sia naturalmente predisposto al peccato. Tracce di questo nuovo orientamento si trovano nei dibattiti del clero si passa da una prima fase di entusiasmo per la conoscenza degli indigeni a una totale disillusione; il diffondersi di questo giudizio pessimistico cambia anche il modo in cui vengono trattati i nuovi fedeli. Gli Indios vengono trattati alla stregua di bambini non cresciuti l’Examen de ingenio di Huarte definisce il fanciullo come “nient’altro che un animale bruto”. L’infanzia è vista come il periodo in cui l’anima razionale è sommersa dalle passioni che renderanno il bambino vicino al mondo animale, ma anche a quello angelico. Non tutti sono d’accordo nel 1533 Alfonso de La Vera Cruz (monaco agostiniano) dice che se gli Indios fossero stati semplici come i bambini non avrebbero potuto peccare. Gli Indios quindi non erano uomini nel senso globale della parola, ma potevano diventarlo, dato che la loro mente era come quella dei bambini. Secondo gli spagnoli essi non possedevano le abilità per vivere una vita totalmente civile e restavano sotto l’intera umanità, almeno fino a quando la loro alcuna non si sarebbe colmata. I sostenitori della causa india avevano però la concezione più articolata della barbarie e rifiutavano di applicare completamente questo concetto.  Las Casas distingue quattro significati di barbaro, fra cui spicca quello che identifica il barbaro come “un individuo così limitato nelle proprie facoltà mentali da agire in modo simile a una bestia”, e questo non era il caso degli Indios. Questi ragionamenti non convincevano coloro che si rapportavano agli Indios, era chiaro per loro che alcune comunità vivevano al di sotto dei livelli di civiltà. Quali erano le loro limitazioni? Ci si chiede se gli Indios posseggano o meno capacità di intelletto tale da adottare uno stile di vita simile a quello dell’Europa cristiana.  Vivere da uomo= vivere da spagnolo È molto difficile distinguere fra adesione ai principi cristiani e adeguamento a un modello di condotta sociale. Pareri diversi sulle lingue indigene: per alcuni erano la testimonianza della barbarie di quelle popolazioni, ma d’altra parte la pluralità linguistica era un dato comune in Europa e nella penisola iberica. Alle lingue indie mancava un alfabeto scritto  gli europei del XVI secolo tendevano a bollare come barbara una lingua completamente orale. Josè de Acosta rimane però colpito dalle pittografie messicane da inserire questo popolo nella fascia intermedia delle tre categorie di barbari (dopo i cinesi).  Nel 500 il nesso fra civilizzazione e parola scritta è scontato, tanto da confondere anche i sostenitori degli Indios come Las Casas. Si riconosce l’esistenza di differenze fra le varie popolazioni; Las Casas sottolineava che coloro che vivevano in villaggi e comunità stabili, ma ciò non bastava a dubitare delle loro capacità intellettive. Es: nel 1559 il capitano Vargas Machuca ammetteva la superiorità degli Indios delle zone temperate rispetto a quelli delle zone tropicali tutti però sono dei barbari, come si vede dalle loro abitazioni, dal loro cibo e dai loro abiti. Secondo gli spagnoli del XVI secolo le persone civili risiedevano in città, non svolgevano pratiche innaturali (come la poligamia), avevano un comportamento e un abbigliamento decoroso. Si giunge a definire un metro di giudizio per giudicare i non europei; questo modo di pensare si scontrava però con la curiosità rinascimentale per la vita primordiale. Per combattere la “pigrizia” degli Indios si introduce il lavoro salariato e vengono assegnati lotto di terra Las Casas convertiva le accuse di pigrizia in accuse di avidità da parte dei colonizzatori europei. Le terre del Nuovo Mondo erano così fertili da richiedere poche cure, lasciando così agli Indios il tempo di cacciare e di riposarsi un giudizio così negativo nell’insieme si radicava in un duplice ordine di motivi: 1) tendenza a paragonare alla situazione europea criterio di valutazione che portava a elaborare giudizi negativi; 2) gli stessi indiani, demoliti dallo shock della conquista, sembrano voler confermare le opinioni dei colonizzatori. Per uscire da questo autocompiacimento europeo bisogna aspettare quegli studiosi che mettono il luce pregi e difetti. L’atteggiamento spagnolo nei riguardi del sistema di governo incaico e azteco non è esente da contraddizioni si ammiravano i sovrani che concentravano nelle loro mani il potere ma al contempo la loro autorità veniva accostata ai regimi tirannici. Conflitto presente in Europa nel XVI secolo fra i principi di ordine e di libertà per le istituzioni familiari Sahagùn e Las Casas ammirano i rigidi metodi educativi degli Aztechi. Perché allora alcuni costumi erano considerati aberranti? Satana, che induce all’ubriachezza e al cannibalismo. È proprio il timore del maligno a spingere più a fondo le ricerche, come la decifrazione del calendario azteco, d’altra parte però questo timore impedisce una migliore comprensione del mondo indigeno la teoria circa l’origine diabolica dei riti ha però anche l’effetto paradossale di rafforzare gli argomenti di chi affermava l’umanità e la razionalità indigena. Se la colpa era del demonio, allora gli Indios non erano sottouomini, ma uomini corrotti da aiutare. Quindi gli spagnoli, che diffondevano la Parola, contribuiscono a sanare le colpe del Peccato originale. Non sono d’accordo i missionari, per i quali la scelta di “ispanizzare” gli indigeni li rendeva corruttibili degli stessi vizi europei. Situazione ideale: innesto della dottrina cristiana sulle strutture tradizionali indigene. Nei primi decenni di amministrazione spagnola le condizioni degli Indios erano peggiorate; cosa era successo? Sahagùn: dopo aver descritto i costumi messicani prima della conquista rivela come l’arrivo degli spagnoli rappresenti la fine di quel mondo, distrutto dall’imposizione del sistema di vita spagnolo. Secondo Sahagùn il buon governo è il regime politico più adatto a soddisfare le esigenze di un popolo, ed esse sono determinate dalle peculiarità territoriali e dal temperamento. 1591: Juan de Cardenas, medico-notaio messicano, pubblica Problemas y secretos maravillosos de las Indias si parla degli indios Chichimeca, un popolo selvaggio che tolto dal proprio habitat deperiva lentamente. Cardenas, insieme a Sahagùn, cerca di eliminare l’etnocentrismo spagnolo, impegnandosi a ricostruire le radici storiche dell’organizzazione sociale e culturale. Altro potente incentivo alla tolleranza è rappresentato dalla formazione classicista teoria dei condizionamenti climatici: dal momento che le differenze climatiche e ambientali producevano individui di temperamenti diversi, ogni ambiente doveva godere di istituzioni sociali che meglio si adattavano alle proprie esigenze. Tuttavia, se si dà per vero ciò, la ricerca si riduce a un continuo accumulo di informazioni circa la varietà dei costumi, sottolineando che i modelli si ripeteranno al ripetersi delle stesse condizioni climatiche (determinismo geografico). Si arriva così alla conclusione che il concetto di “essere umano” non coincideva con quello di “uomo europeo”, tuttavia la Spagna continua l’opera di civilizzazione dei territori sottostanti la Corona. La consapevolezza della varietà dei costumi rappresenta il riconoscimento della complessità del genere umano. Si trattava di un principio già Ancora nel XVII secolo il barone rappresentava per gran parte della popolazione locale l’autorità suprema vi erano poi anche nobili che godevano della piena autorità giudiziaria in campo civile e militare (mer i mixt imperi). Furono le corti di giustizia baronali a tenere sotto controllo possibili rivolte contadine, mentre le oligarchie controllavano la situazione nelle città. Durante la prima metà del XVII secolo ci furono due momenti in cui l’intero principato sembrò sull’orlo di una violenta protesta sociale nel 1615, quando il fenomeno di banditismo nelle campagne raggiunse l’apice, e nel 1640, quando ci fu una rivolta politica contro la Corona. In entrambe le occasioni la classe dirigente locale si dimostrò divisa e incapace di assicurare l’odine del paese pur quindi adempiendo a una funzione stabilizzatrice, la classe dirigente catalana era sempre attenta ad evitare ogni possibile intervento di ingerenza della Corona a scapito del proprio potere. Se nel 500 la Corona era riuscita a consolidare il proprio potere sulle provincie siciliane, l’aristocrazia catalana riuscì a bloccare sul nascere l’autorità del sovrano. Ferdinando era riuscito a imporre in Catalogna l’Inquisizione, ma durante il 500 quest’istituzione viene privata del proprio ascendente, grazie soprattutto agli statuti e alle costituzioni catalane, redatte in modo così preciso da offrire ben poche opportunità. Dai primi anni di Filippo II le sessioni delle Corts divennero sempre meno frequenti, ma quando lo facevano riuscivano a convincere il sovrano a concedere concessioni sul piano legale a amministrativo in cambio di sussidi economici. Nel periodo in cui le Corts non erano in sessione c’era la Diputaciò rappresentante della volontà di una nazione in lotta contro il potere centrale. Tuttavia le sono stati conferiti nel corso dei secoli una rappresentatività che sicuramente non aveva agli occhi dei Catalani del tempo. La Diputaciò godeva infatti di scarsa popolarità “la gente catalana non ama molto la sua Generalitat poiché non tutti possono accedervi” ( 1626) I sei membri (diputats e oidors) venivano scelti con il metodo dell’estrazione a sorte ogni tre anni. In realtà l’estrazione finale era solo il culmine di un lungo e intricato processo durante il quale 350mila persone avevano votato per 524 persone di tutti e tre gli stati. Molte decisioni prese dalla Diputaciò facevano capire il predominio collettivo esercitato dagli esponenti di punta della collettività. ES: quando si doveva giudicare un funzionario reale accusato di qualche grave illegalità i Diputats convocavano tutti coloro che in teoria avevano il diritto di partecipare alle Corts, con due variazioni: il brac reial era rappresentato dalla sola Barcellona l’oligarchia locale finiva così per giocare un ruolo preponderante nelle decisioni prese.  la gestione dei rapporti con Madrid era quindi nelle mani di un gruppo ristretto di persone, il cui comportamento faceva dubitare sia tra i ministri come anche fra gli stessi catalani; i fondi della Diputacio non apparivano mai gestiti al meglio, ma piuttosto si cercava di favorire gli interessi privati di quel ristretto gruppo. L’istituto della Diputacio si rivelò uno strumento in grado di arginare il potere regio; inoltre diversi ministri reali e nobili mantenevano stretti rapporti con i Catalani e si prestavano a sostenere le loro ragioni. Due reggenti catalani sedevano nel Consiglio d’Aragona, e i contatti fra vicerè e l’elite locale erano troppo stretti per prevedere imparzialità da parte dei primi molti giudici dell’audiencia facevano parte delle famiglie più potenti del principato, e ciò spiegava i forti dubbi del vicerè circa la perfetta imparzialità e segretezza di un tribunale strettamente legato all’aristocrazia di provincia. Riaffermare l’autorità del sovrano era un compito che richiedeva la massima abilità politica, dato che l’azione del re era ostacola da tutta una serie di leggi ed istituzioni che limitavano al massimo l’esercizio del potere, e i funzionari regi dovevano vedersela con un’aristocrazia locale detentrice di molti privilegi e di un grande peso politico. La fascia superiore della società catalana aveva l’opportunità di agire come meglio voleva, ma per sfruttarla al meglio bisognava ci si mettesse d’accordo circa le iniziative da intraprendere, cosa che a sua volta presupponeva un’idea chiara degli obiettivi da raggiungere e una comune volontà. Il ceto dominante risultò unito nel proposito di contenere il potere regio, contribuendo a preservare l’identità nazionale catalana. Non meno importante fu la capacità di calmare le tendenze autoritarie del governo di Madrid l’aristocrazia catalana, anche per tutelare i propri interessi personali, ha tenuto vivo lo spirito costituzionalista nel momento in cui esso era minacciato dall’avanzata del potere monarchico. Sicuramente però c’è testimonianza di un risentimento della popolazione nei riguardi del ceto dirigente catalano a partire dal tardo 500 e per tutto il 600 le costituzioni concentravano tutto il potere nelle mani dei proprietari terrieri, tanto che per alcuni villaggi era meglio passare sotto la giurisdizione regia. Può essere corretto parlare di un “nuovo feudalesimo” per indicare la Catalogna del 600, soprattutto rispetto al sistema di imposizione fiscale e giudiziario dato però che si conosce molto poco della vita rurale catalana non è possibile sapere le reazioni della popolazione prima del 1640. Il fenomeno della rivoluzione è testimonianza di un grave rancore verso la classe dirigente. Non si possono tuttavia liquidare le rivolte di quel periodo come rivolte di vassalli oppressi dai signori feudali erano infatti questi ultimi a difendere i contadini dall’oppressione fiscale della corona. In Catalogna a differenza della Francia non esisteva un sistema di tassazione diretta; la riscossione dei tributi non era affidata a funzionari regi, ma all’autorità della Diputaciò. Quindi non era possibile per l’aristocrazia catalana dire di proteggere i contadini. Le cose sarebbero potute andare diversamente se sotto Carlo V e Filippo II fossero riusciti a far credere ai sudditi di essere parte di un solo impero con un solo obiettivo da realizzare attraverso uno sforzo comune. La lontananza della corte regia dalla Catalogna non comporta l’indebolimento dell’identità nazionale, ma priva il paese di molte opportunità elite locale provinciale, priva di sbocchi e senza possibilità di far carriera; la mancanza di rigide barriere sociali e il processo di assimilazione dell’alta borghesia all’interno dell’aristocrazia aveva rafforzato la coesione interna della classe dirigente, ma questo patrimonio andò dissolto nelle lotte politiche che si protrassero per tutto il 500. Fin dal tardo Medioevo si fronteggiavano i nyerros e i cadells. Non erano però solo le lotte tra famiglie a lacerare l’unità della classe dirigente, ma anche la netta contrapposizione fra aristocrazia rurale e cittadina. La piccola nobiltà rurale giocò un ruolo importante nel fenomeno del brigantaggio, ponendosi in contrasto con le municipalità che non avevano più vie di comunicazione sicure. Di queste divisioni interne approfittò il duca di Albuquerque, vicerè dal 1616 al 1619, che riuscì a stabilire un’alleanza fra amministrazione vicereale e oligarchie urbane. Fra la fine del mandato di Albuquerque e la rivolta del 1640 Olivares, ostile ai diritti di autonomia delle province, finisce per distaccare completamente l’aristocrazia catalana dalla corona. Per tutti gli anni Trenta del XVII secolo Barcellona difese con determinazione i propri privilegi, ma al contempo non giunse mai a uno scontro aperto con Filippo III; lo strappo definitivo avvenne nel momento in cui la rivolta popolare contro i tercios stava sfuggendo al controllo e si stavano aprendo i negoziati con il governo francese. Nel 1640 il ceto dominante fu davvero unito quando un nobile ribelle, Don Alexandre d’Alentorn, aveva trovato nel brigantaggio l’unico sbocco. I capi della rivolta del 1640 invece seppero sfruttare con efficacia le leggi e le istituzioni del principato per preservare intatta l’identità nazionale. L’ideale di una repubblica catalana non riuscì però mai a prendere corpo, mentre ritornano le tradizionali lotte di fazione. Il ritorno della regione sotto il controllo reale nel 1652 e il rinnovato impegno di Filippo IV nella preservazione delle istituzioni catalane segna il ritorno alla situazione di partenza. Le aristocrazie locali non poterono tollerare così a lungo il dominio accentratore del re di Spagna proprio perché la monarchia spagnola non era in realtà una monarchia centralista tutti gli ordini e le direttive del governo centrale non potevano essere messe in atto senza le amministrazioni locali, che disponevano di numerosi mezzi atti a impedire le misure indesiderate. In questo modo la maggior parte delle elite locali si trovò a godere di una libertà che bilanciava abbondantemente le scarse manifestazioni reali. Politica estera e crisi interna: Spagna 1598/1659  Giovanni Botero, Della ragion di Stato (1589): “è più importante conservare che ingrandire lo Stato; si acquista con la forza, si conserva con la sapienza. 1598: sale al trono Filippo III; la monarchia spagnola rappresenta per estensione e forza militare la maggiore potenza mondiale. Nel XVI è grande la responsabilità di preservare al meglio tutto; per loro la monarchia superava i fasti dell’Impero Romano. Nasce però anche un senso di insicurezza dato che si sapeva che anche gli stati erano soggetti al declino atteggiamento di cauta difesa con cui i governatori spagnoli gestirono i rapporti col mondo. In certi momenti la politica estera spagnola si fonda sulla sicurezza e sulla cautela, seguite da periodi di attivismo per dare l’idea di una Spagna aggressiva. L’elite imperiale aveva ormai acquisito la mentalità da stato di assedio; tutto il mondo è un potenziale nemico. Se nel 1598 Filippo III trova una buona situazione nel Mediterraneo, non è così per l’Europa settentrionale la pace di Vervins1 segna il fallimento della politica interventista di Filippo II; rivolta olandese nelle Fiandre e diffusione dell’eresia protestante; l’Inghilterra minaccia le rotte navali per Nord Europa e Indie. Compito del Duca di Lerma era quello di concludere il piano di Filippo II; sforzo economico insostenibile per la Castiglia e tesoro reale vicino alla bancarotta. 1604: pace con Inghilterra; 1609: tregua dei Dodici anni come conseguenza delle mancate risorse finanziarie ed economiche (1607: bancarotta di Stato). La corona era sempre in conflitto, poiché non c’era una zona nella quale non avesse interessi ecco perché Lerma inizia politica di pacifismo. Probabile anche che volesse tornare all’area mediterranea, dove era tornata la minaccia corsara; rilancio della Francia con Enrico IV. 1610: assassinio di Enrico IV elimina la possibilità di un confronto diretto e la Spagna riafferma la propria preminenza europea inizia periodo di Pax Hispanica. La politica estera di Lerma finisce per essere considerata filofrancese, mettendo in ombra il rapporto con Vienna; ecco perché il duca si dà a un fervente attivismo. A chiedere più azione erano i diplomatici spagnoli all’estero, che non volevano da parte del governo centrale una condotta esitante.  Importante è la reputazione, risorsa importante per la diplomazia e una convincente dimostrazione di forza. Forte pressione sulla corona affinché si agisca sui territori spagnoli minacciati. 1620/1640: ritorno a corte di Don Baltasar de Zuniga; entra nel consiglio di stato lasciando l’incarico a Praga passaggio ad attivismo. Diventa portavoce del partito filoaustriaco e degli interventisti; promuove l’intervento spagnolo in Boemia e in Europa centrale per difendere l’imperatore austriaco dall’eresia. 1618: una congiura di palazzo rovescia Lerma e si rifiuta di continuare una politica estera accomodante. Si è ipotizzato un legame fra “l’ultima grande manifestazione dell’imperialismo spagnolo” e il rilancio dei traffici atlantici (1616/1619) il consiglio delle finanze continuava a lamentare la scarsità di denaro liquido, mentre le rimesse di argento americano diminuiscono. L’intervento spagnolo non dipende da un improvviso aumento di risorse tutto era controllato da Zuniga e da coloro che giudicavano la situazione internazionale molto grave; il trionfo della sua linea politica è dovuto a un vuoto di potere creatosi a Madrid in un momento difficile rivolta 1 Pace di Vervins fra Filippo II e Enrico IV di Francia 1659: pace dei Pirenei con la Francia la Spagna può dire di non aver perso l’integrità territoriale; il tentativo di Olivares era fallito, ma fu proprio l’incapacità di attuare un pieno controllo sui regni della Corona ad essere vantaggioso. Olivares rispetta i singoli diritti tradizionali, eliminando le spinte centrifughe. Importante anche l’assenza di tentativi di ribellione da parte della Castiglia. Dagli inizi del XVII secolo era convinzione diffusa che la Spagna fosse sulla via del declino, ma ciò non fa cambiare gli obiettivi politici. Solo durante gli ultimi giorni del regno di Filippo IV il duca Medina de las Torres afferma che il dovere del sovrano di fronte a Dio non è quello di difendere ciò che non può essere difeso visione più realistica della politica estera. Diminuzione argento dalle Indie, deterioramento economia castigliana, tassazione sbagliata sono fattori che contribuirono ad allentare la potenza spagnola in Europa. Nonostante ciò però non si mettono mai in discussione le tradizioni della politica estera sostegno al cattolicesimo, difesa degli interessi del ramo austriaco, collegamento con le Fiandre meridionali. Le necessità della politica estera influivano pesantemente sulla politica interna; la difesa della reputazione non è un fenomeno solo strettamente spagnolo, ma un aspetto generale di tutta la politica estera del XVII secolo. L’eccessiva voglia di salvaguardia della reputazione ha portato i leader di Madrid a figurarsi come eroi che combattono contro il disordine. La chiave del rapporto fra politica estera e affari interni va cercata nella mentalità del ceto dirigente spagnolo del XVII secolo. La corte asburgica di Spagna La vita di corte in Spagna era regolata da un rigido cerimoniale, copiato anche da sovrani come Carlo I d’Inghilterra. Sebbene sia sempre stata Versailles ad essere considerata esempio della società di corte durante le monarchie assolute, è solo perché la vita di corte spagnola è assai meno documentata. Ci sono differenze fra le corti di paesi diversi, ma anche fra i monarchi della stessa dinastia. Norbert Elias ha elaborato tratti generali delle società di corte europee fra 500 e 600, sulla base di dati raccolti per Versailles. Tutti i cerimoniali sottolineano la sacralità del monarca, come rappresentante terreno della divinità e collocato al centro di un universo che voleva duplicare le gerarchie celesti.  In Spagna il monarca era una figura remota al centro dell’attenzione. Duplicità che si accentuava mediante il ricorso all’arte teatrale. Cura materiale del re affidata a: mayordomo mayor  vitto e alloggio; camarero mayor  servizio personale; Caballerizo mayor  scuderie e spostamenti. 1623: documento che enumera il personale di palazzo dei sovrani, circa 1700 contando maggiordomi, valletti privati, religiosi e predicatori. La corte era anche centro del potere politico e amministrativo l’Alcazar aveva appartamenti reali al primo piano e sopra sale di riunione dei Consigli. Nelle prime società moderne europee l’autorità reale era risultata della persona del sovrano e dell’apparato burocraticoes: Lerma e Olivares combinano le responsabilità di governo con le cariche di palazzo. Le corti erano anche una gara di sfarzo fra i sovrani europei, soprattutto fra quelli di rango minore le casate maggiori rinforzano con il loro prestigio le pratiche nelle corti in secondo piano. Es: cerimoniale borgognone elaborato nel XV secolo e introdotto a Vienna da Ferdinando I; nel 1548 Carlo V lo impone in Castiglia e arriverà anche in Inghilterra con Carlo I. La gerarchia e l’etichetta sono lo strumento migliore per educare i sudditi al “luogo d’eccellenza”. La corte spagnola svolgeva tre importanti funzioni: 1) protegge e rafforza la sacralità del potere reale; 2) fulcro del potere politico-amministrativo; 3) modello di imitazione. Durante il XVII secolo il potere regale si manifestava spesso in contesti religiosi (messe solenni, autodafé) si postulava così uno stretto legame fra Dio e il monarca: rey catolico e favorito del Signore. Importante la messa in risalto della piedad reale, sia per mettere sicurezza nella società cattolica, sia a causa della rivalità con la Francia (re cristianissimo con poteri taumaturgici) l’autorità del monarca francese era inoltre enfatizzata dalla cerimonia di incoronazione. In Francia e in Spagna era diverso il rapporto spaziale fra i re i cortigiani il diritto di accesso allo studio del sovrano era riservato al nunzio papale, cardinali, presidente del consiglio di Stato e viceré. Pareri contrastanti dai visitatori stranieri; chi ne apprezza la maestosità e chi invece critica le consuetudini e l’estremo formalismo. Le udienze reali si svolgevano in una prassi consolidata; si veniva ammessi al re chino sullo scrittoio il re restava immobile. Monarca come una marionetta che entra in scena solo per recitare una parte. La spiegazione di diversi stili di corte in termini di rapporto fra re e aristocratici fa sottovalutare un perpetuum mobile (N.Elias) etichetta e cerimoniale erano sempre più indipendenti da qualsiasi utilità pratica; una sorta di automatismo che danneggia il reale. In mancanza di una forte personalità che adatti l’istituzione a sé, sarà sempre quest’ultima a vincere gli unici furono Carlo V, Filippo II e Olivares. Carlo V fu il primo a creare un cerimoniale e dei simboli da volgere al proprio vantaggio es: elabora il diritto esclusivo dei Grandi di Spagna a mantenere il cappello davanti al re; si rimarca la distanza e si introduce un principio gerarchico per accrescere la dipendenza dell’alta aristocrazia al monarca. 1548: Carlo V impone il rituale borgognone alla corte di Filippo II; rafforzare legame Spagna-Paesi Bassi e quindi i legami fra il figlio e quella terra. Sicuramente però anche le entiche tradizioni perdono splendore già nel 1477 (quando Massimiliano d’Asburgo sposa Maria di Borgogna e si porta dietro la corte). Carlo riteneva che l’adozione di un nuovo cerimoniale di corte e una nuova organizzazione di palazzo avrebbero rafforzato il prestigio di Filippo  si giunge ad un ibrido fra tradizione aragonese, borgognona, castigliana e fiamminga. Se il cerimoniale di Carlo V mirava a rendere la figura del re remota, con Filippo si rende ancora più imponente e lontana. Es: con una corte itinerante Carlo coniugava grandezza e visibilità, mentre nel 1561 Filippo fissa la sede della corte a Madrid, isolandosi in Castiglia. Con Filippo muta il sistema di vita di corte, sottolineato dall’austerità e dalla sobrietà dell’Escoriale Filippo si priva di alcuni vantaggi politici delle corti del XVI secolo (prestigio delle apparizioni pubbliche, possibilità di controllare l’alta nobiltà) Vantaggi: timore reverenziale per un re lontano ed inavvicinabile. Lo stile di governo di Filippo era personale e fu difficile trasmetterlo ai suoi successori; Filippo III si rivelò incapace di apportare un carattere specifico al potere e finisce per essere dominato dall’etichetta tentativo di sfuggire ai vincoli con viaggi- Unico contributo furono le attestazioni di pietà religiosa; nuovo vigore nella vita sociale della corte, ma in realtà la Corona è caduta sotto il controllo di un’ala aristocratica. 1606: la corte si sposta a Madrid dopo Valladolid arrivano i nobili. Il connubio corte-metropoli ha influito sullo sviluppo culturale dell’Europa del 600 (nel 1621 Madrid contava circa 150mila abitanti). In assenza del re, tuttavia, veniva meno alla corte il naturale punto di riferimento del cerimoniale. Gli anni di Olivares (1621/1643) sono l’epoca d’oro della corte capisce di poter trasformare la vita di corte in uno strumento politico. Filippo IV viene educato a ricoprire il ruolo di rey planeta, primo e originario Re Sole si intendeva restaurare l’autorità regia sulle maggiori casate castigliane (come era successo con Filippo III). Olivares assegna le cariche alle famiglie a lui fedeli; sicuramente puntava a fare della corte il fulcro della vita sociale dell’aristocrazia spagnola. Anche Filippo IV si sforza di risollevare la corte, promuovendo due revisioni del cerimoniale nel 1624 e nel 1640- questi sforzi non riuscirono a fare della corte un esempio di virtù. Per educare le nuove generazioni; Olivares propose di creare delle accademie ma il progetto non decolla per mancanza di fondi. 1639: Olivares elabora nuove disposizioni per l’educazione dei paggi della casa reale bisognava conoscere gli autori classici, la storia, matematica, cosmografia e geografia. Maggiore successo l’idea di fare della corte un centro di promozione artistica e culturale il sovrano tenne a servizio 223 scrittori che celebrarono il reyplaneta. Olivares aveva sicuramente le sue idee riguardanti il re e la nobiltà di palazzo, ma agisce anche in parte improvvisando Es: costruzione a singhiozzo del Buen Retiro. Non bisogna dimenticare che il primo scopo della cultura di corte era quello di intrattenere; dal 1548 alla corte spagnola c’era continuità di forme, tradizioni e temi seguiti da forti personalità che riescono a imporli a loro vantaggio. Lo stile di vita elaborato da Carlo V per Filippo II rimanda a due diverse componenti: inaccessibilità del sovrano (che degenera in isolamento con Filippo II e Carlo II) e uso politico del cerimoniale, dell’immagine per esaltare il monarca tuttavia una corte sfarzosa poteva rivelarsi un’arma a doppio taglio. La corte asburgica di Spagna è l’unica in Europa per grado di tensione fra due esigenze contraddittorie gestione riservata/immagine pubblica. Potere e propaganda nella Spagna di Filippo II Potere e ideologia sono due aspetti molto legati fra loro, ma ancora non si sono chiarite le ambiguità che intercorrono in questo rapporto. Se la storiografia dell’Ottocento e del primo Novecento ha indagato soprattutto sulla consistenza dei primi apparati statali dell’Europa moderna, le ricerche più recenti si sono soffermate invece sui limiti del potere monarchico, sul consenso e sulle resistenze al potere. Nel secondo dopoguerra lo stato moderno veniva considerato come un organismo imperfetto ( manquè), l’attenzione si sposta alle pratiche di controllo ideologico e dell’immagine. Lo studio del lavoro compiuto dal potere per manipolare l’opinione pubblica è importante per capire il 600, dato che in quel momento l’evoluzione delle tecniche e degli strumenti (soprattutto in campo teatrale) permette un grande ricorso al potere persuasivo dell’immagine. La cultura del 600 è interessata al legame che intercorre fra l’illusione e la realtà ne è una prova la reputazione, che doveva fondarsi su dati oggettivi, ma anche su espedienti illusionistici. Arte teatrale e interesse nell’apparenza, aspetto essenziale della politica caratteristiche delle monarchie seicentesche è l’applicazione delle tecniche teatrali alla rappresentazione della sovranità. Può però capitare che le nuove strategie apportino danni alla causa, dato che l’eccessiva attenzione data al cerimoniale e all’etichetta rischia di mettere in ombra sia la figura del sovrano sia il potere, che non derivava del tutto dalla gestione dell’apparenza. Bisogna ancora verificare l’effettivo impatto propagandistico, commisurandolo all’efficacia degli altri strumenti politici a disposizione dei governanti. Importanti sono gli anni al potere di Filippo IV e Olivares, che tenta di estendere il proprio potere con l’aiuto di cerimoniali e propaganda. Salito al potere nel 1621, il suo intento era riportare la Spagna ai fasti di Carlo V e Filippo II, contro la corruzione del regime del duca di Lerma. Olivares vuole inoltre creare un efficiente apparato militare e navale, soprattutto per difendersi dagli Olandesi.  Restaurare e rammodernare, riprendendo un patrimonio ideale che aveva portato in alto la Spagna  doganali interne e a imporre i funzionari regi, Filippo sarebbe diventato di fatto il maggior monarca della cristianità. Quest’idea però spinse Olivares a non rispettare uno dei tratti fondamentali della monarchia spagnola, il rispetto per i diversi ordinamenti locali; come primo passo egli propose una reciproca assistenza militare, “l’Unione delle armi”, che venne sottoposto alle Cortes d’Aragona, Catalogna e Valencia con pochi risultati. Ma dato che l’esigenza di difendersi da minacce esterne era forte, anche nella penisola iberica come nell’Inghilterra Stuart la corona cerca di sfruttare appieno il proprio potere; tuttavia nel caso della Spagna esso viene contrastato da tutti coloro che volevano mantenere intatti gli antichi statuti. Era inutile proclamare la maestà del re se egli non era obbedito neanche da i suoi sudditi il regime sviluppa un vero e proprio apparato coercitivo, con una Junta de Obediencia cui spettavano i casi di mancata osservazione degli ordini reali. Sia il re sia il duca si accorgono che la corte poteva essere il mezzo per instillare nella nobiltà spagnola la disciplina che mancava il re cura di persona l’etichetta di corte, mentre Olivares si concentra sull’educazione giovanile sperando di creare una vera e propria nobiltà di servizio, pronta a mettersi a disposizione del sovrano. Primo passo fu la creazione di Estudios reales a corte, mentre nel 1629 aprì il Colegio Imperial gestito da gesuiti. I gravi intralci a cui Olivares dovette far fronte rivelano l’ampiezza del dissenso verso il suo regime. Bisognava affrontare i nobili a corte, la burocrazia (che non voleva l’esautorazione dei consigli), e tutti coloro che volevano i vecchi privilegi. L’opposizione aristocratica si svolge in congiure di palazzo, soprattutto con la presenza a corte dei fratelli cadetti del re; le preoccupazioni più gravi però le davano i libelli che circolavano illegalmente. Il dissenso si fece più forte nel 1629, dopo gli effetti negativi dell’intervento spagnolo nella successione del ducato di Monferrato; un manifesto anonimo: “Vostra maestà non è un re ma un sovrano da cerimonia, un personaggio di cui il conte duca si fa scudo mentre si appropria delle incombenze reali” Il governo inizia a rispondere spesso con la repressione: già nel 1627 vengono introdotte norme più rigide sulla censura, ma senza successo. Queste disposizioni poi non si applicavano in Aragona. Si fanno anche controffensive propagandistiche con autori di corte ed artisti esempio è la commedia di Quevedo Il perfetto favorito del 1629, che rappresenta Olivares come il nuovo Seneca, dedito solo a servire il proprio signore. Quevedo, Antonio de Mendoza e il conte de La Roca ribattono alle critiche con una linea argomentativa quasi identica il regime aveva sì riportato delle sconfitte, ma aveva anche registrato importanti successi. La figura di Olivares compare nei quadri del Buen Retiro, esaltato dagli autori di corte come esempio di abilità politica Juan Bautista Maino, La riconquista di Bahia; si ispira al lavoro teatrale di Lope de Vega, El Brasil restituido. Bahia era stata ripresa dagli Olandesi con una spedizione navale iberico-lusitana migliore esempio dell’efficacia dell’Unione delle Armi. Soldato curato e assistito dai profughi portoghesi= collaborazione fra i popoli della monarchia. Riaffermazione del legame che unisce il re al ministro nella commedia il comandante della spedizione si rivolge al ritratto del re chiedendogli se sia opportuno trattare con clemenza gli Olandesi. La vicenda si conclude con la vittoria del comandante, incoronato da una personificazione del Brasile. Maino si appropria di questi due temi e li rimescola. Nella sua visione gli sconfitti devono inginocchiarsi davanti al ritratto del re coronato d’alloro da Minerva e da Olivares. Olivares compare come artefice delle vittorie di Filippo, come suo braccio destro; a quanta gente però si dava occasione di captare il messaggio? Promuovendo la realizzazione di opere artistiche il regime porta avanti uno sforzo d’immagine, cercando di definire se stessa e il modo di percepirla. Olivares e il suo seguito monopolizzavano il governo, ma restavano un ristretto gruppo isolato dal mondo esterno. Come successe in Inghilterra a Carlo I anche gli Spagnoli usarono l’arte per elaborare un’illusione di potere a mano che aumentava il loro isolamento cresceva la distanza fra le loro idee e la realtà. Nuove critiche del regime, si considerava il Buen Retiro simbolo degli errori del governo e luogo dove il re era intrappolato. Nel 1643, dopo che la monarchia era stata messa al centro, la Spagna si trovava divisa e frammentata dopo le secessioni; le armi spagnole erano state sconfitte e il re era “grande quando un buco”. Le carriere politiche parallele di Olivares e di Richelieu mettono in evidenza le difficoltà affrontate dagli statisti del primo 600 nel loro tentativo di rinsaldare il potere della corona e quello dello Stato. I due ministri adottarono tecniche molto simili, e Richelieu ebbe successo grazie alle vittorie militari estere. Quevedo e il conte-duca di Olivares Non possiamo capire l’attività di Quevedo dal 1620 senza riferirci ai suoi rapporti con Olivares, né d’altra parte possiamo riferirci alla carriera del conte- duca senza parlare dello scrittore; ad avvicinare fra loro due persone così caratterialmente dissimili fu sicuramente un misto di reciproca necessità e ammirazione, almeno fino agli anni intorno al 1630. Nel 1621, con la morte di Filippo III e l’allontanamento del suo ministro (il duca di Uceda) la scena politica madrilena si modifica definitivamente Quevedo in quegli anni era confinato ne La Torre de Juan Abad dopo la caduta in disgrazia del suo mecenate, il duca di Osuna3. La salita al trono di Filippo IV porta la situazione di Quevedo a cambiare radicalmente: egli infatti avvertiva la mancanza degli stimoli di corte, e al contempo voleva liberarsi dell’ombra del duca di Osuna; ecco che nel 1621 dichiara i propri ossequi al nuovo sovrano e al suo ministro. A cinque giorni dalla morte di Filippo III, scrisse ad Olivares inviandogli il manoscritto della Politica de Dios; più tardi dedicò al ministro Zuniga l’operetta Carta del Rey Don Fernando El Catolico con la celebrazione di Ferdinando e della sua regalità si accenna a sperare che Filippo IV prosegua su quel modello di condotta. A Quevedo fu consentito di rientrare a Madrid, e il bando viene definitivamente revocato nel 1623 le sue vicende personali lo spingevano sì a desiderare di essere favorito dal nuovo regime, ma sicuramente l’ascesa di Filippo IV doveva aver riacceso la speranza di un ritorno ai fasti anche in lui. Il pieno restauro della dignità regale (“il re è una persona pubblica… regnare non è un divertimento ma un dovere) è un requisito indispensabile per la rinascita della Castiglia. Anche se Filippo era ancora troppo giovane per adempiere totalmente ai propri doveri, si era circondato di persone giuste che volevano portare la spagna ai fasti di un tempo eliminando la corruzione e gli abusi del passato “il regno del nostro sovrano Filippo IV è un’età d’oro per la Spagna e un inizio così felice può promettere sviluppi ancora migliori” (Almansa y Mendosa, 1621) Olivares appariva dunque come un riformatore; egli è anche un protettore di artisti e studiosi, sia per inclinazione personale, ma anche per voler rendere la corte il massimo centro di promozione culturale ed artistica, per creare in questo modo l’immagine di un monarca eccellente in tempo di pace e di guerra. 3 Fu una delle personalità più importanti e controverse del regno di Filippo III di Spagna. Combatté in gioventù nelle Fiandre contro i ribelli fiamminghi e, negli anni in cui ricoprì le cariche di viceré di Sicilia (1611-1616) e viceré di Napoli (dal 21 agosto 1616 al 4 giugno 1620), elaborò e condusse operazioni militari tese a ridurre la potenza navale dell'Impero Ottomano nel mar Adriatico, nel mar Ionio e nel Canale di Sicilia. Progettò un ambizioso piano per l'annessione di Venezia al regno spagnolo, che non andò in porto. Sempre negli anni in cui governò il meridione d'Italia, si distinse per la lotta alla corruzione e alla delinquenza. La morte di Filippo III nel 1621 e la conseguente caduta del governo del duca di Lerma, provò la subitanea caduta in disgrazia del duca di Osuna, che fu arrestato per ordine del nuovo re Filippo IV e del nuovo primo ministro, il Conte Duca di Olivares. Olivares sapeva inoltre che avere dalla propria parte un intellettuale pungente come Quevedo avrebbe solo fatto bene al proprio progetto e alla propria immagine pubblica; lo scrittore è al seguito della corte nel 1624 durante la visita ai domini dell’Andalusia. Nel 1626 e 1627 escono a stampa alcune delle principali opere di Quevedo, Politica de Dios, Buscòn, Suenos, pubblicate però a Saragozza e a Barcellona, poiché i tempi non consentivano l’uscita in Castiglia nel 1625 il governo aveva vietato la stampa di commedie e romanzi, per consentire alla Junta de Reformation di tutelare la gioventù castigliana, senza contare il proliferare di letteratura contro Olivares. Con l’inasprirsi della censura molti autori andavano gli uni contro gli altri lo stesso Quevedo fu nuovamente bandito dalla corte nel 1628, pensando che avesse scritto la Politica per attaccare il regime del conte-duca. L’esilio non durò molto, e nel 1629 Quevedo fu di nuovo ammesso a corte e strine al massimo i legami con Olivares e la sua cerchia egli era infatti circondato da un nutrito gruppo di sottoposti, fra parenti, amici ministri, segretari e uomini di lettere. Fra gli esponenti di quella cerchia alcuni contribuirono a solidificare il legame con il conte duca: Jeronimo de Villanueva, quasi braccio destro di Olivares e cugino più giovane di Quevedo; Don Alvaro de Villegas, confidente di Olivares e altro parente dello scrittore. Sicuramente nel 1629 era lo stesso Olivares a volere al suo fianco Quevedo: i suoi progetti di riforma erano bloccati dalle Cortes, dalla burocrazia e dalle oligarchie municipali; continuava la violenta inflazione iniziata nel 1626; il coinvolgimento spagnolo nella guerra di successione interna al ducato di Mantova era stato un errore molto grave; nel 1628 una flotta olandese aveva catturato la flotta che trasportava l’argento dalle colonie americane. Il conte-duca e i suoi ministri erano oggetto di odio e di sfottò, con satire e interventi dell’opposizione che minacciavano di diventare virali ( i Discursos di Mateo Lisòn y Biedma). Nel 1629 esplose un conflitto fra i membri del Consiglio di Stato (ma anche fra Olivares e il sovrano) riguardo la direzione della politica estera era importante liberare il proprio regime dagli errori che gli erano stati accollati, e per farlo bisognava rivalutare il lavoro di Olivares. Tre uomini hanno svolto un ruolo chiave in questa campagna: conte de La Roca ( amico stretto di Olivares e suo biografo); Antonio Hurtado de Mendoza (poeta ufficiale di corte); Quevedo. A difesa del conte-duca Quevedo pubblica due operette fra loro complementari: 1) Fiesta de Toros Literal y Alegorica, romance4 2) Como ha de ser el privado, commedia scritta probabilmente nel 1629 (riferimento alla cattura dei galeoni con l’argento dalle Indie da parte dell’olandese Piet Heyn, avvenuto nel 1627; matrimonio fra l’Infanta e il principe di Transilvania, nel 1629). Romance e commedia sono due generi fra loro complementari: nella Fiesta Quevedo racconta di aver trovato nel palazzo reale il conte-duca assediato da postulanti; segue un ritratto della vita quotidiana del collaboratore regio attraverso le parole di Quevedo Olivares appare come un toro nell’arena, sfiancato dai continui attacchi contro di lui. L’immagine di ministro infaticabile viene proposta in maggiore dettaglio dalla commedia; essa infatti consiste in una drammatizzazione scenica dell’opera biografica scritta dal conte de la Roca, Fragmentos de la Vida de Don Gaspar de Guzman. Già quest’ultimo aveva cercato di dipingere Olivares come un ministro disinteressato al proprio utile, temprato dalle tante avversità pubbliche e private che aveva dovuto sopportare. Quevado lavora sull’episodio veramente accaduto del fallito matrimonio fra l’erede al trono inglese e un’Infanta di Spagna da una parte egli poteva così difendere la politica estera del duca adducendo che essa fosse ispirata solo alla difesa della fede, e inoltre la storia gli forniva un pretesto per parlare della sconfitta inglese a Cadice e sulla felice conclusione in un matrimonio cattolico e asburgico. 4 Componimento poetico spagnolo di origine castigliana, a carattere epico-lirico, in doppi ottonari in assonanza. La decadenza della Spagna Nel 1640 l’impero spagnolo sembrava giunto al collasso dopo un secolo di potere; in quell’anno la rivolta catalana e portoghese fanno capire che il piano ideato da Olivares di riportare la Spagna ai tempi eroici di Filippo II era fallito la dissoluzione della potenza spagnola negli anni Quaranta del XVII secolo appare così assoluta e irrimediabile che solo a fatica si può riuscire a non pensarla come tale. La Spagna conosce il periodo di massimo splendore sotto Filippo II, per iniziare in seguito con Filippo III la fase di decadenza; a seconda degli storici di turno, le cause della crisi venivano fate risalire a Carlo V, Filippo II o addirittura ai re cattolici. La ripresa avvenuta sotto Filippo IV si rivela presto illusoria, perché la Francia di Richelieu entra nelle dispute internazionali. Oggi tuttavia si sa che anche la Francia non poggiava certo su basi solide; non serve dare per scontato il trionfo francese nella prima metà del secolo. Queste teorie però sono facilmente condivisibili: la Francia contava circa sedici milioni di abitanti contro gli otto della Spagna, e inoltre il declino spagnolo è tale da non essere in grado di farle vincere la battaglia decisiva. L’espressione decadenza della Spagna richiama lo storico Earl Hamilton “progressivo declino della fibra morale dei ceti di governo”; manomorta e vagabondaggio; disprezzo per il lavoro manuale; caos monetario ed eccessiva imposizione fiscale; strapotere della Chiesa. Su questi fattori di decadenza avevano posto attenzione già altri studiosi, primi fra tutti gli arbitristas seicenteschi. A proposito di essi Hamilton osserva che è per la prima volta nella storia che un gruppo di filosofi morali ha diagnosticato con così tanto acume i mali destinati ad affossare la società. Il termine decadenza appare in uso già nella Spagna di inizio 600 l’arbitrista Gonzalez de Cellorigo affermava che la Spagna stava iniziando ad andare incontro a quel processo di declinacion a cui nessuno stato può sottrarsi. I protestanti del tardo Seicento e in seguito la storiografia di Settecento e Ottocento videro nella decadenza spagnola un esempio calzante delle conseguenze di ignoranza, pigrizia ed eccessivo controllo clericale. La sola importante novità introdotta nella storiografia spagnola dell’età moderna sta nel campo della storia monetaria (Hamilton). Inoltre, il lavoro di una generazione di storici con a capo i Chaunu ha condotto ricerche sui traffici atlantici di Siviglia, consentendo importanti chiarimenti circa la natura dei rapporti economici fra la Spagna e i domini americani. Per conoscere meglio la storia monetaria e fiscale della Spagna asburgica si sono però trascurati altri dettagli non meno importanti della vita economica iberica si inizia a indagare sui fattori che influirono all’esterno sull’economia spagnola, come ad esempio l’argento americano, senza considerare i fattori interni. Le attuali spiegazioni sulla decadenza spagnola sono orientate in senso economicistico, creando in questo modo distorsioni esse si aggravano quando la decadenza spagnola viene trattata come se fosse un fenomeno unico nel suo genere. La percezione della crisi innescò negli Spagnoli commenti pessimistici arrivati fino a noi; per questo da qui è nata l’idea di cercare nella decadenza cause tipicamente spagnole e al rifarsi al dubbio concetto di un “carattere nazionale”. Oggi conosciamo molto meglio le condizioni economico-sociali dell’Europa seicentesca; il XVII secolo è considerato un momento di crisi economica continentale, marcato da un ristagno a livello demografico e dalla contrazione dei commerci. Ecco perché la crisi andrebbe vista come una conseguenza, oltre che una causa, di un’economia arretrata di una società quasi esclusivamente agricola. La Spagna seicentesca va dunque inserita nel quadro generale dell’Europa dell’epoca, in particolare guardando all’area mediterranea potrebbe essere che la pigrizia e il rifiuto del lavoro potessero essere più diffuse in Spagna che altrove, ma bisogna paragonare la sua situazione a quella di altre nazioni. La decadenza spagnola può essere letta in primo luogo come un aspetto del ristagno economico europeo verso la metà del XVII secolo, anche se la recessione iberica appare più prolungata di altre. L’espressione decadenza può connotare qualcosa di più definito: la fine dell’egemonia spagnola sul continente europeo e il ridimensionamento della Spagna a potenza minore deterioramento della flotta e della forza militare, minore capacità di mobilitazione di risorse umane e finanziarie. Tra il 1621 e il 1643 Olivares tentò di applicare una politica estera che richiama quella tenuta da Filippo II nel secolo precedente stessi obiettivi generali: distruzione dell’eresia, instaurazione dell’egemonia spagnola in Europa. La politica di Filippo IV si mantiene vicina a quella di Filippo II sui costi nominali e sulla base del potere spagnolo, sempre concentrando nelle proprie mani le risorse della Castiglia. Il primato della Castiglia era incontestabile e sotto gli occhi di tutti, infatti Olivares si ritrova a dover dipendere in maniera pesante da essa, ma la regione ha minore capacità di sopportare i costi dell’impero; stando così le cose la questione non sarebbe più il declino spagnolo, ma la decadenza della Castiglia. L’egemonia castigliana si fondava su tre basi: numerosa popolazione, capacità produttiva e ricchezza proveniente dalle colonie. Sicuramente la popolazione castigliana è stata in continuo aumento per tutto il 500, con un tasso di accrescimento che avrebbe toccato il picco fra il 1530 e il 1540. Si ritiene che intorno al 1550 la penisola iberica avesse circa sette milioni e mezzo di abitanti, di cui sei e mezzo in Castiglia. L’egemonia politica di quel regno sull’insieme della monarchia derivava allora da una popolazione più numerosa e che viveva più densamente raggruppata. La regione è prevalentemente arida, con un’economia prevalentemente pastorale: ecco perché molti decideranno di abbandonare queste terre per emigrare nel Nuovo Mondo pur non conoscendo il numero preciso di castigliani emigrati o che hanno preso le armi sotto Filippo II, è evidente un marcato contrasto fra la situazione militare precedente e quella al tempo di Filippo IV. Col tempo divenne sempre più difficile reperire soldati castigliani per l’esercito, e quelli che potevano non erano in buone condizioni fisiche. Sono mutate le condizioni militari Filippo IV aveva un esercito molto più numeroso di quello di Filippo II; migliori possibilità di vivere in patria con un buon salario devono aver reso meno attraente l’idea di servire nell’esercito all’estero. Il passaggio da un re guerriero come Carlo V a un re burocrate come Filippo II aveva contribuito ad allontanare i nobili castigliani dalle armi. Già nel tardo 500 si registra uno spopolamento della Castiglia, ma il fenomeno può in parte spiegarsi come una redistribuzione degli abitanti nel resto della penisola; ci fu certamente un flusso marcato di migrazioni dalle campagne verso le città, e al contempo si registra anche un esodo di persone dai domini settentrionali della Corona di Castiglia verso le regioni centrali e l’Andalusia. Questa meridionalizzazione si concluderà solo nel 1600, soprattutto grazie alla fama di Siviglia, la quale passò da 45mila abitanti del 1530 ai 90mila del 1594, ma tutti i maggiori centri urbani nella parte meridionale della penisola aumentano la propria popolazione. Tra il 1599 e il 1600 la peste e la carestia devastarono le terre andaluse e castigliane, anche se qualcuno crede che questo evento non sia così importante come appare. I dati di Hamilton non consentono di avere una base statistica degli anni successivi alla peste, ma mostrano come nei dieci anni successivi i salari siano cresciuti più rapidamente dei prezzi, a causa della grave carenza della popolazione. La crisi venne ancora di più accentuata dall’espulsione dei moriscos nel 1609; in passato si pensava che le persone cacciate fossero un milione, ma Hamilton ha ridotto la cifra a 100mila persone, mentre Lapeyre sostiene che siano state espulse circa 275mila persone. Dei moriscos espulsi molti provenivano dalla Castiglia ed Andalusia; Hamilton non ha sottovalutato solo il numero dei moriscos cacciati, ma anche l’impatto economico della loro espulsione, soprattutto sull’economia di Valencia. Il quadro odierno della demografia castigliana suggerisce una forte crescita che rallenta verso la fine del 500 per poi avere un catastrofico calo, seguito dieci anni dopo dalla scomparsa di altri 90mila abitanti. Hamilton ipotizza la scomparsa di circa il 25% della popolazione nel corso del XVII secolo, altri studiosi ritengono invece più probabile una stagnazione. Negli anni successivi al 1590 si segna l’inizio del declino nello sviluppo della Castiglia uno dei principali ostacoli che impedisce una stima precisa di questo impoverimento sta nel non sapere le condizioni dell’economia castigliana durante la prima metà del 500. Probabilmente c’era una diffusa attività economica sia in Castiglia che in Andalusia, con aumento della popolazione e forte rincaro dei prezzi. Nadal ha rilevato come la dinamica dei prezzi sia più accentuata nella prima piuttosto che nella seconda metà del secolo, anche se durante questo periodo arriva in Spagna molto più argento che non nel periodo precedente. Fra il 1501 e il 1562 i prezzi salgono in media del 2.8% all’anno gli aumenti più consistenti avvengono fra il 1530 e il 1540, prima che iniziasse lo sfruttamento delle miniere del Potosì. Questa lievitazione dei prezzi sotto Carlo V si può spiegare con le crescenti spese dell’aristocrazia, dal dilatarsi del debito del re, dall’aumento della richiesta dei beni: gli abitanti della Castiglia chiedevano derrate alimentari, nelle regioni settentrionali dell’Europa si chiedeva la lana merinos castigliana, il nuovo mercato americano chiedeva vino, olio, prodotti tessili e beni di prima necessità. Si possono vedere i primi sintomi di una crisi a partire dal 1548, durante un quinquennio con un tasso di inflazione6 molto alto. Le Cortes, riunite a Valladolid, chiedono alla Corona di vietare l’esportazione dei manufatti castigliani anche ai mercati americani; si chiede inoltre l’importazione di prodotti dall’estero, molto meno cari delle merci autoctone. Nel 1552 quindi la corona impone le disposizioni, ma non si estende il blocco ai prodotti destinati alle colonie. Questi provvedimenti anti-mercantilistici non funzionarono, tanto da essere revocati dalle Cortes sei anni dopo. Sotto Filippo II i mercati stranieri si sforzarono di rovinare ancora di più il monopolio spagnolo, mentre l’industria castigliana non riusciva a reggere il peso della concorrenza. Hamilton osserva che in Spagna i salari si erano mantenuti a passo con l’ascesa dei prezzi, e quindi l’industria iberica non potè contare su uno stimolo di crescita improntato sulla crescita della forbice “prezzi/salar. I dati con cui Hamilton sostiene la sua tesi sono da tempo oggetto di revisione critica. I freni allo sviluppo industriale della Castiglia non vennero solo dalla politica fiscale e dalle scarse possibilità di investimento, ma anche dall’assenza di un ampio mercato interno. Mancanza di vendita dei manufatti di minor pregio prezzi delle derrate alimentari alti pochi soldi. I re castigliani tendevano per tradizione a favorire l’allevamento ovino a svantaggio dello sfruttamento agricolo; nel XVI secolo quindi l’economia castigliana era squilibrata, perché mentre la crescita demografica faceva aumentare la richiesta di grano gli allevatori della Mesta7 avevano la protezione regia e gli agricoltori venivano penalizzati pagando la tasa del trigo, caposaldo della politica economica della corona. Ecco che la Castiglia del tardo 500 insieme ad altri paesi del mezzogiorno europeo dipendeva per il rifornimento di grano dai paesi settentrionali e orientali, poiché l’agricoltura locale era incapace di soddisfare la domanda nazionale di cibo. Forse dopo il 1550 sono stati messi a coltura nuovi terreni a sud, ma può darsi che si sia pensato al mercato americano che non a quello iberico, ma comunque si percepisce il dilagare di una crisi agraria contrassegnata dall’abbandono delle zone rurali. Sembra che verso la fine del XVI secolo i piccoli proprietari terrieri castigliani fossero già al limite delle loro possibilità: rischiavano di indebitarsi fino a dover vendere la loro proprietà. Tutto questo 6 L'aumento generalizzato e prolungato dei prezzi che porta alla diminuzione del potere d'acquisto della moneta e quindi del valore reale di tutte le grandezze monetarie. 7 associazione degli allevatori di bestiame. Olivares sperava di salvarsi sconfiggendo la Francia in tempi brevi: in quel caso egli avrebbe potuto realizzare le grandi riforme di cui il paese aveva bisogno. Tuttavia dopo Corbie il conflitto franco- spagnolo si trasformò in una guerra d’attrito che la spagna non era in grado di reggere. Tale guerra finì per creare enormi tensioni tra le varie strutture della monarchia spagnola. Sia Olivares sia Richelieu furono costretti a ricorrere all’aiuto di provincie mai del tutto integrate al potere centrale la monarchia spagnola in particolare dovette aggrapparsi al Portogallo e alla Catalogna, che però insorsero nel 1640 quando la pressione divenne troppo forte. Il grande crollo del 1640 che segna la fine della potenza spagnola va quindi visto come l’ultimo atto della crisi che tormentò la Castiglia fra il 1590 e il 1620 crisi economica che distrusse le basi materiali della potenza castigliana, e crisi psicologica che spinse la nazione a esaurirsi inseguendo il sogno della potenza universale. La percezione del declino nella Spagna di inizio Seicento Il paese che Olivares era stato chiamato a guidare stava vivendo i suoi ultimi anni di splendore e si avviava a diventare l’esempio di una società incapace di far fronte alla storia e al cambiamento. Il desiderio di trovare una spiegazione a questo fallimento ha portato a moltissime ricerche vuote, soprattutto a causa del fatto che molti storici sorpassano i dati obiettivi per considerare solo quelli soggettivi. In che modo chi ha vissuto nel mezzo si è accorto della crisi? Per quali vie la loro percezione soggettiva della situazione influì sul processo storico di decadenza, condizionando anche il modo in cui essi reagirono agli eventi? Influsso azione/percezione: descrivendo il paese come una nave sul punto di affondare Olivares ricorre a una metafora politica di origine classica molto diffusa, che a sua volta sottende una precisa visione di governo. La Spagna seicentesca ha lasciato una grande quantità di reperti cartacei da reperire; materiale a stampa e manoscritto per discutere i grandi problemi dell’epoca atti e documenti di consigli e juntas che reggevano la Monarchia, i resoconti dei dibattiti delle cortes castigliane più trattati editi ed inediti che proponevano soluzioni al problema. Soluzioni conosciute come arbitrios, e i loro autori erano gli arbitristas, parola in uso a partire dal XVI secolo. L’arbitrista era il prodotto di una società nella quale era ovvio che il vassallo fosse tenuto ad aiutare il signore comunicandogli tutto ciò che potesse essere a suo beneficio. Molte soluzioni proposte sparivano dagli archivi, altre venivano accolte con favore e discusse, altre ancora furono discusse sebbene campate in aria. Gli arbitristas diffondevano i loro manoscritti attraverso un giro di conoscenze oppure li pubblicavano sperando di attirare l’attenzione del sovrano; fra il 1598 e il 1665 sono stati pubblicati 165 titoli di argomento economico. La valenza negativa acquistata dal termine e il mutamento delle teorie economiche lascia cadere quella vasta letteratura. Gli arbitristas uscivano dal ceto accademico ed ecclesiastico, dagli uffici amministrativi, dall’esercito, dal patriziato urbano e dai mercanti, e dal momento che tendevano a farsi portavoce di gruppi sociali molto differenti è importante anche considerare i legami associativi che intrattenevano e i loro contatti a livello regionale. Anche i rimedi suggeriti possono essere classificati a seconda delle diverse dottrine economiche a cui si ispirano: bullionisti o anti, fisiocratici o protezionisti.9 Gli autori condividono tutti l’idea che ci fossero seri problemi da correggere. 9 Bullionismo: Concezione economica per la quale la ricchezza delle nazioni s'identificava con la quantità d'oro e d'argento posseduta; può considerarsi la prima fase del mercantilismo. Fisiocrazia: Secondo il pensiero di Quesnay l'agricoltura è la vera base di ogni altra attività economica: solo l'agricoltura è infatti in grado di produrre beni, mentre l'industria si limita a trasformare e il commercio a distribuire. La fisiocrazia assume quindi il momento della produzione dei beni e non il momento dello scambio come situazione in cui viene creata ricchezza. Tutto il ciclo economico della fisiocrazia ha come fine ultimo quello di creare un surplus (o prodotto netto), che poi verrà investito nuovamente nell'agricoltura (per aumentare la produttività di un terreno, avere a disposizione più manodopera, compiere ricerche nel campo delle macchine agricole), attraverso una condizione di libero mercato. Lungo il XVI secolo la Castiglia aveva ottenuto molti successi; negli ultimi anni di Filippo II tuttavia aveva iniziato a vacillare. Il momento critico avviene verso la fine del 500, quando la politica spagnola in Europa si rovescia, c’è una bancarotta e carestia e peste mietono quasi mezzo milione di vittime. Gli spagnoli del XVII secolo sentivano l’urgenza di spiegare il perché del rovesciamento negativo, soprattutto perché in Castiglia si erano sviluppate correnti nazionaliste la conquista di un impero mondiale aveva portato ai Castigliani l’idea di essere il popolo scelto da Dio per essere portavoce cosmico sulla Terra. Come si spiegavano tutti i disastri? I castigliani avevano attirato su di loro l’ira divina e ora ne stava pagando il prezzo; ciò non significava che Dio avesse per sempre ripudiato il suo popolo, ma che lo facesse solo per irrobustire la loro fede. Logica conseguenza fu il puritanesimo moralizzatore società troppo licenziosa e troppo lontana dalla fede religiosa, pigra e disobbediente. Solo una rigenerazione a partire dalla corte avrebbe purificato la Spagna; gli spagnoli del XVII secolo, pur operando in un quadro teologico dominato dal pensiero di colpa e punizione, avevano anche una visione terrena delle cose che suggeriva un’interpretazione diversa. La Spagna cessava di essere una terra sempre benvoluta dalla divinità, al contrario la si collocava all’interno del flusso storico di crescita, maturità e declino (concezione organicistica dello Stato) “come la nostra Spagna per quanto fertile e ricca possa essere, è soggetta a quella declinacion cui nessuno stato va immune” (Gonzalez de Cellorigo) Ciò poneva problemi di ordine teologico: alcuni attribuivano il declino degli stati al movimento dei pianeti, altri al ciclo naturale e all’instabilità delle cose umane. Secondo tutti gli arbitristas il paese era vittima di un processo degenerativo (equiparazione malattia dello stato/malattia del corpo umano). Quando la scienza non è più in grado di guarire, il suo scopo primario resta garantire la sopravvivenza. L’arbitrismo dedicava quindi agli affari di governo la stessa attenzione prestata ia problemi economici e sociali arte di conservare l’esistente, in politica estera e negli affari interni. La risposta istintiva al problema della declinacion fu la conservacion. I personaggi giunti al potere nel 1621 avevano scelto come punto di riferimento i tempi di Filippo II, epoca che si distingueva per onestà e competenza di governi; altro esempio era il regno di Ferdinando e Isabella, il momento in cui le antiche virtù della Castiglia medievale erano al massimo splendore. Un tempo gli spagnoli vivevano sobriamente, onoravano la religione ed erano guerrieri; poi era arrivata la scoperta delle Indie e la Castiglia aveva guadagnato un impero globale, ma lussi e ricchezze avevano corrotto gli uomini. La vera fonte del disastro era quindi l’aver deviato dai costumi eroici; le sconfitte patite fra XVI e XVII secolo suggerivano un’incapacità della Castiglia di raggiungere gli obiettivi prefissati. Bisognava quindi tornare indietro e restaurare la società i primi trent’anni del nuovo secolo sono marcati da quest’idea coinvolgendo l’intera nazione. L’espulsione dei moriscos fra il 1609 e il 1614 era il primo passo per la purificazione. A Madrid nel primo 600 le opere teatrali esaltavano l’esempio di vita rustica del contadino, simbolo di onestà e virtù morale. Novità che permette di differenziare la Castiglia dagli altri casi di imperi in decadenza: nessuno sembra aver mai parlato di decadenza delle arti e delle lettere (come nella Roma di Plinio e Quintiliano), perché esse conoscono un periodo di eccezionale fioritura. Altro degrado era di natura economica e fiscale pressione tributaria sul ceto contadino; squilibrio tra importazioni ed esportazioni; moneta deprezzata; calo della popolazione. Il declino dei traffici commerciali era confermato dall’aumento di prodotti d’importazione. La percezione del declino aggiunse urgenza al movimento per le riforme, che crebbe negli ultimi anni di regno di Filippo III, anche se bisognerà aspettare il 1621 per arrivare a un regime attivo. Con Zuniga e Olivares ci fu un programma di rigenerazione e riforma impostato e diretto dai ministri regi; a mano a mano che i progetti andavano avanti emergeva il contrasto fra le varie correnti che avevano contribuito a rendere popolare il tema delle riforme. L’esito infelice dello sforzo riformista di Olivares va imputato a una serie di fattori, fra cui il conflitto di atteggiamenti spinto dalla volontà di rendere attuali i valori del passato Olivares si imbarca in un vasto progetto di reformacion dei costumi e della morale. Venne duramente colpita ogni manifestazione di lusso e si nega la licenza di stampa a romanzi e commedie. Questa spinta moralizzatrice contribuì a rafforzare le tesi di quanti chiedevano la ripresa della guerra dopo un periodo di relativa pace. Nel consigliare la riapertura delle ostilità con gli Olandesi si dice che l’inazione aveva rammollito gli spagnoli  l’ossessione per la reputacion rappresenta una sorta di compensazione simbolica per una declinacion complessiva. I progetti di Olivares non si sarebbero realizzati senza innovazioni, e queste a loro volta richiedevano idee e esperienze anche dall’estero; la rapida ascesa a corte die banchieri portoghesi simboleggia le contraddizioni interne del programma di riforma: la rinascita veniva associata a personaggi collegati alla corruzione della Castiglia. Importante anche la violenza dello scontro castigliano sul santo patrono: si voleva sostituire San Giacomo con santa Teresa d’Avila la percezione della crisi aveva catalizzato una voglia di cambiamento, ma erano emersi profondi contrasti circa le decisioni da prendere. Ancora più deleterio fu l’arrivo di una mentalità da assediati.
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