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La Spagna Imperiale 1469-1716, Sintesi del corso di Storia Moderna

John H. Elliott, racconta questa parabola prendendo le mosse dal 1469, allorché il matrimonio dei "re cattolici" Ferdinando e Isabella unificò i regni di Castiglia e Aragona, per passare alla politica di "reconquista" dei territori iberici in mano musulmana, alla scoperta dell'America e al conseguente instaurarsi di un impero immenso e disperso, che vive la sua stagione d'oro nel pieno Cinquecento con i regni di Carlo V e di Filippo II, e vertiginosamente decade nel corso del Seicento.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica La Spagna Imperiale 1469-1716 e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! LA SPAGNA IMPERIALE (1469-1716) Capitolo I: L’UNIONE DELLE DUE CORONE Origini dell’unione Il 19 ottobre 1469 Ferdinando, re di Sicilia ed erede al trono di Aragona, ed Isabella, erede del trono di Castiglia, furono uniti in matrimonio a Valladolid. Dovettero contrarre un prestito per far fronte alle spese del matrimonio ed ottenere una bolla papale di dispensa, essendo lontani parenti; si pensa che quest’ultima sia un falso fatto dal re di Aragona, dall’arcivescovo di Toledo e dallo stesso Ferdinando. In molti premevano perché le nozze non avessero luogo: • Il re di Francia Luigi XI: grande minaccia per il suo paese in un’unione tra le due Case regnanti di Aragona e Castiglia. • I nobili castigliani, temendo un rafforzamento dell’autorità della Corona di Castiglia; sostenevano infatti Juana La Beltraneja, creduta figlia di Enrico IV, contro la sorella del re, Isabella stessa. • Nonostante Enrico IV avesse riconosciuto come erede Isabella nel 1468, non ci si fidava di lui. La dinastia dei re di Aragona si era interrotta nel 1410 dopo Martino I con il Compromesso di Caspe; gli esponenti della dinastia castigliana tennero la corona di Castiglia e quella di Aragona. Ma in realtà la forte antipatia reciproca che opponeva castigliani ed aragonesi rendeva ogni prospettiva di futura unione sgradita ad entrambe le popolazioni. Però anche il solo fatto che sul trono aragonese sedesse una dinastia castigliana aveva contribuito ad aumentare i contatti tra i due regni, inoltre il termine Hispania era stato utilizzato durante tutto il Medioevo ad indicare la penisola iberica come una regione geografica a sé; accanto a questa idea geografica era viva anche un’idea storica dell’antica Hispania romana, divisa in Hispania Citerior e Hispania Ulterior, unite sotto il governo di Roma. Si ricercava nel matrimonio non tanto l’unità della Spagna, quanto piuttosto una risposta alle difficoltà politiche riscontrate: insurrezione della Catalogna e ambizioni espansionistiche di Luigi XI, re di Francia. Nell’autunno del 1468 Enrico IV riconobbe come erede al trono sua sorellastra Isabella, facendo diventare le sue nozze una questione politica internazionale. Tre erano i candidati più in vista: 1. CARLO DI VALOIS, figlio di Carlo VII, re di Francia, irrobustendo la tradizionale alleanza Francia-Castiglia. 2. ALFONSO V, re del Portogallo. 3. FERDINANDO, figlio ed erede di Giovanni II di Aragona. I termini del contratto furono favorevoli ad Isabella, che consolidava la sua posizione rispetto a quella dello sposo: Ferdinando avrebbe dovuto vivere in Castiglia e combattere per la causa della principessa, e avrebbe avuto un ruolo secondario nel governo del paese. Le nozze fecero scoppiare una lotta per la successione alla Corona di Castiglia che culminò tra il 1475 e il 1479 in un’aperta guerra civile. RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !1 Luigi XI portò Enrico IV a riconoscere i diritti di Juana la Beltraneja. Ma nel 1474 Enrico IV morì ed Isabella si proclamò regina di Castiglia. Nel 1475 Juana rivendicò il trono, appoggiata da una fazione anti-aragonese che aveva già preso contatti con il re del Portogallo Alfonso V, suo possibile marito; soldati portoghesi attraversarono la frontiera portandosi in Castiglia, ma alla fine fu Isabella ad avere la vittoria. Se avesse vinto la rivale, le fortune della Castiglia sarebbero state congiunte a quelle del Portogallo, spostando gli interessi verso la costa atlantica. Ma, data la vittoria di Isabella, il termine Spagna andò a indicare Castiglia e Aragona. Ferdinando poté contare sull’appoggio di tre grandi famiglie della Castiglia settentrionale, Enriquez, Mendoza e Alvarez de Toledo, grazie a vincoli di parentela; in più furono avvantaggiati dall’oscuramento del prestigio del re del Portogallo quando venne sconfitto nella battaglia di Toro nel 1476 e nel 1479 l’intera Castiglia tornò sotto il controllo di Isabella. Le due Corone Si univano così due delle cinque partizioni della Spagna medievale (Castiglia, Aragona, Portogallo, Navarra e Granada); in realtà non si ebbe l’unione di due popoli, bensì di due famiglie reali, senza mutare le condizioni e le forme di governo dei regni, ma confluendo solo in un’unitaria politica estera. Ognuna delle due parti conservò quindi le proprie istituzioni e i propri costumi. Dopo l’annessione di Granada nel 1492, la Corona di Castiglia comprese territori che equivalevano a circa 2/3 dell’intera penisola iberica. In realtà la Corona di Aragona, per quanto avesse un territorio e una popolazione minori rispetto alla Castiglia, aveva dispiegato una vitalità che il regno vicino non aveva conosciuto. Gli arabi avevano invaso la penisola nel 711 e l’avevano conquistata; il territorio fu poi recuperato in una lotta della durata di sette secoli, che prese il nome di reconquista, cioè la lotta dei regni cristiani per strappare la penisola dalle mani degli infedeli. Questo processo ebbe passo e natura differenti a seconda delle regioni spagnole: la Castiglia sotto Ferdinando III conduceva la guerra per conquistare l’Andalusia, il Portogallo si impegnò al riscatto delle sue provincie meridionali e l’Aragona prese le Baleari. In Castiglia si concessero vaste estensioni del territorio da poco recuperato ai nobili castigliani che avevano combattuto nella crociata, dagli Ordini militari, alla Chiesa e ai nobili costituendo così i latifundios. Questi nobili divennero così potenti da ottenere un’influenza incontrastata in contrapposizione alla debolezza della bourgeoisie. In Aragona, si seppe attuare un controllo molto più rigoroso al processo di colonizzazione e di ripopolamento. Le terre vennero divise in appezzamenti molto più piccoli che diedero vita a tante piccole comunità cristiane. Dal 1270 l’impeto della reconquista andò scemando. Il Portogallo volse le sue mire ad occidente e cioè all’Atlantico, la Castiglia si concentrò nei suoi affari interni e i sovrani della Corona di Aragona volsero la loro attenzione verso il Mediterraneo. La dinastia catalana della Corona di Aragona conquistò ed organizzò oltremare un impero. Il successo dell’attività commerciale aragonese recò prosperità alle città e contribuì a rafforzare i potenti patriziati urbani. Si sviluppa l’idea del contratto: tra sovrano e sudditi doveva esistere una reciproca fiducia e sincerità di rapporti, fondate sul riconoscimento da entrambe le parti contraenti che ognuna aveva i suoi obblighi e che esistevano limiti al loro potere. Questa trovò pratica attuazione nelle istituzioni politiche che furono create durante il Medioevo, le più importanti delle quali furono le Cortes della Catalogna, dell’Aragona. Se convocate insieme dal re si assisteva alle Cortes Generales. Erano articolate nei tradizionali tre stati (nobili, clero, borghesi o città) e in esse era previsto che ogni stato dovesse RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !2 Durante il regno di Ferdinando e Isabella, la Corona di Castiglia si rilanciò in imprese di conquista. Il 6 gennaio del 1492 si fece ingresso nella città di Granada, strappata dopo otto secoli al dominio dei mori; tre mesi dopo fu raggiunto l’accordo che avrebbe portato Cristoforo Colombo alla scoperta dell’America. Se si diede fine alla riconquista del territorio spagnolo, si diede anche vita ad una nuova fase della crociata contro i mori nello stretto di Gibilterra e nelle coste dell’Africa. Con la scoperta del Nuovo Mondo si diede avvio alla grande era delle colonizzazioni occidentali transoceaniche. Il completamento della “reconquista” Nel XV secolo la reconquista sembrò subire un arresto; con Ferdinando ed Isabella si riprese vigorosamente la guerra, anche vista come possibilità per unire il paese e nell’associare popolo e Corona ad un’impresa eroica. Nel 1482 si prese Alhama e si tentò con Granada; la guerra venne tuttavia vinta anche dalla diplomazia: la famiglia del vecchio re moro di Granada era divisa nel suo interno. Nella battaglia di Lucena del 1483, dopo aver cercato di invadere il territorio cristiano, Boabdil, nipote del re, fu catturato dai cristiani. Ferdinando e Boabdil si accordarono e, in cambio della libertà, quest'ultimo si impegnò a diventare vassallo del re, accettando una tregua di due anni e promettendo una guerra contro il padre: Nel 1487 venne ceduta Malaga in cambio del titolo di nobile castigliano a Boabdil e parte di potere su piccoli territori. Nel 1488 presa delle città richieste da Boabdil in cambio di Granada ma lo stesso proclamò la sua determinazione a combattere in difesa di ciò che rimaneva del regno, così nel 1490 l’esercito cristiano si accampò sotto Granada. Nel 1491 i termini della resa furono stabiliti e nel 1492 Granada si arrese. Ai mori si lasciava il possesso delle loro armi e dei loro beni; si dava la garanzia di poter osservare le loro leggi e praticare il loro credo; dovevano rimanere sotto il governo dei loro magistrati locali e non venivano imposti tributi maggiori dei soliti. Alla Corona rimasero solo i beni che facevano parte del patrimonio terriero del sultano. Quando il re e la regina lasciarono Granada, affidarono il potere ad un triumvirato con il compito di assicurare l’ordine pubblico. I conquistatori ebbero sempre paura che potessero scoppiare rivolte e furono così costruite torri di guardia, portando i più influenti mori a lasciare Granada: pochissime famiglie dell’aristocrazia mora rimasero nel regno. Gli accordi del 1491 permettevano la libertà di culto ai mori, secondo l’ideale di un’assimilazione morbida. Si cercò la conversione attraverso la predicazione e l’istruzione, processo che sembrò lento agli occhi di molti cristiani, in particolare all’arcivescovo di Toledo, Francisco Jiménez de Cisneros che si lanciò dal 1499 a conversioni forzate e battesimi di massa. Scoppiò nello stesso anno una rivolta alla pendici della Sierra Nevada, ma venne soffocata e i mori si videro costretti all’emigrazione o alla conversione. Gli effetti furono insoddisfacenti tanto per i mori quanto per i cristiani. L’avanzata in suolo africano I timori di una ribellione da parte di Granada furono incoraggiati dal Nord Africa, dando un nuovo impulso alla crociata castigliana nel suolo africano. Dalla fine del XV secolo il sistema di staterelli nord-africani era in una fase di dissolvimento. Da una parte il suolo africano non si presentava favorevole ad una campagna di guerra, ma i suoi abitanti non avevano nemmeno familiarità con le nuove tecniche belliche. Così nel 1494 Alessandro VI autorizzò la cruzada, imposta a favore della sovvenzione della spedizione. In quel tempo le forze spagnole furono impegnate per gran parte in Italia, mentre il fronte islamico venne trascurato e solo quando scoppiò la rivolta delle Alpujarras (1499) si capì il pericolo che poteva provenire dall’Africa settentrionale. RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !5 Il Cineros, nuovo arcivescovo di Toledo e cancelliere di Castiglia si concentrò nelle faccende interne della Spagna e solo nel 1509 si riprese l’occupazione della costa africana. Ferdinando considerava il territorio un teatro di operazioni meno importante rispetto a quello italiano. L’arcivescovo ruppe con il suo sovrano nel 1509 e prevalse la politica di Ferdinando. La guerra in Africa si rivelò di fatto un problema per il terreno, la scarsità numerica delle forze spagnole, nessun progetto di colonizzazione, ricercando ricompense naturali piuttosto che il premio spirituale ricercato da Cisneros. Gli antecedenti medievali per la conquista del Nuovo Mondo Diverse regioni della Spagna fornirono i loro peculiari contributi: - A Maiorca si era affermata un’importante scuola di cartografia, di immenso valore quando si trattò di tracciare il profilo di terre fino ad allora sconosciute. - i baschi potevano fornire piloti. - i portoghesi avevano perfezionato la caravella, quel solido vascello con le vele ad angolo retto. - I castigliani avevano esperienza commerciale e marina con lo sviluppo della Mesta e l’espansione dei traffici lanieri con l’Europa del Nord. -Un’attiva comunità commerciale si stabilì a Siviglia, presa da Ferdinando III nel 1248; divenne posto di osservazione per sorvegliare l’Africa settentrionale e le distese dell’Oceano Atlantico. Il Portogallo era in un posizione felice per impegnarsi in imprese che avrebbero fruttato oro, schiavi, zucchero e spezie e, avendo una scarsa produzione di granaria, anche di terre adatte alla coltivazione dei cereali come le Azzorre e Madera. L’ostilità tra Castiglia e Portogallo, inasprita dall’intervento portoghese nella questione della successione, fornì un nuovo incentivo alla Castiglia per conquistare possedimenti oltremare, in particolar modo le isole Canarie; si tentò di dar corpo ai diritti sulle Canarie inviando nel 1478 da Siviglia una spedizione ma solo nel 1482 si ebbe un successo. Nel trattato del 1479 si pose termine alla guerra tra Castiglia e Portogallo con una soluzione favorevole alla Castiglia per la questione delle Canarie, in cambio del riconoscimento dei diritti portoghesi sulla Guinea, sul regno di Fez, su Madera e le Azzorre. Per la Castiglia la vittoria fu di valore inestimabile come punto d’appoggio per chi voleva attraversare l’Oceano alla volta dell’America, usato come base per tutti e quattro i futuri viaggi di Colombo: 1) Si utilizzarono molto i metodi tipici della reconquista, essendo la colonizzazione delle Canarie considerata come episodio della guerra santa. 2) Le occupazioni avvennero con la partecipazione del potere pubblico e di privati. 3) Gran parte della reconquista era stata attuata sotto il controllo della Corona e lo stato ebbe parte anche nelle spedizioni delle Canarie, nelle quali operò anche l’iniziativa privata. 4) Si stipularono contratti privati con una compagnia di mercanti di Siviglia, uno dei primi contratti che sarebbero poi stati adottati per finanziare le spedizioni esplorative nel continente americano. 5) Era stato abituale alla Corona stipulare contratti, le capitulaciòn come consueta forma di accordo tra la Corona spagnola e i conquistadores dell’America, nella quale dovevano sempre essere presenti i motivi religiosi della conquista, per volontà dei re cattolici. In questo modo si riservavano certi diritti della Corona nei territori conquistati e si garantivano al capo della spedizione le mercedes. L’adelantado era un titolo ereditario concesso dal re che conferiva al detentore il diritto a governare una provincia. RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !6 6) I governatori delle isole furono tenuti strettamente sotto il controllo regio: tutte le nuove città dovevano fondare le loro libertà e i loro privilegi su una carta o concessione regia. In questo modo l’organizzazione municipale della Castiglia medievale venne trapiantata tale e quale nelle colonie d’oltremare. La spedizione di Colombo poneva difficoltà finanziarie. Nel 1486 la Corona era in strettezze e impegnata nella guerra di Granada; solo nel 1491, grazie anche ad amici altolocati del genovese all’interno della corte spagnola, si cambiò opinione; Colombo chiese per sé e i suoi discendenti in perpetuo la carica di governatore di tutti i territori scoperti, ma i sovrani non acconsentirono nemmeno a far finanziare la spedizione da grandi famiglie nobiliari. Le conquiste nel Nuovo Mondo Quando nel 1506 Colombo morì i suoi tentativi di colonizzare la Hispaniola (Haiti) e per mettere in piedi un monopolio commerciale erano già falliti. Tra il 1499 e il 1508 le spedizioni partite dalla Spagna e inviate ad esplorare l’America del Sud fecero intendere la vastità del continente scoperto. Gli anni dal 1519 al 1540 costituirono la fase finale della conquista, anni in cui la Spagna mise in piedi il suo grande impero americano sulle rovine di due imperi indigeni: quello degli aztechi e quello degli incas. Protagonista della conquista dell’impero azteco fu Hernan Cortés, mentre la distruzione dell’impero degli Incas fu opera di Pizarro. I primi spagnoli arrivati nel Nuovo Mondo furono giovani con alle spalle esperienza di vita militare, provenienti dalla piccola nobiltà o da ceti inferiori, o gli hidalgos, provenienti da famiglie nobili cadute in povertà. Nel 1473 si era dato voga ai romanzi cavallereschi: era una società portata a prestar fede a quanto vi si raccontava, con gli obbiettivi di servire Dio e il re e per diventare ricchi. La religione dei conquistadores ispirò loro una fiducia incrollabile nella bontà della loro causa e nella certezza che quella causa avrebbe trionfato. Gli insediamenti spagnoli in America La distruzione degli imperi azteco e incas non furono altro che la prima tappa della conquista dell’America. La seconda fu rappresentata da presa di possesso, colonizzazione, costruzione di città. I conquistati del Nuovo Mondo caddero così vittime dei burocrati del Mondo Vecchio. Si trapiantarono istituzioni e costumi della Castiglia nella diversa situazione del nuovo continente. Il primo dovere del capo delle spedizioni era quello di ricompensare chi l’aveva seguito con la distribuzione del bottino, riservandone una parte alla Corona. CAPITOLO QUARTO: il destino imperiale La politica estera di Ferdinando Isabella morì nel 1504. Ferdinando si lasciò in questo guidare in primo luogo dagli interessi aragonesi e andò ad inasprire la rivalità tra la Corona di Aragona e la Francia: tra il 1475 e il 1477 furono mandati degli agenti in Germania, in Italia, in Inghilterra e nei Paesi Bassi ed essi offrirono a quelli che erano i nemici della Francia l’alleanza castigliana. RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !7 prosciugava il paese della sua ricchezza. Lo sdegno si rispecchiò nella richiesta della Junta di Tordesillas, con la quale si voleva che il re risiedesse in Castiglia, che non si attorniasse di stranieri e che si conformasse alla condotta tenuta dai Sovrani Cattolici. La rivolta fu essenzialmente urbana e dapprima limitata alle città della Castiglia settentrionale. Inizialmente coinvolse anche tutta la popolazione, ad eccezione dei grandi dell’aristocrazia, che simpatizzavano senza farsi coinvolgere. Ebbe inizio nelle città con sollevazioni popolari contro i funzionari regi: i corregidores furono costretti a fuggire e si sostituì l’amministrazione regia con un “comune”. Sarebbe stato importante coordinare questi diversi “comuni”, ma l’antagonismo non lo permise. Adriano di Utrecht e il suo Consiglio di reggenza ordinarono che venisse attaccata Segovia e poi Medina, dove la popolazione oppose resistenza. La città fu incendiata il 21 agosto del 1520 e ridotta in cenere; la distruzione del maggior centro finanziario e commerciale del paese sollevò un’ondata di sdegno che contagiò anche la parte meridionale del paese, ma il problema di mettere a punto un programma comune d’azione rimase irrisolto. Nei Paesi Bassi i consiglieri dell’imperatore decisero di concedere qualcosa ai rivoltosi: si sospese l’esazione del servicio e si accettò di non dare a forestieri cariche castigliane. Il tempo e la distanza stavano ormai spegnendo lo sdegno dei rivoltosi e si degenerava rapidamente in guerra civile tra tradizionali avversari, lasciando il potere in mano ad estremisti. Un movimento iniziato come sollevazione nazionale e patriottica contro un regime forestiero, ora andava assumendo tratti tipici di una rivoluzione sociale. Dal 1519, mentre Carlo dimorava in Barcellona, il malcontento politico era stato dato dalla presenza del re. Erano stati dati ordini di armare le corporazioni contro possibili incursioni da parte delle galere turche sulla costa valenzana e essendo fuggiti i funzionari pubblici, gli artigiani armati delle corporazioni si unirono in fratellanze o Germanìa, assumendo il controllo della città e prendendo poi ad estendere il potere sulle campagne circostanti. Mentre quindi i comuneros si sollevavano in Castiglia, la ribelle Germanìa valenzana si era mutata in un movimento sociale radicale che rappresentò una minaccia seria per l’aristocrazia e per l’ordinamento gerarchico della società. La nobiltà castigliana depose ogni simpatia per i comuneros e così tra il 1520 e il 1521 la rivolta di questi si mutò in lotta sociale contro la nobiltà. Si alienò così l’aiuto dell’aristocrazia e i rivoltosi moderati. A favore dei comuneros si schierò Antonio de Acuña, vescovo di Zamora e si mise in testa l’idea di marciare su Toledo: nel 1521 il suo esercito si scontrò con quello regio nei pressi di Toro, andando incontro alla disfatta. La rivolta dei comuneros era terminata. Carlo nel 1522, trovò una Spagna pacificata. In ottobre concesse un’amnistia generale ai comuneros. Il destino imperiale La rivolta degli anni 1520-21 pur essendo stata una sollevazione lasciò cicatrici tra le contese e le vendette delle famigli dell’aristocrazia, tra famiglie pro-comuneros e anti-comuneros. I comuneros avevano lottato per salvare la Castiglia da un regime che sembrava minare quel senso di identità nazionale a cui con tanta fatica erano approdati una generazione prima. La loro sconfitta significò che su trono castigliano avrebbe seduto stabilmente una dinastia forestiera succube di un nuovo complesso di idee, presupposti e valori tipicamente europei. Nonostante i sentimenti marcatamente anti-fiamminghi e anti-imperiali che predominavano, alcuni ambienti della società castigliana si dimostrarono pronti ad accogliere e gradire le idee nuove e gli apporti forestieri. La corte e le università, nelle quali l’umanesimo spagnolo si sviluppò dietro lo stimolo di idee italiane e delle Fiandre. L’invasione erasmiana della Spagna costituisce uno dei fatti più impressionanti della storia spagnola del 500. In nessun altro paese dell’Europa gli scritti di Erasmo godettero di una simile popolarità; pare che tanta fama debba attribuirsi ai tanti conversos: i “nuovi cristiani” si sentirono attirati da una pietà che non teneva gran conto dei riti formali e che dava maggior spicco alle tendenze moraleggianti e RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !10 mistiche della tradizione cristiana. La corte imperiale nel secondo decennio del 500 era erasmiana come supporto all’ideale imperiale; si andò così a formare una simpatia tra alcuni dei maggiori intellettuali spagnoli e il “regime” di Carlo V, scorgendo nel suo governo un’opportunità per realizzare una pace universale e una riforma spirituale del cristianesimo. La Castiglia si conciliò con il governo di Carlo V per altri motivi: l’imperatore assunse degli spagnoli al proprio diretto servizio sempre in maggior numero e proprio la Castiglia divenne poi il luogo da lui prescelto per trascorrervi i suoi ultimi anni di vita. Il duplice compito che aveva assunto Carlo come imperatore era quello di difendere la cristianità contro i turchi e preservare l’unità cristiana di fronte alla nuova eresia luterana. CAPITOLO QUINTO: Amministrazione ed economia sotto il regno di Carlo V L’impero: principi ideali e funzionamento L’impero di Carlo V resse la Spagna, dal 1517 fino all’abdicazione a favore del figlio Filippo nel 1556; ma in Spagna Carlo fu presente per un periodo inferiore ai sedici anni. Egli morì nel 1558. L’imperatore soleva infatti dare la precedenza a considerazioni del prestigio e dell’autorità imperiali. Il problema immediato fu quello di stabilire a chi dovesse essere affidata la reggenza della Spagna durante le sue frequenti assenze; il suo consigliere principale fu il gran cancelliere imperiale Mercurino Gattinara. Nel 1526 Carlo sposò sua cugina Isabella, figlia del re del Portogallo, per creare una più stretta intesa tra la Castiglia e il Portogallo. L’anno seguente ebbero un figlio e fu proprio Isabella a fungere da reggente in caso di assenza del marito. Tuttavia, il governo effettivo della Spagna lo tenne Francisco de los Cobos. Munito delle raccomandazioni del cardinal Cisneros riuscì a conquistarsi il favore del Chiévres che lo pose accanto a Carlo come suo segretario. Riuscì a imporsi come l’unica persona che avrebbe potuto rivaleggiare con il gran cancelliere Gattinara e si combatté per questo tra i due personaggi una lotta. Il Cobos aveva già vinto quando il Gattinara si ritirò nel 1530 fino alla sua morte nel 1547. La concezione con cui Carlo V considerava i tanti e sparsi suoi possedimenti era quella patrimoniale. Era incline a guardare ad ognuno di quei domini come ad un’entità a sé stante, retta dalle sue leggi tradizionali. I vincoli che tenevano insieme i vari territori imperiali erano analoghi a quelli dei territori della Corona di Aragona, ognuno con le proprie leggi e le proprie libertà. Questo portò a conseguenze importanti: a) gli ordinamenti costituzionali tipici di ognuno dei vari territori o dominii ebbero una sorta di congelamento. b) ne risultò impedita la formazione di più stretti vincoli tra i diversi dominii sia sul piano economico sia sul piano politico. Intanto l’Europa di Carlo V dovette fare i conti con lo stato ottomano che possedeva risorse di denaro e di uomini da consentirgli un’aggressiva politica di tipo imperialistico. La Spagna si trovava in prima linea e fu proprio in funzione anti-turca che il programma imperiale di Carlo V trovò una sua ragion d’essere: all’attacco di un impero doveva rispondere la forza di un altro impero. Egli era in grado di attingere alle risorse finanziarie e militari dei suoi sparsi domini, alla potenza navale dei suoi alleati RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !11 genovesi e a prestiti di banchieri tedeschi per difendere Italia, Sicilia e la stessa Spagna. La Spagna sotto Carlo V e il suo successore potè godere del beneficio inestimabile della pace interna, ma la Castiglia in particolare si trovò di fatto sempre o quasi sul piede di guerra; a Carlo riuscì però persuaderli che la sua crociata contro turchi ed eretici era una causa loro e del paese. L’organizzazione dell’impero I fatti dominanti della storia spagnola sotto Carlo V e Filippo II furono la guerra e la burocratizzazione: era necessario adottare nuove tecniche burocratiche e nuove procedure amministrative. Divenne il governo delle “carte”. Il Gran Cancelliere Mercurino Gattinara tra il 1522 e il 1524 riformò il Consiglio della Castiglia, creò il Consiglio delle Finanze, riorganizzò il governo della Navarra e istituì un Consiglio delle Indie. Nel 1555 venne poi istituito un Consiglio apposito per i dominii italiani. Il sistema di governo poggiava sostanzialmente su una serie di Consigli seguendo il cammino già tenuto da Ferdinando ed Isabella, idoneo ad un impero geograficamente sparso. La corte era spesso itinerante e, almeno fino a Filippo II che scelse Madrid nel 1561, non ci fu capitale fissa, rese arduo il compito dei Consigli. I diversi Consigli possono essere divisi in due grandi categorie: quelli che dovevano consigliare il sovrano su questioni generali e quelli responsabili del governo di singoli territori in essa compresi. Fra i Consigli che avevano il compito di fornire pareri di portata generale il più noto della dinastia asburgica era il Consejo de Estado che doveva consigliare il sovrano su temi di politica generale. Il più attivo dei consigli, collegato al precedente, era il Consiglio di Guerra, responsabile dell’organizzazione militare della monarchia. L’istituzione invece del Consiglio delle Finanze, era dovuta alla ricerca di un rimedio alla povertà dei mezzi di cui disponeva la Corona. Intanto i viceré della monarchia spagnola salirono a nove: Aragona, Catalogna, Valenza, Navarra, sardegna, Sicilia, Napoli e Nuova Spagna e Perù. Tutti i viceré fruivano di poteri enormi e allo stesso tempo si trovarono strettamente vincolati al governo. Ogni viceré doveva operare in sintonia con il Consiglio che si occupava di quel territorio nel quale egli rappresentava il sovrano. Era compito del Consiglio mantenersi vigilante sull’esercizio del potere da parte dei viceré. I risultati delle sue discussioni venivano poi fissati in atti o documenti noti come consultas. Dal tempo del Cobos i segretari reali cominciarono a costituire una sorta di categoria a parte e divenne prassi frequente trasmettere di padre in figlio o di zio in nipote il loro ufficio. L’economia castigliana Il Nuovo Mondo si presentava come una possibile fonte di beni che la Castiglia non possedeva o possedeva in quantità esigua; poteva inoltre diventare un mercato per le merci castigliane. La prima reazione istintiva alle scoperte fu quella di considerare il Nuovo Mondo una riserva esclusivamente castigliana. Nel 1501 si vietò in maniera formale a qualsiasi straniero l’accesso alle cosiddette indie. Nel 1503 poi la Casa de Contrataciòn di Siviglia arrivò ad esercitare un controllo assoluto sui traffici con il Nuovo Mondo, monopolio apertamente contestato. Nel 1524 Carlo V consentì che i mercanti stranieri commercializzassero con le Indie, anche se continuò il divieto ad una loro installazione nel Nuovo Mondo e nel 1526 sudditi provenienti da quasi tutti i dominii dell’imperatore ebbero il permesso di recarsi in America. I mercati spagnoli iniziarono ad inquietarsi per la crescente concorrenza straniera e così nel 1538 si giunse di nuovo a vietare a tutti gli stranieri l’accesso alle americhe, tranne per permessi speciali. Il metallo prezioso che arrivava a Siviglia apparteneva in parte alla Corona e in parte ai privati. Qualsiasi miniera scoperta nelle terre appartenenti al re doveva essere considerata parte del patrimonio della Corona. Tuttavia la Corona dovette rinunciare ai propri diritti e cedere le miniere in RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !12 nuovo re perché decidesse al riguardo un drastico programma di riforma. Gli inquisitori vollero che il luteranesimo non si estendesse anche sulla Spagna e per ciò occorreva una definizione più rigorosa dell’ortodossia e una maggiore vigilanza; si arrivò coì a porre l’attenzione anche sugli alumbrados e nel 1524 si fece arrestare Isabel de la Cruz con l’imputazione di eresia. L’Inquisizione sospettava che tra alubrados e luteranesimo vi fosse una stretta connessione. L’erasmismo divenne diffuso tra gli intellettuali spagnoli; aveva appoggi tra gli uomini di corte e i consiglieri di un imperatore straniero. La forza che aveva sospinto la rivolta dei comuneros era stato l’odio per gli stranieri e anche nelle persecuzioni degli erasmiani si vide una continuazione contro le influenze straniere. Contro questi tradizionalisti si schieravano quanti nelle università, nella Chiesa o nell’amministrazione statale erano stati attirati dall’Europa e dal Rinascimento: Erasmo fu il simbolo della nuova cultura cosmopolita. La lotta era un conflitto tra idee opposte circa il cammino che avrebbe dovuto percorrere in futuro la Spagna: periodicamente tendenza ad una divisione, in particolare quando è in gioco il suo rapporto con altre regioni europee, cosa che avvenne dei decenni centrali del Cinquecento.La lotta terminò con la vittoria dei tradizionalisti. Nel 1570 infatti, la Spagna “aperta” del Rinascimento si era trasformata nella Spagna “chiusa” della Controriforma. L’imposizione dell’ortodossia Nel 1527 l’arcivescovo Manrique convocò a Valladolid un colloquio di teologi che dovevano pronunciarsi sull’ortodossia del maestro olandese Erasmo: parve che la causa erasmiana avesse trionfato, ma con la partenza per l’Italia nel 1529 di Carlo V si iniziarono processi contro gli erasmiani e Juan de Vergara, amico di Erasmo fu costretto ad abiurare. Questo pose termine al movimento erasmiano spagnolo; alcuni abbandonarono la Spagna, altri furono messi a tacere. L’Inquisizione temeva che ogni deviazione aprisse la porta ad eresie più gravi e proprio sulla paura iniziò a fondare la sua crescente influenza; si trasformò infatti in una grande macchina che funzionava a mezzo di delazione e denunce. Era somma cura degli inquisitori pervenire ad un verdetto “giusto” e le condanne a morte erano assai rare. Il tribunale agiva in tempi lunghissimi. C’era poi un marchio indelebile che rimaneva non solo sull’imputato, ma anche sui suoi discendenti. Si creava un clima di sfiducia e generale sospetto attraverso i famuli sparsi su tutto il territorio spagnolo e dall’espediente noto come l’Editto di Fede, in virtù del quale gli inquisitori potevano visitare ad intervalli regolari un distretto e leggere alla popolazione un elenco di pratiche eretiche e pericolose, seguita dall’esortazione a denunciare tali pratiche. E poiché le vittime dell’Inquisizione non sapevano chi fossero i loro accusatori era un’occasione ideale per compiere vendette private. Non è un caso che l’affermazione di un tribunale per l’ortodossia religiosa si accompagnasse allo sviluppo di certe pratiche miranti a garantire la purezza del sangue. Durante il quindicesimo secolo si tentò infatti di escludere da cariche pubbliche i conversos e ai primi del Cinquecento divenne un requisito necessario la dimostrazione di discendere da avi di sangue puro per poter entrare in certi Ordini militari e nei Colegios Mayores. L’imperatore era poi persuaso che i conversos centrassero nella rivolta dei comuneros. Gli Ayala si vantarono poi di avere un albero genealogico completamente puro e cercarono di usarlo come arma contro i loro rivali, dato che i Ribera avevano nelle vene sangue ebraico. Non appena la purezza razziale divenne un requisito necessario per ricoprire una carica nell’apparato dell’Inquisizione, per entrare in un ordine religioso o in una corporazione laica, nessuno poté più sottrarsi alle ricerche che potevano rovinare reputazioni. Si sperava di ingannare il linajudo, esperto che girava il paese raccogliendo testimonianze orali ed esaminando genealogie. La Spagna della Controriforma La persecuzione degli alumbrados e degli erasmiani, unitamente all’accettazione del principio della limpieza, aveva posto la Spagna su una strada chiusa della Controriforma. In questo clima, tra il 1557 RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !15 e il 1558, a Siviglia e a Valladolid si fece la clamorosa scoperta di gruppi “protestanti”: bisognava quindi moltiplicare gli sforzi al fine di proteggere la Spagna da contagio esterno. Emanata un’ordinanza con la quale si vietava l’importazione di libri stranieri e si comandava che tutti i libri stampati in Spagna fossero pubblicati dopo l’approvazione del Consiglio della Castiglia, e si proibiva agli studenti spagnoli di compiere studi all’estero. Nel 1545 l’Inquisizione aveva compilato il primo Indice Ispanico. Le misure adottate inflissero un colpo durissimo nella vita culturale spagnola e finirono per minare la fiducia in sé dei letterati spagnoli. Non ci fu però frattura tra i rapporti culturali che legavano la Spagna e l’Italia: quest’ultima era stata per la Spagna una fonte continua di stimoli intellettuali ed artistici. Durante il regno di Carlo V i rapporti tra i papi e l’imperatore erano tesi; Paolo IV (1555-59) era apertamente antispagnolo. Il conflitto tra Filippo II e la Curia romana contribuì soltanto ad indebolire le forze della Controriforma, anche se né il papa né il re potevano allora addivenire ad una rottura aperta, perché Roma aveva bisogno dell’aiuto militare spagnolo, mentre Filippo aveva bisogno delle entrate ecclesiastiche e del prestigio che solo il papa gli poteva dare. La crisi del secondo Cinquecento La pace di Cateau-Cambrésis firmata l’anno 1559 poneva termine alla guerra tra Francia e Spagna per la bancarotta dell’anno 1557 che aveva reso impossibile il proseguimento della guerra, unita alla diffusione dell’eresia protestante in Francia e la minaccia turca. La diffusione del calvinismo e l’inizio nel 1562 delle guerre di religione in Francia fece diffondere il malcontento nei Paesi Bassi: l’eresia faceva sempre nuove conquiste tra gli abitanti della regione e nel 1566 folle di calvinisti si scatenarono e misero a sacco le chiese; il re si trovò a dover affrontare eresia e rivolta ad un tempo. Il duca d’Alba diede quindi ordine di portarsi nei Paesi Bassi con un esercito per soffocare la rivolta, era una crociata intrapresa da un “esercito cattolico” contro una popolazione “ribelle ed eretica”. Inoltre se l’eresia avesse messo radici si sarebbe potuta spostare in Catalogna, che aveva una robusta tradizione indipendentista e nutriva una forte avversione per la Castiglia. Nel1569 i catalani rifiutarono di pagare la excusado si diede ordine all’Inquisizione e al viceré di passare all’azione, arrestando alcuni nobili e i diputas. D’altra parte la Catalogna non era l’unica regione della Spagna in cui si scorgessero preoccupanti indizi di eresie: una banda di fuorilegge moreschi irruppe nella città di Granada, nella zona della Alpujaras e diede il via allo scoppio della ribellione in tutto il regno di Granada. La seconda ribellione delle Alpujarras (1568-70) La ribellione delle Alpujarras, è causata da risentimenti che i moriscos avevano covato per tanto tempo e dal recente drastico mutamento in peggio delle condizioni in cui erano obbligati a vivere. Pur essendo infatti state emanate ordinanze che vietavano modi di vestire ed usanze esse non furono applicate e così i moriscos poterono preservare intatti i loro legami con il passato islamico. I moriscos si trovavano in difficoltà sempre maggiori sia di natura economica sia di natura religiosa. La loro economia aveva a suo fondamento la lavorazione della seta, duramente colpita in quel decennio. Poi si intensificò l’azione dell’Inquisizione, unita a quella della Chiesa andalusa: si attuò una politica più decisa, includendo un’ordinanza speciale per il mutamento dei costumi dei mori, che fu poi il preludio dell’insurrezione delle Alpujarras. I moriscos inviarono una loro delegazione per ottenere che l’ordinanza venisse sospesa e i tentativi di applicazione forzosa dell’ordinanza furono la causa immediata della rivolta. RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !16 Tre furono i personaggi in primo piano: il cardinale Espinosa, presiedeva il Consiglio della Castiglia, il suo accolito Pedro de Deza e il re in persona. Granada rischiava di diventare un altro fronte nella guerra contro i turchi, ma quando nel 1568 scoppiò la rivolta i turchi non colsero l’occasione e non sfruttarono a proprio vantaggio l’insurrezione di Granada. Solo nell’autunno del 1570 l’insurrezione potè dirsi soffocata, ma il problema che l’aveva provocata rimaneva. Filippo ordinò che i moriscos di Granada fossero dispersi per tutta la Castiglia. La religione militante e la religione trionfante La rivolta di Granada fu soffocata appena in tempo. La flotta turca era tornata infatti nelle acque del Mediterraneo e la situazione parve così minacciosa che Filippo II diede l’ordine di evacuare le Baleari, ordine che non venne eseguito. La flotta della Lega Santa si riunì a Messina nel 1571 e si scontrò a Lepanto con la flotta ottomana che fu sbaragliata, dando vita a quel tema sempiterno di vanto per coloro che avevano partecipato alla battaglia. Si arrivò ad un’intesa tacita; i turchi volsero la loro attenzione contro la Persia e gli spagnoli sul nuovo fronte atlantico. Sembrò che l’Inquisizione parve assumere un atteggiamento più moderato, consentendo anche che si diffondesse la teoria copernicana. Si respirò intorno al 1580 un clima di ritrovata fiducia in Castiglia. L’intensa attività religiosa del secondo Cinquecento e il formarsi di una robusta coscienza sociale alla vita delle sofferenze dei malati e dei poveri furono in parte una risposta al programma che era stato formulato al Concilio di Trento e si sentì ovunque un’urgenza di riforma. Il Concilio di Trento aveva dato una spinta possente alle energie cattoliche. La tolleranza creò le condizioni perché si avesse una fioritura straordinaria di scritti ascetici e mistici. Figura di singolare genialità fu Santa Teresa. L’amalgama degli ideali Rinascimentali e di quelli della Controriforma in campo letterario si concretò nel trapasso dall’idealismo al realismo che guardava ad un mondo corrotto dall’inclinazione al peccato dell’uomo, la cui redenzione poteva essere compiuta solo con la pratica delle opere buone e con l’abbandono assoluto alla grazia salvifica di Dio. Si hanno negli scritti spagnoli non solo una consapevolezza nuova dell’intima malvagità umana ma anche un’attenzione nuova per la psicologia. Gli autori spagnoli compresero con la sensibilità la difficoltà dell’esistenza umana, contemplando la delusione e lo sbalordimento del naufragio di una nazione che parve allora abbandonata da Dio. La Spagna a metà del Cinquecento non solo aveva combattuto i mori e i protestanti, ma aveva tentato di risolvere le tensioni interne create dalla presenza del suo sul ruolo di moriscos e di conversos e aveva dovuto anche affrontare l’enorme compito di stabilire i propri rapporti con un’Europa da cui si sentiva parimenti attratta e respinta. CAPITOLO SETTIMO: “Un solo re, un solo impero, una sola spada” Il re e la corte È il poeta Hernando de Acuña che canta “un solo re, un solo impero, una sola spada”, con un sovrano che scorgeva nell’unità sotto la sua guida personale l’unica speranza di salvezza in un mondo sconvolto dalle guerre e agitato dall’eresia. Egli doveva attuare il duplice compito, agendo per la gloria di Dio e, in virtù della disegnazione divina, per il bene dei suoi sudditi, dovendo “trabajar para el pueblo”. Filippo cercò sempre di corrispondere all’ideale paterno e il sentimento di non essere adeguato al proprio ufficio non fece che aumentare quell’indecisione che sembra essere caratteristica ereditaria degli Asburgo e finì, quando doveva prendere una decisione, per rimandarla all’infinito, dando la sensazione di essere debole. Tuttavia, accanto alle esitazioni e al comportamento incerto, bisogna porre il ferreo senso del dovere che Filippo sentì verso Dio e verso i suoi sudditi e anche l’espirazione RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !17 dell’Eboli nel 1573, succedette Antonio Pérez, aiutato dal vescovo Quiroga, capo dell’inquisizione generale. Nel 1575 si finì per adottare la politica elaborata da Furiò Ceriol e appoggiata dal marchese di los Vélez. I “rimedi” per sedare la ribellione nei Paesi Bassi consistevano in una serie di misure finalizzate alla pacificazione e alla riconciliazione, tra queste lo scioglimento del Consiglio dei Torbidi e l’abbandono della tassa del 10 per cento sulle vendite. L’uomo per attuare questa nuova politica si dimostrò essere Luis de Requesens, accompagnato nel 1573 dallo stesso Furiò Ceriol; la soluzione aragonese della questione si dimostrò in realtà inattuabile e per questi si arrivò all’amnistia generale del 1574. Si arrivò alla seconda bancarotta del 1575; il re sospese i pagamenti ai banchieri. L’esercito spagnolo operante nei Paesi Bassi divenne sempre più inquieto e nel 1576 si diede a saccheggiare Anversa. Un nuovo pacificatore si trovò in don Giovanni d’Austria, sostenitore della politica della fazione di Eboli. Egli voleva però anche invadere l’Inghilterra. Don Giovanni arrivò a convincersi che una politica di conciliazione non aveva prospettiva di riuscita e che il re doveva quindi essere persuaso a far riprendere in pieno le ostilità contro i ribelli. Intanto aveva inviato a Madrid il suo segretario Escobedo per ottenere denaro dal re. Sembrerebbe che Escobedo fosse riuscito a trovare prove che la principessa vedova d’Eboli e il Pérez avessero intavolato trattative segrete con i ribelli olandesi, facendo così leva sui timori del re. L’Escobedo fu per questo trucidato da sicari di Antonio Pérez nel 1578. Questo assassinio fu l’inizio delle disgrazie del Pérez: gli amici di Escobedo trovarono un alleato in Mateo Vàzquez, segretario del cardinale Espinosa e dal 1573 segretario del re, facendo pressione sullo stesso affinché si facesse qualcosa. Nel 1578 si ritirò il favore all’alleato aristocratico del Pérez, cioè a di los Vélez e si cercarono per il re nuovi consiglieri, trovandolo nel cardinale Granvelle. Nel 1579 il pérez e la principessa d’Eboli furono posti agli arresti e questi pose termine alla fazione eboliana. Ma se le due fazioni scomparvero di scena, le idee di cui si erano fatte paladine non socmparvero affatto. L’annessione del Portogallo Negli anni 1579 e 1580 a corte chi aveva in mano le leve del governo era il cardinal Granvelle, antico consigliere di Carlo V. Nei Paesi Bassi don Giovanni d’Austria era morto e nel 1578 a capo dell’amministrazione civile dei Paesi Bassi fu posta la figlia illegittima dell’imperatore, Margherita di Parma. Si passò ad una politica di imperialismo attivo, che faceva ricordare per la vastità dei suoi obbiettivi quello di Carlo V. Negli anni sessanta il re era rimasto costantemente sulla difensiva e anche il decennio successivo era stato un periodo tormentoso per l’insuccesso sui ribelli dei Paesi Bassi e della bancarotta che portò ad un aumento delle imposte. Fu proprio allora che le Indie vennero in suo soccorso: la tecnica che prevedeva l’uso di un amalgama di mercurio nella raffinazione dell’argento peruviano cominciò a dare risultati proficui e dal 1575 si iniziò ad avere un incremento nella disponibilità di argento che il re otteneva dal Nuovo Mondo. I traffici tra Siviglia e il Nuovo Mondo raggiunsero allora la massima dilatazione e i banchieri cominciarono a riprendere fiducia. La Castiglia conobbe un periodo di grande splendore. La nuova largueza (abbondanza), diede a Filippo una concreta libertà di manovra: poté lanciarsi in progetti arditi e in imprese imperiali, dedicando le sue energie al recupero delle provincie settentrionali dei Paesi Bassi, grazie al generale Alessandro farnese; si allestì l’Armada per mettere piede in Inghilterra e ci si intromise nelle guerre civili della Francia. RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !20 Nel 1580 si portò a buon fine l’annessione del Portogallo, dando a Filippo una nuova costa affacciata sull’Atlantico, una flotta per proteggerla e un altro impero che si estendeva dall’Africa al Brasile. L’acquisto di tali possedimenti coloniali rese possibile quella politica imperialistica che Filippo cercò di attuare nella seconda metà del suo lungo periodo di regno. Il Portogallo fu sempre più costretto a rivolgersi alla Spagna per avere quell’argento che solo l’impero coloniale spagnolo era in grado di fornire, e già prima del 1580 la prosperità di Lisbona era dipendente a quella di Siviglia. Il re era morto e la dinastia si vide in pericolo di estinzione imminente, in più l’annientamento dell’esercito aveva lasciato il Portogallo senza difese. Fu quello il momento che Filippo II aveva atteso per impossessarsi del territorio. Conquistò le simpatie del cardinale Enrico e della classe dirigente portoghese, cosicché il cardinale, pochi mesi prima di morire, si decise a dichiararsi favorevole alla successione di Filippo e si raggiunse allora un accordo tra lui e il de Moura sui termini a cui Filippo doveva sottostare per ricevere la corona portoghese. Ma i rappresentanti delle città si dichiararono favorevoli alla candidatura del priore di Crato, per tradizione fieramente anti-castigliano. Con la morte del cardinale Enrico, si mise a capo di un esercito per invadere il Portogallo il duca d’Alba che ebbe l’ordine di concentrarsi sulla frontiera nei pressi di Badajoz. L’unione con la Castiglia fu accolta molto male dal popolino portoghese, mentre l’alta nobiltà e l’alto clero si schierarono a favore di Filippo II, e altrettanto fecero i gesuiti portoghesi e i ceti mercantili e finanziari per ragioni economiche. Si rispettarono le leggi tradizionali del Portogallo ed il suo sistema di governo, giurando formalmente nel 1581 di farlo rimanere uno Stato autonomo. Al re si chiedeva di trascorrere il maggior tempo possibile in Portogallo e di affidare in caso di lontananza l’ufficio di viceré ad un membro della famiglia reale o ad un portoghese; inoltre si istituì un Consiglio del Portogallo, svolgendo la sua attività in lingua portoghese, avendo addetti solo portoghesi e conservando la moneta. Il Portogallo fu unito nel 1580 alla Castiglia esattamente come la Corona di Aragona era stata congiunta un secolo prima, conservando leggi, istituzioni e moneta, sotto però lo sesso sovrano. Per un certo tempo parve che ai portoghesi sarebbe stato risparmiato il malessere derivato dall’assenza del sovrano, dato che nel 1581 e 1582 Filippo rimase a Lisbona, volendo consolidare la sua posizione mentre Granvelle sollecitava misure per giungere alla sottomissione e al recupero dei Paesi Bassi. Ritornò quindi a Madrid, lasciando la reggenza all’arciduca Alberto, suo nipote. Nel 1583 si istituì una nuova Junta speciale che doveva assisterlo nelle cure del governo, la Junta de Noche ed il nome del Granvelle brillò per la sua assenza. Nel 1585 lo stesso insistette perché Filippo II trasferisse la sede del governo a Lisbona, perfetto luogo di osservazione da cui vigilare quel nuovo settore di scontro che erano le acque dell’Atlantico. Invece il re decise di stare nel cuore della Castiglia, lontanissimo dalla zona del conflitto. La rivolta aragonese (1591-92) Le esperienze fatte a Madrid non avevano fatto che confermare in Granvelle la convinzione che il ruolo assunto dai castigliani nel funzionamento della monarchia era eccessivo ed era causa di inquietudini e questa sfiducia era condivisa dai restanti dominii della monarchia. Verso il 1580 il regno di Aragona era diventato uno dei dominii più ingovernabili: la classe di governo era barricata dietro ai fueros del regno, perché scorgeva in essi la miglior garanzia per restare immune da ogni interferenza regia e castigliana; la situazione esigeva l’intervento del sovrano per evitare una rivolta generale. RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !21 Nel corso del Cinquecento i rapporti tra signori e contadini conobbero un deterioramento e in parte gli attriti furono causati dalla presenza di una popolazione di moriscos che lavoravano le terre di laici ed ecclesiastici. La popolazione di antico ceppo cristiano si risentì del fatto che loro fossero favoriti sia sul mercato del lavoro che per la coltivazione di terreni più fertili, dando così vita ad un conflitto. A questo si aggiungevano liti tra famiglie: nel 1571 il conte di Ribagorza aveva condannato a morte la moglie dietro accusa di adulterio. La vittima era nipote del Chinchòn e il conte, sebbene fuggito in Italia, venne catturato e messo a morte per ordine del re nella pubblica piazza di Torrejòn de Velasco nel 1573. Da quel momento il Chinchòn era diventato nemico implacabile della famiglia dei Villahermosa. Quando finalmente il re decise di intervenire per rimettere le cose a posto, non fece altro che precipitare la catastrofe che aveva sperato di evitare. Nominò un viceré imparziale, che non fosse aragonese, il marchese di Almenara (in realtà cugino di Chinchòn) e sembrò questo l’ennesimo tenativo castigliano per svuotare di efficacia i fueros aragonesi. Nel frattempo il Pérez riuscì a fuggire di prigione nel 1590 e si avvalse del privilegio aragonese della manifestaciòn, in forza della quale chiunque minacciato di cattura da parte di ufficiali regi aveva diritto di essere protetto dalla Justicia di Aragona e custodirlo nelle proprie prigioni fino a che non fosse stata emessa la sentenza sul caso. Filippo avanzò denuncia contro il suo ex-segretario, ma lo stesso re fu denunciato da Pérez dell’assassinio di Escobedo. Il re si rivolse quindi all’Inquisizione, l’unico tribunale dell’Aragona su cui i fueros non avevano controllo. La folla manifestò per le strade e sottrasse il Pérez ai suoi carcerier, andando all’assalto del palazzo del marchese di Almenara. Pur avendo dato istruzioni affinché fossero concentrati corpi armati nei pressi della frontiera aragonese, sperò che non giungesse mai il momento in cui si rivelassero necessari ma dopo che, ordinato che il Pérez fosse messo in carcere dall’Inquisizione, la folla corse in suo soccorso, si convinse essere necessario l’uso della forza. La maggioranza degli aragonesi non oppose resistenza all’esercito regio, in particolari i contadini che ritenevano potesse liberarli dall’oppressione dei signori. Pérez fuggì in Francia e il re emanò un’amnistia generale. La rivolta aveva mostrato ad un tempo la debolezza e la forza del re di Spagna. La sua debolezza si vide nell’assenza di ogni effettivo controllo del sovrano su un regno munito di tanti privilegi come era l’Aragona; la sua forza risultò dalle divisioni sociali esistenti nel paese, le quali fecero sì che la rivolta fosse poco più che un movimento iniziato dalla città di Saragozza. Le Cortes del 1592 alterarono le modalità dei fueros: l’unanimità fu sostituita dalla maggioranza, fu riconosicuto il diritto al re di nominare viceré persone non dell’Aragona e la carica di Justicia non fu più irremovibile, ma poteva essere rimosso dal sovrano. Gli aragonesi, sotto il governo di Casa d’Austria non si ribellarono più; continuarono però a dolersi con i portoghesi perché trascurati da un sovrano che di rado veniva a visitarli o che non concedeva uffici e mercedes ai loro nobili, ma che era sempre attorniato da castigliani. CAPITOLO OTTAVO: Splendori e miserie La crisi di fine secolo Nell’ultimo decennio del Cinquecento l’economia castigliana aveva scricchiolato sotto la tensione continua a cui l’avevano sottoposta le iniziative imperialistiche di Filippo II: i suoi grandi progetti RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !22 esempio, in una Junta per la costruzione di nuove vie di comunicazione navigabili si rispose che se Dio avesse voluto che i fiumi fossero navigabili, li avrebbe fatti tali. I grandi proprietari terrieri non mostravano interesse per opere di irrigazione o ai metodi da applicare per uno sfruttamento migliore del suolo. L’economia entrò quindi in una fase di stagnazione. Sulle orme della carestia giunse la peste, comparsa per la prima volta nel Nord della Spagna nel 1596 e sviluppatasi poi tra 1599 e 1600, proprio dopo gli insuccessi in Francia, nei Paesi Bassi, dopo il sacco di Cadice, la bancarotta e la disfatta dell’Armada. Quanto avvenne non poté che accrescere quel senso di insicurezza e rafforzare un fatalismo già largamente diffuso, che caratterizzava il modo di vedere il mondo proprio del pìcaro. Fu in questo clima di desengaño che Cervantes scrisse il suo Don Chisciotte; oltre tante altre parabole c’era quella di un paese che si era lanciato alla fiera battaglia solo per accorgersi poi di essere andato a sbattere la testa contro die mulini a vento. Parecchi personaggi solleciti della cosa pubblica iniziarono ad analizzare i mali di una società inferma, i cosiddetti arbitristas (suggeritori di proposte), dimostrando la coscienza che si aveva della crisi. Questi tuttavia non si preoccuparono soltanto dell’analisi, ma anche di trovare risposte adeguate, mirando alla ripresa della Castiglia dalla depressione. La carenza di una guida Gli arbitristas proposero che le spese del governo fossero enregicamente tagliate, che il sistema fiscale esistente nella Castiglia fosse emendato da capo a fondo e che gli altri regni della monarchia fossero chiamati a dare contributi maggiori al tesoro della Corona, che fossero incoraggiate le immigrazioni, che le campagne fossero irrigate, i fiumi resi navigabili e fosse data protezione ad agricoltura e all’attività manifatturiera. Quello che occorreva era solo la volontà. Ancor prima della morte del padre, il futuro Filippo III era caduto sotto l’influenza di un aristocratico di Valenza, don Francisco de Sandoval y Rojas, che distribuì amici e parenti nelle più alte cariche dello Stato. Il governo da lui ispirato non era certo quello che poteva portare alle riforme di cui si aveva bisogno, riuscendo ad acquistare una posizione di cui non si era vista l’eguale al tempo del favorito di Giovanni II. Egli fu ufficialmente il privado o il valido, ossia il favorito del re e primo di tutta una serie di favoriti che avrebbero poi avuto in mano per tutto il Seicento le redini della Spagna. L’affermazione dei favoriti deve essere messa in relazione con la crescente complessità del governo, che rese sempre più necessaria la presenza di un ministro con competenza su tutto. Già negli ultimi anni di Filippo II erano stati compiuti tentativi per dare al re infermo un’assisenta nel disbrigo dei suoi doveri amministrativi e per questo nacque la Junta de Noche; la Corona richiedeva però degli esperti e si giunse così ad istituire tante Juntas speciali, con pochi membri, spesso infimi. La ridistribuzione degli oneri fiscali all’interno della penisola e della monarchia andò a vuoto proprio nel momento in cui la migliorata situazione internazionale avrebbe consentito ad un governo più deciso di procedere ad una tassazione più efficiente e più equa della ricchezza degli spagnoli. L’unica azione positiva fu la firma della Tregua di Dodici Anni con gli olandesi, lo stesso giorno in cui si firmò anche il decreto di espulsione dei moriscos (9 aprile 1609). Il problema dei moriscos era il problema di una minoranza razziale non assimilata che aveva dato inquietudini all’infinito fin dalla conquista di Granada. La loro dispersione dopo la rivolta delle Alpujarras aveva solo complicato il problema, dato che si era estesa. A Valencia, in particolare, i moriscos formavano una comunità quanto mai compatta, nota come “la naciòn de los cristianos nuevos de moros del reino de Valencia”; una congiura in cui entrassero turchi, francesi e moriscos parve abbastanza credibile ad un uomo come il Ribera, arcivescovo di Valencia. Inoltre i nobili valenzani provavano invidia per quei nobili che, RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !25 fruendo di dipendenti moriscos, godevano di maggiore prosperità economica + la popolazione di antico ceppo cristiano bramava le terre su cui vedevano invece insediati i moriscos, che avevano tuttavia protettori potenti che dipendevano da loro per il reddito delle loro prestazioni. I moriscos castigliani erano invece sradicati, senza organizzazione e viveano dispersi e, a differenza di quelli di Valenza, abitavano nelle città. I mori furono radunati e avviati in massa alle frontiere e ai porti, trovando in maggioranza rifugio nell’Africa settentrionale. L’importanza sul piano economico dei moriscos variava da una zona all’altra; non rappresentavano un ceto ricco e non avevano posizioni dii primo piano nella direzione della vita economica; è assurdo pensare di equiparare la loro espulsione con quella degli ebrei del 1492. Fu però per il regno di Valenza un disastro, in particolar modo per i nobili che li utilizzavano come forza-lavoro. Si può considerare la loro espulsione come simbolo di un governo propenso a scegliere la soluzione più facile e sempre pronto a cedere sotto pressioni o popolari o di gruppi di interesse. Tipologia di una società Fu infinitamente più arduo cancellare dalla penisola le tracce della cività moresca, poiché le usanze avevano influito in profondità nella vita della società spagnola: le case con la facciata lungo la strada invece che rivolta verso l’interno, le donne segregate che sedevano su cuscini ed erano sempre semi- velate…. Sotto l’influsso europeo e americano le usanze cominciarono a mutare, ma la donna rimase la custode degli ideali e dei costumi tradizionali, molti dei quali derivavano dai mori. La società castigliana era una società fondata sul paradosso e sul contrasto: non esisteva via di mezzo e tutto era eccessivo. La singolarità della Spagna è data dall’assenza di uno strato sociale intermedio formato da borghesi solidi, rispettabili ed operosi, come ponte tra i due estremi. Il disprezzo per il commercio e per i mestieri manuali, il miraggio di facili guadagni ottenibili con l’investimento di capitali, la generale brama di titoli nobiliari e di prestigio sociale, furono i fattori che si opposero alla realizzazione di iniziative economiche proficue. La proliferazione di nuovi Ordini Religiosi aveva aperto la possibilità di condurre vita religiosa ad un gran numero di uomini e donne, nei quali la preoccupazione del cibo e del ricovero soverchiava lo spirito di vocazione religiosa. Accanto alla Chiesa stava poi la corte. La Casa d’Austria aveva osservato la pratica tradizionale di tenere lontana dalla corte l’alta aristocrazia nobiliare, ma Filippo III voltò le spalle a questa tradizione. La vita di corte era dispendiosa e portò forti indebitamenti. La Spagna di Filippo III assistette ad una vera e propria inflazione di titoli nobiliari che ebbe la sua parte nel conservare in mano dell’aristocrazia una larga porzione di ricchezza del paese, nonostante vedessero una diminuzione nella loro ricchezza patrimoniale. La corte funzionò come una grande calamita, attirando da tutto il paese disonesti ed ambiziosi. Nel 1611 il governo ordinò che i grandi nobili facessero ritorno nei loro possessi, sperando di ripulire la capitale dalla popolazione parassita; questo fu però disatteso. Di fatto la corte poteva anche aprire la strada ad una proficua carriera nell’apparato burocratico della monarchia spagnola, solo possedendo un po’ di istruzione. I Collegi che si trovarono nella posizione migliore per elevarsi nella considerazione generale furono i famosi Colegios Mayores, istituti elitari che avevano praticamente acquisito la condizioni di entità indipendenti nell’ambito delle università, anche se originariamente dovevano fornire un luogo di formazione agli aristocratici di talento. Era loro costume mandare a corte ex-alunni noti col nome di hacedores, uomini di rango e dotati di influenza. RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !26 L’influenza, il favoritismo, la raccomandazione, costituivano gli strumenti essenziali per una qualsiasi carriera. Chiesa, corte e burocrazia offrivano quasi in assoluto le prospettive di impiego remunerativo che si aprissero in un’economia sottosviluppata. Il problema della corte stava nel divario enorme che correva tra spesa ed investimenti: bisognava aumentare la ricchezza del paese potenziandone le virtualità produttive e non le sue riserve di metallo prezioso, possibile investendo maggiori capitali nell’agricoltura e nelle attività manifatturiere. L’organizzazione sociale ed economica del paese non era certo sfavorevole agli artisti e agli scrittori, correndo tra gli alti ranghi il denaro da usare per sovvenirli. La ricchezza dell’aristocrazia andava al mecenatismo per letterati e pittori più che per spese in opere architettoniche e fu la Chiesa nel 600 a finanziare più che altro la costruzione degli edifici più grandiosi: innumerevoli conventi e chiese. Don Fernando Afàn de Ribera, duca di Alcalà, allorchè divenne favorito di Filippo IV fece della corte un brillante centro letterario e artistico, famoso per le rappresentazioni teatrali e le fiestas letterarie, nelle quali figurano come partecipanti Lope de Vega e Calderòn de La Barca. Cervantes tra tutti coprì il periodo dall’età del trionfo imperiale e quello dell’abbandono di quegli stessi sogni (1547-1616), la linea che separa i giorni eroici da quelli del desegnaño. E’ lui l’artista che ci fa capire la caratteristica più in vista del periodo, il profondo divario tra mondo dello spirito e mondo della carne, che, pur coesistendo, risultarono per sempre distinti e separati. CAPITOLO NONO: La ripresa e la catastrofe Il programma di riforme Nel secondo decennio del Seicento divenne sempre più evidente che il governo del duca di Lerma non aveva avvenire. L’assassinio di Enrico IV nel 1610 era venuto opportunamente a rimuovere ogni pericolo immediato di guerra con la Francia e il duplice trattato matrimoniale del 1612 tra Luigi XIII e l’Infanta Anna da una parte e tra il principe Filippo ed Elisabetta di Borbone dall’altra suscitò speranze di un capitolo nuovo e più lieto nei rapporti franco-spagnoli; tuttavia la pax hispanica non giunse ad affermarsi anche nei possedimenti d’oltreoceano. Gli olandesi avevano consolidato ed ampliato le loro conquiste nell’Estremo Oriente e sembrava che fosse confermato che la monarchia spagnola non si sarebbe mai liberata della damnosa hereditas dei Paesi Bassi. Nonostante la pace, la Corona continuava ad avere spese e inoltre durante gli ultimi anni di Filippo II l’apporto di argento americano scese notevolmente e si rese sempre più urgente l’affrontare il problema di una riforma finanziaria ed economica. Nel 1618 fu istituita una Junta speciale, denominata Junte de Reformaciòn. Intanto il Consiglio decretò che la miseria e lo spopolamento della Castiglia erano da attribuirsi alle imposte e ai tributi eccessivi e si consigliava quindi una riduzione del carico fiscale e una riforma del sistema impositivo; si dovevano invitare gli altri dominii della monarchia a concorrere, assumendosi parte degli oneri. Il ripopolamento invece doveva essere incoraggiato da privilegi ai contadini e non sarebbero più dovute esser concesse licenze per la fondazione di nuove istituzioni religiose. Queste proposte rimasero ignorate. Nel 1619 Filippo III si recò in visita in Portogallo, dove furono riunite le Cortes per prestare giuramento di fedeltà a sua figlio. Durante il viaggio di ritorno si ammalò e poi morì nel 1621, quando gli successe il figlio diciottenne, Filippo IV. Il suo primo favorito era Gaspar de Guzmàn, conte di Olivares, che si era schierato dalla parte del dica di Uceda nella contesa con il padre. RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !27 subire parecchi rovesci. A coronare la triste serie venne l’insuccesso dell’Armada che aveva tentato la conquista del Brasile, a favore invece delle forze olandesi. La carenza di capi prestigiosi fu una delle ragioni principali che spinsero l’Olivares a cercare il più presto possibile la conclusione della pace, che non era cosa facile da ottenere. Nel 1629 aveva fatto passi per concludere una tregua con gli olandesi, ma essi non vollero saperne. Intanto si erano intavolate anche trattative segrete con la Francia, ma il Richelieu aveva perso ogni interesse ad una conclusione immediata in vista di una sistemazione generale del contenzioso esistente tra Francia e Spagna. Ci voleva una pressione ininterrotta sui francesi per arrivare all’esaurimento e scendere così a patti che sarebbe stato possibile con lo sforzo congiunto di ogni parte della monarchia. In Catalogna esistevano molte tensione, soldati e popolazione civile ebbero scontri in parecchie località del principato. Scoppiò una rivolta molto violenta e solo allora il conte duca si rese conto che la sua politica dura stava sfociando nella catastrofe. Diede quindi istruzioni perché fossero subito fatti i primi passi per conciliare e calmare i catalani, ma le bande dei rivoltosi passavano di città in città e al loro passaggio chiamavano a sollevarsi anche i contadini. La rivolta dei catalani ebbe ripercussioni anche sul Portogallo, dove si stava rafforzando la volontà di tagliare ogni legame con la Castiglia. L’Olivares diede ordine che la nobiltà portoghese si unisse all’esercito destinato a marciare in Catalogna, ma non esistendo qui soldati castigliani, non esisteva alcun mezzo per impedire ai ribelli di prendersi il paese. Era necessario arrivare ad una pace con gli olandesi ed una con i catalani, che, da parte loro, non volevano saperne di giungere ad una resa. Nel 1641 la Catalogna era diventata una repubblica indipendente sotto la protezione della Francia. Nel 1640 si era prodotta la dissoluzione del sistema politico ed economico su cui si era retta per tanto tempo la monarchia con la frantumazione dell’organizzazione politica della penisola iberica, crisi dell’economia atlantica con la tendenza del Nuovo Mondo a chiudersi in se stesso, e la crisi dell’economia castigliana, logorata da oneri fiscali e guerra. L’Olivares aveva sottoposto ad una tensione eccessiva la fragile struttura costituzionale della monarchia spagnola facendo così precipitare quella catastrofe. Il 17 gennaio dell 1643 il re prese la sua decisione: l’Olivares venne licenziato dal governo e obbligato a ritirarsi nella sue proprietà. Morì nel 1645, dopo aver pubblicato il Nicandro, eloquente resoconto della sua politica. La sconfitta e la sopravvivenza Quando l’Olivares perdette il potere, parve che la monarchia spagnola non avesse più alcun avvenire. La morte di Richelieu due mesi prima della caduta dell’Olivares, era stata seguita da quella di Luigi XIII, facendo sperare che la situazione internazionale avrebbe conosciuto giorni migliori. In seguito al 1643 furono abolite le Juntas, i Consigli recuperarono i perduti poteri e il collaboratore dell’Olivares, Jerònimo de Villanueva, venne arrestato; Filippo IV annunciò che da quel momento in poi intendeva governare senza l’assistenza di un privado. Ma gradualmente il suo potere scivolò nelle mani di don Luis de Haro, nipote dell’Olivares, esercitando di fatto proprio le funzioni di un privado. Non ebbe difficoltà a conservare il potere fino alla morte, nel 1661. La monarchia aveva il compito di tornare in pace: si riuscì a convincere il cardinale Mazzarino a restituire alla Spagna la Catalogna in cambio delle Fiandre, si firmò con gli olandesi nel 1648 il Trattato di Munster con il quale la Spagna si adattava a riconoscere l’indipendenza e la sovranità delle Provincie Unite e si riuscì ad evitare la frantumazione totale. RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !30 Il pericolo venne ora dall’Italia, in particolare dalla Sicilia e da Napoli, che si ribellarono al governo del viceré a causa degli oneri fiscali. Le insurrezioni furono soffocate ma fu scoperto un complotto il cui compito sarebbe stato quello di proclamare il duca Hìjar sovrano di un’Aragona indipendente, con l’aiuto di Mazzarino: nessuno riuscì a tenere a freno gli elementi anarchici della società catalana e sotto un governo di francesi il principato si spaccò, diviso tra le bellicose fazioni che si erano formate in base ad antagonismi sociali e rivalità tra famiglie. Già dal 1651 però le forze francesi perdevano terreno e prestigio. Il 13 ottobre 1652 anche Barcellona si arrese. Filippo IV concesse un’amnistia generale e promise di rispettare tutte le leggi e le liberà catalane. Una dopo l’altra le provincie ribelli tornarono ad una mansueta sottomissione alla Corona spagnola e l’unica eccezione fu quella del Portogallo. Questo era rimasto unito alla Castiglia per sessant’anni, periodo troppo breve per adattarsi ad un’unione stabile; ma ora aveva nel duca di Braganza un sovrano già pronto a salire il trono e aveva vantaggi geografici ed economici di cui la Catalogna era priva: era abbastanza vicino al confine francese, ma allo stesso tempo abbastanza lontano da non dover temere il controllo di Parigi e possedeva inoltre una robusta comunità mercantile con forti legami commerciali e finanziari. Nel Brasile poi possedeva il resto di un impero che poteva essere una solida base per un nuovo benessere, tornato nelle sue mani nel 1654 a discapito di olandesi. A metà degli anni cinquanta la guerra franco-spagnola era prossima a finire poiché rivolte e disordini in Francia avevano indebolito il suo esercito. Solo nel 1659 si arrivò però ad un accordo di pace e si firmò un accordo per il matrimonio tra la figlia di Filippo IV, Maria Teresa, e il re di Francia Luigi XIV previa rinuncia degli eredi al trono spagnolo. La Spagna rinunciò da parte sua alle secolari pretese di potenza egemone in Europa. Conclusa la guerra con la Francia si poté sperare di ridurre di nuovo il Portogallo sotto la Corona spagnola. I soldati però erano male equipaggiati e mal guidati, mentre i portoghesi poterono affidarsi agli aiuti dell’Inghilterra e della Francia, così nel 1665 la Spagna perdette l’ultima possibilità di recuperare il Portogallo e riconobbe finalmente l’indipendenza portoghese. Filippo IV morì prima di tale umiliazione finale. Dal suo secondo matrimonio con Marianna d’Austria, sua nipote, nacquero due figli, il secondo dei quali, Carlo, sopravvisse sì da succedere al padre. CAPITOLO DECIMO: Epitaffio su un impero Il centro e la periferia La Castiglia lasciata da Filippo IV al figlio era un paese che aveva patito la disfatta e l’umiliazione dai francesi e vedeva il sistema monetario nel caos e le attività manifatturiere rovinate. L’attività commerciale era inoltre controllata largamente da mercanti stranieri. Il nuovo re non si dimostrò essere il personaggio forte che si sperava e per questo motivo il suo fratellastro, don Juan Josè d’Austria, figlio illegittimo, si convinse e convinse anche altri di essere il destinato a salvare la Spagna. Il governo era ora formato da un gruppo scelto di cinque ministri che dovevano agire collettivamente nella cosiddetta Junta de Gobierno, con il compito di consigliare il reggente finché Carlo non avesse raggiunto la maggiore età. Questa si dimostrò in realtà un’istituzione effimera. In Spagna e in Italia le libertà locali ebbero un nuovo soffio di vita, in America l’aristocrazia coloniale colse il destro per costruirsi immense proprietà senza interferenze dal governo; fu questo un periodo di decentramento in cui il sistema federale riuscì più cordialmente accetto che in qualsiasi altro momento della storia che la Spagna conobbe sotto la dinastia degli Asburgo. RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !31 La regina e il padre Nithard che avevano ridotto la Junta all’impotenza non avevano idea alcuna su come attuare la rinascita di una paese che non era, per nascita, il loro. Mentre i vari Consigli, senza una guida, litigavano tra di loro, avventurieri politici intrigavano per ottenere il favore a corte. Don Juan Josè d’Austria, tra questi, marciò alla volta di Madrid nel 1669, con l’intenzione di giungere ad un accomodamento con la regina. Per la prima volta nella storia moderna della Spagna veniva compiuto un tentativo dalla periferia della monarchia di porre sotto controllo il governo di Madrid: fino al 1640 era sempre stata la Castiglia ad intervenire nella vita della provincie periferiche, ora invece le provincie periferiche si erano determinate per dire la loro sugli affari di Castigliani. Don Juan Josè ebbe in realtà esitazioni ad assumere il potere supremo, così la regina consolidò il suo istituendo una guardia regia, nota come Guardia Chamberga, che pose agli ordini del marchese Aytona. Don Juan accettò invece la carica di viceré dell’Aragona. A Madrid il potere finì invece nelle mani di un avventuriero, Fernando de Valenzuela, figlio di un capitano dell’esercito. Nel 1675 Carlo II venne ufficialmente dichiarato re. Con il pronunciamiento del 1676 i grandi fecero comunella per esigere il richiamo di don Juan e questi cominciò a marciare su Madrid alla testa dell’esercito; la regina gli offrì allora il governo. Questo, proseguito fino al 1679, fu contrassegnato da delusione all’interno ed umiliazione sulla scena internazionale: Francia e Spagna erano tornate a farsi guerra a partire dal 1673 e il principale terreno di scontro era la Catalogna. Con la pace di Nimega nel 1678 si registrò un ulteriore scadimento della posizione internazionale della Spagna. Negli anni intorno al 1680, tra la morte di don Juan Josè e la caduta del suo successore, il duca Medinaceli, che le fortune della Castiglia toccarono il punto più basso, conoscendo il collasso totale di amministrazione ed economia. Non aveva infatti merci da esportare e i due terzi dell’argento che veniva dall’America andavano poi a finire direttamente nelle tasche di stranieri. La paralisi economica si accompagnò ad una paralisi culturale e intellettuale. Gli ultimi luminari della generazione di letterati e di artisti che avevano illustrato l’età aurea della Spagna (Graciàn, Velasquez, Zurbaràn, Calderòn de la Barca) si spensero e non ebbero mai degni successori. C’erano ancora gruppi isolati di studiosi seri, ma i livelli generali della cultura si erano abbassati. È noto che nel 1674 trentadue rappresentanti aragonesi si incontrarono sotto la presidenza di don Juan Josè per studiare i mezzi con cui risollevare l’economia del regno e liberarlo dal controllo straniero. La lenta ripresa della Catalogna, costituì il preludio alla più vistosa trasformazione economica che mai si avesse nella Spagna moderna. L’egemonia economica si andò spostando nella penisola dal centro alla periferia, dove l’onere fiscale era minore e dove la prostrazione economica era stata meno completa e deleteria. Nel tardo 400 e nel 500 la Castiglia aveva fatto la Spagna; ora, nel tardo 600, per la prima volta nella storia, era la Spagna a dover rimettere in sesto la Castiglia. I primi segnali di rinascita culturale arrivarono dall’Andalucia, che aveva mantenuto da sempre rapporti con l’estero. A Siviglia, sebbene l’università locale agonizzasse, furono soprattutto gruppi di medici quelli che cominciarono a farsi promotori di una nuova vita culturale. Nel 1697 venne istituita una società che aveva come fine quello di promuovere la filosofia sperimentale mediante l’acquisto di opere straniere. Il mutamento di dinastia Nel 1691 il conte di Oropesa, ministro dal 1685-91, perdette il potere e la sua caduta lasciò la Spagna senza un governo efficiente. Seguì uno strano esperimento amministrativo: la penisola venne divisa in tre grandi unità regionali, ognuna con un suo governo, basandosi sulla tripartizione medievale. Con l’ultimo decennio del Seicento il problema della successione spagnola si era fatto acuto. Carlo II non aveva avuto figli dal suo primo matrimonio e nemmeno dalla seconda moglie; le potenze europee RELAZIONE GEOLOGIA DI BASE !32
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