Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

La Spagna Imperiale. 1469-1716, Sintesi del corso di Storia Moderna

Riassunto del libro di John H. Elliot sul periodo imperiale dell'isola iberica.

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017

In vendita dal 30/01/2017

peRFect93
peRFect93 🇮🇹

4.3

(55)

46 documenti

1 / 26

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica La Spagna Imperiale. 1469-1716 e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! L'unione delle due corone La mattina del 19 ottobre del 1469 Ferdinando, re di Sicilia ed erede al trono di Aragona, sposò Isabella, erede al trono di Castiglia, a Valladolid. Entrambi dovettero fuggire di nascosto per potersi sposare, e siccome erano in uno dei gradi parentela che non permettevano il matrimonio, dovettero chiedere una bolla papale di dispensa, anche se poi si scoprì che questa era un falso. Il re francese vedeva una minaccia nella loro unione, così come erano ostili anche i nobili castigliani; il loro matrimonio fu l'esito di decisioni sofferte e laboriose: la Spagna del XV secolo era suddivisa in varie corone cristiane, ovvero il regno di Castiglia, quello di Portogallo e quello di Aragona. La grande dinastia dei re di Aragona si era interrotta nel 1410 con la morte di Martino I e nel 1412 il problema della successione fu risolto con il Compromesso di Caspe, grazie al quale al trono salì un ramo cadetto della dinastia castigliana dei Trastamara, perciò gli esponenti dei due rami della stessa dinastia castigliana tennero la corona di Castiglia e quella di Aragona, ma non c'era nessuna fondamentale ragione per unirle. I contatti però si molitplicarono. Gli abitanti della penisola si reputavano geograficamente abitanti della Spagna (a causa del termine Hispania, in uso per tutto il Medioevo), ma avevano anche l'idea dell'antica Spagna romana, divisa in due sole province. Giovanni II d'Aragona (1458-1479) dovette far fronte all'insurrezione della Catalogna e alle mire espansionistiche di Luigi Xi, re francese, e non avendo i mezzi per farcela da solo, ripose le sue speranze nella Castiglia, e per questo motivo ci fu il matrimonio. I mesi cruciali furono quelli dell'autunno del 1468, quando Enrico IV riconobbe come erede al trono la sorellastra Isabella, e quelli della primavera dell'anno successivo, poichè questo riconoscimento fece divenire la situazione di portata internazionale, con tre possibili candidati: Carlo di Valois, figlio di Carlo VII di Francia; Alfonso V, re portoghese; e Ferdinando, figlio ed erede di Giovanni II d'Aragona. Isabella scelse quest'ultimo, anche su forti pressioni, ma comunque avendo l'ultima parola: Giovanni II non poteva imporre alcuna condizione, perciò venne stabilito che Ferdinando dovesse vivere in Castiglia e combattere per la causa della principessa e fu messo subito in chiaro che egli avrebbe avuto il secondo posto nel governo del paese. I primi anni di matrimonio furono usati per instillare sentimenti favorevoli a Isabella nelle città e nella nobiltà e per riconciliarsi con Enrico. Quando l'11 dicembre del 1474 Enrico IV morì, Isabella si proclamò immediatamente regina di Castiglia, ma la fazione anti-aragonese della corte aveva già preso contatti con Alfonso V di Portogallo, che si era offerto di sposare la figlia di Enrico, Juana. Alla fine del maggio 1475 questa rivendicò il trono castigliano, e i soldati portoghesi attraversarono la frontiera portandosi in Castiglia, e per tutto il Paese scoppiarono rivolte contro Ferdinando e Isabella. Alla fine però fu quest'ultima a vincere, e così la storia ci riporta di come Juana non fosse veramente figlia di Enrico, e con il termine Spagna si vennero ad indicare Castiglia e Aragona. Fu Ferdinando poi ad occuparsi di ripristinare l'ordine in Castiglia, sfruttando anche l'incompetenza del re portoghese, che venne sconfitto nel 1476 nella battaglia di Toro, anche se poi solo nel 1479 effettivamente l'intera Castiglia tornò in mano a Isabella. Alla fine di quell'anno morì anche Giovanni II, e così ormai la Spagna era diventata una realtà. Non ci fu l'unione dei due popoli, ma solo delle famiglie reali, anche se per la politica estera andarono nella stessa direzione, però ognuna delle due parti conservava le proprie istituzioni e i propri costumi. Dopo l'annessione di Granada nel 1492 la Corona di Castiglia comprese territori che equivalevano a circa due terzi dell'intera penisola iberica; l'estensione del territorio castigliano era tre volte quella dell'Aragona ed aveva anche una popolazione più numerosa. Gli inizi della storia dell'Aragona e delle caratteristiche fondamentali che la facevano così diversa dalla Castiglia devono essere indicati nella lunga lotta che la Spagna medievale condusse contro l'Islam. Gli arabi avevano invaso la penisola iberica nel 711 e l'avevano poi conquistata nel giro di settant'anni, perciò la storia della Spagna medievale si era tutta improntata sulla Reconquista, che vide nel XIII secolo il suo periodo più splendente: mentre Castiglia e Leon, sotto Ferdinando III, conducevano la guerra per conquistare l'Andalusia, il Portogallo si impegnò nel riscatto delle sue province meridionali, e Catalogna e Aragona si presero la Valenza e le Baleari. Catalogna, Aragona e Valenza costituirono l'entità politica che va sotto il nome di Corona di Aragona, anche se la dinastia era catalana ed era proprio la Catalogna quella che ebbe la parte preminente nella grande espansione oltremarina della Corona aragonese, e tra fine XIII e inizio XIV ci fu la conquista di un impero d'oltremare, che fu soprattutto un impero commerciale, la cui prosperità si fondava sull'esportazione di tessuti. Ciò contribuì a rafforzare i potenti patriziati urbani, con il ceto nobile costituito dalla piccola nobiltà; perciò, avendo il dominio sulla vita economica del Paese, la borghesia riuscì a forgiare un peculiare sistema costituzionale che corrispondeva esattamente ai suoi ideali e alle sue aspirazioni: tra sovrano e sudditi doveva esistere una reciproca fiducia e sincerità di rapporti, fondate sul riconoscimento da entrambe le parti contraenti che ognuna aveva i suoi obblighi e che al loro potere c'era un confine. Le istituzioni più importanti erano le Cortes, una per ogni parte del regno, che si riunivano separatamente: le Cortes aragonesi erano articolate in quattro camere, poichè l'aristocrazia era divisa in due corpi, i 'ricoshombres' e i 'caballeros', mentre quelle di Catalogna e Valenza erano articolate in tre Stati, dove ognuno doveva pronunciarsi all'unanimità. Le riunioni si tenevano regolarmente e gli Stati dovevano deliberare ognuno per proprio conto sulle questioni che interessavano il re e il regno; avevano anche acquistato potere legislativo. Il regno di Aragona aveva anche il Justicia, un alto funzionario, nobile aragonese designato dalla Corona con il compito di sorvegliare che le leggi del Paese non venissero violate dai funzionari regi o baronali e che i sudditi fossero protetti dall'esercizio arbitrario del potere. In Catalogna una commissione permanente delle Cortes, la Generalitat, era formata da tre diputats e tre oidors, ognuno dei quali rappresentava uno degli 'stati' della società catalana e restavano in carica per tre anni: il loro compito originario era di natura finanziaria, ovvero i suoi membri controllavano tutto il sistema fiscale del principato ed erano responsabili del versamento alla Corona dei sussidi votati dalle Corts, sussidi pagati con fondi della Generalitat e derivavano maggiormente da dazi di importazione ed esportazione, oltre che dalla bolla, un'imposta sui tessuti. Sorvegliavano che nessun funzionario regio violasse le leggi del principato e spettava loro adottare provvedimenti adeguati affinchè ogni violazione della legge fosse sconfessata e fossero riparati i torti arrecati con tale violazione. Sia Sardegna che Sicilia ebbero i loro parlamenti, sulla stessa lunghezza d'onda di quello aragonese, perciò l'impero aragonese fu insieme sconnesso di territori diversi, indipendente e autonomo, e l'autorità del monarca era rappresentata dalla carica di vicerè. La Castiglia medievale si presentava come un Paese che tendeva più a chiudersi in se stesso che a guardare il mondo esterno, ponendo in cima ai suoi obiettivi quello della guerra; era ancora una società pastorale e di abitudini nomadi. La Reconquista fu allo stesso tempo una crociata, una serie di spedizioni per fare bottino e una migrazione di popolo: spettò al clero mantenere attivo il sentimento bellicoso della gente, per imprimere la convinzione che essi avevano la missione, voluta da Dio, di liberare il Paese dai mori. L'ideale crociato infuse nei guerrieri castigliani la convinzione di partecipare ad una santa missione come soldati della religione cristiana, ma non poteva estinguere la brama di bottino: fu così che prese corpo il tipo del perfetto hidalgo, cioè colui che viveva solo per fare la guerra e che avrebbe fatto l'impossibile sfruttando il coraggio fisico e la costante tensione della volontà, colui che teneva i rapporti con gli altri informandoli ad un rigoroso codice d'onore, colui che riservava il suo rispetto a chi si era guadagnato la ricchezza con le armi. La Reconquista fornì alla società castigliana un suo peculiare carattere, con la tendenza a privilegiare l'aristocratico e la milizia religiosa, ma fu anche importante per determinare il quadro della vita economica castigliana. Grandi proprietà terriere si formarono nel Sud della Spagna, dove poi crebbero grandi centri urbani come Siviglia e Cordova; con un suolo duro e arido, l'allevamento era una soluzione più produttiva e sicura dell'agricoltura, soprattutto dopo l'introduzione della pecora merino. Nel 1273 la Corona di Castiglia aveva unificato in una sola organizzazione le varie associazioni o corporazioni di allevatori di ovini e aveva poi concesso privilegi importanti a tale organizzazione, in cambio di contributi finanziari: l'organizzazione prese il nome di Mesta e si vide assegnato il compito di sovrintendere e controllare la complessa operazione della transumanza; la Castiglia prese così contatti col mondo esterno, in particolare le Fiandre. La Peste Nera del XIV secolo causò una crisi della manodopera, mentre alla metà del XV secolo alcune delle casate aristocratiche possedevano immense ricchezze, col potere della Corona indebolito dal fatto di avere sovrani minorenni e con diversi pretendenti al trono. Tra le Cortes castigliane e quelle di Aragona c'erano alcune differenze sostanziali, che impedirono a quelle castigliane di esercitare quel reale potere politico di cui davano prova quelle aragonesi: i sovrani castigliani non erano obbligati a convocare le Cortes a scadenze regolari prefissate e nessuno aveva il diritto di far parte delle Cortes, così il sovrano cercava di farne a meno. Nobili ed ecclesiastici godevano di esenzione fiscale, perciò non si preoccupavano delle manovre fiscali, e i rappresentanti delle città si trovano costretti a combattere da soli le loro battaglie con la corona, ma le Cortes non seppero guadagnarsi la partecipazione al potere legislativo. Nei primi anni del XV secolo i re di Castiglia erano ormai alla mercè dei grandi, con le Cortes discorsi e inefficienti, l'amministrazione in rovina e il regno mancante di ordine pubblico e pieno di confusione. Nei territori d'Aragona invece il secondo re Alfonso il Magnanimo diede avvio ad una nuova grande fase di espansionismo imperiale che consentì agli abitanti di porre saldamente piede sulla penisola italiana, anche se ciò non era indice di prosperità. La crisi catalana del XV secolo è stata considerata soprattutto di natura politica, provocata dall'ascesa al trono nel 1412 di una dinastia castigliana, che inasprì i rapporti tra catalani e sovrano, rendendo gli abitanti alienati dalla sua politica. Un presupposto essenziale per rendere coincidenti la politica regia e quella dei mercanti era stata la vitalità economica, che però in quel secolo era in decrescita; tuttavia un sicuro motivo della crisi fu la peste, che devastò il principato una prima volta tra il 1347 e il 1351, facendo seguire poi altri cicli di morte, con la popolazione che tornò a livelli decenti solo nel Cinquecento. La prima conseguenza fu la crisi nelle campagne, poiché la manodopera scarseggiava, le fattorie vennero abbandonate e i contadini rimasti si ribellavano; dopodichè abbiamo la violenza della classe contadina che voleva elevarsi dalla propria condizione giuridica di servaggio. Il progressivo aumento della produzione laniera della Castiglia aveva creato nuove possibilità commerciali, che i catalani non poterono cogliere, a differenza dei genovesi che invece si installarono a Cordova, Cadice e Siviglia, stringendo alleanza con la Castiglia e assicurandosi il controllo delle esportazioni di lana. I catalani dovevano così sostenere la dura rivalità dei concorrenti nei mercati del Mediterraneo e vedevano i loro normali rapporti commerciali sconvolti dal dilagare della pirateria, mentre la loro attività nella fabbricazione dei tessuti stava lentamente decadendo. Le classi superiori della Catalogna si stavano ritirando dalle loro grandi imprese commerciali e si stavano mutando in una società di 'rentiers'. A Barcellona divampò una lotta per il potere tra la Biga e la Busca: la prima era il partito dell'oligarchia urbana dei rentiers e dei grandi mercanti, mentre la Busca raccoglieva i fabbricanti di tessuti, i mercanti modesti e gli artigiani delle corporazioni. Quelli della Busca ottennero il potere nel 1453 e cacciarono i loro avversari politici, cercando di affrontare la crisi economica con l'adozione del protezionismo e la svalutazione della moneta. I nobili e i patriziati urbani allora si allearono a difesa terre, procurate dal valore dimostrato in battaglia. Il conquistador sapeva che, se anche fosse morto, lo avrebbe fatto da cristiano e con la speranza di essere salvo. La distruzione degli imperi azteco e incas altro non fu che la prima tappa della conquista dell'America. La presa di possesso, la colonizzazione, la costruzione di città, la costrizione della popolazione nativa a seguire un tipo di vita quale lo volevano gli spagnoli e l'impianto graduale di istituzioni amministrative rappresentarono la seconda conquista dell'America, che comportò il trapianto delle istituzioni e dei costumi della Castiglia nella situazione del nuovo continente. Primo dovere del capo di una spedizione militare era quello di ricompensare chi l'aveva seguito, perciò prima dell'inizio della spedizione di solito intervenivano degli accordi formali circa la distribuzione del bottino: una parte avrebbe dovuto essere riservata alla corona, mentre tutto il resto doveva essere diviso in parti proporzionali secondo il rango e la posizione di quanti avevano partecipato all'impresa. Il primo repartimiento ebbe carattere temporaneo; dal punto di vista giuridico si convenne subito che gli indiani erano proprietari di tutte le terre da loro possedute e coltivate al momento in cui erano arrivati gli spagnoli, mentre il resto del territorio e tutte le sue risorse del sottosuolo spettavano allo Stato. Il terreno libero venne suddiviso fra privati e enti con personalità giuridica: per collocare i loro acquisti su una base più duratura, i comandanti militari operanti nel Nuovo Mondo si preoccuparono di fondare quanto prima una città, di ottenere per essa dalla Corona uno statuto giuridico, di porre propria gente a capo dei principali uffici municipali. Sotto il profilo istituzionale tali città furono delle copie di quelle esistenti nella Castiglia medievale: gli edifici principali furono gli stessi, anche se la pianta generale previde spazi maggiori e un disegno urbanistico più razionale; furono costruite a scacchiera e la loro giurisdizione si estese alle campagne circostanti e i consigli cittadini furono dotati di un potere immenso. Le città furono i centri in cui si insediarono i coloni, che dovettero dipendere per la loro sussistenza da campagne in cui si erano introdotte le coltivazioni europee e che venivano lavorate dagli indiani assoggettati. Nella Castiglia medievale c'erano le signorie libere, in cui gli abitanti di una località si erano posti liberamente sotto la protezione di un signore laico o ecclesiastico, ma la loro condizione non era tanto diversa da quelli delle signorie feudali, il cui tratto principale era che i vassalli tenevano dai signori il diritto di trasmettere in eredità le terre coltivate in cambio di canoni o prestazioni. Il problema della giurisdizione comportò in America un aspetto morale e uno materiale: gli spagnoli avrebbero potuto sopravvivere nel Nuovo Mondo solo sfruttando la manodopera indigena, ma non avevano basi per poter giustificare tale sfruttamento, così Alessandro VI emanò nel 1493 una bolla, in cui non risultava chiaro se conferisse pieni diritti politici e territoriali alla Corona spagnola, oppure se tali diritti erano strettamente subordinati ad una finalità religiosa e se conservavano la loro validità solo fino a quando la Spagna avesse adempito alla missione religiosa della conversione dei nuovi sudditi. I coloni avevano le loro idee sul trattamento cui si doveva sottoporre una popolazione pagana assoggettata: i conquistatori delle Canarie praticarono ad esempio la tecnica del 'requerimiento', usata anche in America, con cui gli indigeni si videro presentare un documento formale col quale si dava loro la possibilità di accettare il cristianesimo e l'autorità spagnola. Colombo inviò in Spagna alcuni carichi di indiani da vendere come schiavi, ma i teologi protestarono e la regina non se la sentì di permettere la cosa, così nel 1500 venne formalmente vietato di ridurre gli indiani in schiavitù, ad eccezione di quelli che avevano attaccato gli spagnoli o si erano dati al cannibalismo. Abbiamo poi l'affermazione dell'istituzione detta 'encomienda': le encomiendas appartenenti ai grandi Ordini militari, nella Castiglia medievale, consistevano di concessioni temporanee della giurisdizione su un territorio ripreso ai mori. La versione americana vide luce prima nella Hispaniola, dove Colombo assegnò ai primi coloni un certo numero di indiani che essi dovevano usare come manodopera: in forza di tale sistema l'encomendero riceveva, temporaneamente, la concessione della signoria su un certo numero di indiani. Egli non faceva altro che accettare su di sé l'obbligo di proteggere un determinato gruppo di indiani e di istruirli negli usi civili e nella religione cristiana, e questi in cambio dovevano prestargli i loro servizi o pagare tributi. Però, verso la metà del Cinquecento, lo sfruttamento economico del Nuovo Mondo si fondava ormai sulla schiavitù e le prestazioni di lavoro fornite dalle encomiendas. Gli Ordini mendicanti inviarono loro rappresentanti sulle orme dei conquistadores affinchè iniziassero la vasta opera dell'evangelizzazione del Nuovo Mondo; nel 1559 c'erano in Messico 800 membri degli Ordini mendicanti e solo 500 del clero secolare. Il primo vescovo del Messico, il francescano Zumarraga, con i suoi colleghi scorse nella primitiva società agricola degli indiani la materia ideale per dare vita ad una perfetta comunità cristiana, e si lanciarono nell'impresa di radunare gli Indiani in villaggi, di costruire missioni e chiese e di imporre alla gente affidata alle loro cure pastorali usi e costumi civili. Dopo che l'antica civiltà degli indiani era stata fatta irrimediabilmente a pezzi, i religiosi costruirono per loro una nuova civiltà fondata sull'accettazione dei riti cristiani; ma i frati non conseguirono un simile successo quando vollero sradicare le antiche credenze pagane e quando vollero insinuare nell'animo dei loro evangelizzandi una vera compressione della dottrina cristiana. I frati si trovarono sempre più delusi e finì che i cristiani cominciarono a vedere i nativi come dei fanciulli da tenere sempre sotto tutela. Nel 1514 Bartolomeo de Las Casas iniziò a dedicare la sua esistenza all'obiettivo di assicurare agli indiani un trattamento degno di uomini: essi dovevano fruire di diritti pari a quelli degli spagnoli e, avendo la capacità intellettuale di ricevere la fede, dovevano essere pazientemente istruiti sulle verità cristiane sotto la direzione di funzionari benevoli nei loro riguardi; non doveva esser loro imposto lavoro obbligato. Queste idee subirono una violenta opposizione, specialmente dall'aristotelico de Sepulveda, il quale vedeva la schiavitù come un fatto naturale, in quanto gli indiani erano inferiori agli spagnoli. Nel 1530 un decreto reale vietò che si procedesse ulteriormente a ridurre in schiavitù gli indiani, rinnovato poi nel 1542 con le 'Nuove Leggi', nelle quali si stabiliva anche che chi aveva degli schiavi doveva dimostrare di averne il diritto; verso il 1570 non c'erano quasi più schiavi nei possedimenti spagnoli. Questo fu un successo e un implicò un risveglio della coscienza pubblica spagnola; la Corona appoggiò Bartolomeo perchè era preoccupata di affermare e preservare il proprio controllo sui territori di recente acquisto, e schiavitù ed encomiendas erano una grave minaccia a questo progetto. Le encomiendas non divennero mai formalmente ereditarie e il loro valore fu costantemente ridotto dall'imposizione su di esse di svariati oneri ogni qualvolta si rendevano vacanti; inoltre il numero degli encomenderos diminuì man mano che l'encomienda ritornava alla Corona. La Spagna e il suo nuovo ordinamento La Spagna modellata da Ferdinando e Isabella fu sotto molto aspetti diversa dal modello teorico della nuova monarchia, in quanto essi credevano nel buon governo regio che doveva proteggere i deboli e gli umili dalle prepotenze dei forti, ad esempio. Tutto il modo di pensare dei due sovrani fu informato all'idea che esistesse una coincidenza naturale tra l'esercizio da parte della Corona di un'autorità concessa da Dio e il godimento da parte dei sudditi dei loro diritti tradizionali, che erano diversi tra Castiglia e Aragona. Ogni stato restò autonomo nei suoi limiti e venne governato dalle sue leggi tradizionali; proprio questo fatto venne posto in risalto dal testamento di Isabella del 1504, in cui si dice che la Corona di Castiglia sarebbe andata alla figlia Giovanna e non al marito. Ma anche la giurisdizione sulle terre americane e la riorganizzazione politica della Catalogna furono trattati come se fossero rispettivamente uno un problema castigliano e l'altro aragonese. La Castiglia, concedendo nel 1503 il monopolio dei traffici con l'America al porto di Siviglia, si garantì che lo sfruttamento delle ricchezze americane rimanesse prerogativa castigliana; un modo per favorire l'unità spagnola era quello di consentire a tutti gli abitanti della penisola una paritaria partecipazione ai benefici dell'impero coloniale, ma non si fece nulla al riguardo; si cercò invece di imporre un sistema amministrativo e legale uniforme in tutta la Spagna. La riorganizzazione della Catalogna fu abilmente congegnata in modo da facilitare la strada ad una struttura istituzionale che la rendesse conforme al modello castigliano; anche se Ferdinando avesse mirato ad abolire le libertà tradizionali dei catalani, non era tanto forte da poterlo fare. L'aspetto nuovo di questa riorganizzazione è da vedere nella soluzione da lui data al problema delle campagne: con la famosa 'Sentencia de Guadalupe' dell'anno 1486, i contadini di remença che erano stati vincolati alla terra furono resi liberi; i sei malos usos, che i signori esigevano, furono aboliti e sostituiti da un canone in denaro; e pur rimanendo il signore, sotto il profilo giuridico, padrone ultimo della terra, i contadini ne avevano lasciato il possesso effettivo e potevano lasciarla in eredità o disporne senza dover ottenere il consenso del signore. L'opera di ricostruzione voluta da Ferdinando ebbe anche per oggetto la vita istituzionale della Catalogna: sia nella Generalitat che nell'amministrazione municipale di Barcellona venne introdotto, per l'accesso ai pubblici uffici, il sistema del sorteggio, cercando così di sottrarre le due istituzioni al predominio di una ristretta cerchia di famiglie che solevano accaparrare le cariche esclusivamente per i loro esponenti. Ferdinando, quindi, optò per la conservazione di un sistema costituzionale che era in netto contrasto con la struttura amministrativa sempre più autoritaria vigente in Castiglia; fu causa di soddisfazione il fatto che finalmente in Catalogna fu portata la pace. Nessuna iniziativa venne invece presa per realizzare una più stretta armonizzazione di Castiglia e Aragona; i sovrani di Spagna, in Aragona, avrebbero continuato a convocare le Corts e non ebbero mai modo di alterare le leggi o di introdurre mutamenti di natura amministrativa senza il consenso delle Corts e sarebbe poi stato loro impossibile arruolare soldati senza venire a conflitto con le leggi e i privilegi locali. In quasi quarant'anni di regno, Ferdinando ne passò quasi quattro in Catalogna e, per ridurre al minimo le conseguenze di tale assenteismo, l'istituto tradizionale del vicerè divenne un aspetto permanente del governo nella Corona di Aragona. La 'Curia Regis' della corona di Aragona nel 1494 fu trasformato nel Consiglio di Aragona, e doveva essere presieduto da un vice- cancelliere: era formato da un tesoriere generale e da cinque reggenti che rappresentavano i diversi Stati dell'Aragona. In questo modo si ridussero le possibilità della monarchia spagnola di diventare uno Stato unitario: la nuova Spagna risultò uno stato pluralistico e non unitario e si compose di tutta una serie di patrimoni dinastici retti con le loro leggi peculiari. La struttura giuridica e politica esistente di tutti questi vari stati particolari restò largamente inalterata: al vertice stava l'autorità regia, alla base stava il potere dei signori sui loro vassalli e in mezzo stava il settore dei diritti di autonomia che rientravano nell'ambito del potere sovrano, ma erano impersonati dai Consigli cittadini. Ferdinando e Isabella si accontentarono di rispettare l'ordinamento vigente, allora, insistendo sul pieno esercizio dell'autorità sovrana, ma sempre riconoscendo che c'erano confini oltre i quali essa non poteva andare. La politica estera era affidata al solo Ferdinando, ma per il resto i sovrani operarono uniti nella determinazione di rendere grandi i loro regni esercitando in pieno la propria autorità: essi posero le basi di uno Stato nuovo ridando vita alle istituzioni tradizionali, piegandole agli obiettivi che stavano loro a cuore. Dopo che la guerra di Successione era stata vinta, il problema più assillante restava quello di umiliare il potere dell'aristocrazia castigliana e di porre un termine al funesto periodo di anarchia: i sovrani poterono avvalersi dell'appoggio di tutti coloro che erano stanchi del continuo disordine e che non ne potevano più degli abusi dell'aristocrazia; nelle Cortes tenute a Madrigal nell'aprile del 1476 il provvedimento più efficace fu la creazione della 'Santa Hermandad': le città della Castiglia avevano posseduto nel Medioevo le loro milizie popolari, le hermandades, che dovevano vegliare sui loro interessi e contribuire al mantenimento della tranquillità pubblica, e in queste Cortes di Madrigal si decise di riorganizzarle e porle sotto un unico controllo centrale, un Consiglio, cui doveva presiedere il vescovo di Cartagena; esse dovevano ricevere ordini solo dalla Corona. La hermandad univa in se stessa le funzioni di una forza di polizia e quelle di un tribunale per l'amministrazione della giustizia; ogni città e ogni villaggio doveva fornire la sua quota di uomini: ogni cento proprietari si doveva fornire un uomo a cavallo, e ogni città ebbe una compagnia di arcieri, e questi uomini erano sotto il comando di Alfonso, fratello del re. Il costo per mantenere tale forza di polizia era alto e i fondi necessari furono forniti dalle multe e dai contributi fiscali che la Corona tentò di far pagare anche alla nobiltà, senza riuscirci. Se un criminale veniva catturato, veniva processato dalla stessa hermandad, che proponeva le punizioni più terribili, le quali sortirono l'effetto desiderato, in quanto gradualmente l'ordine venne ripristinato in tutta la Castiglia e la regione venne ripulita dai briganti, ma dopo alcuni anni l'ingente costo dell'istituzione portò a chiederne lo scioglimento, che avvenne solo nel 1498, anche se le hermandad locali continuarono a esistere, ma persero molto senza il consiglio centrale. Nello stesso 1476 si cercò di assicurare alla Corona la guida suprema del potente Ordine di Santiago, il più importante dei tre Ordini religioso-militari della Castiglia medievale, che possedevano vaste estensioni di terreno e grandi rendite, e si è calcolato che esercitassero la loro giurisdizione feudale su almeno un milione di persone, finendo per essere uno stato nello Stato. In quell'anno morì il Gran Maestro dell'Ordine e Isabella andò al convento di Ucles, dove i dignitari dell'Ordine si apprestavano a eleggere il successore: essa giunse per arrestare le votazioni e candidare suo marito. Nel 1523 una bolla papale stabilì che i tre Ordini erano posti sotto il controllo della Corona. Sul piano finanziario la Corona si giovò moltissimo della possibilità di controllarne le ricchezze, ma gli Ordini militari erano anche uno strumento prezioso per la concessione di benefici e l'esercizio di un alto patronato. Nel 1480 abbiamo, nelle Cortes di Toledo, l'Atto di Riassunzione, col quale i nobili venivano privati di metà dei redditi che avevano alienato o usurpato a partire dal 1464. Fra tutte le riforme messe a punto in questa occasione, la più significativa fu quella con cui venne riorganizzato l'antico consiglio dei re di Castiglia: il Consiglio di Castiglia doveva essere l'organo centrale di governo per la Castiglia e al contempo la cerniera di tutto l'apparato amministrativo, in quanto dava ai sovrani il proprio parere sulle designazioni a cariche pubbliche e sul conferimento di favori; agiva come Corte suprema di giustizia per la Castiglia; sovrintendeva l'operato degli organi di governo locali. Si stabilì che esso fosse formato da un prelato, tre cavalieri e otto o nove giuristi, tutti di fiducia dei sovrani, con l'esclusione dei grandi nobili dal diritto di voto. I comandi militari, gli incarichi diplomatici e di governo furono affidati ad esponenti della piccola e media nobiltà e anche agli ebrei convertiti, perciò era chiaro che per occupare gli uffici ormai serviva una solida preparazione giuridica. Il lavoro burocratico era in aumento e si andava delineando la procedura del suo abituale espletamento, così i giuristi dimostrarono di essere i più idonei alle mansioni amministrative e i più abili nel maneggiare le rispettive procedure. L'amministrazione nella Corona di Aragona fin da XIV secolo aveva il suo centro nella cancelleria, ben fornita di funzionari specializzati e presieduta personalmente dal vice-cancelliere, tre segretari e uno stuolo di scrivani e impiegati; la burocrazia castigliana differiva da quella aragonese per la sua stretta dipendenza dal Consiglio Reale. Se i re cattolici mostrarono di preferire coloro che erano di più umili natali per le cariche amministrative, ciò non significa che volessero esaltare una classe sociale a spese di un'altra; le entrate della Corona aumentarono notevolmente durante il loro regno, grazie a un'esazione più efficiente di quella già in vigore, non appena gli esattori poterono fare affidamento sull'aiuto di agenti centrali e locali della Corona. Le fonti di entrata erano del tutto esenti da ogni controllo delle Cortes e il fatto che avessero un continuo incremento diede modo alla Corona di fare a meno per un lungo periodo della parte centrale del loro regno di qualsiasi ricorso alle Cortes; sotto i due sovrani cattolici venne stabilito che solo diciotto città fossero rappresentate nelle Cortes, in modo che essi potessero avere a che fare solo con trentasei membri. Era di importanza essenziale che le città e i loro organi di governo locale fossero soggetti ad un controllo rigido. Nel corso del XIV secolo la tradizione democratica che aveva caratterizzato la vita in Castiglia nei due secoli precedenti iniziò ad afflosciarsi: man mano che i compiti spettanti alle amministrazioni cittadine si fecero più complessi e man mano che la monarchia si fece più sospettosa del potere acquisito dalle autorità cittadine, il consiglio si trovò sempre più attaccato: durante il regno di Alfonso XI esso perdette ovunque gran parte del suo potere a favore di quello dei regidores (organo che aveva in mano l'amministrazione della cosa pubblica), i quali iniziarono ad essere designati dalla Corona. Nel XV secolo la monarchia con Giovanni II cominciò ad istituire e vendere cariche municipali, contravvenendo quanto prevedevano gli statuti, nei quali era indicato con ogni cura quanti dovessero essere i titolari di cariche cittadine. Il gonfiarsi della venalità degli uffici e il declino del controllo regio lasciarono agli aristocratici locali e alle fazioni in conflitto aperto la possibilità di ampliare la propria influenza sugli organi del governo cittadino; e così le città o si trovarono divise da aspre contese civili o caddero in mano di piccole oligarchie intenzionate a conservare il potere dentro la cerchia delle famiglie che le componevano. Nel 1480 le Cortes di Toledo approvarono diversi provvedimenti con cui si mirava a rafforzare il controllo della Corona sul governo locale e a rendere tale governo più razionale ed efficiente: tutte le città che non possedevano ancora un palazzo municipale dovevano costruirsene uno entro due anni; si dovevano tenere registri in cui fossero riportate tutte le leggi e i privilegi speciali; erano fu l'esenzione dai tributi imposti al paese dalla Corona; davanti alla legge, essi non potevano essere sottoposti alla tortura o essere condannati alle galere, né potevano essere messi in carcere per debiti. Nelle cause civili non si potevano sequestrare le loro case, armi e cavalli. Dal secondo decennio del Cinquecento il loro titolo venne posto in vendita, sperando di poter alleggerire la pesante situazione finanziaria in cui versava il tesoro. Una delle chiavi che potevano schiudere la porta all'ascesa sociale fu l'istruzione, perchè una persona istruita poteva essere chiamata a ricoprire un ufficio a servizio della Corona, e un'altra poteva essere la ricchezza. Per quanto riguarda le campagne, un decreto del 1480 liberò i contadini delle terre signorili dalle ultime tracce di servaggio e li rese liberi di vendere la loro proprietà e spostarsi dove volevano; tuttavia continuarono ad avere l'obbligo di prestazioni a favore del signore ed erano sempre soggetti alla giurisdizione signorile, che dovette variare molto, secondo l'indole del signore. C'era una piccola aristocrazia contadina costituita da contadini ricchi, e c'erano anche molti che abitavano in città e univano alla coltivazione dei loro terreni anche un lavoro artigiano o l'esercizio di un piccolo commercio svolto nel loro domicilio urbano; ma la massa viveva in condizioni di miseria. Le tecniche agricole erano ancora ad un livello primitivo: al terreno non si dava che scarso riposo e il metodo consueto per ottenere un aumento della produzione era quello di mettere a coltivazione terreni incolti, che davano una resa sempre più mediocre. I primi anni del Cinquecento furono annate di raccolti pessimi: nel 1502 i prezzi dei cereali salirono rapidamente e restarono alti fino al 1509; il governo fece fronte alla crisi autorizzando l'importazione massiccia di derrate dall'estero, o istituendo la cosiddetta tassa del frumento, imponendo quindi un prezzo fisso massimo per il grano. Nonostante si facesse sempre più grave il problema delle risorse alimentari per tutto il paese, Ferdinando e Isabella non seppero adottare provvedimenti energici per stimolare la produzione di cereali, in quanto più a favore dell'allevamento ovino: una serie di ordinanze conferì alla Mesta ampi privilegi e favori enormi, ma l'apice venne raggiunto con la legge del 1501, la quale disponeva che tutti i terreni su cui i greggi transumanti avevano pascolato una volta dovevano essere riservati in perpetuo a pascolo e non potevano più essere destinati dal proprietario ad altra forma di sfruttamento; in forza di tale legge, grandi estensioni di terreno dell'Andalusia e dell'Estremadura furono escluse da qualsiasi possibilità di essere poste a coltivo. Il commercio laniero venne ben presto assoggettato ad un controllo monopolistico e rappresentò una sorgente abbondante di entrate per la Corona. I risultati che Ferdinando e Isabella conseguirono sul piano economico dipesero dal fatto che essi crearono le condizioni in cui l'energia potenziale dell'esistente economia castigliana potè ampiamente tradursi in realtà; reputarono proprio compito quello di regolare e organizzare in modo che gli sviluppi economici precedenti non andassero perduti. Nel 1494 istituirono il Consulado di Burgos: tale istituzioni aveva origine aragonese e vi si trovavano combinate le funzioni di una corporazione e quelle di un tribunale mercantile; i mercanti locali e i sovrani vi scorsero uno strumento ideale per stimolare una piena espansione del commercio laniero e per ridurlo sotto una efficiente direzione centralizzata. La lana per il commercio era preparata all'interno della Castiglia, poi era venduta ai mercanti e agli esportatori in occasione delle fiere e veniva infine trasportata a Burgos, il deposito centrale che, pur non essendo una città portuale, acquistò il completo monopolio dell'organizzazione del traffico cantabrico col nord Europa. Nel 1500 i Re emanarono una legge sui trasporti marittimi, con la quale si stabiliva che le merci castigliane dovevano essere esportate solo su navi castigliane; a inizio secolo i capitali iniziarono ad emigrare da Burgos a Bilbao, e nel 1511 Ferdinando vi autorizzò l'istituzione di un Consulado speciale per la Biscaglia. L'importazione e l'imposizione di istituzioni aragonesi nella vita economica castigliana li rivediamo ovunque. Gli ostacoli al progresso delle attività manifatturiere erano formidabili: c'era la carenza di capitali e manodopera specializzata ma, oltre a questo, le distanze erano enormi e le vie di comunicazione erano scarse e disagevoli, e il costo dei trasporti faceva crescere in misura vertiginosa i prezzi delle merci. Al tempo di Ferdinando e Isabella, furono riparate strade e si procedette anche alla costruzione di nuove; nel 1497 i carrettieri furono riuniti in un'organizzazione che ebbe privilegi relativi al passaggio per le vie maestre spagnole ed era esente dal pagamento di pedaggi e tributi locali; si fecero anche tentativi per mettere in piedi un sistema postale che avesse diramazioni internazionali. Barcellona divenne il centro di una rete postale internazionale che si irraggiava all'estero fino a raggiungere la Castiglia, il Portogallo, la Germania, la Francia e l'Italia. Il sistema di dazi fu lasciato intatto e così tutte le merci continuarono a pagare tributi pesanti ogni volta che passavano da una regione all'altra; due sistemi economici distinti continuarono ad esistere fianco a fianco: il sistema atlantico della Castiglia e il sistema mediterraneo della Corona di Aragona, rispettivamente il più fiorente e il più danneggiata dal crollo della Catalogna. Castiglia e Aragona avevano addirittura una moneta diversa, così nel 1497 si stabilì che le monete principali della Spagna avessero tutte lo stesso valore. Ferdinando e Isabella avevano unito due corone, ma non si impegnarono mai nell'unire i due popoli: abbatterono il potere politico della grande nobiltà, ma ne lasciarono intatta l'influenza sul tessuto economico e sociale; riorganizzarono l'economia castigliana, ma al prezzo di un rafforzamento del sistema latifondistico e del predominio consentito all'allevamento; non seppero intrecciare economia castigliana e aragonese; riformarono la Chiesa, ma istituirono l'Inquisizione; espulsero gli ebrei. Fecero grande la Spagna, utilizzando gli strumenti di governo aragonesi e il dinamismo castigliano. Il destino imperiale Isabella morì il 26 novembre del 1504. Il coinvolgimento della Castiglia negli affari politici dell'Europa occidentale fu opera di Ferdinando, a causa della rivalità dell'Aragona con la Francia: egli indusse sua moglie ad abbandonare la tradizionale politica di alleanza fra Castiglia e Francia; tra il 1475 e il 1477 furono mandati degli agenti in Germania, Italia, Inghilterra e Paesi Bassi per offrire la loro alleanza e isolare diplomaticamente la Francia. Nel corso del quindicennio seguente Ferdinando si dedicò al rafforzamento dei legami tra la Spagna e il Portogallo, sperando di poter unificare poi tutta la penisola iberica. La caduta di Granada nel 1492 consentì per la prima volta al re di indirizzare le sue energie fuori dalla Spagna per una politica estera più attiva, ovvero la frontiera franco-catalana e l'Italia, col recupero delle contee catalane del Rossiglione e della Cerdagna. L'alleanza con l'Inghilterra fu siglata con il Trattato di Medina del Campo del 1489 e mirò a facilitare l'invasione spagnola del territorio francese, con la quale ci si riprometteva di recuperare le contee in questione; gli inglesi avrebbero dovuto impegnare i francesi nel Nord, ma il piano fallì. Il re di Francia aveva progettato di scendere in Italia e nel gennaio del 1493, col Trattato di Barcellona, acconsentì a restituire a Ferdinando Rossiglione e Cerdagna. La Sicilia era possedimento aragonese, mentre il regno di Napoli apparteneva ad un ramo collaterale della casa d'Aragona; occorreva una coalizione europea per bloccare l'avanzata di Carlo VIII di Francia, e nel 1495 si formò la cosiddetta Lega Santa che univa Inghilterra, Spagna, impero e papa. Durante gli ultimi due decenni del XV secolo Ferdinando creò cinque ambasciate permanenti a Roma, Venezia, Londra, Bruxelles e la corte austriaca. Egli però spesso non mandava istruzioni agli ambasciatori, trascurava di pagare loro gli onorari e li tenne spesso all'oscuro delle sue manovre personali; inoltre, non avere una capitale stabile sparpagliava la documentazione per tutta la Spagna. Quando Carlo VIII entrò a Napoli nel 1495, si capì che si doveva entrare in guerra: un corpo di spedizione nel 1495 varcò lo stretto e pose piede in Calabria, sotto il comando del capitano Gonzalo. La cavalleria si dimostrò inadatta a sostenere il tipo di guerra combattuto e, dopo la sconfitta di Seminara, Gonzalo cominciò ad allestire nuove formazioni che potessero reggere l'attacco delle picche svizzere: fu evidente che occorreva mettere in campo una robusta fanteria e aumentare il numero degli archibugeri, perciò Gonzalo istituì un esercito composto essenzialmente da fanti. Nel 1503 vinse la battaglia di Cerignola. Nel 1534 l'esercito venne ripartito in tante nuove unità, dette tercios, formate solo da piccheri e archibugeri. Nel 1504 i francesi, sconfitti, riconobbero come legittimi padroni di Napoli gli spagnoli e così Napoli si congiunse con Sicilia e Sardegna. Per rafforzare l'alleanza con l'Inghilterra furono combinate le nozze tra Caterina d'Aragona e Arturo, principe di Galles, mentre l'alleanza con l'impero ebbe come coronamento un doppio matrimonio: l'infante Giovanni, unico figlio maschio del re cattolico ed erede al trono, sposò Margherita, figlia dell'imperatore Massimiliano, mentre la loro figlia Giovanna sposò l'arciduca Filippo, figlio di Massimiliano. Giovanni però morì sei mesi dopo le nozze e quando Margherita partorì un figlio nato-morto ogni speranza di Ferdinando e Isabella di avere un successore svanì: così essa dovette andare alla loro figlia maggiore Isabella, regina di Portogallo, ma ella morì nel 1498 e nel 1500 morì anche suo figlio Miguel. Ormai il diritto spettava all'infanta Giovanna e al suo primogenito Carlo, il quale avrebbe ereditato sia i domini della Spagna che quelli degli Asburgo. Dal momento in cui Isabella morì, il destino della Spagna si trovò legato agli eventi della corte borgognona, dove Giovanna e Filippo attendevano di raccogliere il retaggio spagnolo. A Ferdinando, privato del rango e del titolo di Castiglia, era consentito governare il paese in assenza della nuova regina. Mentre gli intrighi degli aristocratici si sviluppavano per favorire l'effettiva successione di Filippo e Giovanna, c'erano anche considerazioni economiche che spingevano per questa unione. Col trattato di Blois con Luigi XII egli si alleò con la Francia e si impegnò a sposare la nipote di Luigi, Germaine: se ella avesse partorito un erede, il problema sarebbe stato riaperto, e se non fosse bastato, quantomeno egli avrebbe trovato una soluzione per la corona d'Aragona. Ma il figlio non venne, e i suoi trascorsi francesi resero più forte il legame tra i grandi nobili e Filippo; nel novembre del 1505 allora combinò un compromesso con Ferdinando, che prevedeva un governo tripartito tra i due coniugi e Ferdinando. I due sovrani si incontrarono il 20 giugno del 1506 e firmarono a Villafafila un accordo col quale si stabiliva che Ferdinando cedesse il governo della Castiglia a Filippo, promettendo di ritirarsi in Aragona; i due convennero anche sul fatto che l'infermità mentale di Giovanna la rendeva inetta al governo e così firmarono un secondo trattato sulla sua esclusione dal potere. Il pomeriggio dello stesso giorno, però, Ferdinando fece sapere di non riconoscere la validità di tali accordi, e quindici giorni dopo lasciò la Castiglia. Il 25 settembre Filippo morì, lasciando il figlio di sei anni, Carlo, come erede al trono, così il Cisneros e gli altri suoi colleghi chiesero a Ferdinando di tornare. Egli lasciò passare quasi un anno prima di far ritorno in Castiglia, dove si mosse con grande cautela; nel 1509 la figlia Giovanna si ritirò a Tordesillas, così nel 1510 le Cortes della Castiglia nominarono reggente Ferdinando. Il suo obiettivo fu quello di preservare i domini aragonesi in Italia e di impedire ogni ulteriore espansione della potenza francese, ma mirò anche a stabilire quella pace generale in Europa che gli avrebbe consentito di intraprendere una crociata. Nel luglio del 1512 Ferdinando inviò un esercito in Navarra al comando del duca d'Alba, e il paese venne occupato senza difficoltà: era uno stato prezioso per la conformità che aveva con gli altri regni di Ferdinando, ma la sua importanza risaltava anche dal fatto che esso chiudeva il passaggio dalla Francia alla Spagna, mentre consentiva agli spagnoli di penetrare in Francia. Ferdinando morì il 23 gennaio del 1516: sul letto di morte fu indotto a nominare suo erede Caro e dispose che fino a quando questi non si fosse recato in Spagna, fosse il suo bastardo Alonso di Aragona a fungere da reggente per Aragona, Catalogna e Valenza, mentre la Castiglia venne affidata a Cisneros. Si creò una frizione continua fra il governo di Cisneros e la sempre più folta cerchia dei dignitari spagnoli che si stringevano attorno a Carlo. Il 4 luglio del 1517 Carlo e il suo seguito giunsero a Middleburg, ma i venti contrari impedirono per due mesi di salpare e così il sovrano dovette aspettare settembre per andare in Spagna; fu condotto per tortuose strade di montagna attraverso il Nord della Spagna passando per un paese impreparato a riceverlo; durante il viaggio si ammalò e i medici insistettero perchè il corteo si portasse verso l'interno: finalmente il 4 novembre giunse a Tordesillas, dove ebbe un incontro con la madre, che gli diede l'autorizzazione ad assumere il potere. Il primo passo del principale consigliere di Carlo, il conte di Chievres, fu quello di inviare una lettera al Cisneros in cui lo si invitava ad incontrare il re e che non ci sarebbe stato più bisogno di lui, ma questi morì l'8 novembre. Il nuovo re non sapeva parlare castigliano, era all'oscuro dei fatti spagnoli ed era circondato da uno stuolo di fiamminghi rapaci; i consiglieri di Carlo si affrettarono a far spedire nelle Fiandre il fratello Ferdinando. La principale lagnanza dei castigliani aveva per oggetto i fiamminghi, ma Carlo era nelle mani del gran ciambellano Chievres. Quando le Cortes furono convocate a Valladolid nel gennaio del 1518 perchè giurassero fedeltà al nuovo governo e votassero un 'servicio', i procuratori colsero l'occasione per protestare contro le rapine dei forestieri; successivamente Carlo partì per i territori della Corona di Aragona giungendo a Saragozza il 9 maggio del 1518: nei sette mesi che vi passò il gran cancelliere morì e fu sostituito da Mercurino Gattinara. Alla fine del gennaio del 1519 morì il nonno, imperatore Massimiliano, e cinque mesi dopo egli lo sostituì. La sua elezione al trono imperiale alterò i rapporti coi sudditi spagnoli e aumentò il suo prestigio; per la Castiglia bisognava attendersi lunghi periodi in cui il sovrano sarebbe rimasto assente e soprattutto un'imposizione fiscale più dura; anche Toledo si trovò divisa tra la fazione degli Ayala e quella dei Ribera: quest'ultima, nel 1519, si vide favorita dal governo di Chievres e divenne leale sostenitrice della corona, mentre gli Ayala, delusi, si identificarono coi sentimenti anti- fiamminghi castigliani: nel novembre dello stesso anno inviarono una lettere alle città principali in cui facevano presente che Carlo aveva trascorso più tempo in Aragona che in Castiglia, proponendo un incontro tra rappresentanze municipali, in cui avrebbero dovuto mettere a punto alcune richieste, cioè che Carlo non doveva lasciare il paese, che non si doveva consentire l'inviò all'estero di altro denaro e che gli stranieri non avrebbero ricoperto cariche ufficiali in Spagna. Quando il primo aprile del 1520 le Cortes iniziarono i lavori a Santiago, si scoprì che Salamanca aveva sfidato il comando del re e che altre città avevano munito i loro procuratori di istruzioni segrete: soltanto Burgos, Granada e Siviglia avevano concesso i pieni poteri ai loro rappresentanti. I procuratori non vollero credere che Carlo sarebbe tornato e i più tra loro non erano disposti a votare un nuovo sussidio fino a che non fossero state prese in considerazione le loro lagnanze. Il 10 aprile il Gattinara fece spostare la sede delle Cortes a La Coruna, e questa pausa venne utilizzata per fare pressione, in modo che ci fosse la maggioranza a votare il sussidio. Carlo nomino Adriano di Utrecht suo reggente e il 20 maggio si imbarcò per andare a prendere possesso del trono imperiale. La rivolta dei comuneros iniziò nel maggio 1520 e si concluse con la battaglia di Villalar del 23 aprile 1521: fu un movimento scoppiato come risposta all'attacco all'indipendenza delle Cortes, ma nulla venne tentato per garantire alle Cortes il diritto legislativo, né alcun tentativo ci fu per rafforzare le stesse Cortes mediante l'inclusione dei rappresentanti di nuove città: prima sollecitudine delle Cortes era quella di conservare intatti i loro diritti tradizionali e, quindi, a tal fine si diede somma importanza alla richiesta che procuratori fossero pagati dalle città e che non si pretendesse che andassero alle Cortes con pieni poteri. I rivoltosi costituirono una Junta, un movimento costituzionale di tipo difensivo: una delle richieste inviate all'imperatore fu quella di non voler più un corregidor. Inoltre essi pensavano che il popolo fosse spremuto dalle tasse, da stranieri per giunta, e questa fu un'altra delle cause scatenanti della rivolta: essa fu essenzialmente urbana e dapprima limitata alle città della Castiglia settentrionale, ma i grandi dell'aristocrazia si tirarono indietro. I corrigidores furono costretti a fuggire, così il popolino si rivolse a qualche esponente di una rinomata famiglia locale, dove l'amministrazione regia venne sostituita da un comune. Quando Toledo convocò ad Avila un'assemblea di rappresentanti dei comuneros, solo i delegati di Segovia, Salamanca e Toro risposero, allora Adriano ordinò che venisse attaccata Segovia, ma non riuscendo ad ottenere alcun esito, le forze regie si rivolsero contro la città che fungeva da grande deposito di armi, ovvero Medina del Campo, ma anche a Medina la popolazione oppose loro una fiera resistenza. La distruzione del maggior centro finanziario e commerciale del paese sollevò un'ondata di sdegno che contagiò anche le città della parte meridionale del paese. A quel punto i membri della Junta organizzarono un comitato che andasse dall'unica persona con un potere superiore a quello di Adriano a fare le proprie richieste, ovvero Giovanna, ma ella non volle firmare alcun documento. Nei Paesi Bassi i consiglieri dell'imperatore decisero che bisognava fare delle concessioni ai rivoltosi: convennero sulla sospensione dell'esazione del servicio e sul fatto che non si dovevano più dare ai forestieri cariche castigliane, decidendo poi di includere il connestabile e l'ammiraglio di Castiglia nella reggenza. Nelle città intanto il movimento insurrezionale si era trasformato in guerra civile e il potere stava cadendo in mano agli estremisti. A Valenza erano stati impartiti ordini di armare le corporazioni contro possibili incursioni da parte delle galere turche sulla loro costa, e proprio nell'estate del 1519 Valenza venne colpita dalla peste: un predicatore disse che era colpa dell'immoralità, ma allora non ci si capacitava come mai ricchi e nobili, i più immorali, fossero riusciti a scampare al contagio. Così gli artigiani armati delle corporazioni si unirono per formare una fratellanza fabbricato. Altro problema era quello della manodopera, a causa dell'enorme domanda, e allora ci si rivolse a contadini, vagabondi e mendicanti; nel 1540 venne rinnovata la legge sui poveri del 1387 e con essa si comminavano punizioni severe ai vagabondi e si autorizzavano le autorità locali a costringerli a lavorare senza salario. Nei primi anni del regno di Carlo V si fece sentire sempre più forte il coro delle lagnanze da parte degli operatori interni per l'alto prezzo dei manufatti castigliani, in particolare dei tessili di produzione locale: alle Cortes di Valladolid del 1548 si disse che questo prezzo dipendeva dalla domanda che veniva fatta all'estero e per contenerli fu indicato come rimedio l'importazione in Castiglia di tessuti esteri; intanto, tutte le importazioni tessili di fabbricazione castigliana dovevano essere vietate. La Corona rispose consentendo solo l'importazione di tessuti dall'estero e così le Cortes rimasero insoddisfatte; nel 1552 essere tornarono alla carica, ma la Corona si limitò a vietare ogni esportazione di tessuto castigliano, eccetto che verso le Indie; questa legislazione fu tolta nel 1558, quando la concorrenza di tessuti esteri meno cari rischiò di mettere in crisi il sistema. Tra il 1501 e il 1600 si ebbe una quadruplicazione dei prezzi: secondo Earl J. Hamilton fino al 1550 ci furono aumenti moderati, dal 1550 al 1600 ci fu l'apice della rivoluzione dei prezzi e nel periodo successivo, fino al 1650, ci fu una fase di stagnazione. Se però, come molto probabile, c'era il contrabbando, tali dati hanno poco valore; per quanto riguarda il metallo prezioso sbarcato a Siviglia, secondo Hamilton esso veniva prontamente immesso nell'economia spagnola e l'ondata dei prezzi in ascesa si allargò così per tutta la Spagna, ma la tesi non chiarisce a chi appartenesse l'argento e a quali fini fosse usato. La parte spettante al re era già ipotecata ai banchieri stranieri, i quali avrebbero potuto trasferirlo subito fuori dalla Spagna, senza che esso avesse alcuna incidenza sull'economia spagnola. La parte di metallo prezioso spettante ai privati poteva essere usata per un'infinità di scopi diversi: sarebbe ragionevole presumere che una grossa quantità dell'argento americano sbarcato dovesse servire a pagare il costo delle merci inviate nelle Indie; se tali merci erano spagnole, allora l'argento avrebbe dovuto restare in mani spagnole, ma in quale misura quelle merci fossero di dipendenza spagnola dipendeva dalle possibilità operative dell'industria spagnola. I carichi destinati all'America furono sempre più spesso riempiti di prodotti non spagnoli: l'argento usato per acquistarli non rimase in Spagna e la sua registrazione a Siviglia fu una mera formalità, mentre i veri proprietari di quel metallo spedirono il più presto possibile quel che era loro verso un'altra direzione. Perciò la quantità globale dell'argento registrato in arrivo a Siviglia e la quantità globale dell'argento entrato in Spagna non possono essere fatte coincidere. Ma anche per quanto riguarda il movimento dei prezzi, una rielaborazione dei dati fatta da Nadal porterebbe a pensare che gli aumenti maggiori nei prezzi spagnoli si siano verificati nella prima e non nella seconda metà del Cinquecento. Se questo è vero, non si possono più porre in relazione i dati dei prezzi con quelli dei massicci arrivi di argento a Siviglia, che si riferiscono alla seconda metà del secolo. Non vi è dubbio comunque che l'argento in parte causò l'ascesa dei prezzi; i prestiti contratti dall'imperatore ebbero un effetto altamente inflazionistico, e contribuì anche il fatto che un'economia sottosviluppata dovesse affrontare un'ingente domanda. La natura primitiva dell'organizzazione agraria della Castiglia fece salire i prezzi degli alimentari: spendendo tutto o quasi per il cibo, non restava nulla da spendere per le merci essenziali. Anche i prezzi dei tessuti aumentarono a causa della produzione inadeguata delle manifatture castigliane. La vendita dei prodotti e dei manufatti alle colonie americane portò però in Spagna un fiotto improvviso di argento, che finì per far salire i prezzi spagnoli e fece crescere in Castiglia la domanda perchè fosse consentita la vendita di merci estere: non appena la Corona accondiscese tale richiesta, ecco che la produzione manifatturiera castigliana si vide gravemente minacciata dalla concorrenza straniera. I mercanti stranieri irruppero nel mercato castigliano e si aprirono la strada verso quello americano. Il mercato è da individuare come il fattore che impresse inizialmente una spinta all'espansione economica della Castiglia; successivamente ci si scontrò con un'insufficiente produzione agricola e industriale, quindi con prezzi non competitivi, perciò il paese non fu in grado di superare gli ostacoli in cui venne ad imbattersi. Sebbene i genovesi dominassero nel Sud della Spagna, durante il regno di Carlo V nella Castiglia settentrionale troviamo parecchi mercanti e finanzieri locali, come ad esempio Burgos, sede di vere e proprie dinastie mercantili. I membri del Consiglio delle Finanze non fecero nulla per mettere a punto un coerente programma economico, né rifletterono mai sulle implicazioni che poteva avere per l'economia castigliana l'acquisto dell'impero coloniale americano; non si ebbe allora alcun tentativo di sfruttamento sistematico delle risorse americane, eccetto le miniere, e quasi nulla venne fatto per avviare nel Nuovo Mondo un'economia complementare a quella castigliana. Dal momento in cui fu eletto imperatore, Carlo V fu sempre a corto di fondi e dovette sempre volgersi da un dominio all'altro in cerca di nuovo denaro e contrattare a condizioni sfavorevoli per avere prestiti dei banchieri tedeschi e genovesi, e dovette ipotecare in misura sempre maggiore le sue entrate presenti e future. Tra i domini europei c'erano i Paesi Bassi e l'Italia che dovevano finanziare il grosse delle spese di Carlo V, ma dal 1540 il contributo della Spagna fu sempre più rilevante. I contributi diretti dati dalla Chiesa spagnola furono la tercias reales, ovvero il terzo di tutte le decime riscosse dalla Chiesa nel regno di Castiglia, e il subsidio, un'imposta su tutte le entrate e i redditi della Chiesa nei vari regni spagnoli, la cui entità veniva concordata tra il papa e la Corona. A queste due si aggiunse, nel 1567, l'excusado, una nuova imposta con cui si voleva sovvenire al costo della guerra nelle Fiandre: era l'intera decima che in ogni parrocchia pagava la più ricca proprietà terriera. La Corona fruiva anche dei frutti delle sedi vacanti e poteva contare sui beni e sui redditi degli Ordini militari. Da ultimo, i re spagnoli ricevettero il gettito della cruzada: a scadenza triennale, la pagavano ogni uomo, donna o bambino che volesse fruire dell'indulgenza ad essa connessa. Per quanto riguarda la Corona d'Aragona, l'imperatore doveva dipendere interamente dai sussidi votati dalle singole Cortes; il fatto che l'imperatore non riuscisse a trarre contributi maggiori lo costrinse a fare sempre più affidamento alle risorse della Castiglia, dove le Cortes avevano meno potere. Con Carlo V però le Cortes della Castiglia riacquistarono parte della loro importanza, il contributo concesso alle finanze del sovrano era detto servicio ed era considerato una sorta di sussidio a tempo, concesso per situazioni straordinarie. L'acabala, imposta regia per la quale non era richiesto il consenso del regno, aveva il grande vantaggio di essere un'imposta generale che dovevano pagare tutti, quale che fosse il rango sociale, e colpiva ogni transazione di compra-vendita; il pagamento del servicio era invece di solito addossato a un solo settore della società, i contribuenti, mentre ne restavano esenti i nobili. L'incremento dei servicios ebbe un'incidenza sociale importantissima per il fatto che contribuì ad allargare il divario tra i ricchi esenti e i poveri troppo gravati; nelle Cortes del 1538 l'imperatore provò a porre un'imposta sulle derrate alimentari, la sisa, che doveva colpire tutti, ma i nobili si dichiararono contrari e ciò obbligò l'imperatore a capitolare. Il rifiuto delle Cortes obbligò la Corona a cercarsi altre fonti di entrata su cui le Cortes non avessero alcuna voce; l'imperatore riuscì ad elevare le entrate durante il suo regno soltanto del 50%: per sanare il deficit dovette farsi anticipare da privati le somme corrispondenti al valore dell'argento che veniva dall'America e compensò chi anticipava il denaro con dei juros, ovvero titoli di Stato. Una parte sempre maggiore del reddito annuo dovette essere destinata a pagare i debiti contratti; i juros in origine erano pensioni o annualità che la Corona pagava a singole persone come pegno del suo favore e che prelevava dalle entrate dello Stato. Carlo V estese la vendita dei juros in misura tale da raggiungere proporzioni gigantesche. Le risorse del paese furono ipotecate per un numero indefinito di anni venturi, per sostenere le spese della politica imperiale; il regno di Carlo V portò a stabilirsi nel paese l'egemonia di banchieri forestieri; risultò che la Castiglia doveva sopportare il fardello maggiore della fiscalità addossata alla Spagna; il fardello fiscale fu fatto portare a quelle classi che erano meno in grado di sopportarlo. Il Cobos riuscì a mettere fine alle rapine che i grandi aristocratici facevano a danno del Tesoro; egli e i suoi colleghi fecero di tutto per apprestare bilanci di previsione per le entrate e le spese di cui servirsi come base orientativa dell'azione politica futura. L'imperatore non si diede pensiero dei problemi del paese e continuò così a spendere denaro ovunque si recasse e a tempestare poi di richieste urgenti di nuove rimesse il Cobos, costretto così a ricorrere a prestiti; questi morì nel 1547. Nel 1548 Carlo voleva che il figlio Filippo conoscesse i suoi sudditi fiamminghi e nel 1554 lo fece sposare con Maria Tudor, così avrebbe dovuto regnare su Inghilterra e Paesi Bassi, Spagna e Italia, e America. Carlo morì il 21 settembre del 1558 a Yuste, e dopo due mesi morì anche Maria Tudor; nell'agosto del 1559 Filippo si decise a lasciare le Fiandre per avviarsi alla volta della Spagna. La stirpe e la religione In Castiglia le cariche municipali erano state messe all'incanto e terre e giurisdizioni della Corona avevano dovuto essere vendute; la sensazione prevalente di malessere si fece ancora più acuta quando nel 1558 vennero scoperte cellule protestanti a Valladolid e Siviglia. Fin dall'ultimo scorcio del XV secolo, nei Paesi Bassi si era sviluppata una scuola o corrente religiosa che nella pratica del cristianesimo poneva l'accento più sull'orazione mentale che sulle forme e sui riti esterni; nella Firenze del Savonarola la pietà cristiana aveva acquistato caratteristiche visionarie o apocalittiche che aveano molto impressionato i francescani spagnoli. I due tipi di cristianesimo ebbero adepti in Spagna e in particolare vi aderirono donne devote e francescani che provenivano da famiglie ci conversos; soltanto nei primi anni del Cinquecento da questi devoti si andò formando un vero e proprio movimento religioso. L'evento decisivo fu la conversione di una suora francescana, Isabel de la Cruz, che si diede ad organizzare centri di pietà in città come Alcalà e Toledo; sotto la sua influenza gli Illuminati dovevano indulgere a un misticismo passivo detto dejamento, che mirava a stabilire un rapporto diretto tra l'anima e Dio mediante un processo di purificazione interna, il cui esito finale doveva essere il totale abbandono al volere divino; la diffusione di questa pratica preoccupò l'Inquisizione. Nel frattempo in Germania si era avuta la rapida diffusione del luteranesimo: gli inquisitori vollero fare tutto il possibile per impedire che stendesse la sua presenza anche alla Spagna, e per questo occorreva una definizione più rigorosa dell'ortodossia e una maggiore vigilanza per scoprire e individuare ogni minimo indizio di dissenso religioso. Così nel 1524 l'Inquisizione fece arrestare Isabel de la Cruz e Pedro de Alcaraz con l'accusa di eresia; a ciò seguì poi la condanna di 48 proposizioni illuministiche e venne promulgato un decreto dell'Inquisizione di Toledo contro le eresie di Lutero. Se il movimento degli alumbrados fu ricondotto a controllo, più raffinato era quello dell'erasmismo, che teneva in maggior conto la pietà interiore rispetto a quella esteriore: era un corrente culturale o religiosa forestiera che aveva appoggi tra gli uomini di corte e i consiglieri dell'imperatore. Nel 1527 l'arcivescovo Manrique, nella speranza di svelenire gli oppositori di Erasmo, convocò a Valladolid un colloquio di teologi che dovevano pronunciarsi sull'ortodossia del maestro olandese; egli si affrettò a vietare ulteriori attacchi ad Erasmo e parve perciò che la causa erasmiana avesse trionfato, ma i conservatori non lo accettarono. Quando Carlo V partì per l'Italia nel 1529, gli anti-erasmiani adottarono la tattica di accusare gli erasmiani di simpatie illuministiche e luterane, e vennero tutti denunciati da una spia dell'Inquisizione, Francisco Hernandez, e l'organo si sentì così in potere da accusare alcuni erasmiani potenti. A quel punto alcuni erasmiani abbandonarono la Spagna, mentre altri furono messi a tacere nel 1540, e da quel momento l'Inquisizione non osò tollerare neppure la più flebile deviazione dall'ortodossia religiosa: nei decenni tra il 1530 e il 1550 il tribunale si trasformò in una grande macchina che funzionava a mezzo delle delazioni e delle denunce, usando spesso la tortura e il rogo per strappare confessioni. Le sue procedure erano segrete e i tempi lunghissimi, e l'imputato perdeva sia onore che beni; il tribunale aveva circa ventimila famuli sparsi su tutto il territorio spagnolo, e costoro stavano sempre all'erta per scovare segni di eterodossia. Con l'Editto di Fede gli inquisitori potevano visitare ad intervalli regolari un distretto e leggere alla popolazione un elenco di pratiche eretiche e pericolose, cui seguiva l'esortazione alla denuncia di tali pratiche. In Spagna si poteva essere sospettati anche per motivi razziali: era esasperata la preoccupazione per la purezza di sangue; durante il XV secolo il problema ebraico si era trasformato nel problema dei conversos e probabilmente fu inevitabile che si mettesse in moto qualche tentativo di escludere dalle cariche pubbliche proprio i conversos. Il primo tentativo del genere fu fatto a Toledo nel 1449, seguito da altri, finchè divenne importante poter dimostrare di discendere da avi di sangue puro per far parte di alcune categorie. A Toledo gli Ayala e i Ribera continuarono a rivaleggiare per il controllo delle cariche cittadine e per quelle ecclesiastiche, e proprio con l'andare degli anni la questione del sangue ebbe un ruolo preminente nei loro contrasti, in quanto gli Ayala si vantavano di avere un albero genealogico completamente puro, a differenza dei rivali. Il Siliceo, di natali umilissimi, divenne arcivescovo di Toledo, ma aveva la purezza di sangue, e si scontrò col decano Pedro de Castilla quando fu nominato canonico Fernando Jimenez, figlio di un converso: il Siliceo nel 1547 fece approvare una norma secondo cui la purezza del sangue era condizione imprescindibile per ottenere una carica, e nel 1556 la fece sanzionare dal re. Ben pochi nobili potevano vantarsi di avere alberi genealogici completamente puri, e nessuno potè sottrarsi alla ricerche dell'Inquisizione; si determinò allora un generale senso di insicurezza, ne risultarono incoraggiati ricattatori e delatori di professione. Nel 1557 e nel 1558 a Siviglia e Valladolid si fece la clamorosa scoperta di gruppi protestanti. La violenza della reazione da parte dell'Inquisizione si può spiegare con la preoccupazione che il tribunale aveva di migliorare i suoi rapporti con la Corona, ma ci fa anche vedere l'esistenza di un vero e proprio allarmismo. Il 7 settembre del 1558 la sorella di Filippo, che fungeva da reggente per conto del fratello, emanò un'ordinanza con la quale si vietava l'importazione di libri stranieri e si comandava che tutti i libri stampati in Spagna dovessero in futuro essere pubblicati con il permesso del Consiglio della Castiglia. L'inquisitore generale Valdes nel 1559 dispose un nuovo Indice Ispanico, in cui bandiva l'Enchiridion di Erasmo e molti altri scritti di natura religiosa largamente diffusi e ricercati da molti lettori; i vescovi ebbero il compito di attuare l'ispezione sistematica di biblioteche pubbliche e private. Durante il pontificato di Paolo IV la Spagna e il papa si fecero la guerra: nel 1559, alla morte di Paolo IV, Filippo fece uso della sua influenza sul conclave perchè fosse eletto un papa più trattabile, ma venne eletto Pio IV, anch'egli in litigio con la Spagna a proposito del cardinale Carranza: egli veniva da una famiglia di hidalgos poveri e nel 1545 fu inviato al Concilio di Trento, guadagnando reputazione come teologo: accompagnò Filippo nel 1554 in Inghilterra, dove divenne consigliere religioso di Maria Tudor e persecutore dei protestanti inglesi; nel 1559 fece ritorno nelle Fiandre, dove sorvegliava il traffico clandestino di scritti eretici, e Filippo voleva designarlo arcivescovo di Toledo, ma nel 1559 fu arrestato dall'Inquisizione, rimanendo in carcere fino al 1576. a svantaggio di Carranza giocò il fatto che era di natali umili e si era inimicato un confratello dominicano, consigliere di fiducia del re, Melchor Cano. Il conflitto tra il re e il papato indebolì ulteriormente le forze della Controriforma. La pace di Cateau-Cambresis, firmata nel 1559, poneva termine alla guerra tra Francia e Spagna: Filippo deliberò di annullare l'ordine di aprire trattative con i turchi per stipulare una tregua di dieci o didici anni, e decise di intraprendere la guerra sulle acque del Mediterraneo con tutte le forze disponibili. Il gettito delle imposte era del tutto inadeguato ai pesanti oneri militari della Monarchia e già nel 1558 un dazio particolarmente alto era stato imposto sulle esportazioni di lana castigliana; a questo dazio fece seguito il provvedimento che innalzava le barriere doganali lungo la frontiera del Portogallo, poi altri provvedimenti ampliarono di molto il gettito delle imposte non controllate dalle Cortes. L'aumento della fiscalità era necessario se la Spana voleva allestire una seria campagna di guerra nel Mediterraneo, con i turchi che nel 1561 si presentarono davanti alle coste di Maiorca; le entrate resero possibile un grande programma di costruzioni navali, ma l'Islam non era l'unico nemico: la diffusione del calvinismo e l'inizio, nel 1562, delle guerre di religione in Francia, fecero apparire per la prima volta sulla frontiera settentrionale del paese lo spettro di una potenza protestante. Nei Paesi Bassi spagnoli iniziava a diffondersi il malcontento e l'eresia faceva sempre più adepti; durante il 1562 e il 1563 erano cominciate a salire le rimesse di argento spettanti alla Corona, così il re decise a favore della repressione: il duca d'Alba ebbe ordine di portarsi nei Paesi Bassi con un esercito al fine preciso di soffocare la rivolta; Filippo e i suoi soldati presentarono questa spedizione come una sorta di crociata intrapresa da un esercito cattolico contro gli eretici. Già nel 1568 fu chiaro che la lotta stava ampliandosi, soprattutto al fronte marino, dove i protestanti avevano il loro punto forte; la guerra fu sostanzialmente navale, combattuta nella baia di Biscaglia, nella Manica, e nelle acque atlantiche su cui si affacciavano i possedimenti coloniali spagnoli. La Catalogna era senza dubbio uno dei punti più deboli dell'antemurale spagnolo, sia perchè limitanea della Francia sia perchè fruiva di tanti privilegi che la rendevano poco controllabile dalla Corona. Se l'eresia avesse messo radici nella Catalogna, sarebbe stata una Portogallo non aveva più un esercito difensivo. A quel punto il primo passo per Filippo era quello di conquistare le simpatie del cardinale Enrico e della classe dirigente portoghese, al cui fine si valse di Cristobal de Moura che, avendo a disposizione ingenti quantità di denaro spagnolo, non risparmiò fatica per eliminare l'altro candidato, il priore di Crato, e disperdere ogni opposizione dei nobili. Pochi mesi prima di morire il cardinale Enrico si decise finalmente a dichiararsi a favore della successione di Filippo e si raggiunse allora un accordo tra lui e il de Moura sui termini a cui Filippo doveva sottostare per ricevere la Corona; tuttavia i rappresentanti della città portoghesi si dichiararono favorevoli al priore, perciò i membri del Consiglio di Reggenza non se la sentirono di proclamare apertamente erede al trono portoghese il re di Spagna. A quel punto il duca d'Alba fu messo a capo dell'esercito che doveva invadere il Portogallo, dove penetrò alla fine di giugno e vinse alla fine di agosto. La popolazione portoghese era contraria a questa unione, che vide invece favorevoli alta nobiltà, alto clero, gesuiti e ceti mercantili e finanziari. Filippo giurò di osservare tutte le leggi e le consuetudini del suo nuovo regno, e da parte delle Cortes fu riconosciuto come re legittimo del Portogallo; queste poi gli chiesero di ratificare i venticinque articoli convenuti tra il de Moura e il cardinale Enrico, una serie di concessioni il cui fine era quello di preservare il Portogallo come Stato autonomo: al re si chiedeva di trascorrere il maggior tempo possibile in Portogallo e doveva affidare la carica di vicerè a un membro della famiglia reale o ad un portoghese; doveva essere istituito un Consiglio di Portogallo che doveva svolgere tutta la sua attività usando la lingua portoghese; le cariche dovevano essere date solo a dei portoghesi e solo portoghesi potevano essere nominati alle mansioni della corte portoghese; il Portogallo doveva conservare la propria moneta e i traffici con i suoi territori coloniali dovevano rimanere esclusivi. Gli articoli furono accettati, e per tutto il 1581 e 1582 Filippo rimase a Lisbona per consolidare la sua posizione in Portogallo, mentre Granvelle sollecitava misure per giungere alla sottomissione e al recupero dei Paesi Bassi: a suo avviso occorreva immediatamente rompere le relazioni con l'Inghilterra e con la Francia e attuare una politica imperiale. Nel marzo 1583 il re lasciò Lisbona per far ritorno a Madrid e lasciò come governatore l'arciduca Alberto, suo nipote. Tornato in patria, istituì una nuova Junta speciale che doveva assisterlo nelle cure del governo e vi escluse Granvelle, che morì il 21 settembre del 1586. Verso il 1580 il regno di Aragona era diventato ingovernabile: nel corso del secolo i rapporti tra signori e contadini conobbero un deterioramento e in parte gli attriti furono causati dalla presenza di una popolazione di moriscos, di cui moltissimi erano occupati a lavorare le terre dei signori; la popolazione di antico ceppo cristiano si risentì che questi fossero favoriti sia sul mercato del lavoro che per la coltivazione di terreni più fertili, così era sorto il conflitto tra moriscos e montanases, vecchi cristiani che ogni inverno scendevano dai Pirenei con i loro greggi. Il più grande feudo aragonese, la contea di Ribagorza, comprendeva diciassette città e duecentosedici villaggi, stendendosi da Monzon ai Pirenei, perciò sotto il profilo strategico era utile che esso entrasse a far parte del dominio diretto della Corona, ma il re non era disposto a versare grosse somme per compensare il duca. Nel 1571 il conte di Ribagorza aveva condannato a morte la moglie per adulterio, che però era nipote del conte di Chinchon, tesoriere del regno, e perciò venne messo a morte nel 1573. Da quel momento però il Chinchon pensò a pianificare la propria vendetta, rendendo la situazione esplosiva. A quel punto al re parve che l'unico modo per riportare l'Aragona all'ordine fosse quello di nominare un vicerè imparziale che non fosse di natali aragonesi, inviando così nel 1588 il marchese di Almenara perchè ottenesse un giudizio sulla legalità del suo atto dalla corte di Justicia aragonese: il giudizio fu favorevole, ma il sentimento anti-castigliano era colmo all'esasperazione nel 1590, così pochi giorni prima dell'arrivo dell'Almenara comparve Antonio Perez, che era di orgine aragonese: egli denunciò la complicità del re nell'assassinio dell'Escobedo, e il sovrano allora si volse al tribunale dell'Inquisizione. Il 24 maggio 1591, mentre il Perez veniva trasferito al carcere, la folla tumultuante di Saragozza scese in strada, sottraendo il Perez ai suoi carcerieri, prendendo poi d'assalto il palazzo dell'Almenara, che morì quindici giorni dopo. A quel punto il re, pur avendo dato istruzioni perchè fossero concentrati corpi armati nei pressi della frontiera aragonese, sperò che non si giungesse mai alla guerra, ma il Perez aveva adoperato tutte le sue arti per sobillare la plebe di Saragozza; e quando il 24 settembre 1591 si cercò ancora di trasferirlo in carcere, la folla venne nuovamente in suo soccorso. Allora un esercito di 12.000 uomini, comandato da Alfonso Vargas, penetrò nell'Aragona ai primi di ottobre, e nessuno andò in aiuto agli aragonesi, nemmeno la maggior parte degli aristocratici: la notte dell'11 novembre Perez fuggì in Francia e il giorno dopo l'esercito castigliano entrò a Saragozza, e il re emanò un'amnistia generale. La rivolta aveva mostrato la debolezza dell'unità spagnola, con l'assenza di ogni effettivo controllo del sovrano su un regno munito di tanti privilegi come l'Aragona; la sua forza risultò dalle divisioni sociali esistenti nel paese, le quali fecero si che la rivolta non si espandesse. Le Cortes aragonesi furono convocate a Tarazona nel giugno del 1592 e solo con pieno rispetto della legalità si poteva arrivare a qualche soluzione; Filippo decise di conservare intatto il sistema politico aragonese, ed essi non si ribellarono più. Splendori e miserie Nell'ultimo decennio del Cinquecento il flusso di argento dalle Indie aveva indotto il re ad intraprendere grandi progetti; meno di un quarto delle entrate annuali di cui poteva disporre Filippo II veniva dalle rimesse d'argento americano, il resto o proveniva dai prestiti o dalle imposte. Nel 1590 era chiaro che le fonti tradizionali di entrata esistenti in Castiglia erano inadeguate a sopperire ai bisogni della Corona, così si decise di aggiungere una nuova imposta, denominata millones, dapprima fissata in otto milioni di ducati da esigere ripartiti lungo un periodo di sei anni, ma quando nel 1596 si volle prolungarla di altri sei anni, si volle ottenerne un gettito maggiore, e furono i generi alimentari ad esserne maggiormente colpiti. Nel 1600 il gettito venne ulteriormente aumentato e colpiva i generi di prima necessità, quindi non colpiva tanto i proprietari terrieri quanto i poveri. Il 29 novembre 1596 Filippo sospese ogni pagamento ai banchieri, così la Corona dichiarò nuovamente bancarotta; con il cosiddetto medio general del 1597 si convenne che i debiti in arretrato fossero pagati con dei juros, e così il debito divenne consolidato. Tale bancarotta significò anche la fine dei sogni imperialistici di Filippo II: il primo colpo si ebbe con la disfatta dell'Invincibile Armada del 1588 contro l'Inghilterra: su 130 navi, due terzi riuscirono a fare ritorno e la flotta spagnola riuscì a colmare subito i vuoti. Hawkins, Drake e il conte di Cumberland compirono incursioni audaci contro i possedimenti americani della Spagna, attaccarono a più riprese i convogli spagnoli sulle rotte atlantiche e una spedizione dispendiosa venne inviata nel 1589 a Lisbona. Le coste spagnole non poterono però essere sottoposte ad un blocco efficace e un anno dopo l'altro i convogli che trasportavano l'argento americano giunsero intonsi a destinazione; nel 1596 l'Armada fu mandata contro i nemici, ma ancora una volta fu dispersa dalle tempeste. Questa notizia diede coraggio al re di Francia Enrico III per assassinare il duca di Guisa; questo, e la successione al trono francese del protestante Enrico di Navarra obbligarono Alessandro Farnese a volgere l'attenzione alla Francia e, quando questi morì nel 1592, gli olandesi non erano sottomessi e la Spagna non aveva portato successi di rilievo in Francia. La pace con l'Inghilterra avvenne solo nel 1604, mentre il 2 maggio 1598 era stato concluso il trattato di Vervins con la Francia. Filippo morì il 13 settembre 1598; il nuovo governo di Filippo III si impegnò in un altro sforzo militare nelle Fiandre e nel 1601 ci fu anche una spedizione in Irlanda. Nel 1607 la Corona spagnola si vide costretta a non riconoscere i propri debiti e due anni dopo venne firmata la tregua dei dodici anni tra la Spagna e le province olandesi ribelli. Le circostanze che obbligarono la Spagna ad un arresto delle sue imprese imperialistiche furono determinate sia dalla situazione generale della politica economica sia da quella propria della Castiglia. Il mutamento fu frutto diretto della guerra che la Spagna aveva intrapreso con le potenze protestanti del Nord: gli olandesi infatti avevano continuato i commerci con la penisola iberica, mentre la Spagna dipendeva dall'Europa settentrionale e orientale per i rifornimenti di derrate alimentari e di materiale nautico. Nel 1585 Filippo II decretò l'embargo per le navi olandesi solite a frequentare porti spagnoli e portoghesi, e fu rinnovato nel 1595. Gli olandesi avevano bisogno dell'argento e dei prodotti coloniali spagnoli, così si recarono direttamente nel Caraibi e nell'America spagnola; nel 1599 si impadronirono dell'isola di Araya con le sue saline e questa intrusione sconvolse il sistema delle comunicazioni marittime tra i vari possedimenti coloniali spagnoli. Durante l'ultimo decennio del Cinquecento la prosperità giunse al termine, a causa di una catastrofe demografica: mentre la popolazione bianca e quella meticcia del Nuovo Mondo continuarono a crescere, la popolazione indiana di Messico e Perù precipitò, e la manodopera fu quindi drasticamente ridotta di numero. Nel secolo successivo l'economia dell'America si chiuse in se stessa, non avendo nulla da chiedere e nulla da dare alla Spagna; nel Messico si era sviluppata l'attività manifatturiera per la fabbricazione di tessuti di bassa qualità, mentre nel Perù si iniziò a produrre cerali, olio e vino, prodotti che erano stati la maggior parte dei carichi delle navi partite da Siviglia: nel 1597, per la prima volta, il mercato americano era saturo. A quel punto l'economia castigliana palesò tutti i segni della stagnazione e a volte di una vera e propria recessione: il primo fatto a colpire è lo spopolamento della Castiglia con la congiunta decadenza dell'agricoltura; ci fu uno spostamento da Nord a Sud e dalle campagne alle città. L'esodo dalle campagne trasformò la Castiglia in una terra di villaggi deserti, e dal 1570 essa cominciò a dipendere per il rifornimento di derrate dall'Europa settentrionale e orientale, perciò dopo tale data i prezzi furono in ascesa. In Castiglia il suolo era povero, il clima sfavorevole e le comunicazioni interne erano terribilmente difficili; i viaggiatori stranieri che arrivavano in Spagna avevano l'impressione di trovarsi in un paese arretrato e incurante di tutto ciò che riguardava scienza e tecnica; ad ostacolare il progresso fu la mentalità prima ancora delle difficoltà tecniche: il potere concreto era detenuto in modo tale che bastava l'opposizione di una o due persone per far cadere progetti che avrebbero potuto aiutare molta gente. Per quanto riguarda l'agricoltura, molta parte del suolo coltivabile della Castiglia apparteneva o ai grandi dell'aristocrazia o alla Chiesa; il ritorno della pace a fine Cinquecento avrebbe potuto creare prospettive di ripresa economica, ma i raccolti furono cattivi o pessimi e nel 1596 arrivò di colpo una peste che spazzò via il 15% dell'incremento demografico del Cinquecento e aprì la fase dell'immobilismo e del decremento demografico. L'acuta scarsità di manodopera e la conseguente impennata dei salari rappresentarono disastri irreparabili per l'economia castigliana, perchè annullarono la possibilità di rimettere in sesto l'attività manifatturiera. Parecchi personaggi della cosa pubblica si diedero ad analizzare i mali della società, furono detti arbitristas e volevano trovare delle risposte. Essi proposero che le spese del governo fossero energicamente tagliate, il sistema fiscale esistente fosse emendato da capo a fondo, gli altri regni della monarchia fossero chiamati a dare maggiori contributi al tesoro della Corona, fosse incoraggiata l'immigrazione per ripopolare la Castiglia, le campagne fossero irrigati, i fiumi resi navigabili e fosse data protezione all'agricoltura e all'attività manifatturiera. Filippo III era però caduto sotto l'influenza del marchese di Denia, il quale alla morte del re distribuì ad amici e parenti le più alte cariche dello Stato. Duca di Lerma, e favorito del re, egli aveva creato una piccola Junta, formata dai suoi uomini di fiducia, per controllare il potere, e poi tante piccole Juntas secondarie cui era demandato il compito di occuparsi di problemi particolari. La tendenza tipica del governo spagnolo nel Seicento fu quella di dare vita a piccoli comitati di ministri che agivano indipendentemente dai Consigli. Le scelte compiute dal duca di Lerma per circondarsi di uomini di fiducia furono disastrose, in quanto elevò di rango personaggi spregevoli, in particolare don Pedro Franqueza e don Rodrigo Calderon: al primo fu affidato il compito di riformare le finanze regie e riuscì a mettere da parte una fortuna enorme prima che i suoi sotterfugi venissero scoperti, quando fu arrestato nel 1607 e fu obbligato a sborsare 1.500.000 ducati. Il secondo riuscì a stare al potere fin quando mutò il regime. Uno dei compiti più importanti che doveva affrontare il governo spagnolo era quello di tentare un'equiparazione dei tributi versati dalle diverse parti della monarchia, al fine di alleggerire gli oneri della Castiglia, ma il governo non vi riuscì nemmeno all'interno della sola Castiglia: ogni provvedimento fiscale che potesse ridurre l'enorme disparità di trattamento tra ricchi esenti e poveri non fu mai presa in considerazione, mentre il duca preferì ricorrere alla vendita di uffici e giurisdizioni, all'estorsione di sussidi agli ebrei portoghesi e alla manipolazione della moneta castigliana. I problemi urgenti venivano accantonati, l'unica azione positiva del duca fu la firma della Tregua dei Dodici Anni con gli olandesi, ma il 9 aprile dello stesso anno, il 1609, egli espulse i moriscos dalla Spagna. A Valencia, nel 1609, c'erano circa 135.000 moriscos, che formavano un unità compatta; la loro presenza in Castiglia non era tollerata perchè essi erano dispersi e male organizzati in tutto il regno, ma non rappresentavano un serio pericolo: furono radunati e portati alle frontiere, e molti si rifugiarono in Africa. Essi non rappresentavano un ceto ricco e non avevano posizioni di primo piano nella vita economica, così la loro scomparsa non provocò conseguenze vistose. Nell'Aragona, invece, tutta la zona fertile a sud dell'Ebro conobbe una subitanea rovina, e in Valenza le conseguenze variarono di luogo in luogo. Coloro che ebbero maggiormente da perdere furono quei nobili che nelle loro proprietà terriere erano usi fruire di contadini moriscos e le cui entrate dipendevano dai canoni che pagavano loro affittuari e contadini moriscos che lavoravano le loro terre. In Spagna i borghesi erano stati distolti dal lavoro dagli illusori valori di una società allo sbando; il disprezzo per il commercio e i mestieri manuali, il miraggio di facili guadagni attraverso l'investimento di capitali e la generale brama di titoli nobiliari e prestigio sociale avevano persuaso la borghesia ad abbandonare la sua lotta ineguale e a mettersi sulla scia dei ceti superiori, quindi nel Seicento in Castiglia abbiamo da una parte pochi ricchissimi e dall'altra molti poverissimi. I grandi del regno, comunque, non ricevevano più di un quinto delle loro rendite, perchè gli altri quattro quinti servivano a pagare debiti o interessi di prestiti ricevuti. La vita a corte poteva essere dispendiosa, ma i grandi speravano di risarcire le proprie perdite spennando il tesoro regio; in ventitré anni di regno Filippo III creò tre nuovi duchi, trenta marchesi e trentatré conti. Le prammatiche regie che ordinavano di limitare il numero dei lacchè e dei domestici cadevano nel vuoto. La corte funzionò come una grande calamita, attirando da tutto il paese sradicati, disonesti e ambiziosi. I cadetti delle grandi casate e gli hidalgos ridotti in povertà si affollarono a corte con la speranza di fare fortuna o di recuperare la perduta prosperità; la corte poteva aprire la strada ad una proficua carriera nell'apparato burocratico della monarchia spagnola, bastava un minimo di istruzione. I Colegios Mayores avevano dato alla Spagna molti sei suoi più celebri dotti, ecclesiastici e funzionari di governo, ma col passare del tempo l'antico livello di istruzione si abbassò. I laureati meno bravi avevano scarse speranze di trovare un posto se non si trovavano un patrono influente; in genere gli arbitristas raccomandarono di ridurre le scuole e i conventi e di sfoltire la corte, ma il fatto non era che la corte spendesse troppo, bensì il divario enorme tra spese e investimenti: bisognava aumentare la ricchezza del paese potenziandone le virtualità produttive e non le sue riserve di metallo prezioso, e tale obiettivo poteva essere raggiunto solo investendo maggiori capitali nell'agricoltura e nelle attività manifatturiere. La società non faceva buon uso né del denaro né della forza lavoro, era una società con una scala errata di valori. La ripresa e la catastrofe Gli olandesi avevano approfittato degli anni di pace per consolidare e ampliare le loro conquiste nell'Estremo Oriente a spese dell'impero portoghese; all'interno della Spagna, la situazione della Castiglia e lo stato delle finanze regie insinuarono preoccupazioni sempre più gravi, anche perchè negli ultimi anni di Filippo III l'apporto di argento americano scese abbondantemente. Sul principio dell'estate del 1618 il duca dovette piegarsi, fu istituita una Junta di Riformazione e si diede istruzione al Consiglio di Castiglia di presentare una relazione in cui fossero indicati i rimedi possibili per curare i guai del paese. Il duca perse il potere il 4 ottobre del 1618 con una rivoluzione istigata dal figlio. Il primo febbraio del 1619 il Consiglio di Castiglia presentò la relazione che era stata richiesta: la miseria e lo spopolamento del paese erano attribuiti alle imposte eccessive, perciò si consigliava una riduzione del carico fiscale; si suggerì pure al re di limitare la sua generosità nella concessione di mercedes; la corte doveva essere sfoltita e si dovevano applicare nuovi decreti per troncare la moda di costosi generi di lusso fatti venire dall'estero; si doveva provvedere al ripopolamento delle zone abbandonate e bisognava incoraggiare l'agricoltura; il numero di conventi e scuole primarie esistenti doveva essere ridotto. Nell'estate del 1619 Filippo III si recò in visita di stato in Portogallo, dove furono riunite le Cortes per prestare giuramento di fedeltà al figlio, e nel viaggio di ritorno morì, il 31 marzo 1621; gli successe Filippo IV, che aveva scelto come favorito Gaspar de Guzman, conte di Olivares: egli riuniva l'imperialismo di Carlo V e Filippo II e l'orientamento realistico e pratico degli arbitristas. Nell'aprile del 1621 finì la tregua coi Paesi Bassi e il Consiglio di Portogallo presentò i danni militare che per tanto tempo era stato il sostegno della potenza spagnola. Gli anni seguiti al 1643 videro l'abolizione delle Juntas e il recupero di potere da parte dei Consigli; Filippo IV lasciò il potere nelle mani di don Luis de Haro, nipote dell'Olivares, e il suo compito era quello di riportare la monarchia alla pace. Il 3 gennaio del 1648 i termini generali di un trattato di pace separato tra spagnoli e olandesi furono messi a punto e formarono poi la base del Trattato di Munster, siglato il 24 ottobre del 1648: la Spagna riconosceva l'indipendenza e la sovranità delle Province Unite. La guerra con la Francia però continuò; la Spagna non fu abbandonata da Aragona e Valenza e nell'estate del 1647 Sicilia e Napoli si ribellarono, ma il cardinale Mazzarino non seppe sfruttare in pieno l'occasione e così le insurrezioni furono soffocate. I nobili catalani erano malcontenti quanto gli altri ceti della società catalana e nel 1640 furono anch'essi trascinati nel vortice della rivolta; ma l'aristocrazia temette di dover stare ai capricci della folla, così quando morì il Claris non ci fu più nessuno con tanto prestigio da tenere a freno gli elementi anarchici: il principato si spaccò, diviso tra bellicose fazioni che si erano formate in base ad antagonismi sociali e a rivalità tra famiglie. Via via che la presenza militare francese in Catalogna prese a sbiadire e cominciarono a moltiplicarsi le fratture nella società catalana, a Madrid si tornò a sperare: le forze di Filippo IV penetrarono nel principato, sopraffacendo le forze francesi, e il 13 ottobre 1652 anche Barcellona si arrese; tre mesi dopo il sovrano concesse un'amnistia generale. Finchè la Corona lasciava intatte le libertà delle singole province e agiva come baluardo dell'ordine sociale esistente, la fedeltà al re di Spagna da parte dei ceti che nelle varie società provinciali occupavano il vertice non andava senza troppi vantaggi concreti. Le province ribelli tornarono alla sottomissione, tranne il Portogallo, per svariate ragioni: era stato unito alla Castiglia per soli sessant'anni, era abbastanza vicino al confine da francese per riceverne aiuti ma anche abbastanza lontano da non temere un dominio di Parigi, si affacciava sull'Atlantico e possedeva forti legami commerciali coi paesi dell'Europa del Nord; nel Brasile possedeva il resto di un impero che avrebbe potuto farlo prosperare senza aiuti. Con il Trattato del 1659 si concluse la guerra franco-spagnola: le perdite territoriali furono poche, solo l'Artois, il Rossiglione e parte della Cerdagna; si organizzò il matrimonio tra Maria Teresa, figlia del re spagnolo, e il re francese Luigi XIV. A quel punto Filippo potè concentrare i suoi sforzi nella guerra col Portogallo, ma non c'erano abbastanza risorse per poterla mantenere alla lunga; i soldati spagnoli inviati contro i portoghesi erano male equipaggiati e mal guidati, mentre i nemici erano aiutati da Inghilterra e Francia, così l'esercito fu sconfitto nel 1663 ad Amexial e poi successivamente nel 1665 a Villaviciosa, così il 13 febbraio del 1668 la Spagna riconobbe l'indipendenza portoghese. Filippo IV però era morto il 17 settembre 1665. Epitaffio su un impero La Castiglia agonizzava sia dal punto di vista economico che politico. Carlo II si rivelò un uomo mentalmente instabile, con la madre totalmente priva di doti politiche; così il fratellastro don Juan Josè d'Austria si convince di essere destinato a salvare la Spagna. Il governo era formato da un gruppo scelto di cinque ministri che dovevano agire collettivamente nella cosiddetta Junta de Gobierno e il loro compito era quello di consigliare la reggente fino al giorno in cui il piccolo re non avesse compiuto 14 anni. Tale organo perse in breve ogni potere e fu il sistema federale aragonese che riuscì ben accetto in questo momento storico. Le prospettive della Spagna come potenza europea dipendevano palesemente dalle possibilità che la Castiglia aveva di riprendersi dall'esaurimento debilitante degli ultimi decenni, perciò la necessità era quella di un prolungato buon governo. Dopo il 1665 le Cortes castigliane non vennero più convocate e mentre i vari Consigli litigavano tra loro per ragioni di precedenza e giurisdizione don Juan Josè, temendo imminente il suo arresto, prima riparò in Aragona e poi in Catalogna; nel 1669 si avviò alla volta di Madrid intenzionato a raggiungere un accomodamento con la regina: egli ebbe esitazioni ad assumere il potere supremo, perciò la regina rafforzo la propria posizione istituendo una guardia regia agli ordini del marchese di Aytona, mentre don Juan sorprese tutti accettando la carica di vicerè di Aragona. A Madrid allora il potere finì in mano a Fernando de Valenzuela, che cercò di ingraziarsi il popolino facendo distribuire gratis il pane e organizzando corride, ma dovette affrontare l'avversione di Juan Josè e dei grandi. Nel 1676 don Juan cominciò a marciare su Madrid alla testa dell'esercito che aveva combattuto i francesi nella Catalogna, e la regina gli offrì il governo, che durò dal 1677 al 1679. Intanto Francia e Spagna erano tornate a farsi guerra dal 1673, con principale terreno di scontro la Catalogna; nel 1674 scoppiò però una rivolta in Sicilia, e la pace di Nimega del 1678 vide la Spagna perdere parecchie città nelle Fiandre e il territorio della Franca-Contea. Negli anni intorno al 1680 Carlo II e il suo ministro erano ridotti alla condizione di dipendere dal Consiglio di Stato, con tutte le cariche statali date a gente di alto rango. La Castiglia non aveva merci da esportare che le potessero procurare un afflusso di denaro dall'estero e i due terzi dell'argento che veniva dall'America andavano poi a finire direttamente nelle tasche degli stranieri; così nel febbraio del 1680 il vellon venne deflazionato di metà: il decreto produsse un brusco calo dei prezzi e causò tutta una serie di fallimenti, distruggendo anche gli ultimi resti dell'attività manifatturiera castigliana, e ciò portò anche a una paralisi culturale. Negli ultimi venticinque anni del XVII secolo c'è qualche segnale di ripresa, ad esempio nelle province periferiche della penisola. Nel 1674 trentadue rappresentanti aragonesi si incontrarono sotto la presidenza di don Juan per studiare i mezzi con cui risollevare l'economia del regno e liberarlo dal controllo straniero: finalmente i catalani si guardarono intorno e iniziarono a prendere in mano la ricostruzione dell'industria tessile e così, aumentando la possibilità di una ripresa economica, anche l'ordine pubblico si fece più sicuro. L'egemonia economica si andò spostando dal centro alla periferia, dove l'onere fiscale era minore; dopo il 1686 in Castiglia la moneta conobbe una stabilizzazione e nel 1693 venne a cessare il conio di monete di vellon. Il conte di Oropesa fu primo ministro fino al 1691, quando lasciò la Spagna senza un governo efficiente: la penisola venne divisa in tre grandi unità regionali, ognuna con un suo governo; la prima ebbe un governo guidato dal duca di Montalto, la seconda fu affidata al connestabile della Castiglia e la terza all'ammiraglio. Carlo II non aveva avuto figli e le sue seconde nozze avevano indotto Luigi XIV a dichiarare ancora una volta guerra alla Spagna: si ebbe così una nuova invasione della Catalogna e, nel 1697, addirittura la presa di Barcellona; il trattato di Ryswick del settembre 1697 pose fine al conflitto. Con gli ultimi anni di Carlo II, Francia e Austria speravano di assicurarsi tutta la preda, mentre l'Inghilterra e le Province Unite miravano ad impedire che Francia e Austria se ne impossessassero. Alla fine della pace ci furono tre candidati: il principe Giuseppe Fernando di Baviera, l'arciduca Carlo d'Austria e il francese Filippo d'Angiò. Nel 1696 Carlo II fu persuaso dai consiglieri a dichiararsi in favore del bavarese, così le grandi potenze nel 1698 giunsero a un accordo segreto per la spartizione dell'eredità, ma Carlo fece testamento nominando Giuseppe Ferdinando, il quale però morì l'anno dopo: allora egli scelse il duca d'Angiò. Il 2 ottobre egli firmò il testamento, e morì il primo novembre dello stesso anno, così il duca d'Angiò venne proclamato re di Spagna col nome di Filippo V. Nel maggio del 1702 Inghilterra, imperatore e Province Unite dichiararono congiuntamente guerra alla Francia, che finì col Trattato di Utrecht del 1713: la Gran Bretagna si prese Gibilterra, la Francia ottenne le Fiandre e l'Austria subentrò agli spagnoli nei domini italiani; la Spagna si ridusse ad Aragona, Castiglia e colonie americane. Con la nuova dinastia borbone i privilegi del principato furono regolarmente confermati, ma nel 1705 i catalani ottennero l'appoggio dell'Inghilterra e proclamarono re di Spagna l'arciduca Carlo d'Austria, col nome di Carlo III, ma il suo governo insediato a Barcellona si palesò tristemente inetto; nel 1713 l'Inghilterra abbandonò la causa catalana, ma questi decisero di continuare a resistere per svariati mesi: l'11 settembre del 1714 le forze borboniche si lanciarono in un attacco decisivo e Barcellona cadde, cui seguì poi l'eliminazione di tutte le tradizionali istituzioni catalane.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved