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LA SPAGNA IMPERIALE, CAPITOLI 4-8, PROF CERRON PUGA, Sintesi del corso di Letteratura Spagnola

Letteratura Spagnola III, "LA SPAGNA IMPERIALE" capitoli 4-8, Prof. Cerron Puga RIASSUNTI

Tipologia: Sintesi del corso

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AndreaPanetta
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Scarica LA SPAGNA IMPERIALE, CAPITOLI 4-8, PROF CERRON PUGA e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! LETTERATURA SPAGNOLA III Ferdinando II  re di Sicilia ed erede al trono di Aragona Isabella  erede al trono di Castiglia  Unione delle due Corone 1469 a Valladolid  Chiamati “Re Cattolici” da Papa Alessandro VI Giovanni II  padre di Ferdinando Giovanna “la pazza”  figlia dei Re Cattolici Carlo V  nipote di Isabella figlio di Giovanna Enrico IV di Castiglia  Fratello di Isabella Enrico VII  re di Inghilterra Luigi XI  re di Francia (nella storia dei primi capitoli) Carlo VII  re di Francia (dal 4 in poi) Gonzalo de Cordoba  generale spagnolo e capitano del regno di Napoli Cardinal Cisneros cardinale e reggente di Castiglia per ben 2 volte CAPITOLO 4. LA POLITICA ESTERA DI FERDINANDO Isabella morì nel novembre 1504 e solo nel 1522 suo nipote Carlo V divenne il successore al trono spagnolo. Ci fu un intervallo di 18 anni, e durante questi anni l’unione delle due Corone venne preservata.  2 furono gli obiettivi principali della politica estera di Ferdinando: 1. Isolare diplomaticamente la Francia e al tempo stesso stringere dei rapporti solidi tra la Castiglia e i paesi Europei: -Durante il periodo di reconquista, Ferdinando si dedicò a rafforzare i rapporti tra la Spagna e il Portogallo sperando di preparare la strada all’unificazione definitiva della penisola iberica  per assicurarsi la successione di un giusto sovrano, i Re Cattolici diedero in sposa la loro figlia Maria al portoghese Emmanuele. - 2. Recuperare le contee catalane del Rossiglione e della Cerdagna, ora in mano ai francesi (territori originari dei catalani ma considerati parte dei domini della Spagna, come lo era il regno di Granada): La riacquisizione del regno di Granada nel 1492 (fine reconquista) consentì a Ferdinando di concentrare la sua politica estera sulla frontiera franco-catalana e sull’Italia, quindi il suo intento era quello di recuperare le due contee catalane. Con il Trattato di Medina del Campo del 1489(alleanza tra Inghilterra e Spagna) Ferdinando contava di invadere più facilmente il territorio francese, poiché gli inglesi avevano il compito di impegnare i francesi nel Nord. Ma questo piano non andò a buon fine. Per garantirsi il disinteresse della Spagna, il re di Francia Carlo VIII, attraverso il Trattato di Barcellona del 1493, restituì le contee alla Spagna. Tutto ciò perché il suo intento era quello di invadere l’Italia  minaccia per la Corona d’Aragona. Per bloccare la spedizione e per accerchiare la Francia, Ferdinando formò: -nel 1495 la Lega Santa, una coalizione formata da Inghilterra, Spagna, l’impero romano e il papa (uno dei più grandi successi diplomatici di Ferdinando), -e durante gli ultimi anni del XV secolo formò anche 5 ambasciate permanenti: a Roma, a Venezia, a Londra, a Bruxelles e presso la corte austriaca (procurarono un grande successo alla politica estera spagnola): queste corti erano formate da professionisti con buoni studi giuridici, come Rodrigo de Puebla (ambasciatore a Londra) e Francisco de Rojas (ambasciatore a Roma)  tutto ciò per creare un servizio diplomatico efficiente che doveva recare successi alla Spagna, assieme alla formazione di un esercito forte per procurare delle grandi vittorie  grazie all’aiuto di Gonzalo de Cordoba (generale spagnolo e capitano del regno di Napoli) i francesi furono così battuti sul suolo Italiano, e nel 1504 gli spagnoli si impossessarono del regno di Napoli: così Napoli, assieme a Sicilia e Sardegna, entrò a far parte dei possedimenti aragonesi. Dopo la morte di Isabella, porre una dinastia straniera (Asburgo=Paesi Bassi) sul trono Castigliano (quindi spagnolo) non era in programma, ma ormai, dopo la morte dei figli e dei nipoti dei re cattolici, il diritto di succedere ai genitori spettava alla figlia Giovanna di Castiglia (chiamata “la pazza” perché era mentalmente instabile) sposata con Filippo d’Asburgo (diventato Filippo I quando divenne re di Castiglia) e quindi ad ereditare sia la Spagna sia i domini degli Asburgo spettava al primogenito Carlo. LA SUCCESSIONE ASBURGICA Quando Isabella e Ferdinando si unirono in matrimonio nel 1469, nel contratto venne stabilito che al primo posto nel governare il paese dovesse esserci Isabella, mentre al secondo posto Ferdinando. Quest’ultimo e a suo padre Giovanni II di Aragona non erano nella posizione di rifiutarsi, poiché per sconfiggere le forze francesi di Luigi XI (re di francia all’epoca) che voleva In un clima di crisi imminente, il Chièvres e il Gattinara (cancelliere di Carlo V) accellerarono le pratiche per la partenza del re. Tra questi preparativi era prevista anche un’altra sessione di Cortes castigliane (vennero convocate prima a Valladolid nel 1518 per giurare fedeltà al re Carlo) a Santiago, sperando di indebolire l’opposizione ma non furono in grado di ammorbidire l’ostilità della popolazione. Si volle, inoltre, fornire i pieni poteri ai procuradores delle città. Il 1 aprile 1520 le Cortes iniziarono i loro lavori a Santiago e si scoprì che Salamanca aveva sfidato il comando del re e le altre città avevano munito i loro procuradores di istituzioni segrete. Anche se il vescovo e l’imperatore sottolinearono il fatto che la Spagna diventava la base dell’Impero e che Carlo sarebbe ritornato, le Cortes non si placarono e i procuradores non vollero crederci. il 10 aprile il Gattinara fece spostare la sede delle Cortes da Santiago a la Coruña e Carlo nominò come suo reggente Adriano di Utrecht. Il 20 maggio Carlo si imbarcò per andare a prendere possesso del trono imperiale mentre lasciava un Paese in rivolta. CAPITOLO 5 - AMMINISTRAZIONE ED ECONOMIA SOTTO IL REGNO DI CARLO V (1517-1556) L’impero:principi ideali e funzionamento In Spagna Carlo ci fu effettivamente per 16 anni. Nel 1543 fu assente fino al 1556, quando dopo l’abdicazione soggiornò in un palazzo accanto al monastero di Yuste, dove morì due anni dopo. I timori dei comuneros, insomma, erano legittimi: il re era assente ed era piano di altri impegni oltre che quelli spagnoli. A chi doveva essere affidata la reggenza durante la sua assenza? Qual era il suo rapporto con i territori imperiali?  problemi che si risolsero in natura amministrativa e fiscale. Dal 1522 al 1529 (Carlo era in Spagna) fu chiamato a collaborare dal cancelliere Gattinara, che accompagnava Carlo negli spostamenti e nella politica estera. Nel 1526 Carlo sposa la cugina Isabella, figlia del re di Portogallo, creando un collegamento tra Castiglia e Portogallo, che fu fecondo. Da loro nacque Filippo. Isabella fu un’ottima reggente fino alla sua morte nel 1539. Il governo effettivo per un ventennio lo tenne però Francisco de los Cobos, che aveva ottenuto un posto nella segreteria regia. Con lui il governo funzionò speditamente e tranquillamente, dopo gli sconvolgimenti del 1520 e del 1521  dopo aver fatto una lenta e ininterrotta carriera al servizio di Ferdinando, dopo la morte di quest’ultimo, prese la decisione di lasciare la Spagna per le Fiandre. Nelle Fiandre andò munito della raccomandazione del cardinal Cisneros e con il vantaggio di essere uno dei pochi funzionari regi giunti dalla Spagna essendo soprattutto purosangue spagnolo. Con la sua simpatia, ottenne il favore del Chièvres che lo mise accanto a Carlo come suo segretario. L’esperienza che Francisco aveva nel governo della Castiglia gli giovò moltissimo: Carlo, avendo acquisito già la corona imperiale, tornò in Spagna. La raccomandazione ottenuta dal Chièvres, consentì a Francisco di rivaleggiare con il cancelliere Gattinara per assicurarsi il controllo amministrativo: lotta che vinse Francisco quando, nel 1530, Gattinara morì. In quegli anni Francisco viaggiò assieme a Carlo fuori dalla Spagna esercitando la funzione di consigliere principale. Grazie alla sua ormai vasta esperienza, indusse Carlo a lasciare Francisco al governo della Spagna. (morì poi nel 1547). L’impero era formato da domini ereditari asburgici, borgognoni, spagnoli e la concezione di Carlo riguardo i territori era essenzialmente patrimoniale. Ogni dominio era considerato un’entità a sé stante, anche se erano sotto un unico sovrano ognuno manteneva intatta la libertà, leggi e tradizioni: il resto era violazione. Non c’era bisogno di un vincolo unitario, per il fatto che avevano tutti lo stesso sovrano. Le conseguenze furono: 1. Un congelamento degli ordinamenti costituzionali singoli dei territori: ogni dominio, infatti, era sensibile ad ogni minaccia reale e questa gelosa difesa del proprio assetto impedì che si creasse un ordinamento istituzionale comune all’Impero (il Gattinara era consenziente ma a quanto pare l’imperatore no). 2. L’impedimento della formazione di vincoli economico-politici tra i domini per creare una mistica imperiale (es: coinvolgimento comune in guerre). Così, i domini di Carlo continuarono a vivere in funzione dei loro interessi e a percepire in senso negativo il coinvolgimento in guerre (dato che aveva poca attinenza con i loro interessi). Una guerra vicina era rappresentata dalla minaccia turca nel Mediterraneo occidentale: gli ottomani avevano denaro, uomini, sete imperialistica. Le coste spagnole erano minacciate dai pirati, le derrate siciliane intercettate, i moriscos a rischio di rivolta. L’organizzazione dell’impero Il fatto dominante della storia spagnola sotto Carlo V e Filippo II fu la guerra. Dopo la guerra, l’altro fatto caratteristico fu la burocratizzazione. Per governare la Spagna e i domini oltreoceano servivano funzionari, anche se Carlo amava condurre di persona gli eserciti e governare i sudditi (fu e rimase un sovrano vecchio stile). Servivano, però, nuove tecniche che andavano a sostituire il governo attuato con la parola detta, con il governo della parola scritta (“governo delle carte”)  ciò simboleggiò la trasformazione dell’impero spagnolo che dall’età dei conquistadores passò a quella dei funzionari. Il miglioramento fu opera di Gattinara, che tra il 1522 e il 1524, riformò il Consiglio castigliano creando il Consiglio delle Finanze, riorganizzò il governo della Navarra e istituì un Consiglio per le Indie. (Nel 1555 venne istituito un Consiglio italiano). Questa organizzazione era perfetta per un impero vasto e per un re assente. Che doveva fare il Consiglio? 1. Consigliare il sovrano o, se il sovrano era assente, consigliare il suo reggente. Il Cobos si dispose per raccogliere tutti gli atti ufficiali (documenti di Stato) raccolti nella fortezza di Simancas (vicina a Valladolid, che era centro amministrativo). I diversi Consigli che formavano l’amministrazione o il governo possono essere divisi in 2 grandi categorie: 1. Il Consejo de Estado: doveva fornire pareri di portata generale o relativi alla monarchia nel suo insieme. Era composto dall’arcivescovo di Toledo, dal Gattinara, dai Duchi d’Alba ecc. 2. Il Consiglio di Guerra: connesso al Consiglio di Stato e avente tra i suoi membri quasi gli stessi uomini, si occupava dell’organizzazione militare della monarchia. La più importante delle riforme volute dal Gattinara fu l’istituzione del Consiglio delle Finanze (prima castigliane, poi della corona) e quindi del Consejo de Hacienda, avente come segretario il Cobos con i suoi favoriti. L’organo che la Spagna prese come modello da seguire fu il Conseil des Finances fiammingo, il cui presidente era Enrico di Nassau, che aveva accompagnato Carlo dalle Fiandre in Spagna. Il Consiglio della Castiglia, seppur ridimensionato dalle riforme di Gattinara, restò l’organo principale di governo in seguito, però, venne creato un consiglio di gabinetto chiamato Consejo de la Camara de Castilla: costituito solo da 3\4 membri consiglieri del Consiglio di Castiglia e aveva il compito di assistere il re in tutti gli affari di materia ecclesiastica, giudiziaria e amministrativa. Grande preoccupazione per Gattinara fu il settore coloniale, gestito da Juan de Fonseca fino alla sua morte nel ’24, quando nacque appunto il Consiglio delle Indie, l’equivalente in America di quello castigliano. Tale Consiglio, composto da un presidente e 8 membri, aveva il controllo degli affari amministrativi, giudiziari ed ecclesiastici riguardanti le Indie e fu lo strumento col quale la Corona stabilì la propria autorità sui suoi possessi americani e col quale amministrò le colonie. (nascita del vicereame della Nuova Spagna, che comprendeva: la metà centro-occidentale degli attuali USA, l’attuale Messico, parte dell’America centrale, Cuba, Filippine, Messico ecc). cereali. I contadini, però, erano dei piccoli proprietari che non possedevano né mezzi né l’abilità tecnica per fronteggiare il problema della siccità.  per realizzare i progetti di irrigazione serviva il capitale ma allora affluiva a sostegno delle iniziative commerciali. Quindi, i contadini incrementarono la produzione con l’unico metodo che gli era possibile: il dissodamento (lavorazione) di terreno incolto. Il terreno così recuperato poteva essere dato in affitto, dietro pagamento di un canone, da proprietari aristocratici, i quali lo affittavano. Inoltre, il denaro per dissodare il terreno doveva essere chiesto in prestito da qualche ricco cittadino o da qualche notabile  il prestito avveniva secondo il censo al quitar : prestito a breve termine al tasso del 7,14 % (un quattordicesimo del capitale prestato), garantito da un’ipoteca (diritto di garanzia) sul terreno del contadino che prendeva in prestito. Il contadino avrebbe dovuto trarre beneficio dall’aumento dei prezzi agricoli e dal diritto legale (riconosciuto nel 1533), per potersi ricomprare il censo. Tuttavia, i profitti del contadino furono scremati dalla tasa (dal calmiere: prezzo massimo di vendita) del grano, ristabilito però nel 1539. Di fatto, però, il contadino non era mai in condizioni di riscattare il censo, e se qualcuno riuscì a conservare quanto possedeva, sarebbero bastati due o tre raccolti andati male per vedere di nuovo l’indebitamento crescere. Anche l’industria tessile, la più fiorente, era precaria: 1. Perché non si diede troppo peso all’addestramento dei lavoranti e quindi la qualità era scadente; 2.Perché la mano d’opera scarseggiava in confronto all’enorme richiesta proveniente dal mercato interno e americano non riuscendo a reclutare mano d’opera dagli artigiani delle città, ci si volse ai contadini, ai vagabondi e ai mendicanti che si aggiravano per le strade di Castiglia (l’industria era lì). 3. Il prezzo eccessivamente alto  l’alto prezzo dei tessuti dipendeva dall’altissima domanda che veniva dall’estero e quindi, per contenerli, si decise di bloccare le esportazioni tessili di fabbricazione castigliana all’estero (fatta eccezione per le Indie) e di consentire l’importazione in Castiglia di tessuti esteri. A queste disposizioni seguì, negli anni successivi, una brusca depressione nel settore tessile castigliano per via della concorrenza di prodotti esteri meno cari allora si tolse il divieto sulle esportazioni. Le cortes individuarono la causa che scatenò la crisi: l’alta domanda dei tessuti castigliani da parte dei paesi stranieri e dell’America. Dopo il 1550 un’altra spiegazione plausibile arrivò dall’economo Martin de Azpilcueta, che affermò che l’ascesa dei prezzi era dovuta alla rarità della moneta che ne alzava così il proprio valore, ciò che non accadeva in Francia perché la Francia non aveva scoperto le Indie e il paese non era stato così inondato di oro e di argento. Nel 1934, un altro economista americano Hamilton ipotizzò che la rivoluzione dei prezzi in Spagna fosse causata dalle “doviziose miniere americane”. Si fecero molte domande in merito: Il contrabbando? A chi apparteneva l’argento e da chi veniva usato? Innanzitutto il metallo che proveniva era ipotecato dai banchieri stranieri che avrebbero potuto trasferirlo subito fuori dalla Spagna, e molto di questo serviva per pagare il costo delle merci inviate fuori.  se le merci erano spagnole, allora restavano in mani spagnole, se la domanda perl non veniva soddisfatta allora i carichi destinati all’America erano di prodotti non spagnoli. Sembra, quindi, che la registrazione del metallo a Siviglia fosse una pura formalità. Non ci fu svilimento della moneta come accadde in passato, ma Carlo utilizzava dei buoni di credito per i prestiti , con effetto inflazionistico. I problemi della finanza imperiale Dal momento in cui fu eletto Carlo V imperatore, egli si trovò in mezzo a numerosi impegni: 1. La guerra con la Francia, 2. La guerra con i turchi, 3. Il soffocamento dell’eresia e della ribellione tedesca. Carlo V, sempre a corto di fondi, dovette rivolgersi da un dominio all’altro per avere prestiti dai banchieri tedeschi e genovesi per poter superare dei grandi momenti di buio. Il collasso finanziario avvenne nel 1557, già quando vi era Filippo II: fu una vera e propria bancarotta. Inizialmente, con Carlo V, il grosso delle sue spese lo finanziavano i Paesi Bassi e l’Italia, poi successivamente la Spagna stessa. In Spagna esistevano diverse fonti virtuali di entrata: il contributo della Chiesa spagnola alla politica imperiale nel 500 e 600 fu di grande aiuto: agirono secondo quella volontà luterana di spogliazione dei beni con o senza rottura con il papa (rottura che non avvenne). Durante il regno di Carlo i contributi diretti dati dalla Chiesa spagnola alla Corona furono le tercias reales, ossia il terzo di tutte le tasse riscosse dalla Chiesa nel regno di Castiglia, e il subsidio, che era un’imposta su tutte le entrate e i redditi della Chiesa nei vari regni spagnoli, la cui entità veniva accordata tra il papa e la Corona. Successivamente si aggiunse l’excusado : una nuova imposta con cui si voleva sovvenire al costo della guerra nelle Fiandre. La Corona poté, inoltre, contare sui beni e sui redditi degli Ordini militari, che papa Adriano VI (già tutore di Carlo V) nel 1523 affidò alla Corona e dopo poco furono dati ai banchieri a garanzia dei prestiti anticipati dal sovrano. Inoltre, si aggiunse un’altra imposta: la cruzada. originariamente era un tributo dato come fonte di sostentamento nella guerra contro i mori ai sovrani spagnoli. Successivamente divenne una forma normale di reddito per la Corona: l’imposta era a scadenza triennale e la pagavano ogni uomo , donna o fanciullo che voleva usufruire dell’indulgenza ad essa connessa. Dall’inizio del regno di Carlo, ci furono 6 riunioni di Cortes in cui si stabilivano i contributi da pagare: ad ogni sessione i contributi aumentavano. Le imposte comuni (non ecclesiastiche) che costituivano una modesta quota provenivano dalla Corona d’Aragona ma le Cortes, diventate molto potenti, decisero che il regno d’Aragona non doveva pagare più di quello che versava all’inizio del regno di Carlo V. Egli, quindi, iniziò a trarre vantaggio economico sempre più massiccio sulle risorse fiscali della Castiglia, dove le Cortes avevano un potere minore ed esistevano fonti di entrata che sfuggivano al controllo delle Cortes. Queste imposte non controllate erano chiamate rentas ordinarias e comprendevano: i dazi, l’almojarifazgo sui traffici americani, ma soprattutto l’alcabala, che era un’imposta sulle vendite, percepita dalla Corona di Castiglia per tutto il 15 secolo ed era stata considerata un’imposta regia per la quale non era richiesto il consenso del regno. L’unico modo per far aumentare le imposte era quello di ottenere il consenso dalle Cortes  per questa ragione, le Cortes di Castiglia, dopo aver attraversato un periodo incolore sotto il regno di Isabella, riacquistarono parte della loro importanza con Carlo V. Il contributo che le Cortes versavano al sovrano era chiamato servicio ed serviva per far fronte a situazioni straordinarie. Nel frattempo, il valore dell’alcabala diminuì e quello del servicio giunse a quadruplicarsi. L’alcabala aveva il grande vantaggio di essere un’imposta generale che dovevano pagare tutti, quale che fosse il rango sociale , mentre il pagamento del servicio era destinato ai contribuenti e ne restavano esenti i nobili  l’effetto generale fu quello di caricare, sia tramite l’alcabala che il servicio, l’onere fiscale sulle spalle di coloro che avevano meno forza per sopportarlo. Possiamo dire che l’incremento dei servicios ebbe un’importanza sociale per il fatto che contribuì ad allargare il divario tra i ricchi esenti e i poveri troppo gravati, e indusse i ricchi mercanti e uomini d’affari a comprare privilegi di hidalguìa (privilegi nobiliari e sociali) per sfuggire alle tassazioni. Ai due tipi di cristianesimo aderirono le donne spagnole devote, chiamate beatas , e i francescani che provenivano da famiglie di conversos. Nei primi anni del 500 (XVI) si formò un vero e proprio movimento religioso quando Isabel de la Cruz, suora francescana convertita, organizzò centri di pietà con i suoi seguaci, gli Illuminati (alumbrados): essi abbandonarono la caratteristica visionaria del Savonarola per un misticismo chiamato dejamiento, che mirava ad un abbandono totale e passivo al volere divino attraverso una purificazione interna. Ciò iniziò a preoccupare l’Inquisizione che, quando era ancora in vita Ferdinando, era sotto il controllo della Corona. Adesso, a capo dell’Inquisizione troviamo il cardinal Cisneros. Gli abusi del potere inquisitorio spinse Carlo V a fare pressioni sul nuovo sovrano affinché decidesse un drastico programma di riforma. Quando poi Carlo tornò in Spagna era già troppo tardi: scoppia il luteranesimo(cristiani protestanti) tedesco  si iniziarono a cercare tracce di luteranesimo anche in Spagna e si fece di tutto perché non si dilagasse. L’Inquisizione portò la sua attenzione sugli alumbrados, così nel 1524 Isabel de la Cruz venne arrestata per eresia. Vennero giudicati eretici sia loro che i luterani, perché l’Inquisizione sospettò che tra i due vi fosse una stretta connessione (entrambi davano risalto alla pietà interiore e non ai riti esterni). Tutti coloro che erano sospettati di pratiche illuministe venivano messi subito in carcere. Questa rete fu tanto ampia che venne catturato anche Ignazio di Loyola. Persino l’erasmismo (l'erasmismo propugnava un compromesso tra il protestantesimo e il papato, criticava la corruzione del clero, specialmente del clero regolare, e gli aspetti esteriori della religiosità cattolica (culto dei santi, reliquie, etc.) a favore di una religiosità interiore e spirituale), che niente sembrava avere di eretico, faceva paura per il fatto che desse più importanza alla pietà interiore e non a quella esteriore dei riti: vennero scoperti gruppi di alumbrados ed erasmiani come, ad esempio, Juan de Valdés. L’erasmismo era una corrente culturale o religiosa forestiera che aveva appoggi tra gli uomini di corte e i consiglieri dell’imperatore, anch’egli straniero. Già un decennio prima in Spagna vi fu la rivolta dei comuneros: frati ed ecclesiastici combattevano per preservare la fede pura e le tradizioni castigliane, mossi da un odio per gli stranieri e per le loro idee e usanze forestiere. Le persecuzioni degli erasmiani (1530) sono equivalenti alle persecuzioni dei forestieri avvenute un decennio prima. Nei decenni centrali del 500, per tutta Europa si fece sentire un gran fermento religioso e intellettuale: molti erano fedeli alla tradizione, altri invece erano entusiasti delle nuove idee perché speravano in una rigenerazione della società. Dato che non vi era nessun compromesso tra due punti di vista così opposti, venne combattuta una lotta dal 1520 al 1570 e terminò con la vittoria dei tradizionalisti. Verso quell’anno, infatti, la spagna “aperta” del Rinascimento, si trasformò nella Spagna “chiusa” della Controriforma. L’imposizione dell’ortodossia (= accettazione piena e coerente dei principi di una dottrina. Opposto all’eresia\eterodossia) Nel 1527 l’arcivescovo Manrique convoca a Valladolid un colloquio di teologi perché dovevano discutere sull’ortodossia di Erasmo, per cercare di fermare gli oppositori. Il Manrique vieta così ogni attacco all’erasmismo, ma i conservatori non si sentono ancora sconfitti.  la circostanza favorevole fu quando Carlo V (grande protettore degli erasmiani) partì per l’Italia nel 1529: gli anti-erasmiani accusarono gli erasmiani di simpatie illuministiche e luterane. L’asso nella manica fu Francisco Hernàndez (guida degli alumbrados) che, dopo essere stato arrestato, fece da informatore all’Inquisizione e denunciò uno dopo l’altro i maggiori esponenti dell’erasmismo spagnolo. L’inquisizione condannò gli erasmiani spagnoli più influenti, tra cui un dotto greco Juan de Vergara, amico di Erasmo: venne denunciato come alumbrado e come luterano, fu costretto a rinunciare alla propria religione e a passare un anno chiuso in un monastero. Questa campagna per infangare l’erasmismo dipingendolo come collegato agli alumbrados e ai luterani, mise fine all’erasmismo spagnolo. L’Inquisizione spagnola = organismo incaricato di indagare, mediante un tribunale, i sostenitori di teorie eterodosse o contrarie all’ortodossia. Sant’Uffizio = organismo incaricato di promuovere e tutelare la dottrina cristiana. L’Inquisizione spagnola, impaurita dai mori, dagli ebrei e ora dai luterani, dovendo ora operare in un paese dove abbondavano le credenze eterodosse, non tollerava più neanche la minima deviazione dell’ortodossia. Nei decenni tra il 1530 e il 1550 il tribunale si trasformò in una macchina da guerra per le denunce e per i “rimedi” contro l’eresia. La popolazione era arrivata ad avere più paura dell’eresia anzicché dei metodi presi in considerazione da questa istituzione per estirparla.  il Sant’Uffizio ricorre alla tortura e al rogo per gli eretici. Il tribunale aveva circa ventimila famuli sparsi su tutto il territorio spagnolo e in virtù dell’Editto della Fede, avevano il diritto di visitare qualsiasi distretto e leggere al popolo pratiche eretiche pericolose, al fine di esortarlo a denunciare queste pratiche e chi le praticava. E poiché queste vittime dell’Inquisizione non sapevano mai chi fossero i loro accusatori, l’Editto della Fede offriva un’occasione ideale per compiere vendette private, incoraggiando la calunnia e la delazione. La Spagna della controriforma Le persecuzioni degli alumbrados e degli erasmiani, aveva posto la Spagna su una strada peculiare. Nel 1563 venne dichiarato chiuso il Concilio di Trento: la Spagna rinascimentale, aperta all’influenza dell’umanesimo europeo, si trasformò di fatto nella Spagna chiusa della Controriforma. Il potere era passato nelle mani di Hernando de Valdès (inquisitore generale) e a Melchor Cano (sommo teologo domenicano). 1557\58: Quando Ginevra divenne di una nuova forma di protestantesimo, le ultime speranze di una riconciliazione tra Roma e i protestanti caddero del tutto.  si scorgeva un nuovo spirito combattivo: Ginevra era pronta a combattere con le sue tipografie e con i suoi pastori, e Roma con i suoi gesuiti, la sua Inquisizione e l’Indice dei Libri Proibiti. Fu proprio negli anni 1557\1558, in questo clima di tensione, che si scoprirono piccoli gruppi protestanti a Valladolid e Siviglia: questi gruppi avevano avuto contatti con Ginevra e presentavano caratteristiche analoghe a quelle dei precedenti gruppi di ambrados. Di questi gruppi facevano parte personaggi di corte, come Costantino Ponce de La Fuente (confessore di Carlo V) e Agustìn Cazalla (uno dei predicatori preferiti dall’imperatore). L’eresia stava facendo progressi e si dovevano moltiplicare gli sforzi al fine di proteggere la Spagna dal contagio esterno. Nel 1558, la sorella di Filippo, l’infanta Juana, che fungeva da reggente per conto del fratello, vietò l’importazione di libri stranieri e ordinò che i libri stampati in Spagna dovevano essere pubblicati con il permesso del Consiglio della Castiglia. Queste disposizioni non erano le prime misure censorie adottate, infatti, già Ferdinando e Isabella avevano vietato la lettura della Bibbia in volgare. Indubbiamente, le misure adottate nel 58\59 colpirono duramente la vita culturale spagnola. Pare, però, che il divieto non fosse totale: nella seconda metà del 500 studenti spagnoli frequentavano ancora i corsi delle università italiane, fiamminghe e francesi, e anche i contatti con le Fiandre continuavano ad essere stretti. Non ci fu una frattura negli stretti rapporti culturali che legavano la Spagna e l’Italia: l’Italia era stata per la Spagna una fonte di stimoli intellettuali e artistici, e la Spagna a sua volta aveva fatto da tramite trasmettendo la cultura italiana alla Francia e ai paesi del Nord. Questo flusso di cultura non venne interrotto dalla crisi religiosa. Sotto il profilo religioso, la Spagna continuò a far parte dell’Europa controriformista. Il continente si era diviso in due parti ed entrambe le parti si stavano barricando per opporsi alle convinzioni religiose della parte avversa. Mentre la Spagna combatteva contro l’influsso culturale e religioso esterno, pose l’accento sul suo rapporto con il capo dell’Europa controriformista.  durante il regno di Carlo V, il rapporto tra i papi e l’imperatore era teso e cattivo. Durante il pontificato di Paolo IV (1555-59), di orientamento anti-spagnolo, la Spagna e il papa si fecero la guerra. Il Duca d’Alba ebbe l’incarico di andare nei Paesi Bassi con un esercito al fine di soffocare la rivolta. Non era ben chiaro il perché il duca fosse stato mandato lì, se per soffocare il focolaio di ribellione o per annientare l’eresia. Si decise poi che la cosa migliore era presentare la guerra nei Paesi Bassi come una spedizione militare cattolica contro i ribelli, ma in realtà per Filippo eresia e ribellione erano sinonimi. Anno dopo anno il re si rendeva sempre più conto che i ribelli olandesi non erano soli: dietro di loro ci stavano gli ugonotti, i corsari bretoni che impedivano comunicazioni tra Spagna e Fiandre e quelli inglesi che minacciavano i Caraibi. La guerra si ampliava: baia di Biscaglia, Manica e Atlantico. Nel frattempo si scongiuravano presenze eretiche nella Catalogna: uno dei punti più deboli del territorio. Se l’eresia avesse impiantato le sue radici anche nella Catalogna, si sarebbe venuta a creare una situazione simile a quella dei Paesi Bassi per via della sua posizione geografica Filippo ordinò ai viceré di di vigilare l frontiera e nel 1568 vietò al popolo della Corona di Aragona di recarsi all’estero per i loro studi, in Catalogna venne istituita una censura severa e vennero allontanate dalle scuole catalane tutti i francesi che vi insegnavano. Il pericolo protestante ed eretico cresceva e la Catalogna non era l’unica regione di Spagna ad essere minacciata: nella notte di natale del 1568 una banda di fuorilegge irruppe nella città di Granada dicendo che la zona delle Alpujarras (regione della Spagna del sud, comprendeva Granada, Almeria ecc) era insorta. La seconda ribellione delle Alpujarras (nota anche come la rivolta dei moriscos)- (1568-1570) Moriscos: musulmani discendenti dai mori di Al-Andalus Gli ebrei convertiti erano stati a lungo oggetto delle attenzioni inquisitoriali, mentre il Sant’Uffizio se ne preoccupava meno perché i mori erano disprezzati dal punto di vista razziale, più che temuti. La loro conversione non destava fiducia e si pensava che avessero contatti con i turchi, i più grandi nemici della Spagna. I moriscos erano arrabbiati per il trattamento loro riservato e infatti, la ribellione delle Alpujarras fu la risposta che i moriscos di Granada diedero alle misure drastiche adottate che peggiorarono le loro condizioni di vita, già molto precarie. Pur essendo state emanate nel 1508 ordinanze restrittive, i moriscos continuarono sempre a parlare arabo, a vestire con i loro abiti tradizionali, investivano ricchezze e continuarono anche con le vendette di famiglia. A Granada ci fu una lite su questioni di giurisdizione tra l’audiencia di Granada e il capitano generale, il marchese di Mondejar i Mondejar, per preservare la loro posizione, avevano instaurato un rapporto stretto con i moriscos, i quali trovarono in loro i protettori più efficaci contro la Chiesa, l’audiencia e l’Inquisizione. La posizione del Mondejar, minacciata da vari nemici, vacillò e lasciò i moriscos esposti alle loro difficoltà economiche e religiose. L’economia dei moriscos si fondava sulla lavorazione della seta l’attività serica fu duramente colpita per due motivi: 1. L’ordinanza emanata che vietava l’esportazione di seta; 2. Dalle imposte che aumentavano a vista d’occhio. L’Inquisizione decise di conquistare i beni dei moriscos anche se non sarebbero stati in grado di pagare le imposte, che servivano per mantenere i soldati. Inoltre, i moriscos si trovarono ad affrontare anche la Chiesa andalusa: il clero di Granada venne spesso lasciato solo a sé stesso e solo nel 1546 Granada trovò un nuovo arcivescovo, Pedro Guerrero. Il clero di Granada aveva bisogno di riforme e quando Pedro tornò dal Concilio di Trento nel 1564 decise di applicare nella sua diocesi i decreti tridentini. L’ordinanza del 1566-67 fu il preludio all’insurrezione delle Alpujarras  si vietò di parlare arabo e di vestire con i loro abiti tradizionali. I moriscos, al questo punto, inviarono una delegazione a Madrid affinché questa ordinanza venisse sospesa. La richiesta fu appoggiata dal conte di Tendilla (uno dei Mendoza) , ma Pedro de Deza (presidente dell’audiencia di Granada) aveva il compito preciso di applicare l’ordinanza. I tentativi di applicazione forzosa dell’ordinanza furono la causa della rivolta. Tre furono i personaggi importanti in questa vicenda: 1. Il cardinale Espinosa (presidente del consiglio di Castiglia); 2. Pedro de Deza 3. Il re Nel 1570 l’insurrezione fu soffocata e si ordinò che i moriscos di Granada si disperdessero in tutta la Castiglia, che avrebbe generato un pericolo ancora più complesso per le generazioni future. La religione militante e la religione trionfante La rivolta di Granada fu soffocata ma la flotta turca era tornata all’attacco nel Mediterraneo. Nel 1571 si costituì una Lega Santa tra Spagna, Venezia e Santa Sede. La flotta della Lega Santa si riunì a Messina nel 1571 sotto il comando di don Giovanni d’Austria: lo scontro tra le forze cristiane e la flotta ottomana, che rappresentava la minaccia islamica, avvenne a Lepanto e vide la vittoria dei cristiani. Questa vittoria fu un tema di vanto soprattutto per coloro che avevano partecipato alla battaglia, come Miguel de Cervantes. Avevano finalmente liberato la cristianità da un oppressore potente e don Giovanni d’Austria venne visto come l’eroe crociato e un uomo che aveva operato grazie all’aiuto del Signore. I turchi, però, si stavano preparando già ad una controffensiva e ci si chiedeva se la Spagna fosse in grado di sopportare una nuova guerra nel Mediterraneo. Alla fine, i due grandi nemici concentrarono le loro forze altrove: i turchi volsero ad oriente contro la Persia e gli spagnoli ad occidente sul nuovo fronte atlantico. La spagna si trovò finalmente libera di concentrare la propria attenzione sulla minaccia che veniva dalle potenze protestanti del Nord-Europa (tra il 1570-90). Ogni deviazione religiosa era stata eliminata, le frontiere erano state chiuse all’ingresso di idee forestiere (anzi, si pensò anche di allentare le misure rigorose prima adottate): il paese era ormai preparato al nuovo conflitto. Sotto il cardinale Quiroga, che divenne inquisitore generale nel 1573 e tempo dopo subentrò al posto di Carranza come arcivescovo di Toledo, si diffuse in spagna la teoria copernicana che dal 1594 fu raccomandata come testo di studio a Salamanca. Si respira un clima di rinnovata fiducia e di intensità spirituale in Castiglia segno del movimento di riforma è la nascita del primo convento delle Carmelitane scalze, fondato da Santa Teresa d’Avila nel 1562. Si riformano gli Ordini religiosi e ne nascono di nuovi, si fondano ospedali e ricoveri per mendicanti. La tolleranza creò condizioni affinché si avesse diffusione di scritti prima condannati, ascetici o mistici; ci si riavvicinò al neoplatonismo in accordo con l’umanesimo rinascimentale. CAPITOLO 7 - “UN SOLO RE, UN SOLO IMPERO, UNA SOLA SPADA” Il re e la corte Il titolo è tratto da un sonetto di Hernando de Acuña dedicato a Filippo II, il quale canta l’arrivo del giorno in cui il mondo avrebbe avuto un solo re e un solo impero. Filippo aveva la convinzione che gli fosse stata affidata da Dio una missione speciale da compiere. In quanto re, egli doveva “trabajar para el pueblo”, difenderlo dai nemici, amministrare la giustizia nell’ottica di un governo giusto: quel tipo di governo in cui il re ricompensava i buoni, puniva i malvagi, e faceva in modo che tutti avessero i loro diritti e i loro beni. Il padre, Carlo V, aveva inculcato al figlio un alto senso del dovere: Filippo doveva sempre tenere Dio davanti agli occhi, ascoltare i suggerimenti dei consiglieri, non andare in collera, non offendere l’Inquisizione ed eliminare la corruzione. Il re accettò le visioni del duca e lo inviò nei Paesi Bassi: nel 1573 il duca fallì e fu sollevato dal suo incarico, lasciando via libera agli eboliani. Il principe d’Eboli e il cardinale Espinosa morirono in quel periodo. Capo effettivo della fazione divenne il figlio di Pérez, Antonio, che seppe procurarsi un alleato prezioso: il Vescovo di Quiroga, che era successo all’Espinosa nella carica di inquisitore generale. La fazione doveva contare su qualche personaggio dell’aristocrazia e così, nel 1575, Antonio si accordò con un antico avversario dei Mendoza, il marchese di los Véles e lo nominò membro del Consiglio di Stato. Era compito della fazione mettere a punto una politica da presentare a Filippo II come alternativa a quella consigliata dal duca d’Alba gli presentarono la politica federalista di tipo aragonese di Ceriol. I “rimedi” per soffocare la ribellione nei Paesi Bassi proposti da Ceriol consistevano: 1. Adottare misure di pacificazione e riconciliazione: scioglimento del Consiglio dei Torbidi e l’abbandono della tassa del 10% sulle vendite; 2. Il re doveva garantire e preservare le leggi e le libertà tradizionali dei PB; 3. Il re doveva scegliere abitanti di quel dominio per coprire cariche nelle Indie, in Italia e in Sicilia e nelle varie province dell’Impero. Filippo accettò e mandò il governatore di Milano don Luis de Requesens, accompagnato dal Ceriol, nei PB per attuare la politica di pacificazione. ( da lì a poco sarebbe diventato il 3 marchese di los Vèles) Siamo nel 1573. Purtroppo questa politica pacifica si rivelò inattuabile rispetto a quella proposta dal duca d’Alba, perché avrebbe avuto successo solo se si fosse riusciti a tenere sotto stretto controllo l’esercito, e dato che in quel periodo Filippo si trovò in una grave situazione finanziaria, non aveva fondi sufficienti per pagare i soldati nei PB. Nel 1574 il re offrì ai ribelli un’amnistia generale (con qualche eccezione) analoga a quella che concesse Carlo V dopo la rivolta dei comuneros. In quell’anno i soldati dei Paesi Bassi si ammutinarono e marciarono su Anversa, tanto da rendere vana l’amnistia. La situazione finanziaria si fece più critica e il 1 settembre 1575 ci fu la seconda bancarotta per Filippo. L’esercito dei PB , reclamando i pagamenti, diventava sempre più inquieto. Don Luis de Requesens morì e i soldati saccheggiano Anversa proprio quando arriva un nuovo pacificatore, Giovanni d’Austria, sempre eboliano e voluto dal Ceriol. Aveva mano libera ed era in contatto diretto con il Pérez. Con l’appoggio anche del papa voleva invadere l’Inghilterra e per farlo doveva porre fine alla questione dei Paesi Bassi e riappacificarsi. Il re era disposto a fare delle concessioni, compreso il ritiro dei soldati spagnoli, che furono formulate nell’Editto Perpetuo firmato da don Giovanni il 12 febbraio del 1577. Nonostante volesse questa pacificazione, il re non era pronto a fare guerra ad Elisabetta. Giovanni si convinse che la politica di conciliazione non avrebbe funzionato e che il re doveva essere assolutamente persuaso a riprendere le ostilità contro i ribelli. Così, nel 1577 passò di testa sua all’azione e occupò il castello di Namur e dichiara guerra ai ribelli. Intanto aveva inviato a Madrid il suo segretario Escobedo per ottenere denaro dal re. Escobedo era protetto da Ruy Gomez e Antonio Pérez ma, con quest’ultimo, i rapporti si erano fortemente raffreddati. Pérez, avido di denaro, fa leva sui timori del re e cerca di persuaderlo dicendogli che dietro il segretario ci stava il cattivo Giovanni e stavano tramando per il trono inglese e forse anche per quello spagnolo, e che l’allontanamento dell’Escobedo sarebbe stato pienamente giustificato dalla ragion di Stato. Convinto il re, Pérez si occupò di concludere l’incarico di eliminare il segretario. Tentò tre volte di avvelenarlo ma non ci riuscì, poi decise di ingaggiare 3 assassini che trucidarono la loro vittima per strada la notte dei 31 marzo del 1578.  da qui iniziarono le disgrazie di Pérez. Gli amici di Escobedo non avevano intenzione di lasciar cadere la faccenda nell’oblio e intuirono come stavano le cose. Trovarono un potente alleato, Mateo Vazquez, che dal 1573 divenne segretario del re e cominciò a fare pressioni su quest’ultimo affinché facesse qualcosa. Filippo fu tormentato, sia dal disagio scaturito dalla consapevolezza di aver fatto parte dell’assassinio di Escobedo, e poi perché cominciò a rendersi conto che forse fu ingannato da Pérez, ordinandogli la morte di un innocente. Il 4 agosto in Africa nella battaglia di Alcàzarquivir rimase ucciso il giovane re di Portogallo, Sebastiano.  chi sarebbe succeduto? La scelta era su 3 candidati: don Antonio, membro illegittimo della famiglia regnante portoghese; la duchessa di Braganza; lo stesso Filippo II. La principessa di Eboli patteggiava per la duchessa di Braganza, perche sperava di far sposare la propria figlia con il figlio e erede della medesima. Per questo motivo, chiese aiuto al segretario del re Pérez, perché chi meglio di lui conosceva gli affari portoghesi e tutte le trattative che riguardavano la successione. Gli intrighi del Pérez con la principessa arrivarono all’orecchio di Filippo, che alimentò ancora i suoi dubbi sul suo segretario. il re decise di procurarsi nuovi consiglieri.  il duca d’Alba era stato confinato nei suoi feudi; il Pérez, e i suoi amici erano stati chiaramente screditati. In quel momento era necessario per il re non farsi sfuggire la situazione della successione al trono portoghese dalle mani, quindi si rivolse ad un grande statista, un uomo rapido nelle decisioni e pronto ad azioni drastiche: il cardinale Granvelle. Quest’ultimo raggiunse il re a Madrid. Infine, il Pérez venne arrestato, assieme alla principessa: si pose fine alla fazione eboliana. L’annessione del Portogallo 1579-1580Filippo ritornò a nominare in posti di responsabilità gi esponenti della passata età imperiale, come il cardinal Granvelle, antico consigliere di Carlo V. Egli operò un mutamento radicale nella sua politica: passò ad una politica di imperialismo attivo. I primi due decenni di regno sono stati molto difficili: -rivolta dei moriscos di Granada, -attacco turco, -ribellione dei PB, -inizio delle guerre di religione in Francia, -bancarotta (1575-76) Le fonti tradizionali di entrata della Corona erano state spremute al limite: il re chiese alle Cortes un ulteriore aumento delle imposte e dell’encabezamiento. Ma nonostante ciò, le entrate non erano comunque sufficienti. Arrivarono in soccorso le Indie la tecnica di raffinazione dell’argento peruviano con un amalgama di mercurio diede buoni risultati e dal 1575 in poi, si ebbe un incremento spettacoloso nella disponibilità di argento che il re ottenne dal Nuovo Mondo. I traffici tra Siviglia e il Nuovo Mondo raggiunsero la massima dilatazione e i banchieri cominciarono a riprendere fiducia. Fu allora che Filippo poté finalmente lanciarsi all’attacco per recuperare le province settentrionali dei PB, fruendo del brillante generale Alessandro Farnese, per mettere piede in Inghilterra (ultimo decennio del 500) e per intromettersi nelle guerre civili in Francia, allestendo l’Armada. Nel 1580 ci fu l’annessione del Portogallo  unione della Corona portoghese con quella spagnola = nuova costa affacciata sull’Atlantico (principale luogo di conflitto tra Spagna e le potenze dell’Europa del Nord), una flotta per proteggerla (la flotta spagnola+quella portoghese formavano la più imponente flotta del mondo) e un altro impero che si estendeva dall’Africa fino al Brasile. Fu proprio grazie all’argento americano che Filippo riuscì nella sua impresa e riuscì ad attuare la sua politica imperialistica. Le basi economiche portoghesi vacillavano a causa di una loro debolezza costituzionale, quindi il Portogallo fu sempre più costretto a rivolgersi alla Spagna per avere l’argentola prosperità di Lisbona si trovò a dipendere in maniera strettissima da Siviglia. Quando il re decide di intervenire scatenò una catastrofe: l’unico modo che secondo lui poteva riportare l’Aragona all’ordine fosse quello di nominare un viceré imparziale, non aragonese. inviò in Aragona il marchese di Almenara, che però era cugino del Chinchòn. Pochi giorni prima dell’arrivo dell’Almenara, comparve improvvisamente in Aragona Antonio Pérez, che negli ultimi 11 anni era confinato in carcere ma nel 1590 riuscì a scappare e tornare in Aragona, protetto dal Justicia d’Aragona. La fuga di Pérez fu un colpo terribile per Filippo, era grave perché egli era a conoscenza di tutti i segreti di Stato. Filippo avanzò la denuncia contro il suo ex-segretario presso il tribunale aragonese Justicia, ma egli denunciò il re per la complicità di quest’ultimo nell’assassinio dell’Escobedo. Il re ritirò la sua denuncia e si rivolse al tribunale dell’Inquisizione l’unico tribunale aragonese su cui i fueros non avevano nessun controllo. Il Pérez avvisò in tempo i suoi amici e quando venne arrestato a Saragozza la folla scese in strada e sottrasse il detenuto ai carcerieri. Il Pérez assaltò subito il palazzo del marchese di Almenara che morì per le percosse. Filippo era indeciso se inviare o no un esercito in Aragona nello stesso momento in cui serpeggiava in Portogallo la presenza di don Antonio. Quindi i problemi erano due. La Junta speciale, creata a Madrid per consigliare il re sul da farsi in Aragona, era divisa: - 3 membri optavano per una politica di moderazione; - gli altri 3 optavano per una politica repressiva. Filippo, avendo l’esperienza del fallimento del duca d’Alba sui PB per aver scelto una politica repressiva, optò per la politica di moderazione. In pratica, però, si palesò inevitabile l’uso della forza. Nel 1591 ci fu un altro tentativo di arresto del Pérez ma ci fu nuovamente una rivolta da parte della folla. Filippo allora decise di usare la forza mandò un esercito in Aragona. Subito dopo, il Pérez scappò in Francia e il giorno dopo fece il suo ingresso a Saragozza l’esercito castigiano. Il duca della contea (il Lanuza) che era scappato, venne catturato e decapitato. Un mese dopo il re emanò un’amnistia generale. La rivolta aragonese era finita e l’unità spagnola venne preservata. La rivolta avrebbe potuto favorire l’eliminazione dei fueros aragonesi, ma Filippo, ancora una volta, optò per il rispetto delle leggi  nel 1592 le Cortes aragonesi furono convocate a Tarazona e fu riconosciuto il diritto di nominare viceré anche non aragonesi, e venne conservato il sistema politico aragonese semi-indipendente, affinché i fueros non si ribellassero più (e non lo fecero). L’unità, però, rimase un sogno. CAPITOLO OTTO - SPLENDORI E MISERIE La crisi di fine secolo Bancarotta n.1  1575 Bancarotta n.2  1596 Peste  1599-1600  depressione economica e conseguenze psicologiche 1608  e per i successivi 12 anni=prosperità assoluta della Siviglia Nell’ultimo decennio del 500 l’economia castigliana era in declino. Meno di un quarto delle entrate annuali di Filippo II derivavano dall’argento americano, il resto proveniva dai prestiti o dalle imposte. Nel 1590 si capì che, nonostante il passato aumento dell’encabezamiento (1575), le fonti tradizionali di entrata (alcabala e servicios) non erano più sufficienti  per questo motivo, si aggiunse alla lista un’altra imposta che sarà molto importante nella fiscalità castigliana nel corso del 600: “millones” (conteggiata in milioni di ducati e non più in maravedìs) . La riscossione era lasciata al governo delle città, che riscuoteva le tasse ai cittadini. Questa imposta colpiva i generi di prima necessità, come la carne, il vino, l’olio e l’aceto, e ancora una volta erano i poveri a subirne. Il costo della vita è in crescita. Nel 1596 Filippo ripeté lo sbaglio fatto nel 1575: sospese il pagamento della tassa ai banchieri.  i questo modo la Corona dichiarò ancora una volta la sua bancarotta. Le più importanti vittime della bancarotta furono le fiere di Medina del Campo, che dopo essersi riprese dalla prima bancarotta, si interruppero di nuovo. La capitale finanziaria della Spagna nel primo Seicento si spostò definitivamente da Medina Madrid. La crisi del 1596 significò anche la fine dei sogni imperialistici di Filippo II, in un momento in cui la Spagna aveva capito di essere sconfitta nella lotta con le forze del protestantesimo internazionale. Il primo colpo, si ebbe con la disfatta dell’Invincible Armada nel 1588: è l’anno della divisione della Spagna trionfante dei primi due Asburgo e della Spagna delusa dai successori. Approfittando di questo periodo di forte depressione, il conte di Cumberland colpì i possedimenti americani della Spagna, i convogli sulle rotte atlantiche e una spedizione venne inviata a Lisbona. Filippo II era irritato e inviò un’altra Armada contro l’Inghilterra ma fu inutile. La contesa per il dominio delle rotte marine rimase in sospeso. La grande crociata della Spagna contro le potenze protestanti del Nord fu fallimentare. La notizia della disfatta dell’Armada diede al re di Francia Enrico III il coraggio di organizzare l’assassinio al duca di Guisa  questo fatto, più la successione al trono francese del protestante Enrico di Navarra (quando Enrico III venne assassinato) , l’attenzione di Alessandro Farnese (generale italiano, al servizio della Spagna come comandante dell’Armada nelle Fiandre) si rivolse ai Paesi Bassi e alla Francia. Quando anch’egli morì nel 1592, gli olandesi erano tutt’altro che sottomessi. La conversione al cattolicesimo di Enrico di Navarra, cancellò ogni speranza di ascesa al trono da parte di uno spagnolo. La bancarotta del 1596 sigillò il fallimento della politica ed era doveroso far ricorso alla pace. Rendendosi conto di avere i giorni contati, e che avrebbe lasciato il suo posto in mano ad un figlio inesperto e per lo più “al verde”, Filippo si impegnò per sanare la situazione: Inviò nei PB l’arciduca Alberto nel 1596: il suo arrivo segnò l’inizio di una nuova politica nel territorio. Se non avessero lasciato prole, dopo la loro morte si era stabilito che i Paesi Bassi dovevano tornare alla Corona spagnola. Tuttavia, i vincoli che li univano si erano allentati e sarebbe stato più facile, per la Spagna, mettere fine alla guerra nelle Fiandre. La pace con l’Inghilterra non avvenne subito, ma nel 1604. Intanto, il 2 maggio 1598 Filippo firma il trattato di Vervins con Enrico IV, che pose fine alla guerra con la Francia. Filippo morì il 13 settembre 1598, dopo ben 4 anni di regno. Il nuovo governo di Filippo III si impegnò in un nuovo sforzo militare nelle Fiandre e nel 1601 inviò una spedizione in Irlanda. Ma la guerra era infattibile perché mancavano i mezzi. Infatti, nel 1609 la Corona spagnola, riconoscendo i propri debiti, firmò la tregua di 12 anni con le province olandesi ribelli. La scelta da parte della Spagna di fermarsi nelle sue imprese imperialistiche fu dettata sia dalla situazione generale della politica economica, sia da quella propria della Castiglia, che colpì tra gli ultimi 10 anni del 500 e l’inizio del 600. Ma dietro di essa stava un’altra crisi, di più vaste dimensioni: si trattava di una crisi provocata dal mutamento dei rapporti economici tra Spagna e il suo impero transoceanico.  questo mutamento era dovuto in parte anche dalla guerra con le potenze protestanti del Nord. Nei due decenni che seguirono allo scoppio della ribellione nei PB, gli olandesi avevano continuato i loro commerci con la penisola iberica. La Spagna dipendeva dall’Europa settentrionale e orientale per alcuni alimenti e per il materiale nautico.  gran parte di queste merci raggiungeva la Spagna tramite navi olandesi. Filippo II, infastidito da tale dipendenza, nel 1585 decretò l’embargo per le navi olandesi che erano solite a frequentare i porti spagnoli.  ciò avrebbe portato a conseguenze gravi, perché entrambi i Paesi avevano bisogno l’uno dei prodotti dell’altro. Nascono gli arbitristas  alcuni personaggi pubblici che analizzarono la crisi e aiutarono il re Filippo III a prenderne coscienza e, ovviamente, ad aiutarlo, consigliarlo, cercando di trovare delle risposte a tutto ciò, per risollevare il Paese da quella grave situazione. Infatti, proprio come Sancho Panza che aveva in se stesso qualche tratto di Don Chisciotte, anche l’arbitrista dal pessimismo covava in cuor suo qualche bagliore di ottimismo. La carenza di una guida Molte idee tra quelle proposte dagli arbitristas furono giuste, infatti essi proposero: 1. Che le spese del governo fossero energicamente tagliate; 2. Che il sistema fiscale della Castiglia fosse completamente modificato e che gli altri regni della monarchia fossero chiamati a contribuire maggiormente al tesoro della Corona; 3. Che fosse incoraggiata l’immigrazione per ripopolare la Castiglia; 4. Che le campagne fossero irrigate, i fiumi resi navigabili e che fosse data protezione all’agricoltura e all’attività manifatturiera, poiché dovevano essere stimolate ed incoraggiate. Nulla di tutto questo era impossibile: il ritorno alla pace fu il primo passo per un programma riformistico. A questo punto tutto quello che mancava era la volontà. Filippo III salì al trono a 20 anni: era un essere anonimo, ma senza vizi. Suo padre lo conosceva abbastanza bene da temere il peggio, e i suoi timori si rivelarono fondati  prima della morte del padre, Filippo III era sotto l’influenza di un subdolo aristocratico di Valenza, il marchese di Denia (Francisco de Sandoval y Rojas) il quale, dopo la morte del vecchio re, assegnò ad amici e parenti le più alte cariche dello Stato. Il de Moura, ministro principale di Filippo II, venne allontanato dalla corte e mandato a fare il viceré a Lisbona. Mise suo zio come arcivescovo di Toledo e il genero come presidente del Consiglio della Castiglia. L’intento del Denia era di arricchire la sua famiglia e tenersi ben stretto il potere. Conquistato il favore del giovane sovrano Filippo III divenne in poco tempo ricchissimo. Nel 1599 divenne duca di Lerma e in poco tempo svolse molte cariche di prestigio e accumulò mercedes, che gli fecero fruttare milioni di ducati l’anno. Oltre che primo ministro, fu ufficialmente il favorito del re, ed era chiaro che il re svolgeva solo il compito di regnare mentre il favorito governava il Paese. La Junta de la Noche, che funzionava da vaglio delle decisioni dei vari Consigli, venne abolita quando salì al trono Filippo III ma il duca di Lerma capì che c’era bisogno di costituire qualcosa di analogo. Con la morte di Filippo II, l’autorità del sovrano era indebolita, ed è per questo motivo che tutti i nobili che erano stati esclusi (da Carlo V e Filippo II) dai Consigli, si erano dati da fare per essere nuovamente ammessi, approfittando della debolezza del sovrano.  due membri di capa y espalda entrarono a far parte del Consiglio delle Indie nel 1604 e il Consiglio di Stato cadde gradualmente in mano ai nobili. Per questo motivo, per non farsi scappare il controllo del potere, il duca di Lerma creò una piccola Junta, formata dai suoi uomini di fiducia. Allo stesso tempo si capì che per alcuni settori del governo, come il controllo delle finanze, ci volevano uomini esperti. così si instituirono tante Juntas speciali, in cui ognuna si occupava di settori specifici. La tendenza tipica del governo spagnolo del 600 fu quella di dare vita a piccoli comitati di ministri che agivano indipendentemente dai Consigli. L’efficienza delle Juntas, però, dipendeva dalla qualità di coloro che ne facevano parte, e si pensò di scegliere persone estranee al normale “cursus honorum” per infondere nuove idee al governo: le scelte compiute dal duca di Lerma furono disastrose.  si considerarono due avventurieri, falsi amici del duca: Pedro Franqueza e don Rodrigo Calderòn. Il Franqueza, di piccola nobiltà catalana, doveva occuparsi di riformare le finanze regie e, dopo aver ottenuto il titolo di conte di Villalonga, fu arrestato (1607) per malversazione di fondi pubblici. Il secondo fece più o meno la stessa cosa. Ben presto si vide che il governo preferiva i palliativi piuttosto che provvedimenti pertinenti.  uno dei compiti più importanti fu quello di tentare un’equiparazione dei tributi versati dalle diverse parti della monarchia, al fine di alleggerire gli oneri castigliani. il duca di Lerma ottenne sussidi alti da alcune Cortes della monarchia, e tentò di estendere la tassa dei millones alla Biscaglia (tentativo fallito per le numerose proteste). Il duca non riuscì nemmeno a dividere equamente la fiscalità all’interno della Castiglia, per ridurre la disparità dei ricchi esenti e i poveri supergravati.  al contrario, decise di ricorrere a maniere più semplici: la vendita di uffici, l’estorsione di sussidi agli ebrei portoghesi, la manipolazione della moneta castigliana (nel 1599 fu autorizzato il conio di vellòn, una moneta solo di rame, che aveva poco valore. Il conio cessò nel 1626 ma allora la Castiglia era già stata inondata di monete senza valore). L’unica azione positiva del duca, fu la firma nel 1609 della Tregua dei Dodici Anni con gli olandesi. Nello stesso giorno (9 aprile 1609) venne firmato il decreto di espulsione dei moriscos, che trovarono rifugio nell’Africa anche se molti di loro morirono di fame o furono uccisi. Non si diede alcuna importanza alle conseguenze che l’economia della Corona avrebbe avuto con la loro espulsione. Il problema dei moriscos era il problema di una minoranza razziale non assimilata (o non assimilabile) la dispersione, dopo la seconda rivolta delle Alpujarras nel 1570, aveva solamente esteso il problema a zone che non avevano mai avuto abitanti moriscos. A Valencia c’erano più di un centinaio di migliaia di moriscos, un terzo della popolazione del regno. Le conseguenze della loro cacciata furono negative a livello di vuoti da colmare: - a Sivglia erano loro a fare i mestieri umili ma necessari (facchini, scaricatori), tanto che dopo l’espulsione il porto ne risentì molto; -a Valenza i signori e i nobili godevano di maggiore prosperità economica attraverso il loro lavoro agricolo, -in Aragona, non c’era più nessuno che coltivava la zona fertile a sud dell’Ebro. Solo più tardi, il governo si accorse dei disagi e dei crolli che aveva avuto l’economia della Corona. Tipologia di una società Fu relativamente facile cacciare i moriscos dalla Spagna, ma fu molto più difficoltoso cancellare le tracce della loro presenza. Le usanze moresche avevano influito in profondità nella vita della società e il distacco con la popolazione dell’Africa musulmana risultò lento e doloroso. Fu un fatto rivoluzionario, perché: -Durante il 500 a Siviglia si iniziarono a costruire delle case con la facciata lungo la strada invece che rivolte verso l’interno; -le donne inoltre cominciarono a farsi vedere dalla finestra ( si dedicavano più che altro alla vita domestica). I ceti superiori spagnoli avevano ereditato dai moriscos il costume di segregare la propria donna, poiché nella loro cultura vigeva fortemente la disparità dei sessi più di qualsiasi altro paese europeo. Sotto l’influenza dell’Europa e dell’America, le abitudini iniziarono a cambiare.  la comparsa a Siviglia delle donne creole (venute dal Nuovo Mondo) segnò un cambiamento dei modi e della morale: il velo iniziò ad essere utilizzato più come un segno per non farsi riconoscere che come segno di modestia. La posizione della donna spagnola nobile conobbe mutamenti minori tra il Medioevo e il 600: la donna restava custode degli ideali e dei costumi tradizionali. La sopravvivenza di usanze moresche rappresentò la grande difficoltà di adattamento della Spagna del 600. La società castigliana era una società fondata sul paradosso e sul contrasto, visibili ovunque: c’erano moriscos e cristiani, ricchezza enorme e povertà assoluta ecc in Castiglia non esisteva via di mezzo. La Spagna aveva raggiunto l’apice della perfezione nel 1492 (fine Reconquista): dopo il regno di Ferdinando e Isabella “la Spagna aveva iniziato a decadere fino ai giorni nostri”.  il fattore negativo fu proprio la mancanza di ceti intermedi, lamentata anche da Gonzàlez de Cellorigo in una sua opera. I contrasti tra ricchezza e miseria non furono un fenomeno solo spagnolo. Il ritorno alla pace aveva fatto sperare che si aprisse un periodo di abbondanza: le capitali europee organizzarono continuamente delle feste e ci furono molti investimenti nella costruzione di palazzi, nell’acquisto preziosi ecc. Le Cortes erano il nido di ogni vizio e con l’assenza di una borghesia solida non si è potuto costruire un “ponte” tra i due estremi (miseria e nobiltà). In Spagna i borghesi erano stati raggirati il disprezzo per i commerci e per il lavoro manuale, il miraggio di facili guadagni ottenibili con l’investimento di capitali, la brama di titoli nobiliari e di prestigio sociale + gli innumerevoli ostacoli pratici che si opponevano alla volontà di realizzazione si iniziative economiche proficue, avevano persuaso la borghesia ad abbandonare la sua lotta e a mettersi sulla scia di ceti superiori improduttivi.
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