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LA STELLA DELLA REDENZIONE, Appunti di Filosofia

appunti su come è strutturato il libro

Tipologia: Appunti

2012/2013
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monny84
monny84 🇮🇹

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Scarica LA STELLA DELLA REDENZIONE e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! LA STELLA DELLA REDENZIONE: Abbiamo considerato opportuno offrire una “lettura” di fondo dell’opera del filosofo di Kassel, attraverso una suddivisione delle tre parti che compongono la Stella, che sottolinei via via l’estrema dinamicità della dialettica logica-analogia che nelle diverse parti offre all’analisi uno dei due elementi senza però mai scioglierlo dal rapporto con l’altro. E così infatti se la Prima Parte è segnata di più dalla dimensione logica, per cui la dialettica si esplicherà come “ logica-analogia”, in cui tuttavia l’elemento analogico risulterà comunque determinante per il “buon cammino” della logica, nella Seconda Parte l’elemento preponderante sarà quello analogico e dunque la dialettica si capovolgerà in “ analogia-logica”, in cui la centralità analogico- metaforica del linguaggio allo stesso tempo mai prescinderà dall’elemento chiarificatore della logica filosofica; si giungerà infine alla Terza Parte che realizzerà la “piena visione” della metafora dell’intero libro, la stella di David, che si accompagnerà ad una vera e propria gnoseologia di declinazione messianica. Parte Prima: Logica-Analogia. (TESI DELLA STELLA DA VEDERE) 5. Logica e metafore dell’archetipico: il dio mitico, il cosmo plastico, l’uomo tragico Il viaggio nell’abisso, nella sotterranea terra delle Madri, ci conduce ora alla “messa in luce” di un corrispettivo metaforico di quelle pietre concettuali di costruzione degli schemi proposte dal “sì” e dal “no”: l’integrazione di nuovo di questi due momenti appare ora a Rosenzweig più che mai necessaria al conseguimento dell’obiettivo proposto: dire la Rivelazione. Se la matematica ci mostra il percorso logico, riabilitante la filosofia nel suo ruolo euristico, l’appello alla metafora inerisce direttamente alla possibilità del linguaggio vivente di porre reali termini di riferimento dell’esperire del divino, dell’umano e del mondano, così come sono apparsi nella storia. Le metafore dell’archetipico si delineano così come immagine visibile di ciò che prima era avvolto nell’oscurità dell’abisso delle Madri e che ora dall’immemorabile entra a pieno titolo nella storia con tutta la sua plastica oggettivazione. E questa struttura triadica che caratterizza le figure del pre-mondo è inoltre espressa mediante tre equivalenze matematiche, caratterizzate da una stringente logica interna che fa uso di segni autonomi, a-temporali, ed in grado di fornire adeguata delineazione dell’in sé per sé delle tre sostanze, sfuggendo il rischio di trasformare e svilire il compito della filosofia in Weltanschauung soggettiva. PAG. 32 In questa dimensione del pre-mondo l’ipotesi Dio affiora dal nulla della teologia negativa che colloca nell’insondabile per il θεωρειν l’essere proprio di Dio. Le motivazioni di questa prospettiva sono ricercate da Rosenzweig nella modalità in cui tale sapere ha percorso i secoli, ovvero una modalità tesa alla determinazione del concetto, non della fattualità di Dio. E se Kant aveva sancito tale impossibilità nell’inconoscibilità del noumeno, Hegel percorre un ulteriore passo indietro vanificando tale nulla del pensiero attraverso la riproposizione del concetto inclusivo dell’essere rifiutato da Kant. Per Rosenzweig il nulla kantiano va invece accolto come unica possibilità di mettersi sulle tracce dell’essere e che sia dunque l’inizio positivo di un nuovo sapere. Nella delineazione di questo positivo sapere di Dio ci vengono in aiuto le parole originarie che delineano così la dinamica interna della φυσις divina. La natura divina infatti, sancita dal “sì”, mette in atto un movimento che giunge attraverso il “no” alla considerazione della libertà divina sino a giungere, attraverso l’ “e”, al concetto di vitalità divina. La natura divina, affermata dal “sì”, e che Rosenzweig fa corrispondere nel linguaggio matematico ad A, scaturisce dal non nulla, infinità indefinita, “ tranquillo mare della natura intima di Dio”182 , “ che riposa nel silenzio infinito del puro esserci” . PAG.31 L’autonegazione originaria del nulla particolare divino, attraverso il “no” invece, afferma la libertà di Dio, espressa altresì attraverso la formula algebrica A=. Il suo libero “no”, che scaturisce dalla negazione del suo nulla, non è un “così”, bensì un “ non altrimenti”, sempre diretto ad altro; esso “è sempre e solo l’ “uno”. E certo l’ “uno”, in quanto l’ “uno” in Dio, davanti al quale tutto il resto in lui diviene puro “altro””.184 La libertà di Dio dunque si articola semplicemente come un “no” potente. Essa è infinita nelle sue possibilità, per quanto sia qualcosa di finito, scaturita dall’autonegazione del nulla che si svuota dell’essenza infinita di Dio. E’ A= in quanto rivolta sempre ad un infinito. PAG.33-34 Dunque la libertà divina, che anela costituzionalmente ad un infinito, trova di fronte a sé l’infinita essenza di Dio. E solo nell’autentica correlazione di essenza e libertà divine, si coglie la vitalità di Dio, simboleggiata allora dall’equazione A=A. Nel dar vita a questa equazione A e A=, natura e libertà, necessità/destino e arbitrio/potenza185, divengono non più discernibili “ pura originarietà e l’appagamento in sé propri del Dio”. Dopo aver costruito lo schema logico di Dio, così come farà anche con il mondo e con l’uomo, Rosenzweig introduce il tema del paganesimo come μορφή originaria, fuori da ogni dimensione diveniente. Tale forma originaria si configura per Rosenzweig come “ metafora storica del pre-mondo”187, giacchè per il nuovo pensiero la classicità del mondo classico ha offerto senza contaminazioni o inquinamenti da parte del pensiero le figure di Dio, uomo e mondo.. Sono le spengleriane “ figure euclidee” riflettute come il rinvio luminoso del volto oscuro delle tre sostanze. Il paganesimo, metafora del pre- mondo, è il luogo di fanerizzazione dei risultati del percorso logico-matematico, che sprofondano nella luminosità della metafora. PAG.36 Una verità nascosta è manifestata nella sfera del θεωρειν , ma il suo nucleo rimane mistero; la metafora rende visibile e nello stesso tempo occulta, secondo la modalità analogica di correlazione delle differenze. E così il paganesimo viene affrontato dal Nostro “ a partire dalle forme storiche”189 affinché garantisca contenuto luminoso allo spettrale schema logico appena guadagnato, nella convinzione di riuscire a dar ragione delle tre sostanze al di qua della Rivelazione. forza che è sua e che costantemente si rinnova, per l’uomo è l’atmosfera che perennemente lo circonda, che gli inspira ed espira con ogni suo respiro.233 Il proprium dell’uomo è un requisito sconosciuto a Dio e presente nel mondo nell’ “esperire sconcertante della forza che è sua e che costantemente si rinnova”234 e dunque indocile ad ogni forma di universalità. La peculiarità dell’uomo tuttavia non condivide lo stesso destino della particolarità dei fenomeni, meteore di un percorso che conduce dal nascere al morire, ma è “proprio ciò che in lui è più ovviamente comprensibile, la sua essenza”235. “ Attorno a lei si estende l’infinito silenzio del non-nulla umano, essa stessa è il suono che echeggia in questo silenzio, qualcosa di finito e tuttavia di sconfinato”236. Essa è B, senza direzionalità, passiva o attiva che si voglia, semplicemente essente nella sua finitezza quanto l’infinito essere di Dio, che ha bisogno del “no” al non-nulla per permettere di far affiorare quanto cerchiamo. Dal no al nulla affiora infatti la volontà umana, la quale a causa della sua origine si staglia come incondizionata da una parte, ma a differenza di quella divina si caratterizza come finita dall’altra. Non solo pone un determinato, in quanto negazione, ma soprattutto ha come oggetto un finito, “seppure illimitato”. 237 Essa è volontà libera, simboleggiata da B= , manifestazione orientata, diversa da tutte le altre manifestazioni del mondo: nel mondo fenomenico infatti la libertà appare come fenomeno tra gli altri, “ ma in tale mondo essa è il “miracolo”, è diversa da tutti gli altri contenuti”.238 E’ inoltre caratterizzata dalla stessa forma della libertà divina ( A=) ma di “contenuto opposto”, mentre infatti Dio non ha volontà libera, l’uomo non ha libero potere. PAG. 70 Solo la “e”, che correla i due estremi astratti e concettuali della peculiarità e libertà umane, archetipi fondamentali che tuttavia non rendono giustizia alla dimensione meta-etica, permette di cogliere “ l’uomo vivo, il “sé” ” 239 , caratterizzato dalla sua indipendenza. L’autoconsapevolezza umana trova così un misterioso equilibrio tra l’infinito conato della libertà e la finitudine, traducibile nell’equazione matematica B=B. Questo sé, che è più che volontà e più che essere, declina in maniera inedita i propri costituenti: la libertà, che “ vuole la propria essenza” e “ non vuole null’altro se non ciò che essa è”, è dunque non “essenza infinita” bensì “finita” che “ si riconosce nella propria finitezza senza però sacrificare minimamente alcunché della propria incondizionatezza e assolutezza”240. Nell’incontro con la sua finitudine, l’astratta libera volontà diviene “caparbietà”. La peculiarità, dal canto suo, “ nella sua muta, esistente attualità”241, quando viene a trovarsi di fronte alla libera volontà diviene “carattere”. In questo modo “ la caparbietà rimane caparbietà, rimane formalmente incondizionata, ma prende a suo contenuto il carattere: la caparbietà si ostina nel suo carattere”. PAG.71 Il “sé” è ciò che sorge in questa usurpazione della volontà libera sulla peculiarità, come “e” di caparbietà e carattere.242 Tale “trasmutazione dell’essenza” 243 mette al riparo da qualsivoglia regressione nell’astratto, così come era stato colto dalla prima tappa del movimento metaetico e delinea la figura dell’uomo metaetico “assolutamente chiuso in sé”, radicato nel suo carattere. Se infatti non fosse radicato nel carattere, ma nell’individualità, e la caparbietà si fosse gettata sulla particolarità dell’uomo rispetto agli altri uomini, “ allora non sarebbe nato il “sé”, che è chiuso in se stesso, che non guarda fuori di sé, ma sarebbe sorta la personalità. Come già dice l’origine della parola, la personalità è l’uomo in quanto impersona il ruolo che gli è stato attribuito dal destino, una parte accanto ad altre, una voce nella sinfonia polifonica dell’umanità”244 . PAG.73 La metafora è anche più significativa se si collega all’ equazione matematica poc’anzi annunciata, B=B, che permette di cogliere anche simbolicamente la differenza: carattere ed individualità, seppure indicati dallo stesso simbolo B, ricoprono posizioni differenti all’interno delle equazioni relative all’uomo meta-etico e al mondo meta-logico, giacchè il carattere si colloca sul lato destro in quanto affermazione che determina la libertà umana, mentre l’individualità sul lato sinistro in quanto oggetto enunciativo. L’equazione B=B inoltre se da una parte giustificherebbe l’affermazione kantiana dell’uomo “ cittadino di due mondi” 245 , pone inoltre l’uomo “ immediatamente di fronte a Dio”246 (A=A), in una opposizione perfetta. Ma la nozione di carattere, e con questa la sua differenziazione dalla nozione di personalità, risultate fondamentali per un’attenta fenomenologia del “sé”, si rivelano altrettanto preziose per un ulteriore approfondimento, che porterà il segno di una suggestiva metafora, che ora ci accingeremo ad analizzare. (“ Nel primo caso B=A è mondo, nel secondo B=B è “sé”. Notoriamente, così come ci insegnano le equazioni, l’uomo può essere l’uno e l’altro: secondo la definizione di Kant egli è “ cittadino di due mondi” ). PAG.77 -78-79 Il “sé” nella sua solitudine montana(…) come ci è noto?Quando mai l’abbiamo visto con i nostri occhi? La risposta diventa facile se ci ricordiamo dove abbiamo intravisto il Dio metafisico, il mondo meta-logico come figure della vita. Anche l’uomo meta-etico è stato una figura viva nell’antichità(…); e ciò è accaduto, è vero, nelle pretese teoretiche dei sofisti che hanno voluto il “sé” misura delle cose, ma ancor più, con tutto il peso della visibilità, nei grandi contemporanei di quelle teorie: gli eroi della tragedia attica.254 E’ di nuovo la Grecia, e non l’Oriente, a fornire adeguata rappresentazione, in questo caso alla Selbstheit dell’uomo meta-etico. A differenza infatti dell’idea di uomo dell’ India, che rimane prigioniero di tutte le caratteristiche particolari legate all’età, al sesso, alla casta, o di quella dell’uomo della Cina, che al contrario è caratterizzato dalla mancanza di carattere e dall’oggettività della purezza totalmente elementare del sentimento, l’eroe della tragedia attica incarna proficuamente l’ideale dell’indipendenza ed autonomia del “sé” meta- etico. PAG.82-86 Il dramma dell’uomo di non potersi rappresentare la propria morte si carica così di suggestioni sempre più rinvianti all’impossibilità per il “sé” così declinato nell’eroe della tragedia di trovare una strada che lo possa condurre “ all’aria aperta”, giacchè “ tutte le vie si addentrano soltanto, più profondamente, nel silenzio dell’intimo”262: “ egli rimane sempre il “sé” singolo, solo, privo di linguaggio”263. D’altro canto è dallo spirito del tragico che l’arte ottiene il suo contenuto, che è universale, e dunque relazionale, solo perché è già sempre di ognuno. Il mondo dell’arte appare così, “ come il mitico della teologia meta-fisica fondava il regno del bello nella chiusura-escludente della forma esterna e il plastico della cosmologia metalogica fondava l’opera d’arte, la cosa bella , nell’essere-chiusa-in-se-stessa della forma interna, così il tragico della psicologia meta-etica pone nel silenzio eloquente del “sé” il fondamento del comprendere senza parole, unico fondamento su cui l’arte può divenire realtà”264. Il contenuto dell’arte è dunque il “sé”, che è qualcosa di immediatamente identico in tutti, e che nella condanna al silenzio, tuttavia si rende immediatamente ovunque comprensibile. E’ linguaggio che sta prima del linguaggio, “ linguaggio dell’inespresso, dell’inesprimibile”. Questa muta trasmissione ha luogo, senza che siano stati costruiti dei ponti tra uomo e uomo e avviene dunque “da un silenzio ad un altro silenzio”265. La nascita della muta comprensione tra uomo e uomo mostra come il “sé” venga visto e percepito grazie “al flauto magico dell’arte” 266 che ha compiuto il miracolo, ma allo stesso tempo rivela anche l’irrealtà di questo mondo, consumato in brevi istanti della visione immediata; “ magia limitata” la chiama Rosenzweig, giacchè nel mondo dell’arte comunque il “sé” rimane sempre un “sé”, non diviene anima. Passaggio. PAG.89-90 Il Dio mitico, il mondo plastico, l’uomo tragico: ecco ciò che rimane del Tutto fatto a pezzi. La filosofia del paganesimo ha così garantito alla contemplazione la possibilità di dare forma a questi elementi, così come essi sono rilevabili nella sfera dell’ipotetico 267 , nella dimensione della pura quiete, ove queste tre sostanze guadagnate dalla dialettica logica-metafora, in cui la prima ha qui una posizione preponderante, si stagliano indifferenti l’una sulle altre. Tutta la Parte Prima della Stella della Redenzione può essere inserita in questa dimensione, in cui Rosenzweig mostra i limiti e le potenzialità della filosofia tradizionale. Le ragioni di questa affermazione sono ormai facilmente delineabili: Dio, uomo, mondo, analizzati a partire e attraverso il loro particolare nulla, queste relazioni deve mostrare il ripensamento del rapporto tra teologia e filosofia all’interno delle maglie del Nuovo Pensiero. La possibilità di ripensare i concetti di creazione ( ponte tra Dio e mondo), rivelazione ( ponte tra Dio e uomo) e redenzione ( ponte tra uomo e mondo) permette a Rosenzweig di agganciarli ad un’attitudine strettamente filosofica e di conferire loro lo statuto di categorie ontologiche al di là della loro dimestichezza con la teologia. Se fino ad ora il presupporsi degli Urphänomene aveva permesso alla filosofia un caratteristico accesso all’articolazione concettuale di questi, nella Parte Seconda questo accesso appare insufficiente a dire le relazioni viventi e dinamiche che tra essi si instaurano nel “tempo”. D’altro canto anche la teologia verrà ripensata in una nuova prospettiva dal Nuovo pensiero, in modo tale da non riproporre la millenaria contrapposizione tra questi due ambiti, e se la teologia ripensata potrà render ragione delle relazioni continuamente eccedenti tra Dio, uomo e mondo, la filosofia ripensata, nonostante il suo carattere di astrazione, sarà in grado di render ragione concettualmente di queste relazioni. L’irruzione della rivelazione e dunque di una differente concezione della temporalità in questo passaggio è paradigmatico: l’orizzonte dell’antichità si chiude nel passato e si trasforma in epoca storica, e ciò anticipa significativamente un tema filosofico destinato ad avere importanza decisiva nelle pagine successive della Stella. Ancora una volta fondamentale, anche in questo cruciale cambiamento di direzione, anzi indispensabile al buon esito del diverso orientamento, è la capacità metaforica del linguaggio, la quale nella sua inesauribile virtualità, si fa mediatrice tra la precisa volontà concettuale della filosofia ripensata e l’irriducibile eccedenza dell’individuale e delle sue relazioni espresse dalla teologia ripensata.269 ANDARE A VEDERE SU PREFERITI ( ALTRA TESI DA GUARDARE) PAG.47 Parte seconda: Analogia-Logica. 7. Creazione, rivelazione, redenzione Si può considerare la seconda parte della “Stella della redenzione”, intitolata “Il percorso o il mondo incessantemente rinnovato”, il nucleo centrale di tutta la speculazione di Rosenzweig. Se la prima parte mostrava separatamente gli elementi irriducibili dell’esistenza, percepibili fin da un momento “pagano”, essa non poteva esprimere il complesso dell’esperienza dell’essere. Nella seconda parte Rosenzweig cambia il punto d’osservazione. Se nella prima parte il filosofo indagava l’essere da un punto di vista esterno, nella seconda l’analisi dell’esistenza è interna: l’esperienza vivente dell’umanità, infatti, può essere espressa solamente dalla relazione tra i tre elementi fondamentali, Dio, il mondo e l’uomo. “Il mito platonico della caverna è come invertito: uscire dalla caverna è abbandonare il mondo illusorio delle idee per rituffarsi nella realtà dell’esperienza vissuta in un movimento che non è contrassegnato dal superamento dialettico, ma da una inversione di tendenze”86. I tre elementi tendono naturalmente a dirigersi ed entrare in rapporto con ciò che è altro da loro per legittimare la loro esistenza. La relazione tra Dio e il mondo si esprime come creazione, tra Dio e l’uomo come rivelazione, tra l’uomo e il mondo come redenzione. Analizzando superficialmente questi legami potrebbe ritenersi il pensiero di Rosenzweig un pensiero “confessionale”. PAG.113 E’ da ricordare, comunque, che Rosenzweig, pur spostando intenzionalmente il piano di ricerca nell’ambito teologico, esplicitamente nega un’intenzione di far confluire la filosofia nella teologia. Esse, piuttosto, “rimandano l’una all’altra e così generano un nuovo tipo di filosofo o di teologo che si pone tra teologia e filosofia”89. Entrambe hanno bisogno l’una dell’altra. Il nuovo filosofo è “l’uomo, come colui che accoglie la rivelazione, come colui che esperisce il contenuto della fede” che “lo voglia accettare o meno, è… scientificamente l’unico possibile soggetto filosofante della nuova filosofia”: “è il concetto di rivelazione della teologia a gettare quel ponte tra l’estremamente soggettivo e l’estremamente oggettivo” 90. PAG.114-115 Il nuovo teologo, invece, invoca la filosofia affinché gli getti “un ponte dalla creazione alla rivelazione, un ponte sopra il quale poi possa avvenire anche il collegamento tra rivelazione e redenzione, che è importante e centrale per la teologia odierna”: il compito nella filosofia nei confronti della teologia non è quello della “costruzione a posteriori del contenuto teologico”91, ma “l’indicazione delle condizioni preliminari sulle quali la teologia riposa”92. La filosofia diveniva così “l’antico testamento della teologia”93. PAG 122 La trama dell’essere, come precedentemente illustrata, assume valenza temporale. Il tempo non è dato originariamente ma viene generato dagli episodi che lo formano. Il tempo assume carattere di passato in virtù della creazione, di presente attraverso la rivelazione e di futuro grazie alla redenzione. Il mezzo attraverso il quale gli elementi entrano in relazione è il linguaggio, “quell’unica espressione comune a Dio, all’uomo e al mondo, dal cui ascolto dipende, secondo Rosenzweig, l’orientamento del differente percorso del nuovo pensiero”94. Il linguaggio rompe l’isolamento tra i tre elementi e li indirizza l’uno verso l’altro, esprimendosi come racconto della creazione, dialogo della rivelazione e coro della redenzione: “la lingua è…il dono mattutino del creatore dell’umanità e tuttavia, al tempo stesso, il bene comune dei figli d’uomo, di cui ciascuno partecipa nel proprio modo particolare, ed è infine il sigillo dell’umanità dell’uomo”95. PAG.119-164 Il linguaggio è lingua di Dio che ne intesse il mondo al momento della creazione: nel racconto della creazione contenuto nella Genesi non è l’uomo a prestare a Dio la sua lingua per esprimersi. La parola della creazione pronunciata nella Genesi, “compimento sonoro del silente inizio”96, rompe il mutismo dell’essere, esprimendosi nella forma narrativa del racconto, manifestazione di un passato che, per sua natura, è incontrovertibilmente oggettivo. E’ il dire di Dio che crea la realtà e, perciò, è la sua parola che collega Egli con il creato: nel racconto della Creazione vi è il collegamento temporale tra la storia divina e quella umana. Nella Creazione Dio parla solo con sé stesso. Questo monologo oggettivo sfocia in dialogo nel momento in cui Dio crea l’uomo che rompe l’oggettività della creazione: “egli, nell’ultimo atto creatore, apre la bocca e dice: facciamo un uomo. Facciamo, per la prima volta è rotto l’incantesimo dell’obiettività, per la prima volta dall’unica bocca che finora ha parlato e parla nella creazione risuona, invece di un illud impersonale, un io, e…insieme all’io risuona contemporaneamente un tu, un tu che l’io rivolge a se stesso. Facciamo. Qualcosa di nuovo è comparso”97. Dio non crea l’uomo come individuo in relazione con la sua specie, ma come un uomo cui da un nome proprio, Adam. L’attribuzione di un nome proprio ad Adam pone l’uomo dentro il mondo in una sua specifica autonomia e unicità che gli permette di accogliere la rivelazione. Analizzando il linguaggio di Dio riferito alla creazione dell’uomo, Egli nel guardare la sua ultima creazione dice “molto buono” . Osservando le creazioni precedenti egli dice “buono”. Il molto sta ad indicare che “a differenza di tutto il resto è qualcosa che è nella creazione e tuttavia rimanda al di là della creazione”, un “molto che annuncia… un ultraterreno entro la dimensione terrena, qualcosa di altro dalla vita che tuttavia appartiene alla vita e solo alla vita, qualcosa che è stato creato insieme alla vita come il suo estremo e che tuttavia fa presagire un compimento solo oltre la vita stessa: questo qualcosa è la morte”99.PAG 165 PAG. 221,241,257 Il libro dedicato ad essa muove da un versetto del Cantico dei Cantici “Forte come la morte è l’amore”. La profezia della morte segna il passaggio dalla prima rivelazione di Dio al mondo delle cose alla seconda rivelazione al mondo dell’uomo, che esiste solo in virtù di questa. Dio sceglie di manifestarsi una seconda volta dopo la creazione, dando all’uomo una rivelazione che esprime nell’attimo presente il legame d’amore che va da Dio all’uomo. Credo sia però qui da chiarire che “la rivelazione stessa non accade all’interno di un tempo, quello presente, ma è il tempo stesso che accade, che si fa presente, come presenza cioè della rivelazione stessa…ogni morto ieri e ogni morto domani sono come inglobati in questo oggi caratterizzato dalla pienezza dell’istante che delimita e orienta l’esistenza, la quale lasciandosi amare, recupera un senso nuovo del suo tempo e della sua correlazione con l’alterità”101. Attraverso la rivelazione l’uomo si ritrova guidato da Dio nel mondo, che deve essere nominato. Il passaggio dal monologo al dialogo si esprime nell’emergere dell’uomo, capace di rispondere a Dio e di rivelarsi ad esso. Mediante questo dialogare l’uomo si realizza esistenzialmente, dando un senso al suo vivere attraverso la risposta di Dio alla sua esigenza di conoscenza dell’altro. La risposta di Dio è comando di fiducia ed amore verso di esso, amore che implica allo stesso tempo un comando di amore verso il prossimo: “il tuo prossimo è come te. L’uomo non deve negare se stesso”102. L’amore verso il prossimo coincide con la redenzione. “Ama il tuo prossimo. Questa, ci assicurano ebrei e cristiani, è la sintesi di tutti i comandamenti. Con questo comandamento l’anima, ormai dichiarata adulta, lascia la casa paterna dell’amore divino ed esce a percorrere il mondo” : questo l’incipit del terzo libro dedicato alla redenzione. Nella rivelazione era già implicita la redenzione che trovava nell’uomo il suo intermediario. Nel momento in cui Dio rivela il suo amore all’uomo si pone il problema della relazione tra l’uomo e il mondo delle cose: il mondo non è toccato direttamente dalla rivelazione, è l’uomo che tramite il linguaggio deve trasmetterla ad esso. Questa “trasmissione” della rivelazione può avvenire solo tramite la storia. Se la redenzione trasforma il mondo in regno, la storia è un continuo avvenire del regno : “il mondo non è creato già compiuto fin dall’origine, ma con la determinazione di dover divenire compiuto…la sua crescita è necessaria. E’ sempre futuro, ma, come futuro già sempre è. E’ sempre in ugual misura tanto presente che futuro”104 . Il regno viene eternamente, dunque, in virtù di una necessaria e immanente interazione tra Dio, uomo e mondo, e “se la sua crescita è necessaria…non ha
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