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La storia dei Giansenismi e il loro incontro scontro con i Padri Gesuiti., Tesine universitarie di Storia Dei Rapporti Tra Stato E Chiesa

Tesina della materia "Storia dei rapporti tra Stati e Chiesa". L'evoluzione del Giansenismo fra 1500 e fine 1700. LO scontro fra Giansenisti e Gesuiti

Tipologia: Tesine universitarie

2011/2012

Caricato il 09/12/2012

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Scarica La storia dei Giansenismi e il loro incontro scontro con i Padri Gesuiti. e più Tesine universitarie in PDF di Storia Dei Rapporti Tra Stato E Chiesa solo su Docsity! La storia dei Giansenismi e il loro incontro scontro con i Padri Gesuiti. Insegnamento: Storia dei rapporti tra Stato e Chiesa. Professore: Mario Moschella Studente: Italo Falco Anno: I F.C. Matricola:57889 1 Il Giansenismo Il Giansenismo è un fenomeno religioso e politico in senso ampio di grande complessità. E’ più corretto parlare di “Giansenismi” al plurale, dato che le generazioni di uomini che questo termine comprende, dalla fine del secoli XVI fino alla metà del XVIII, fanno parte di gruppi eterogenei. E’ una dottrina teologica elaborata nel XVII secolo da Cornelio Otto Jansen (detto: Giansenio) [1585-1638], il quale ritenne che l'uomo è corrotto e quindi destinato a fare il male, e che, senza la grazia di Dio, l'uomo non può far altro che peccare e disobbedire alla sua volontà. Con ciò, Giansenio intese ricondurre il cattolicesimo a quella che riteneva la dottrina originaria di Agostino d'Ippona, contrapponendosi alla morale ecclesiastica allora corrente, cioè quella gesuitica, che concepiva la salvezza come sempre possibile per l'uomo dotato di buona volontà, così com'era stato fissato dal gesuita spagnolo Luis de Molina (1535-1600), padre del cosiddetto molinismo. La posizione molinista era rilevante anche nel contesto della pratica di proselitismo gesuita, tesa a incoraggiare l'ingresso del maggior numero di persone nel seno della Chiesa. La dottrina giansenista, per il fatto che eliminava quasi del tutto il libero arbitrio dell'uomo di fronte alla grazia divina, favorendo l'idea di una salvezza predestinata, fu condannata come eretica dalla Chiesa cattolica prima da un decreto del Sant'Uffizio del 1641, poi con molti documenti fra cui la bolla In eminenti di papa Urbano VIII del 1642, con la bolla di papa Innocenzo X Cum Occasione, del 1653 in cui furono raccolte cinque proposizioni ritenute riassuntive del libro di Giansenio “Augustinus”, ma che i giansenisti ritenevano non corrispondenti in realtà col suo pensiero, con le bolle Ad sanctam beati Petri sedem del 1656 e Regiminis Apostolici del 1664 di Alessandro VII. La risposta cattolica a tale dottrina e spiritualità venne anche con il culto del Sacro Cuore di Gesù, il quale riportò l'attenzione dei cristiani sull'importanza dell'umanità di Cristo e sulla misericordia del Signore. Tale culto giunse alla sua forma attuale grazie a santa Margherita Maria Alacoque, monaca di clausura francese del convento della Visitazione di Paray-le-Monial, negli anni a partire dal 1673 la quale supportò le proprie indicazioni su questa devozione testimoniando alcune apparizioni di Cristo. Tale culto fu inviso ai giansenisti, i quali si consideravano vicini allo spirito originario del Cristianesimo, e in generale ai loro sostenitori, spesso colti ed eruditi, che la ritenevano una stravagante novità. Le idee principali del Giansenismo possono essere saggiate da tre diversi lati: • un giansenismo dogmatico, il cui maggior rappresentante fu Giansenio • un giansenismo morale, col suo maggior esponente in Antoine Arnauld • un giansenismo disciplinare, legato alla figura di Jean Duvergier de Hauranne Giansenismo dogmatico La dottrina del giansenismo ritiene che l'uomo sia corrotto dalla concupiscenza e quindi destinato a fare il male. Questa corruzione viene trasmessa ereditariamente. L'uomo dunque non è libero, e senza la grazia divina, l'uomo non può far altro che peccare e disobbedire alla sua volontà. Dio, all'atto della creazione, aveva dotato l'uomo della «grazia sufficiente» ma questi l'aveva persa con il peccato originale. Allora Dio ha deciso di donare, attraverso la morte e resurrezione di Cristo, una «grazia efficace» agli uomini da lui predestinati, resi giusti dalla fede e dalle opere. 4 l’Arcivescovo di Malines e poi il Cardinale di Granvelle ad implorare l’autorità di Roma per arrestare la nuova eresia. Già papa Pio IV intimò le parti di arrestare lo scontro e, minacciando la scomunica per il Bajo e per l’Esselio li obbligarono a non diffondere dottrine differenti da quella ufficiale della chiesa cattolica. Quindi nel 1560 i due partiti si impegnarono a sottomettersi alla volontà del Pontefice. Nonostante le loro promesse i due eretici continuarono nella loro opera di proselitismo e il Bajo a partire dal 1563 pubblicherà una serie di piccoli trattati su tali questioni. A seguito della pubblicazione della sua opera “Opuscola omnia” il papa Pio V, appena insediato sullo scranno pontificio nominò una commissione di esperti incaricati di correggere le proposizioni erronee di chi distorceva il pensiero di S.Tommaso. Così il 1 ottobre 1567 condannò 79 proposizioni con la costituzione “Ex omnibus afflictionibus”. Secondo Baio, l'uomo non è stato creato in uno stato soprannaturale. Tutti i doni che noi chiamiamo soprannaturali e preternaturali in Adamo - diritto alla visione beatifica di Dio, filiazione adottiva dell'uomo mediante la grazia santificante, esenzione dal dolore e dalla morte, scienza infusa - erano doni dovuti alla natura. Ne consegue che il peccato originale è stato una corruzione della natura stessa e non la privazione dei doni soprannaturali e preternaturali. Da allora l'uomo è incapace di qualunque bene senza la grazia, ed è schiavo del peccato. La sua libertà è puramente esteriore, poiché interiormente egli è tiranneggiato da una irresistibile concupiscenza, ciò che del resto - secondo Baio - non gli toglie la sua responsabilità. Tutto ciò - senza che Baio se ne rendesse conto - era un puro e semplice ritorno all'eresia di Lutero e di Calvino. Cosicché il baianesimo è considerato come un semiprotestantesimo. Il doloroso esempio della scissione protestante ci ha fatto intendere una cosa soprattutto: per "riformare " la Chiesa non si deve cominciare con il lasciarla. Il caso dei giansenisti è interessante, sotto questo punto di vista: pur intendendo riformare vigorosamente il dogma e le istituzioni della Chiesa essi si accaniranno, con pari ardore, a rimanere in seno ad essa. La costituzione “Ex omnibus afflictionibus” condannò diverse proposizioni di diversi scrittori, dichiarandole “eretiche, erronee sospette, temerarie, scandalose ed offensive delle pie orecchie” e vietandone l’insegnamento, di parlarne, scriverne o disputarne. E’ interessante notare che San Pio V usò una delicatezza tale con gli autori delle opere, che per non arrecare danno al loro onore li citò indirettamente solo attraverso le loro opere. Ancor più pietà ebbe per Bajo, che non fu costretto ad abiurare, come molti avrebbero desiderato, ma commise l’esecuzione della bolla al Cardinal Granvalle, ordinandogli di promuoverne l’osservanza, ma con mezzi di comune soddisfazione che non minassero l’unità della chiesa. La bolla non fu nemmeno pubblicata né in Roma, né nelle Fiandre, né a Lovanio, dove il Morillon la lesse in un adunanza alla stretta facoltà di Teologia affinché quei professori potessero sottomettersi e applicarla. Ma il Baio scrisse direttamente a Pio V accusandolo di calunnie manifeste e di aver infangato il linguaggio e i sentimenti dei Santi-Padri, pregandolo di considerare nuovamente le proposizioni censurate al fine di fargli sapere se la censura era legittima e matura o surrettizia e strappatagli di mano dall’impunità e dagli artifizi di coloro che perseguono le persone dabbene. Il papa gli rispose con un Breve tutto mansuetudine ed amore, in cui lo esortava a comprovare la sua rispettosa sottomissione alla Santa-Sede coll’eseguire quanto 5 a suo nome gli avrebbe ordinato il preposto d’Aire Vicario- Generale del suo Cardinale Arcivescovo. Dopo diverse resistenze Baio obbedì onninamente e senza replica al Santo-Padre. Dopo vari tentativi per trarre a suo profitto questa condanna, egli fu nuovamente condannato nel 1579 dal nuovo papa Gregorio XIII che con la bolla Provisionis nostrae(29 Gennaio 1580) confermò la condanna dei testi di Baio,riportandone il testo integrale della bolla del suo predecessore. Gregorio XIII, sotto la spinta del Re di Spagna, mandò a Loviano il Padre Francesco Toledo della compagnia di Gesù, affinché facesse osservare i provvedimenti. Il papa, fornendo al Toledo dei brevi commentari lo autorizzo ad assolvere per tutta la Germania e nelle Fiandre delle censure ecclesiastiche o a riconciliare con la Chiesa coloro che si erano ravveduti e sinceramente detestassero i loro errori e la passata prevaricazione. Inoltre fornì al Toledo due Brevi per i professori e il cancelliere(Michel Baio) dell’università di Lovanio. Il Baio avrebbe dovuto perciò sottomettersi al delegato del papa(Toledo) in tutto e per tutto dimostrando così amore per la Prima Sede. Il Toledo riuscì nella sua commissione. Non soltanto fece ricevere con acclamazione da tutti i dottori i professori di Lovanio la nuova costituzione di Gregorio XIII, e condannare le proposizioni in essa censurate secondo l’intenzione della Bolla, ma indusse il Baio a scrivere e sottoscrivere di suo pugno una ritrattazione che recitava testualmente:“Io Michele Baio Cancelliere della Università di Lovanio riconosco e confesso che avendo tenute più conferenze e colloqui col R.P.D. Francesco Toledo Predicatore di S. Santità, spedito specialmente a quest’oggetto, sopra diverse opinioni e preposizioni altra volta condannate e proibite nel 1567 al nostro S. Padre Papa Pio V di felice memoria, e indi nuovamente da moderno Pontefice Massimo Gregorio XIII sotto la data de’ 29 Gennaio 1579 , ne restai talmente commosso, che sono entrato in una piena persuasione, che la condanna e la proibizione di tutte quelle proibizioni è stata giusta e legittima, e che non fu fatta se non da un maturo esame, ed una diligentissima discussione. Confesso inoltre, che in alcuni de’ libri da me scritti e pubblicati e prima e dopo la censura che ne à fatta la Sede- Apostolica si contengono e difendono molte di dette proposizioni in quel senso medesimo, in cui sono condannate. Finalmente dichiaro di rinunciare presentemente a tutte queste dottrine, e di aderire alla condanna fattane dalla S. Sede, e che sono risoluto di non volere mai più in avvenire né insegnare, né difendere, né sostenere. Fatto in Lovanio li 24 Marzo 1580 Michele Du- Bai” Nonostante tutto, appena Toledo lasciò Lovanio le tesi eretiche tornarono a imperversare tantò che Sua Santità dovette, sotto consiglio della Corte di Spagna mandare Monsignor Bonomi Vescovo di Vercelli e calmare gli animi e a riportare la situazione alla normalità. Nella città di Lovanio i Gesuiti avevano un Collegio con scuole pubbliche con due valentissimi uomini il Lessio e l’Amelio che leggevano Teologia. I Baianisti cercarono di condurli dalla loro parte, ma questi propugnavano tesi diametralmente opposte a quelle condannate da Pio V e Gregorio XIII. Baio, irritato giurò contro la loro società un odio implacabile. Fece censurare le loro dottrine con l’opera di Giacomo du Bay suo nipote, e di Giacomo Giansone suo discepolo, e maestro poi del celebre Giansenio, che, adottata dall’ Università di Lovanio e a Dovay, suscitarono una furiosa persecuzione. Papa Sisto V nel 1588 prese la parte dei Gesuiti, mandando un suo nunzio a Lovanio per impedire sotto pena di scomunica la censura e per farla finita con 6 questa contestazione. Nello stesso anno, Monsignor Vescovo di Colazzo, sotto ordine del Santo Padre, si recò a Lovanio dove pubblico un decreto provisionale, in cui la dottrina dei Gesuiti è chiamata “dottrina sana”, e si vieta ad ambo le parti di pronunciarsi sulla dottrina teologica della quale la Santa-Sede non aveva ancora pronunciato un giudizio definitivo ed assoluto. Il 16 Settembre 1589 il Baio morì, le condanne del suo sistema si confondono con quelle del giansenismo, che ne aveva accolto le tesi fondamentali, estremizzandole. Due Ordini religiosi nel cammino dei giansenisti:Gesuiti e Domenicani. Verso la fine del secolo XVI, dopo la condanna dell’agostinismo eterodosso di Baio, la questione della grazia ritorna in primo piano anche tra i seguaci di Tommaso d’Aquino e quelli di Sant’ Agostino. Questi, come sappiamo, nella seconda metà del Cinquecento, avevano dato vita a due principali interessi: quello più conservatore della Scuola di Salamanca, rappresentato soprattutto dai Domenicani, e quello più innovativo della scuola dei Gesuiti. Uno dei punti di maggiore dissenso tra le due scuole riguardava l’interpretazione del pensiero di S. Tommaso sui rapporti tra grazia e libero arbitrio. Su questa questione ha luogo lo scontro tra il domenicano Bañez e il gesuita Molina, uno scontro violentissimo e tanto più scandaloso in quanto da semplice controversia privata di due eminenti teologi si trasformerà in una lotta di prestigio tra i due grandi Ordini religiosi a cui appartenevano i Domenicani e i Gesuiti. Si sviluppò dunque, una nuova corrente di pensiero dei Gesuiti, contro quella agostiniana, che tendeva ad esaltare l’uomo e a minimizzare gli effetti del peccato originale, affermando che l’uomo rigenerato dalla grazia è chiamato a collaborare all’opera di salvezza. Principale rappresentante di questa corrente che si rifaceva a s. Tommaso, fu il gesuita spagnolo Luis Molina con la sua opera “Concordia liberi arbitrii cum gratiae donis”(Lisbona 1588). Bañez rispose al gesuita con la “Apología de los hermanos dominicos”. I due teologi si accusarono reciprocamente di eresia; Molina fu tacciato di pelagianesimo, mentre Bañez fu accusato di aver scritto opere di stampo luterano e calvinista. La corrente che si sviluppò detta Molinismo, non ricusava la realtà del peccato originale, ma cercava di minimizzarne le conseguenze, ritenendo che dopo il peccato originale, la natura umana è rimasta immutata: l’uomo, come essere naturale, è assolutamente libero e totalmente indeterminato fra bene e male. Ciò che l’uomo ha perso peccando sono i doni e le virtù sovrannaturali di cui Dio l’aveva dotato, passando così da uno stato di comunione con il trascendente ad uno stato puramente naturale”. Quindi, l’uomo può compiere il bene naturale senza bisogno della grazia, ma col solo concorso generale di Dio; per quanto riguarda la salvezza eterna, invece, l’efficacia delle sue azioni dipende ancora dalla grazia divina: nemmeno la fede nella rivelazione, che è il primo passo verso la salvezza, è un atto di pura volontà, ma richiede la vocazione divina della grazia. Per salvare il concetto di Provvidenza,senza perciò seppellire la libertà, Molina ricorre ad uno scaltro espediente: il “concorso simultaneo”, per cui ogni evento scaturisce dalla intima cooperazione di ben due cause. La prima corrisponde all’intervento di Dio (che di tutte le cose è autore), la seconda riguarda invece l’azione di un agente creato: pertanto, da un lato Dio è il principio della causalità e, in questo senso, è autore di tutto ciò che avviene, ma, dall’altro lato, quale sia 9 codice per parlarne nelle loro lettere. L'argomento della grazia secondo sant'Agostino divenne per essi “Pilmot”. Giansenio si denominò lui stesso ora “Boezio”, ora “Quinquarbre” o “Sulpizio”. Saint-Cyran fu “Celias”, o “Durillon” o “Solion”. I Gesuiti, di cui l'uno e l'altro erano stati allievi ed amici, divennero per essi quello che noi chiameremmo il " nemico numero uno " e furono denominati “Gorforosto”, “Pacuvio”, "i sottili". Sant'Agostino ricevette il nome di “Seraphi”, “Leoninus”, “Aclius”. “Domini” indicò la Corte romana, “Purpuratus” fu Richelieu, ecc. ecc. Questo spiegamento di termini convenzionali ci sembra piuttosto insolito, ma indica bene il carattere strano e presuntuoso dell'impresa. Chi avrebbe potuto credere che Agostino fosse rimasto sconosciuto a tutti fino a Giansenio? Chi avrebbe potuto supporre, in ogni caso, che la sua dottrina, per quanto rimasta ignorata da tutti, fosse così indispensabile al bene della Chiesa? Lo stesso Sainte-Beuve commenta stupito le pretese di Giansenio: " Ecco che lo sostituisce a san Paolo, e quasi lo uguaglia al Vangelo... E' ammissibile ciò? " Da principio, in reltà, l’Augustinus avrebbe dovuto avere il nome di Apologia di Baio, ma dati gli effetti negativi che l’opera avrebbe avuto nel mondo cattolico vi sostituì l’altro più specioso ma bugiardo Augustinus di Giansenio volendoci indurre a credere che la dottrina di questo suo libro era la dottrina di quel Gran Padre. Per questo motivo l’Augustinus nel linguaggio enigmatico di Giansenio e di Saint-Cyran era indicato con le misteriose parole di “grande affare” di “processo”, e di “Comir” o “Comar”. Giansenio morì colpito dalla peste, il 6 Maggio 1638, dopo che il suo Mars Gallicus pesante libello contro la politica estera di Richelieu gli era valso due anni prima la carica di vescovo di Ypres. Lasciò ai suoi successori il manoscritto del suo voluminoso libro intitolato Augustinus e tutta la carta necessaria per stamparlo, e le direttive utili ai due amici incaricati della pubblicazione. La pubblicazione dell’Augustinus portò di nuovo al parossismo le controversie sulla grazie. Furono i Gesuiti ad aprire le ostilità il 22 Marzo 1641, trascurando le interdizioni del 1611 e del 1625, fecero sostenere nel collegio dei Gesuiti alcune tesi in cui Giansenio era accusato di rinnovare gli errori di Calvino e Baio, di annullare la libertà dell’uomo e di limitare la redenzione ai soli eletti. Ormai tutti parlavano dell’argomento e nelle Università ci si divideva tra giansenisti e antigiansenisti. Arnauld In Francia il terreno era perfettamente preparato a nuove battaglie. Saint- Cyran, dopo aver scartato suo nipote Martin de Barcos come possibile discepolo, trovò come erede spirituale Antonio Arnauld (1612-1694), quello stesso che la posterità avrebbe poi chiamato “il grande Arnauld”. Studente in legge e poi in teologia nel 1632, il giovane che aveva a lungo deluso il maestro per le sue aspirazioni troppo esclusivamente intellettuali e al tempo stesso troppo mondane, brillava per le sue qualità notevoli. Saint-Cyran aveva procurato al giovane Arnauld gli opuscoli di S.Agostino delle edizioni di Lovanio del 1555. E in occasione del suo Baccellierato gli fece sostenere delle tesi accostabili a quelle dell’ Augustinus. Il successo che queste tesi incontrarono alla Sorbona dimostrerà che l’agostinismo aveva ancora 10 ardenti partigiani. Nel 1641 Arnauld diventerà dottore e si impegnerà sotto la direzione si Saint-Cyran nello scrivere opere in difesa delle proprie idee. Già nel Settembre del 1640, alcuni esemplari dell’Augustinus furono inviati in Francia, nel 1641 venne autorizzata una ristampa a Parigi nel 1641 e nel 1643 a Rouen. E’ proprio in questo momento storico che scoppierà la scintilla tra i difensori dei giansenisti,cioè gli agostiniani, oratoriani, domenicani,carmelitani e molti professori della Sorbona e i nemici del giansenismo, in prima fila i Gesuiti, accompagnati da una minoranza di professori alla Sorbona. Ma il più pericoloso nemico dei giansenisti, era in primo luogo il Cardinale Richelieu da sempre schierato a favore dell’attrizione, quando nell’Augustinus è difesa la contrizione a spada tratta. Richelieu non aveva mai perdonato a Giansenio il suo Mars Gallicus, opera inclinata verso il molinismo. Per giunta, il Cardinale si comportava con particolare riguardo verso i Gesuiti, che in politica gli rendevano dei servigi assai preziosi. Per un primo momento, perciò, preferirà non dare il segnale dell’ostilità, per valutare appieno la potenza del partito agostiniano. Otto giorni dopo la morte di Giansenio , a causa della meno cauta opposizione a Richelieu, che in nome della ragion di stato stava stringendo alleanza con i principi tedeschi, Saint-Cyran verrà rinchiuso nella prigione di Vincennes, ove rimase fino a che la morte del Cardinale mise fine di fatto alla detenzione (1643). Richelieu , prima di morire, però incaricò il teologo Isaac Habert, di attaccare Giansenio nella sua predicazione; questi dal pulpito della cattedrale Notre Dame il 30 novembre e il 21 dicembre 1642 e poi nella settuagesima successiva mosse un attacco così violento da provocare una reazione scritta dalla parte opposta. Così Arnauld, sotto ordine di Saint-Cyran, prigioniero a Vincennes, compose la sua voluminosa Apologie pur M. Jansénius, pubblicata postuma a causa del suo contenuto nel 1644. Verso la bolla In Eminenti. Infuriata la polemica culturale, un erudito Gesuita specialista dell’antichità cristiana, Jacques Sirmond, tentò di dimostrare che sin dall’antichità sant’Agostino era stato accusato di un’eresia detta predestinazionismo, suscitando così una violenta controversia. I gesuiti fiamminghi e l’internunzio Stravius avevano provveduto a portare a Roma la questione dell’ Augustinus ancor prima che l’opera venisse pubblicata. E’ poco probabile che essa abbia molto colpito Urbano VIII, vecchio, roso dalla malattia e dagli scrupoli, preoccupato soprattutto della poesia e della politica, che dedicava le proprie energie alla gloria della sua famiglia, i Barberini, lasciando il governo nelle mani del nipote, il cardinale Francesco Barberini. Costui, non avendo potuto impedire la pubblicazione dell’Augustinus, volle almeno imporre il silenzio alla controversia. Il 1 agosto 1641, egli fece decretare dal Sant’Ufficio la condanna sia dell’Augustinus sia della tesi dei Gesuiti e di molte altre pubblicazioni dei partiti. L’intervento del Brabante sollevo difficoltà giuridiche e impedì la pubblicazione del decreto a Lovanio. I Gesuiti iniziarono da quel momento una vasta manovra atta ad ottenere una condanna dottrinale dell’Augustinus. Al Barberini furono inviate diverse proposizioni condannabili; questi dopo aver udito il Sant’Ufficio che si rifiutava di condannarle senza prime averle lette, ritenendole simile a quelle già 11 condannate da Pio V e Gregorio XIII decise di interdire il libro. Il 16 marzo 1642 fu redatta in tal senso una bolla, il cui testo è probabilmente attribuibile all’assessore del Sant’Ufficio Francesco Albizzi. Dopo l’intervento del Nunzio di Colonia, Fabio Chigi(poi papa Alessandro IV), che svolse un azione importante di pacificazione,la bolla venne pubblicata a Roma solo il 19 giugno 1643 ricordata ai posteri con il nome di “In eminenti”. Le circostanze della pubblicazione rimangono incerte, poiché i Gesuiti belgi, venendo in possesso di essa attraverso i fratelli romani, la pubblicarono prima che i Nunzi ne fossero a conoscenza assumendosene la responsabilità. L’Internunzio a Bruxelles, Antonio Bichi, succeduto a Stravius nel luglio 1642, e suo zio Fabio Chigi, Nunzio a Colonia, ne ricevettero comunicazione ufficiale poco dopo e la pubblicarono, correggendone il testo e datandola 1643. Il testo sollevo difficoltà dottrinali e giuridiche e per questo non venne mai pubblicato nelle Fiandre prima del 1651. A Lovanio, il decano della facoltà di Teologia, Schikelius, partigiano dell’antigiansenismo, tentò con poca fortuna di fare accettare la bolla prima della sua pubblicazione. Infatti il punto considerato più erroneo era quello in cui si diceva che l’Augustinus avrebbe procurato scandalo nella chiesa. Per ottenere che il papa tornasse sui suoi passi, il gruppo giansenista decise di mandare a Roma, Jean Sinnich e Corneille de Paepe, ma ogni tentativo risultò vano. In quanto l’Albizzi, potentissimo all’interno del Santo Ufficio, aveva fatto sapere che la bolla era immodificabile. Mentre De Paepe morì a Roma, il Sinnich ottenne un incontro col Santo Padre il quale asserì che era stata sua intenzione che la bolla no facesse menzione di Giansenio. Intimoritosi, l’Albizzi, fece preparare dal Sant Uffizio un decreto di conferma della bolla (1644). Morto Urbano VIII, gli succedette Innocenzo X che si dimostro conciliante con il Sinnich, ma rimanendo fermo sull’applicazione della bolla del suo predecessore. Il Nunzio apostolico di Parigi, Gerolamo Grimaldi, non aveva mai ricevuto in via ufficiale la bolla; vedendo la versione della bolla che i Gesuiti di Rouen avevano fatto stampare la considerò spuria. L’ Arnauld, consigliato da Saint-Cyran, sviluppo tutte le possibili argomentazioni sull’autenticità della bolla nelle sue Premières e Secondes observations sur la bulle(1643); l’opera impressionò fortemente l’opinione pubblica. L’Arnauld pubicò anche La Comunione frequente (1643). Questo libro avrebbe dato al giansenismo il suo secondo carattere dominante. Si vedrà più avanti che il primo carattere era quello di un rigorismo dottrinale spietato, che toglieva ogni forza alla libertà umana per rimettere tutto all'azione della grazia divina. Il secondo Carattere, molto vicino al primo, sarebbe stato un rigorismo morale accompagnato da esigenze implacabili. Sotto questi due aspetti congiunti e convergenti, il giansenismo avrebbe meritato il nome che gli è stato talvolta inflitto: un calvinismo rimpastato. Il rigorismo giansenistico è infatti l'altro volto del puritanesimo calvinista, così come la sua dottrina della grazia irresistibile è l'altro volto del dogma della predestinazione. I calvinisti se ne erano ben resi conto poiché si erano gettati con avidità sull'Augustinus. 14 Papi e i Vescovi ànno condannato; la quale dottrina non è quella di S. Agostino che Giansenio à spiegato male contro il vero senso di questo Santo Dottore”. Il monarca francese, Luigi XIV si impegnò con zelo attivo per la causa della chiesa, tanto da ricevere un encomio attraverso un Breve del papa. Alessandro VII,spinto dal Re sole, che notava alcune deferenze da parte del clero nell’accettare il formulario, decise di intervenire con una nuova Costituzione. Perciò inviò ai vescovi, al Nunzio e al Re la celebre bolla Regiminis del 15Febbraio 1665 con l’intento di togliere ogni pretesto alla disobbedienza, ed ogni sotterfugio ad un eresia, che, già quasi oppressa dalle precedenti Costituzioni, non lasciava spazio a raggiri e cavilli, sotto le più severe pene canoniche. La formula indicata, da sottoscrivere entro tre mesi, è del tenore seguente: “Io N.N. mi sottometto alla Costituzione Apostolica di Innocenzo X Sommo Pontefice emanata li 31 Marzo 1653 e a quella di Alesandro VII suo successore del 16 Ottobre 1656, rigettando e condannando sinceramente le cinque proposizioni estratte dal libro di Cornelio Giansenio intitolato Augustinus nel proprio senso dello stesso Autore, come le à condannate la Sede Apostolica colle suddette Costituzioni. Io così giuro, e così, e così Dio mi ajuti, e i suoi Santi Evangelj”. Il Re medesimo ricevuta questa Bolla andò in persona nell’Aprile seguente a farla registrare in Parlamento, ordinandone l’osservanza in tutto il regno e comandando che senza remissione si procedesse contro i refrattari alle pene comminate nella medesima. Il 24 Settembre 1666 la Santa Inquisizione con un doppio Decreto proscrisse e danno come scandalose 28 proposizioni di morale dei Giansenisti. Blaise Pascal, 18 stoccate contro i Gesuiti. In questo contesto, nel 1656, furono pubblicate anonime, in Francia, le famose Lettere ad un Provinciale di Blaise Pascal, che riscossero un gran successo nell’opinione pubblica del momento, tant’è che fu di grande aiuto al giansenismo. Pascal utilizza le Provinciali come mezzo di difesa dei giansenisti nella polemica che li opponeva ai Gesuiti. La contrapposizione,al di là delle questioni teologiche, esprime due modi radicalmente diversi di intendere il cristianesimo: il giansenismo sostiene un’adesione totale al messaggio evangelico,che modifica in profondità la vita del credente. I gesuiti, per contro ,avvertono l’esigenza di conciliare la religiosità con la nuova realtà sociale,accentuando l’aspetto ritualistico e formale e trasformando il cristianesimo in un insieme di prescrizioni che possono essere seguite senza cambiamenti profondi del proprio modi di vivere. La casistica,o casuistica ,è la classificazione dei problemi morali che si pongono nei casi specifici,in relazione alle situazioni concrete. Nel XVIII secolo si diffondono veri e propri manuali di casistica, con specificazioni delle norme morali e di eccezioni consentite in riferimento a particolari circostanze, tantoché secondo i giansenisti,quasi ogni comportamento finisce per essere considerato lecito. Questo metodo produce, secondo i port-royalisti, il lassismo, cioè una morale ritagliata sulle proprie esigenze personali e soltanto esteriormente cristiana. Secondo Pascal, lo scopo dei gesuiti non è quello di corrompere i costumi e afferma perentorio nelle provincialI : “Ecco qual' è la loro politica il loro pensiero: essi hanno un’opinione abbastanza buona di se stessi per credere che sia utile e quasi necessario al bene della religione che la loro autorità si diffonda dovunque e che essi governino tutte le coscienze. E poiché le massime evangeliche e severe 15 servono per governare alcuni tipi di persone, se ne servono in quelle occasioni in cui esse giovano loro. Ma siccome queste stesse massime non s’accordano con le tendenze della maggior parte delle persone, nei riguardi di queste le abbandonano, per poter soddisfare tutti. Per questo motivo, avendo essi a che fare con gente di tutte le condizioni e appartenenti a nazioni tanto differenti, è necessario che abbiano dei casuisti adatti per tutte queste diversità. Mediante questo principio potete facilmente capire che se essi avessero soltanto casuisti rilassati rovinerebbero il loro scopo principale, ch è quello di comprendere tutti, perché coloro che sono veramente pii cercano una guida più ferma. Ma siccome di questo tipo non ve ne sono molti, non occorrono loro molti direttori severi per guidarli: ne hanno pochi per pochi, mentre il grande numero di casuisti rilassati si offre al grande numero di coloro che cercheranno il rilassamento. […] Con ciò conservano tutti i loro amici, e si difendono da tutti i nemici. Perché se si rimprovera il loro eccessivo rilassamento, mettono subito davanti agli occhi del pubblico i loro direttori austeri con alcuni libri da essi scritti secondo il rigore della legge cristiana; e gli ingenui, coloro che non approfondiscono le cose, si accontentano di queste prove.”(B. Pascal,Le Provinciale). Pascal, con il suo rigorismo per cui li cristiano nulla può concedere al mondo, alla tradizione, ai costumi e alle convenienze sociali, contrasta profondamente con il lassismo dei Gesuiti, che tendevano invece a conciliare il cristianesimo con le consuetudini dell’epoca. Se dal punto di vista morale l’atteggiamento di Pascal susciterebbe maggiore approvazione, non dobbiamo sottovalutare le ragioni del Cristianesimo propugnato dai Gesuiti; un Cristianesimo che rispetta i costumi e gli stili di vita dell’epoca, non interferisce nella vita quotidiana e si concilia con ogni professione. Al contrario, quello di Pascal è un Cristianesimo d’élite,che influenza l’intera esistenza e che solo pochi possono seguire. Con l’elezione al soglio pontificio del Cardinale Giulio Rospigliosi, al secolo Clemente IX, iniziò il periodo chiamato “pace della chiesa”. Il pontefice risolse il problema relativo ai quattro vescovi che non volevano sottoscrivere le condanne al giansenismo dei suoi predecessori. In realtà Clemente fece finta di chiudere un occhio garantendo trenta anni di tregua nella lotta al giansenismo. Alla faccia di chi sostiene che la Chiesa è sempre stata troppo severa nei confronti di questa eresia. Nel 1692 i Vescovi delle Fiandre aggiunsero alla Formula altre parole. Si lamentarono i Lovaniesi che ottennero due Brevi, una del 1694 e una del 1696. Quesnel Nel 1685, Arnauld ricevette a Bruxelles due oratoriani che, per le loro opinioni agostiniane, avevano dovuto lasciare la Francia. Se il più giovane , Jacques- Joseph Du Guet, fu ben presto costretto dalla sua salute fisica a rientrare in patria dove fece una brillante carriera di scrittore spirituale, l’altro, Pasquier Quesnel (1634-1713), rimase fino all’ultimo il fedele compagno di Arnauld. Precedentemente, Quesnel si era segnalato soprattutto per dei lavori di erudizione, fra cui un eccellente edizione di San Leone. Le sue idee personali erano impregnate di un agostinismo molto berulliano, ed egli inoltre si dimostrava estremamente ligio al pensiero di san Tommaso, di cui possedeva una conoscenza assai notevole. In condizioni come queste, egli non aveva eccessiva stima per 16 l’agostinismo rigido ed arcaizzante di Giansenio, e si può capire come avesse potuto precedentemente firmare a quattro riprese il formulario. Quesnel era inoltre gallicano e impregnato dalle idee sostenute, al principio del XVII secolo, da Edmond Richer. Come questo, egli pensava che nella Chiesa il deposito della verità è affidato non al papa e ai vescovi, ma all’assemblea dei fedeli che ne sono responsabili tutti insieme e che, di conseguenza, sono giudici della dottrina allo stesso titolo della gerarchia; ne derivava che una verità dogmatica non si poteva imporre se non fosse accettata dalla massa di fedeli. Dal punto di vista intellettuale, l’influenza di Quesnel su Arnauld si esercitò in un senso nettamente tomista, visibilissimo nelle ultime opere del vecchio teologo. D’altra parte, Quesnel era molto più di Arnauld un uomo politico. Deciso avversario dei Gesuiti e dei molinisti, egli intuiva che la diffusione del giansenismo nelle classi dirigenti del parlamentarismo contrarie per tradizione all’assolutismo regio, creava un insieme di circostanze favorevoli di cui bisognava approfittare. A tale scopo, si doveva trasformare il giansenismo in un partito solidamente costituito: fu questa l’opera di Quesnel. Lucido e tenace, aveva le qualità di un capo e non impiegò molto ad organizzare, attraverso l’Europa, una vasta rete di agenzie gianseniste, perfezionando così l’opera abbozzata da qualcuno dei suoi predecessori, specialmente Du Vaucel e Pontchâteau. Tuttavia, se voleva il trionfo del partito agostiniano, Quesnel non intendeva affatto spezzare le lance in favore di Giansenio, ch’egli non apprezzava molto. Tentò anzi di svincolarsene, pubblicando la sua Tradition de l’Eglise romaine sur la prédestination des saints et sur la grâce efficace, nella quale accostava grazia e incarnazione in una prospettiva tutta berulliana lontanissima dal giansenismo (1687-1690). Restavano però dei giansenisti che consideravano Giansenio come l’autentico interprete di Sant’Agostino. Questa era stata in altri tempi l’opinione di Barcos, del quale Quesnel arriverà al punto di distruggere all’occasione i manoscritti. Essa era ancora quella d’un gruppo importante di teologi di Lovanio i quali s’accanivano in una battaglia disperata. Era quella, infine, di un benedettino francese, Don Gabriel Gerberon (1628-1711), il cui giansenismo intransigente l’aveva costretto a cercar rifugio in Olanda nel 1682, da dove non esitava a criticare l’Arnauld ed il Quesnel i quali, da parte loro, lo consideravano un arruffone pericoloso. Fu appunto contro le idee di Quesnel che Gerberon fece stampare nel 1696 un vecchio scritto di Barcos, d’un agostinismo maldestro e aggressivo, intitolato Exposition de la foi catholique touchant la grâce et la prédestination. Nell’ambiente parigino questa pubblicazione inopportuna sollevò vive proteste persino da parte dei giansenisti moderati, ma nello stesso tempo offerse agli intransigenisti un punto d’incontro. Il nuovo arcivescovo di Parigi, Noailles, si faceva passare per agostinisto. Egli si credé quindi obbligato a condannare l’ Exposition, ma lo fece con un’ordinanza del 20 agosto 1696, nella quale la parte dottrinale, redatta da Bossuet, stabiliva vigorosamente l’agostinismo. Naturalmente finì per scontentare tutti. Quesnel consiglio il silenzio, ma Gerberon e gli intransigenti parigini pubblicarono dei libelli contro l’arcivescovo, fra i quali una Histoire abrégée du jansénisme de 1697 particolarmente virulenta. Nel 1695, mentre era ancora vescovo di Châlon, Noailles aveva approvato un’opera del P.Quesnel intitolata Le Nouveau Testament en française avec des réflexions morales sur chaque verset,ripresa da uno scritto assai più breve apparso nel 1671. Il commento era spesso molto bello sul piano spirituale, ma l’agostinismo di Quesnel vi si esprimeva questa volta in formule pittosto categoriche nelle quali s’ indovinavano le sue simpatie per Richer. 19 deve impedire di fare il proprio dovere». Voleva dire mettere al bando la ragione, le libertà della chiesa gallicana, e il fondamento della morale; era come dire agli uomini: «Dio vi ordina di non far mai il vostro dovere, finché avrete timore dell'ingiustizia». Mai si era combattuto contro il buon senso con maggiore sfrontatezza. I consultori di Roma non ci fecero caso. La corte di Roma fu persuasa che quella bolla era necessaria e che la nazione la desiderava; fu scritta, sigillata e spedita. Se ne conoscono le conseguenze. Certamente se si fossero previste, si sarebbe mitigata la bolla. Le dispute sono state vivaci; il buon senso e la bontà del re le hanno infine calmate.”(Voltaire, Trattato sulla tolleranza). La bolla dell’Unigenitus chiuse la vicenda, ma diede un nuovo slancio al giansenismo, tant’è che alcuni storici sono soliti evidenziare dei rapporti tra questo movimento e il Gallicanesimo e il Richierismo. Per quanto riguarda il rapporto con il primo, il giansenismo dimostrò diffidenza e ostilità nei confronti della centralizzazione ecclesiastica, dimostrando una larga autonomia delle diocesi e delle parrocchie, tant’è vero che il Giansenismo e il Gallicanesimo si sono trovati a condividere le stesse lotte. La condanna del movimento giansenista nel 1713, rafforzò i rapporti con i parlamentari gallicani, soprattutto in due occasioni: • nel movimento degli Appelli, i cui si fa avanti il filone conciliarista che richiese la convocazione di un concilio ecumenico, dopo la condanna del 1713, perché si riteneva il papa poco informato; • con la vicenda dei “biglietti di confessione”, esigiti dall’arcivescovo di Parigi, per gli aderenti al movimento, nel quale dovevano attestare la sottomissione e l’accettazione della bolla di condanna del Giansenismo del 1713. Tale disposizione fu condannata dal parlamento di matrice gallicana, che ingiunse ad ogni sacerdote di amministrare il sacramento a chiunque lo richiedesse; Il Richierismo è un insieme di tesi esposte dal teologo valicano francese Edmond Richer nel suo libro De ecclesistica et politica protestate libellus, in cui si afferma che la Chiesa è governata sia dalla gerarchia episcopale, che dai sacerdoti, tra questi, poi, non sussiste nessuna differenza canonica, ma si può parlare di una forma di democrazia clericale. I giansenisti dapprima rifiutarono tali tesi ritenute scandalose, poi le appoggiarono, a causa di due motivi: Un motivo di ordine ideologico: infatti alla fine del regno di Luigi XIV, molti preti francesi ebbero forti simpatie gianseniste, in quanto temevano un’alleanza tra re, vescovi e Santa Sede, quindi reagirono contro l’autorità, provando simpatia per idee democratiche all’interno della Chiesa; Un motivo di ordine economico: infatti il basso clero, rispetto all’alto clero di origine nobiliare versava nella miseria, per cui nacque una sorta di lotta di classe all’interno del clero francese, che portò il basso clero a sostenere le idee democratiche del richierismo; Giansenismo in Italia 20 In Italia ebbe un'influenza limitata, fatta salva l'opera del vescovo di Pistoia e Prato, Scipione de' Ricci, che riuscì ad influenzare il clero e i politici toscani, soprattutto il granduca Pietro Leopoldo organizzando il Sinodo di Pistoia per promuovere il Giansenismo. Questo vescovo riformatore fu inviso agli aretini del "Viva Maria", che durante la loro insurrezione lo imprigionarono. Tale sinodo fu condannato da papa Pio VI con la bolla Auctorem Fidei del 28 agosto 1794. Influenze gianseniste, debellate dal cardinale Fabrizio Ruffo, emergono fra il clero napoletano che aderì alla repubblica partenopea, le cui connessioni con il regalismo borbonico non sono state ancora del tutto chiarite. Fra i giansenisti che operarono a Napoli si ricorda Vincenzo Troisi. Fenomeno di rilievo è l'influsso giansenista su diverse figure del Risorgimento italiano che passeranno poi al Protestantesimo, come Salvatore Ferretti e Camillo Mapei. I genitori di Giuseppe Mazzini appartenevano ad una piccola setta giansenista. Il Giansenismo esercita la sua influenza pure sulle prime opere dello scrittore Alessandro Manzoni. Giansenismo in Olanda All'inizio del XVIII secolo alcuni giansenisti in fuga dalla Francia si rifugiarono in Olanda. Lì furono accolti dalla chiesa locale, all'epoca in controversia con Roma proprio per via delle simpatie gianseniste di alcuni suoi precedenti vescovi; uno di questi vescovi, Petrus Codde, sarà anche processato per giansenismo a Roma (contro i privilegi che la stessa Santa Sede aveva concesso all'Arcivescovo di Utrecht), risultando innocente ma venendo comunque deposto dal papa. L'aiuto fornito ai giansenisti francesi fece sì che la chiesa nazionale olandese venisse con essi identificata (pur essendo questa identità destituita di fondamento), e che questo equivoco si trascinasse per secoli.
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