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La storia dell'arte E.H. Gombrich - Riassunto, Schemi e mappe concettuali di Storia Dell'arte

Storia dell'arte anticaStoria dell'Arte ModernaStoria dell'Arte Orientale

Riassunto del libro La storia dell'arte di Gombrich. Presenti le prefazioni, l'introduzione e i capitoli fino al tredicesimo. Nell'ultima pagina è presente un link che porta a un pdf con l'elenco delle opere citate.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

In vendita dal 12/06/2023

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Scarica La storia dell'arte E.H. Gombrich - Riassunto e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! La storia dell’arte E.H. Gombrich Prefazione Nella prefazione a La storia dell’arte di Gombrich emergono le intenzioni dell’autore. Egli stesso dichiara la sua volontà di voler mostrare e raccontare il mondo dell’arte avendo come interlocutore ideale i giovani che per la prima volta affrontano i temi della storia dell’arte. Per questo motivo il testo utilizza un linguaggio semplice, limitando l’utilizzo di termini tecnici. Gombrich racconta di come sia stato necessario, per la stesura del libro, imporre delle regole. La prima regola prevede di non parlare di opere che non potessero essere mostrate attraverso le illustrazioni; evitando così elenchi di nomi. La seconda regola esprime la volontà di limitarsi alle autentiche opere d’arte, eliminando il gusto personale. Sono quindi presenti nel testo le opere con un particolare pregio funzionale al racconto. La storia dell’arte da un punto di vista oggettivo è l’oggetto della terza regola, la quale prevede la cancellazione del punto di vista personale dell’autore per non correre il rischio di non parlare di alcune opere famose. Un ulteriore regola prevede la preferenza nella discussione di opere che siano state viste in originale e non attraverso le fotografie. La regola in questione viene applicata parzialmente poiché è necessario tenere conto della difficoltà dei viaggi. Altro obiettivo del libro è quello di collocare le opere nella loro prospettiva storica, portando alla comprensione degli intenti artistici del maestro. Spesso tra gli intenti emerge la volontà di distanziarsi dai canoni precedenti, diventa quindi importante saper cogliere le differenze. Questo non significa che ci sia un progresso continuo oggettivo legato ai valori artistici ma diversamente un progresso soggettivo legato all’animo dell’artista. Lo sbilanciamento del testo a scapito della scultura e dell’architettura riguarda la difficoltà della riproduzione dell’immagine dell’opera in questione in un libro. Prefazione dodicesima edizione Volontà dell’autore è quella di raccontare la storia permettendo la visione diretta delle immagini. Questo non permette modifiche all’impaginazione originale. Gli ultimi capitoli dell’undicesima edizione vennero leggermente modificati e fu aggiunto un poscritto. Si pone il problema del rapporto del lettore con il testo, le modifiche infatti avrebbero potuto infastidire il lettore che possedeva il ricordo di alcuni passaggi interni al testo. Vengono aggiunte tavole a colori, ingrandite alcune opere e inseriti 14 esempi per arricchire la struttura del discorso. Prefazione tredicesima edizione Aggiunta illustrazioni e introduzione tavole cronologiche. Il testo rimane invariato. Prefazione quattordicesima edizione Vengono mantenute le modifiche precedenti. Viene aggiornato il capitolo dedicato ai libri d’arte. Vengono sostituite alcune illustrazioni in b/n con quelle a colori. Aggiunto appendice sulle Nuove scoperte. Prefazione quindicesima edizione Piccola riflessione sull’epoca dei programmi televisivi che allontanano in particolare gli studenti. Sono presenti nuove illustrazioni a colori e vengono aggiornati indice e bibliografia. Prefazione sedicesima edizione Aggiunte illustrazioni che Richard Schlagman (proprietario Phaidon Press) mantiene visibili durante la lettura, migliorando qualità e proporzioni. Aggiunti inserti pieghevoli (Polittico di Gand) e immagini prima discusse ma non illustrate (ad es. affresco Correggio cupola cattedrale Parma). Aggiunti otto artisti tra cui Corot, molto ammirato dall’autore, a scopo di una miglioria del discorso per rendere lo svolgersi della storia in maniera meno discontinua. Prefazione all’edizione tascabile Prima nuova edizione dalla morte dell’autore nel 2001. Volontà di mantenere la sedicesima edizione ma affiancarla a una più maneggevole. Necessità di una carta leggera con la conseguenza della separazione del testo dalle immagini. Sono state omesse le illustrazioni fuori numerazione a cui non viene fatto riferimento nel testo. 1. Strani inizi Non sappiamo come sia nata l’arte ma nel passato le opere non erano fine a se stesse o decorative, esse infatti avevano una funzione. I fini dell’arte, ripercorrendo la storia, ci paiono più chiari ma al contempo strani. Osservando i popoli “primitivi” notiamo che per loro non vi è alcuna differenza fra la costruzione di una capanna o di un’immagine in quanto entrambe hanno uno scopo protettivo più o meno reale. Possiamo ritrovare un esempio nel modo in cui anche noi trattiamo le immagini e le fotografie. Nel mondo molti individui hanno tentato di praticare magia attraverso dei fantocci. Con la scoperta delle grotte con varie raffigurazioni di animali emerge l’importanza del legame tra l’uomo e l’animale attraverso il disegno. Probabilmente con il disegno questi uomini “primitivi” credevano di riuscire a esercitare qualche forma di potere sull’animale. Esistono ancora alcune popolazioni che con strumenti di pietra incidono figure di animali per scopi magici. Anche con i travestimenti durante le feste alcune tribù credono di conquistare potere sulla preda. Altre tribù vedono un legame ancora più forte e di essersi trasformati con il mascheramento. Queste credenze si tramandano di generazione in generazione. In questi esempi non è importante la bellezza ma la sua influenza ovvero la realizzazione dell’effetto magico. Esistono oggetti come la bandiera, l’anello nuziale o l’albero di natale che hanno delle principali caratteristiche che vengono tramandate e a volte, come negli ultimi due casi, ogni famiglia aggiunge le proprie tradizioni. Quando si parla di arte primitiva non ci si riferisce affatto alla conoscenza degli artisti, infatti, molte tribù hanno moltissime abilità. Non differisce il livello artistico ma la mentalità, l’arte non è storia del progressivo perfezionamento tecnico ma il mutamento dei criteri e delle esigenze. I popoli “primitivi” probabilmente non cercano la somiglianza in quanto non la ritengono necessaria. Ad esempio i polinesiani sono degli scultori eccellenti ma un dio della guerra (Oro figura 24) viene rappresentato semplicemente. Il dio della pioggia Tlaloc, rappresentato in una statua messicana probabilmente risalente al periodo azteco (figura 30), viene raffigurato con l’aspetto di un demone visto che la pioggia in quelle zone è spesso questione di vita o di morte. Richiamo all’immagine del serpente a sonagli, considerato creatura sacra e potente, per citare i lampi. 2. L’arte che sfida il tempo I greci a cui noi facciamo molto riferimento andarono alla scuola degli egizi, per questo l’arte egizia per noi assume molta importanza. Le piramidi per cui noi riconosciamo l’Egitto avevano una funzione pratica, ovvero, quella di facilitare l’ascesa del re una volta lasciato il mondo terreno e di proteggere il suo corpo sacro dalla corruzione. Il corpo era conservato attraverso l’imbalsamazione e le pareti della camera mortuaria tracciavano formule magiche che avrebbero agevolato nel viaggio ultraterreno. Il sinonimo della parola scultore era “colui che mantiene in vita”, infatti nelle tombe possiamo trovare ritratti in duro granito. Nei disegni erano rappresentati anche la moglie, i figli e i servi. (Antica tradizione uccisione della famiglia) Oggetti, cibi e bevande erano anch'essi presenti nelle tombe. La rappresentazione che veniva fatta dagli egizi non si preoccupava della verosimiglianza ma i disegni erano molto precisi. I corpi umani erano raffigurati in base all’angolazione maggiormente rappresentativa della singola parte del corpo (viso di profilo, occhio frontale, busto frontale ecc..). La grandezza delle persone raffigurate era proporzionale all’importanza attribuita. Gli elementi della natura come uccelli e pesci venivano rappresentati con estrema precisione (figura 33 Il giardino di Nebamun e figura 35/37 Pittura murale dalla tomba di Chnemhotep). Vi erano regole ben precise e pregio riconosciuto era quello di essere il più possibile fedeli alla tradizione. Un piccolo mutamento ci fu con il “Nuovo Regno” del re Amenofi IV, eliminò molte consuetudini e non volle rendere omaggio alle numerose divinità ma soltanto a Aton. Volle chiamarsi Ekhnaton. Viene rappresentato della stessa grandezza della moglie e con i figli. (figura 40) Il successore Tutankhamon mantenne lo stile più “moderno” e venne raffigurato in pose insolite. (figura 42) Furono comunque restaurate già durante il suo regno le vecchie credenze. tempio di Olimpia e quindi con una nuova disinvoltura. Abbiamo alcuni frammenti (figura 56 e 57) che sono in cattivo stato di conservazione ma è comunque visibile come lo scorcio non rappresentasse più un problema. Questa libertà nel rappresentare il corpo umano permette posizioni e movimenti che rispecchiano la vita interiore delle figure. Il corpo rappresenta i “travagli dell’anima”. Figura 58 Ulisse riconosciuto dalla sua vecchia nutrice V secolo a.c. Figura 59 Stele funeraria di Egèso 400 a.c. 4. Il regno della bellezza In un processo che va dal 520 a.c. al 420 a.c. gli artisti aumentarono il loro potere e le loro abilità; erano ancora considerati artigiani ma aumentò l’interesse per il loro lavoro. Si iniziava a discutere delle varie “scuole” quindi degli stili e delle tecniche. Il Partenone era in stile dorico ma venne introdotto lo stile ionico negli ultimi edifici dell’Acropoli (tempio di Nettuno Eretteo figura 60). Nella figura 61 è possibile notare la differenza con i rilievi precedenti che risultano più rigidi. Grande scultore di quel secolo fu Prassitele, la sua opera più celebre la dea Venere, la giovane Afrodite, che si prepara al bagno non ci è pervenuta. Una statua è stata ritrovata a Olimpia nel XIX secolo, potrebbe essere una riproduzione, ma se la osserviamo possiamo notare come la rigidità degli inizi sia scomparsa (figure 62 e 47). Rimangono comunque presenti le lezioni antiche e Prassitele ci mostra tutte le articolazioni e il loro movimento. Si dice che i greci “idealizzarono” la natura perché i corpi rappresentati sono simmetrici, ben costruiti, privi di irregolarità ad esempio le figure 64 e 65. La bellezza era creata su una figura generica e schematica, non esistono ritratti per come noi oggi li intendiamo. La figura 54 ad esempio probabilmente non era molto somigliante. Non erano mai riprodotte la forma del naso, le rughe o l’espressione particolare. Le espressioni non tradiscono mai sentimenti che sono invece affidati al corpo per non distruggere la regolarità lineare della testa. Solo gli artisti successivi a Prassitele, alla fine del IV secolo, trovarono il modo di animare il volto. Al tempo di Alessandro si iniziò a discutere di questa nuova arte del ritratto. Non sappiamo se il suo ritratto (figura 66) assomigli realmente. Con la fondazione dell’impero l’arte greca assunse valore, divenendo linguaggio figurativo di molta parte del mondo conosciuto. L’arte del periodo successivo è definita ellenistica, nome dato agli imperi fondati dai successori di Alessandro in Oriente. Anche in architettura si aggiunse un nuovo stile, il corinzio, dalla città mercantile di Corinto. Lo stile aggiungeva fogliame, c’erano più ricchi ornamenti. (figura 67) L’arte greca subisce un mutamento nel periodo ellenistico. L’altare della città di Pergamo (figura 68) ha forti effetti drammatici, lo sguardo esprime tormento e la scena è molto movimentata; si tratta di un altorilievo. Un altro esempio simile è Laocoonte con i figli nella figura 69. L’arte ellenistica voleva impressionare. Molti artisti dell’epoca erano pittori ma di loro non ci è giunto molto. Possiamo trovare degli esempi delle pitture murali decorative e mosaici in luoghi come Pompei. 6. La strada si biforca Roma e Bisanzio (V - XIII secolo) Nel 313 d.C. l'imperatore Costantino proclamò per il cristianesimo la libertà di culto. Da quel momento nacque un nuovo problema. Era necessario costruire i luoghi di culto che prima seppur presenti erano piccoli e poco appariscenti. Questi nuovi luoghi non potevano seguire l'esempio dei templi che avevano il compito di custodire le statue del dio senza ospitare i riti. La chiesa doveva ospitare l'intera comunità durante la messa. Le chiese vennero costruite sullo schema delle basiliche. Nessuna delle prime basiliche è rimasta intatta ma possiamo farci un'idea con la figura 86. Un altro problema da affrontare fu quello delle immagini sacre. I primi cristiani non volevano le statue in chiesa in quanto rendevano il culto troppo simile a quello pagano e rendeva difficile spiegarne la differenza. Ma le pitture differivano in quanto erano utili a ricordare gli insegnamenti ricevuti e la storia sacra. Questo punto di vista venne adottato nelle regioni occidentali, latine dell'impero. Questa fu anche la direttiva di papa Gregorio Magno che riteneva le immagini necessarie per indottrinare i membri della Chiesa. Il genere d'arte permesso era comunque molto limitato. Il soggetto doveva essere il più chiaro possibile escludendo tutto ciò che potesse sviare l'attenzione. Esempio figura 87 Anche se queste opere sembrano lontane dall'arte greca e la posizione frontale ci può ricordare certi disegni infantili eppure l'artista conosceva l'arte greca. A testimonianza il saper drappeggiare facendo emergere le articolazioni, mescolare pietre di diverse sfumature per rendere i colori. Il nostro giudizio può vedere un'immagine primitiva per via del desiderio di semplicità. L'arte cristiana del medioevo divenne un curioso miscuglio di metodi primitivi e tecniche raffinate. La capacità di osservazione della natura iniziata in Grecia nel 500 a.C. si spense intorno al 500 d.C.. Non si cercarono più nuove scoperte nei modi di rappresentare un corpo o dare l'illusione della profondità, allo stesso tempo le scoperte fatte non andarono perdute. La questione dell'impiego dell'arte fu una delle ragioni per cui la parte orientale, di lingua greca, dell'impero romano con capitale Bisanzio (Costantinopoli) rifiutò la supremazia del papa. Nel 754 prevalse il partito degli iconoclasta ostile a tutte le immagini sacre, allo stesso tempo gli avversari erano anch'essi in disaccordo con il papa in quanto ritenevano le immagini non solo utili ma sante. "Attraverso e al di là delle immagini noi veneriamo Dio e i santi." Ci fu la ripresa del potere da parte degli iconoduli dopo un secolo di repressioni. Bisognava però difendere le immagini sacre da qualsiasi altra pittura a fantasia dell'artista. I bizantini divennero intransigenti come gli egizi. Ci furono due conseguenze al rimanere fedeli alla tradizione secolare. In primo luogo permise di conservare i concetti e le conquiste dell'arte greca (figura 88) e d'altra parte tarparono le ali all'originalità dei bizantini. La figura 89 rappresenta la cattedrale di Monreale in Sicilia decorata dai bizantini prima del 1190. Sono presenti i santi, piccolo compromesso in terra della chiesa occidentale. 7. Guardando verso Oriente Islam, Cina (II - XIII secolo) Altri due modelli di reazione alla questione delle immagini sono quelli che ci arrivano da Oriente. La religione dei conquistatori musulmani di Persia, Mesopotamia, Egitto, Africa settentrionale e Spagna distrusse tutto quello che trovava sul proprio cammino. La immagini furono proibite ma l’arte continuò con fantasia creando intrecci e motivi, nacque così l’arabesco. Un esempio sono i saloni dell’Alhambra di figura 90. Queste fantasie divennero note in tutto il mondo attraverso i tappeti orientali (figura 91). Più tardi alcune sette maomettane permisero la rappresentazione di figure purché prive di riferimenti religiosi. (figura 92) Forte fu anche l’influsso della religione in Cina. Le prime testimonianze che abbiamo di pitture e sculture non sono così antiche. Nei secoli vicini alla nascita di Cristo i cinesi avevano riti funebri simili agli egizi, nelle cripte tombali abbiamo scene vivaci che raffigurano la vita di quel tempo. (figura 93). I cinesi rispetto agli egizi preferivano la sinuosità delle curve sia nella pittura che nella scultura (figura 94), questa predilezione dona movimento e contorcimento. Alcuni dotti cinesi probabilmente avevano la stessa concezione dell’arte di papa Gregorio Magno, consideravano l’arte un mezzo per richiamare il popolo ai grandi esempi di virtù. figura 95 Un’altra influenza importante per l’arte cinese arrivò dalla religione buddista. I monaci furono raffigurati con straordinaria verosimiglianza (figura 96), ritorna la linea curva nelle orecchie e nel volto ma non deforma la realtà. Il buddismo influì suggerendo nuovi temi agli artisti e introducendo un nuovo modo di considerare i quadri. I cinesi furono il primo popolo a considerare l’artista per la sua importanza, sullo stesso piano di un poeta. Questo nasce dalla meditazione, ovvero, pensare per ore a una stessa sacra verità considerandone tutti gli aspetti. L’arte venne quindi utilizzata come stimolo alla pratica della meditazione. Gli artisti dipingevano acqua e montagne per fornire materia ai pensieri. altro scopo. Vi era la volontà di esprimere un senso di sgomento e esaltazione; anche le pennellate del drappeggio e dello sfondo contribuiscono alla creazione dello stato d’animo. Vediamo emergere il nuovo stile medievale e l’artista impara a esprimere ciò che sente, questo proposito quando si parla di arte medievale è da tenere ben presente. Altro esempio è la figura 107 che rappresenta la lavanda dei piedi, l’obiettivo è la semplicità e l’attenzione verso la scena principale. Questa è un’eredità dei travagli dell’anima dell’arte greca (figura 58). Quando l’artista medievale non ha un modello da copiare i suoi disegni sono infantili ma puntano alle cose importanti con economia di mezzi (figure 109 110). 11. Cortigiani e borghesi Il XIV secolo Il Duecento era stato il secolo delle grandi cattedrali, in cui tutte le arti si erano concentrate. Continuarono nel Trecento ma non furono più l'obiettivo principale. C’è uno sviluppo delle città che porta una maggiore autonomia alla borghesia, anche i nobili si trasferivano nelle città. Il gusto è più raffinato rispetto allo stile gotico puro “gotico primitivo inglese”, quello che si sviluppa da qui è il “gotico fiorito”. Gli architetti si dedicarono a molti altri edifici, un esempio è il Palazzo Ducale di Venezia, figura 138. Caratteristiche della scultura del Trecento sono i lavori minuti in metallo prezioso e avorio (figura 139), queste non hanno un tono solenne come le cattedrali ma vogliono ispirare amore e tenerezza. La figura 140 rappresenta la disputa di Cristo con gli scribi nel tempio. La tecnica della narrazione è ancora irreale: i volti seguono una formula, Cristo dovrebbe avere 12 anni e non c’è spazio fra le figure. Inoltre in fondo è presente una scena di vita quotidiana, nel disegnare la caccia alle anatre con falco si nota lo studio di anatre e falchi. Solo nel corso del Trecento la narrazione e l’osservazione fedele vennero fusi, anche grazie all’influenza italiana. Firenze, grazie all’arte di Giotto, vedeva la maniera bizantina rigida e superata. Le idee di Giotto si diffusero oltre le Alpi mentre i maestri meridionali erano influenzati dagli ideali dei pittori gotici del Nord. Su Siena questi ultimi fecero profonda impressione. Siena non aveva rotto con la tradizione bizantina e Duccio di Buoninsegna cercò di darle nuova vita. Di questa scuola sono Simone Martini e Lippo Memmi. Nella loro pala d’altare (figura 141) come nell’arte medievale hanno la capacità di distribuire le figure ma a differenza di questa riescono a rappresentare il vero (il banco si prolunga nello sfondo, luci e ombre sul libro). Simone Martini fu amico di Petrarca e dai suoi sonetti sappiamo che il Martini fece un ritratto a Laura. Il ritratto è andato perduto e non sappiamo quanto ci fosse somiglianza. Ci è noto però come Martini e altri dipingessero secondo natura e probabilmente per questo l’arte del ritratto si sviluppò in questo periodo. La famiglia di Lussemburgo che governava la Germania aveva la residenza a Praga. Nella cattedrale di Praga sono presenti dei busti di questo periodo che sicuramente sono veri ritratti di Peter Parler il Giovane, di cui abbiamo anche quello che probabilmente è il primo autoritratto (figura 142). Numerosi erano gli scambi, soprattutto nella Boemia che era uno dei centri, che portarono a fine Trecento allo stile di nome “gotico internazionale”. Le opere di questo stile hanno guadagnato in vivacità e spirito d’osservazione (figure 143 144). Nella figura 144 i particolari si fondono per costruire una scena reale, la difficoltà rimane nello sfondo che viene chiuso con alberi e tetti di un castello. Ora il mestiere dell’artista richiedeva di esser capace a fare studi dal vero e inserirli nei suoi dipinti. Un esempio di studio è la figura 145 di Antonio Pisano detto il Pisanello. Mutò anche il pubblico che iniziava a giudicare in base all’abilità di ritrarre la natura e all’abbondanza di particolari. Con il cambiamento di interesse degli artisti si può dire superata l’arte medievale per arrivare al Rinascimento. Un innovatore fu il pittore svizzero Konrad Witz. Nella sua pala d’altare, dipinta per la città di Ginevra, (figura 161) rappresentò l’incontro dopo la Resurrezione tra Cristo e i pescatori tra cui c’era san Pietro. Il luogo rappresentato è il lago di Ginevra, non scelse un lago qualsiasi per raccontare l’episodio del lago Tiberiade ma un posto che gli abitanti conoscevano bene. Anche i pescatori sembrano realmente affaticati e solo Cristo è tranquillo e fermo sulle onde. 13. Tradizione e rinnovamento: I Il tardo Quattrocento in Italia Le nuove scoperte avevano portato gli artisti d’Italia e di Fiandra a pensare che l’arte non doveva servire a narrare in modo commovente la storia sacra ma poteva rispecchiare un frammento del mondo reale. Avvenne un mutamento quando le città cominciarono a diventare più importanti dei castelli. Gli artisti si organizzarono in corporazioni e per entrarvi dovevano dimostrare di avere abilità e solo lì poi potevano aprire bottega. Le gilde avevano voce in capitolo nel governo della città e cercavano di abbellirla. A Firenze devolvevano i fondi per la costruzione di chiese, altari ecc.. Le gilde procuravano lavoro ai loro iscritti e per questo divenne difficile per gli stranieri inserirsi e ottenere lavori come avveniva in precedenza. Si può dire che il gotico internazionale fu l’ultimo stile internazionale fino al XX secolo. Nel Quattrocento c’erano quindi diverse scuole. A Firenze la generazione che seguì a quella di Brunelleschi, Donatello e Masaccio cercò di applicare le scoperte fatte. In architettura Brunelleschi aveva avuto l’idea di reintrodurre le forme degli edifici classici. Leon Battista Alberti nel progetto di una chiesa concepì la facciata come un arco trionfale romano (figura 162). Nella costruzione di edifici più semplici, come le case, però diventava un problema e non erano presenti esempi romani di simili costruzioni. Trovò una soluzione (figura 163) e usò le forme classiche per decorare la facciata senza mutare la struttura. Probabilmente prese ispirazione dal Colosseo dove i vari “ordini” greci erano applicati ai diversi piani. La rottura con il gotico non fu totale, si pensi alla facciata di Notre-Dame di Parigi, il disegno gotico è stato solo rifinito smussando ad esempio l’arco acuto. Lorenzo Ghiberti, scultore della generazione di Donatello, riuscì a conciliare il nuovo con la tradizione. Il suo rilievo (figura 164), per lo stesso fonte battesimale di Donatello, ha una disposizione tradizionale. La cura per le pieghe del drappeggio richiama i lavori degli orafi del Trecento (figura 139). Non viene suggerito uno spazio reale, come fece Donatello, ma uno sfondo neutro. Sa dare un carattere alle figure. Rimase fedele all’arte gotica senza rifiutare nuove scoperte anche fra’ Angelico da Fiesole. Uso i nuovi metodi di Masaccio soprattutto nell’arte religiosa. Era domenicano e dipinse affreschi nel convento fiorentino di San Marco verso il 1440. L’annunciazione (figura 165) presente in una delle celle dimostra come la prospettiva per l’Angelico non era più una difficoltà. L’intenzione era di rappresentare la storia con bellezza e semplicità come Simone Martini nel Trecento (141). Rinunciò all'ostentazione della modernità. Questi problemi si ripresentano con Paolo Uccello, la sua opera meglio conservata è la scena della battaglia di San Romano (figura 166). Probabilmente era destinata a essere collocata come zoccolo o rivestimento della parte inferiore della parete di una stanza del palazzo dei Medici. I cavalli e gli uomini sembrano finti e la vivacità del quadro è lontano dalla guerra. Uccello era impressionato dalla prospettiva e cercò di applicarla nei pezzi di armatura che sono sul terreno e nella figura del guerriero caduto. Le lance spezzate sono disposte verso il loro comune “punto di fuga”. Questa disposizione matematica rende il campo di battaglia artificioso. Se Van Eyck (157) rispetto ai De Limbourg (144) aveva cercato di mutare il gotico internazionale aggiungendo particolari; Uccello sceglie attraverso l’arte prospettica di costruire un proscenio concreto. I contorni risultano duri per la mancanza di chiaroscuro. Benozzo Gozzoli, allievo di fra’ Angelico, ebbe l’incarico di affrescare alcune pareti della cappella privata del palazzo dei Medici. Apprezzato perché dava il meglio dei due mondi. Rappresenta la cavalcata dei Re Magi (figura 168) e l’episodio permette l’uso di sgargianti costumi in un mondo fiabesco. Ricorda lo stile usato in Borgogna (144). Per Gozzoli le nuove scoperte servono a rendere ancora più vivi e gradevoli gli allegri quadri di vita contemporanea.
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