Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

La storia della cartografia nei secoli, Sintesi del corso di Geografia

Ampio excursus sulla storia della cartografia dalle sue realizzazioni primitive ai moderni atlanti. La cartografia come mezzo per la conoscenza e la trasformazione dell'uso del territorio. Esame nel dettaglio della situazione tecnica della cartografia in Italia e all'estero.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 27/01/2023

angelo-michele-lombardi
angelo-michele-lombardi 🇮🇹

4.5

(32)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica La storia della cartografia nei secoli e più Sintesi del corso in PDF di Geografia solo su Docsity! 1 CARTOGRAFIA E TERRITORIO NEI SECOLI Di Cosimo Palagiano, Angela Asole, Gabriella Arena PARTE PRIMA LA STORIA “NELLA” CARTA GEOGRAFICA PREMESSA La trasposizione grafica dello spazio, che rappresenta l’intima essenza della carta geografica, è indubbia conseguenza del bagaglio culturale e della visione della realtà del cartografo che la disegna. Nell’impostare il disegno il cartografo attinge più o meno passivamente a quella che è la concezione politica del suo Paese in quel determinato momento. Così il cartografo che vive in un Paese militarmente forte ed economicamente potente, con mire espansionistiche, collocherà la sua capitale al centro di un mondo cui gli Stati vicini fanno corona, in quanto territori da annettere e da conquistare, e cercherà di mettere in luce i possibili collegamenti con Paesi più lontani con cui avere contatti proficui. Di contro il cartografo che opera in paesi chiusi politicamente al suo interno, non interessato a relazioni esterne, limita il suo disegno a singole zone, città, proprietà fondiarie, ecc. In un paese circondato da forze ostili, il cartografo restringe il suo disegno evidenziando le zone sicure. Per tali motivi la carta geografica può essere considerata non solo l’indice più veritiero del livello intellettuale di un popolo, ma anche e soprattutto una guida per l’interpretazione della concezione che un popolo ha di sé stesso e dei suoi rapporti con gli altri. La carta diventa così una chiave di lettura della storia, dalla quale estrapolare i riflessi della visione della realtà di un popolo e di una intera civiltà. La storia qui non può essere solo quella della carta geografica, ma la storia delle diverse civiltà, ripercorsa attraverso i caratteri della carta geografica e il pensiero e l’abilità del cartografo. 1- LE ORIGINI 1.1 LE CIVILTA’ PRIMITIVE. Il mezzo più idoneo per avere un quadro generale delle caratteristiche delle civiltà più antiche, in mancanza di tradizioni scritte od orali ad esse appartenenti, è quello di rifarsi alle abitudini e agli usi di popolazioni che hanno potuto mantenere la loro cultura estranea ad influssi provenienti dall’esterno. Tale sistema, utilizzato in biologia, etnologia, storia e psicologia, può dimostrarsi valido anche per quanto riguarda la cartografia. Dall’esame di carte geografiche elaborate, ad esempio, dagli Esquimesi della Groenlandia, prima dei contatti con gli occidentali; o dalle popolazioni Azteche del Messico prima dell’arrivo degli Spagnoli, o ancora degli indigeni delle Isole Marshall; possiamo estrapolare alcuni concetti basilari della “prima” cartografia. Negli stadi iniziali della sua vita culturale l’uomo vive in strettissimo collegamento con la natura. La conoscenza dei luoghi e la capacità di orientamento sono alla base della sua sopravvivenza. Le carte sono ricche di immagini che esprimono la realtà così come appare ai suo occhi. L’uomo primitivo fissa sulla carta i punti sicuri del suo orientamento. Quasi certamente le carte più antiche dovevano riguardare esigue porzioni di territorio. E’ ovvio che il termine di “carta geografica” è qui usato solo in rapporto al tipo e significato della raffigurazione e non nel senso stretto di carta come materiale. I materiali usati sono molti e dipendono dalle disponibilità del momento. La maggior parte delle raffigurazioni consistono in incisioni, sculture o disegni su pietra o legno: meno frequentemente vengono usate pelli, lamine metalliche o fibre vegetali. Graffiti rupestri raffiguranti uomini, animali e linee enigmatiche sono stati ritrovati in varie località, dal Venezuela, all’Africa, Francia, Caucaso, Siberia, Italia ecc. Forse erano percorsi di caccia. 2 Molto interessanti sono le carte incise su legno o su pelle, di alcune tribù indiane dell’America settentrionale. Carte che rappresentano con precisione i fiumi i laghi e monti della regione, con l’indicazione dei nomi delle tribù locali. Esemplari di una cartografia più progredita furono ritrovati dagli Spagnoli in America Meridionale; in particolare le carte degli Aztechi e dei loro predecessori, i Maya e i Toltechi (VII – IX sec. d.C.). Nel 1526 Cortez ebbe da messaggeri a lui inviati dal re azteco Xicalango, una carta che raffigurava tutta la regione fino alla latitudine dell’odierna Panama e che per la sua esattezza si rivelò estremamente utile per la vittoriosa campagna di guerra che portò alla conquista dell’Honduras. Le poche carte elaborate dagli aborigeni anche dopo la conquista spagnola conservano tuttavia alcuni elementi tradizionali, che ci permettono di valutare l’alto grado raggiunto dalla cartografia messicana. I disegnatori indigeni si servirono di materiale cartaceo e usarono tutta una serie di simboli sconosciuti alla cultura europea. Più numerose sono invece le mappe catastali messicane che ci sono pervenute, in quanto sfuggite, a causa della loro maggiore utilità pratica, alle distruzioni operate dagli invasori. Dagli esempi riportati si può notare che le carte “primitive” erano disegnate su superfici piane. I rilievi morfologici, colline e montagne, erano indicati con disegni approssimativi. L’unica eccezione si ha nella cartografia degli Esquimesi della Groenlandia, forse i primi a costruire carte in rilievo. F. W. Beechey nel 1826 vide, durante una spedizione nello stretto di Bering, un grande modello in rilievo. L’area riprodotta era scandita in distanze, misurate in rapporti ai giorni di viaggio necessari per attraversare il territorio. I rilievi e le catene dei monti erano costruiti con mucchi di sabbia e pietra e anche le isole prospicienti la costa. Generalmente le carte sono infatti incise su ciocchi di legno e riguardano le caratteristiche della linea di costa, l’addentrarsi dei fiordi, le isole, l’altezza dei ghiacciai, ecc. Molto interessanti le carte dell Isole Marshall, nell’Oceano Pacifico. L’’importanza della pesca, unica fonte di sopravvivenza, è attestata proprio dalle loro carte nautiche per le quali non si riscontra nulla di simile in tutta la storia della cartografia. Esse sono fatte di foglie di palma intrecciate; ai punti di incrocio vi sono fissate delle conchiglie che indicano le isole. Le fibre rappresentano le creste di onda con la direzione del mare. E’ interessante notare che la navigazione avveniva proprio mediante l’aiuto dato dalle carte, che erano tenute sulla poppa delle imbarcazioni, in modo da poter sempre controllare che l’angolo formato dallo scafo con la direzione della cresta d’onda principale fosse esatto. L’arte di costruire quelle carte e di servirsene era mantenuto segreto e tramandata da padre in figlio. 1.2 LA CIVILTA’ MESOPOTAMICA I primi reperti sicuramente databili, oggi noti, che potremmo definire cartografici, sono quelli risalenti alla civiltà mesopotamica. Riguardano quasi esclusivamente l’assetto del territorio interno, posto però in relazione alla disponibilità dell’acqua. Dove esistono corsi d’acqua si pone infatti il gruppo umano che riesce a prosperare se, con quell’acqua, può rendere fertili i campi. Nella striscia di terra compresa tra il Tigri e l’Eufrate si sviluppa, nel secondo millennio a. C. una civiltà ricca e fiorente che trae vita da una agricoltura molto fertile grazie alla presenza dei due fiumi. Una tavoletta proveniente da Tello, oggi nel museo di Istanbul, riproduce con esatte proporzioni, una vasta area privata di 208 ettari. Circa le piante di città, molto interessante è la raffigurazione della città di Nippur, pianta estremamente utile per localizzare e identificare le strutture della città stessa. Ai Babilonesi si deve anche il disegno della prima carta del Mondo, segno dei grandi progressi culturali compiuti dalla civiltà mesopotamica. La carta del Mondo rappresenta il culmine e la fine cella civiltà mesopotamica. Il mappamondo esemplifica in modo chiaro la cosmografia babilonese, sia con il disegno, sia con il commento che lo accompagna e ci mostra le conoscenze anche in campo commerciale con i popoli “lontani”. La Terra è raffigurata come un’isola a forma di disco galleggiante nell’Oceano. Babilonia è posta al centro del disegno e intorno vi sono altre sette città (le sette isole limitrofe). Oltre l’anello che rappresenta l’Oceano terrestre (il Fiume Amaro), vi sono sette Paesi lontani, indicati come regioni, per alcuni dei quali sono riportate delle specifiche astronomiche, ad esempio la quarta Regni di semioscurità, la quinta Dove non si vede il Sole, la settima, Dove sorge il Sole; che dimostrano come i Babilonesi avessero notizie, vaghe, di territori posti a latitudine settentrionale, nei quali si verificano fenomeni di crepuscolo diurno, ecc. 5 per le Colonne d’Ercole, la Sicilia, Atene, Rodi, il Monte Tauro (Turchia meridionale) e il Monte Immaus; luoghi da lui considerati allineati lungo tale retta. Un secolo dopo il problema venne risolto da Eratostene (276 – 195 a. C.) che applicò una misurazione angolare. Egli riuscì a calcolare, basandosi nel giorno del solstizio d’estate, sulla diversa inclinazione dei raggi solari a Siene (odierna Assuan) e ad Alessandria, la distanza tra le due città (erroneamente considerate sullo stesso meridiano, e usò tale distanza per calcolare la grandezza della Terra, da lui considerata una sfera perfetta. Inoltre Eratostene si servì, per la costruzione della carta del Mondo, di un insieme di linee orizzontali e verticali, tracciate a distanze disuguali, ma passati per località note, che costituiscono una anticipazione rudimentale e inesatta, del reticolato geografico. Dopo Eratostene la cartografia continua a progredire proprio per l’applicazione dei concetti matematici e astronomici al disegno cartografico. All’inizio del II secolo, Cratete di Mallo, riconoscendo le grandi deformazioni che comportava la resa in piano della superficie sferica, elabora un modello del Mondo a tutto tondo, globo, con la suddivisione della Terra in quattro continenti uguali per estensione. Ipparco di Nicea (180 – 125 a. C.) rivede criticamente l’opera di Eratostene e giunge alla conclusione che la posizione dei luoghi può essere riportata sulla carta solo dopo che per ognuno di essi si è elaborata una misurazione angolare che permetta di conoscerne la latitudine e la longitudine. Egli inoltre costruisce, per rappresentare un piano la sfera, due proiezioni, che preannunciano quelle oggi conosciute con il nome di protezione ortografica e stereografica. Nel I° secolo a. C. Marino di Tiro realizza le idee di Ipparco sviluppando la teoria delle proiezioni e rivestendo la carta con una rete di circoli meridiani e di paralleli. Claudio Tolomeo, che rappresenta il culmine del sapere cartografico della civiltà greca, avrà come punti di partenza sia l’opera di Marino di Tiro, sia la concezione del mondo di Ipparco. 2.2 CLAUDIO TOLOMEO Tolomeo nacque forse a Tolemaide d’Egitto verso il 100 d. C. e morì ad Alessandria nel 175. Dati i tempi non ebbe la possibilità di giungere alla visione eliocentrica del sistema solare, già proposta, tuttavia, da Aristarco di Samo (310 – 250 a.C.), ma riuscì a conciliare i dati delle osservazioni con la teoria geocentrica. Secondo Tolomeo al centro del sistema vi era la Terra e, a diverse distanze da questa, in ordine crescente, la Luna, mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno. Il Sole descriveva un’orbita eccentrica rispetto alla Terra, mente i pianeti descrivevano epicicli, cioè orbite circolari non intorno alla Terra, ma intorno a punti situati sul deferente, cioè la circonferenza; al centro si immaginava la Terra. L’opera astronomica di Tolomeo è l’Almagesto. La fortuna del sistema geocentrico durò fino alla rivoluzione copernicana. La fortuna di Tolomeo sopravvisse non solo grazie all’avversione della Chiesa verso la teoria di Copernico, ma anche grazie alle implicanze astrologiche insite nell’opera di Tolomeo e anche il suo rigore del metodo scientifico. Comunque l’originalità di Tolomeo nel campo della cartografia consiste nell’aver formulato con precisione le regole sa seguire per la costruzione di globi terrestri e planisferi. Si sa che per calcolare la latitudine di un luogo è sufficiente conoscere l’altezza della Stella Polare sull’orizzonte o quella del Sole in determinati giorni dell’anno. Gli antichi usavano un’asticella infissa nel terreno, lo gnomone, e dalla sua ombra calcolavano approssimativamente l’altezza del Sole e quindi la latitudine. Per calcolare la longitudine invece occorreva innanzi tutto scegliere un meridiano di inizio del calcolo, il meridiano fondamentale, e poi conoscere la differenza oraria tra due luoghi. Per fare questo gli antichi stabilivano l’ora esatta in cui si poteva osservare uno stesso fenomeno astronomico in entrambi i luoghi, come ad esempio una eclissi di Luna. In base a vari studi sappiamo che Tolomeo sopravvalutò la distanza angolare tra Cartagine e Gaugamela (Arbela, città curda in Iraq), e quindi Tolomeo riteneva il mediterraneo di circa 20° più esteso che nella realtà, cioè una lunghezza longitudinale pari a 62° anziché 41° e 30’ come nella realtà. Tolomeo era ben consapevole di tutte le difficoltà che ostacolavano la delineazione di una carta generale del Mondo allora conosciuto, specie dal punto di vista geografico del disegno delle terre, della distribuzione dei mari e delle catene montuose. Tuttavia il motivo principale della sua opera cartografica fu quello di rappresentare con una proiezione, più idonea possibile, il profilo delle terre emerse e le località principali. Se la trama delle coordinate geografiche era abbastanza facile da disegnare, poiché legata a calcoli matematici, ben più difficile si presentava l’esatta collocazione degli oggetti geografici. Poiché è impensabile che egli abbia calcolato da solo sul posto le coordinate di tutte le località, si suppone che abbia proceduto mediante 6 approssimazioni; cioè aver raccolto le fonti a lui precedenti o coeve: le descrizioni generali dell’ecumene con la posizione di alcune località; le carte disponibili allora; i peripli; i resoconti di viaggi e l’affidabilità; la compilazione di carte già fatte da altri e quindi di seconda mano. Tolomeo quindi doveva affidarsi al suo intuito e al buon senso. L’opera cartografica di Tolomeo si compone di otto libri, composti da vari manoscritti e carte. Alcuni manoscritti contengono anche una carta generale del Mondo conosciuto all’epoca di Tolomeo. La lettura dell’opera cartografica di Tolomeo è poco agevole dal punto di vista filologico, poiché i codici a noi pervenuti sono di ben otto secoli posteriori alla sua morte. Uno dei problemi è che pare assurdo che egli, dopo aver elencato le coordinate geografiche di tante località, non abbia poi provato ad ubicarle su carte generali o regionali. Comunque sia testo e carte vanno studiati in modo diverso, perché una cosa è redigere o trascrivere un elenco di località con accanto le coordinate e un’altra è il disegnare o ricopiare carte geografiche. Dal punto di vista cartografico e geografico giova comunque osservare la relativa congruità dell’assieme e la verificata fedeltà di tanti particolari. A ogni modo, nonostante alcuni errori e varie difficoltà, l’impianto cartografico di Tolomeo continua ad essere considerato per lungo tempo come un modello matematico al quale riferirsi costantemente. 2.3 – LA CIVILTA’ ROMANA La civiltà romana al suo nascere si presenta come una civiltà agricola e il suo legame con la terra rimane peculiare caratteristica che è destinata ad accompagnare nei secoli la crescita e la grandezza di Roma. Dobbiamo sottolineare la grande rilevanza che nella cultura romana ha sempre avuto l’agrimensura, ovvero la misurazione della terra, nel suo duplice fine di delimitare i confini delle nuove città e di determinare l’ampiezza degli appezzamenti da assegnare ai coloni e ai veterani. Tale operazione veniva effettuata da esperti detti mensores, in collaborazione con gli auguri, i sacerdoti vaticinatori che dovevano cercare nel cielo un segno di approvazione divina. Si consideri che i mensores per orientarsi si servivano di particolari strumenti, quali la mediana e lo gnomone. Una volta determinato con precisione l’orientamento, tramite un altro strumento, la groma (È costituita da un'asta verticale che si conficcava nel terreno e recante in sommità un braccio di sostegno per due aste tra loro ortogonali. Le estremità delle aste hanno dei fori a distanza uguale sui quali vengono appesi dei fili a piombo, che risultavano a due a due tra loro ortogonali e servono per traguardare i capisaldi. Questo strumento veniva costruito in legno con particolari di metallo nelle parti ritenute di maggiore importanza o usura). I mensores tracciavano per prima cosa una linea reta con direzione est ovest, l’asse principale del rilevamento (il decumanus maximus), quindi si procedeva a tracciare un’altra retta, perpendicolare alla precedente con direzione nord sud (cardo maximus). Da qui una fitta rete di decumani e cardines. Si otteneva ua divisione del terreno che prende il nome di centuriazione, a forma di scacchiera, i cui quadrati, centuria, avevano in genere una dimensione di 200 iugeri (circa 50,4 ettari). Sappiamo che le carte usate dagli agrimensori avevano il nome di formae e che venivano elaborate nel bronzo in duplice copia. Una restava alla comunità e l’altra andava a Roma presso il Tabularium, una specie di Ufficio del Registro. Alcuni frammenti di una copia forse coeva all’originale, oggi conservati nel cortile del Museo Capitolino a Roma, ci consentono di ammirare l’estrema precisione del disegno di una pianta di Roma, la cosiddetta Forma Urbis Romae, elaborata da un mensores intorno al 200 d. C., con scala a circa 1:300. La grandezza di Roma, anche se traeva origine dall’agricoltura, poggiava però sulla sua potenza militare. Un particolare tipo di carte militari romane sono quelle fatte nel corso delle campagne di guerra: gli itinerari. Con le distanze in miglia, la qualità delle strade, le deviazioni, i monti, i fiumi, ecc. Sappiamo che esistevano due tipi di itinerari, gli scripta o itineraria adnotata, che consistevano in una serie di annotazioni scritte con descrizione di luoghi, distanze, strade, ecc. e gli itineraria picta, disegnati e colorati, che rappresentavano graficamente la morfologia del territorio, l’esistenza di città e avamposti militari, percorso delle strade, ecc. Nati come carte militari, gli itinerari, a poco a poco si diffusero e vennero elaborati anche a scopi civili, per i funzionari imperiali e per i viaggiatori. Le carte militari così come quelle civili, erano disegnate su papiro o su pergamena, poiché consentivano un facile trasporto e consultazione. Tra le carte militari, dobbiamo 7 ricordare la grande carta dell’ecumene, ovvero l’Orbis pictus, elaborata da Menenio Vipsanio Agrippa e posta, per volere di Augusto nel 12 d. C. nel Portico di Campo marzio, a simbolo della grandezza di Roma. La carta del Mondo, di Agrippa, dovette costituire un modello, un archetipo, che verrà perpetuato, fino all’età medievale e fino alle grandi scoperte geografiche. Al genere degli itineraria picta appartiene quella che è la più completa testimonianza della cartografia di età romana: la Tabula Peutingeriana. Forse una carta elaborata tra il 250 e il 270 d.C., che può avere avuto come base una carta precedente, a noi sconosciuta, del Primo secolo. La Tabula consta di una striscia di pergamena lunga 6,752 metri e larga 34 cm, suddivisa in 11 fogli, segmenta, di circa 60 cm ognuno. La riproduzione della carta fatta dallo studioso Konrad Peutinger, pubblicata dopo la sua morte, nel 1598. Forse l’originare romano era lungo 7,40 m. Manca infatti la raffigurazione dell’Iberia e della Britannia, nel primo segmento scomparso. Gli oggetti geografici sono riportati come allineati lungo un asse orizzontale con l’Est posto verso l’alto. La carta è così fatta per un facile trasporto in forma di rotolo. La Tabula ritrae l’intero Mondo conosciuto dai Romani, ovvero i tre continenti: Europa, Asia e Africa. Circondati dall’Oceano, che avvolge tutta la carta a guisa di una stratta cornice. L’Europa è divisa dall’Africa per mezzo del mediterraneo, mentre il fiume Tanais (odierno Don) separa Europa dall’Asia e il Nilo l’Asia dall’Africa. L’utilizzazione pratica cui era destinata la carta condiziona il complesso della raffigurazione, che contiene tutti quegli elementi che possono essere utili al viaggiatore; strade, fiumi, distanze. Ecc. Così come i deserti, le paludi, le saline, ecc. Molto rilievo viene dato ai nodi di traffico più importanti, riportati sulla carta con l simbolo di una doppia torre, ma anche i porti, gli empori, i centri di culto, i punti di ristoro. Per quanto riguarda il colore, il mare è verde tendente allo scuro, mentre la terra emersa è gialla, la costa è delineata in nero. I fiumi in verde cangiante, come i laghi, i monti sono marrone, grigio chiaro, rosa e rosso. Sono riportate ben 555 località. Roma è indicata con una figura incoronata seduta sul trono che tiene nella mano destra un globo, il Mondo? E con la sinistra la lancia e lo scudo. Costantinopoli, con una figura sul trono, ma senza la corona e senza il globo. ROMA 10 causa dell’Oceano che lo impedisce, si potrebbe percorrere l’intero circuito. E questi fatti confermano la conclusione che la sua lunghezza in longitudine è molto più grande della sua larghezza in latitudine”. Evidentemente, da Erodoto ad Aristotele si era andata formando una tradizione di speculazione scientifica, per la quale l’ecumene appariva on tanto in forme circolari, quanto più verosimilmente in forme rettangolari, includenti le terre abitate e conosciute dal mondo culturale ellenico e romano. A Dicearco da Messina (350 – 290 a.C.), si deve la formazione di una carta ecumenica quadrangolare, il cui parallelo fondamentale era quello passante per Rodi. Naturalmente, distinguendo tra ecumene, cioè le terre abitate o conosciute, e globo terrestre, le rappresentazioni del globo, nel mondo romano ed ellenico, continuarono a perpetuarsi in forme circolari. Lo stesso Strabone afferma che per una totale rappresentazione della superficie terrestre occorrerebbe costruire un globo di dimensioni tanto grandi da risultare facilmente leggibile, ma non essendo possibile, ci si limiterà a proiezioni ortogonali, su un piano della rete di meridiani e paralleli. L’intelligenza può facilmente considerare circolare e quindi sferico, ciò che l’occhio vede riportato in superficie piana, qualunque siano le forme e le dimensioni. Quindi, la convinzione che la forma circolare fosse la più intellegibile e più idonea a rappresentare la superficie terrestre. Ma, per quanto riguarda gli sviluppi della cartografia medievale, è naturale ritenere che su di essa debba aver influito maggiormente quelle opere, soprattutto storiche, che ebbero più larga diffusione. Tra queste in particolare, meritano le Historiae sallustiane. Sallustio, al pari dello storico Polibio, si preoccupò di inserire in un quadro spaziale i fatti da lui stesso narrati e, al pari di Polibio, accolse la più diffusa concezione della tripartizione della Terra: Europa, Asia e Africa, contrapposta alla bipartizione proposta da Eratostene (Europa, comprendente l’Africa e l’Asia). Allo storico romano, si deve la matrice di formulazione dei numerosissimi mappamondi medievali circolari, definiti a T oppure a T-O. 3.1.2. LE CONCEZIONI GEOGRAFICHE E LA CARTOGRAFIA ECUMENICA MEDIEVALE Sant’Agostino, vescovo di Ippona (IV-V sec.) accogliendo la tradizione classica in tre parti, perfeziona l’idea di Sallustio accennando alla rispettiva grandezza delle tre parti, per cui l’Asia avrebbe occupato una intera metà della Terra, mentre l’altra metà sarebbe stata equamente divisa tra Europa e Africa. Ma Sallustio non aveva definito le dimensioni delle tre parti e l’idea di Agostino e anche di Isidoro, non corrisponde pienamente all’idea sallustiana. La più antica carta sallustiana che si conservi è quella della Biblioteca universitaria di Lipsia, che allegata a un frammento della Catilinaria, risale all’anno 980. Questa carta è orientata con l’Est in alto, così come altre carte, dove Gerusalemme è al centro, frutto evidente di una mutata concezione filosofica e culturale. 11 Infatti, il clima di insicurezza venutosi a creare con la caduta dell’Impero Romano con le ripetute invasioni barbariche, aveva favorito la grande ascesa della Chiesa romana, rimasta nel mondo occidentale, l’unico sicuro punto di riferimento e di conservazione di una civiltà che minacciava di soccombere sotto la pressione dei barbari. Alla Chiesa, quindi, e ai suoi monasteri, fu demandato il compito di tramandare l’antica cultura classica. In questa mutata condizione religiosa e culturale insieme, generalmente definita “regressiva” rispetto a quanto maturato nei secoli precedenti, è naturale come anche nell’ambito delle conoscenze e delle informazioni cartografiche, la Chiesa imponesse i suoi “segni” particolari. Anzitutto l’identificazione del centro dell’universo con la città santa di Gerusalemme. Mappamondo con schema T – O da un manoscritto sallustiano del XIV secolo, conservato nella Biblioteca Marciana di Venezia. Già nel VI secolo, Cosma Indicopleuste (Costantino di Antiochia), viaggiatore e mercante e poi monaco, aveva formulato, nella sua Topografia Cristiana, una figurazione cartografica che riconduceva l’universo addirittura alla forma di Tabernacolo del Tempio di Gerusalemme. Il fantasioso Mondo quadrato di Cosma esercitò una breve influenza sulla cultura cartografica e geografica successiva, circa 100 anni. La stessa rappresentazione della Terra in forma quadrata o quadrangolare si trova anche in alcune carte ecumeniche tra l’VIII e il XIII secolo. L’esistenza di tali carte, diverse dal dominante modello circolare, non deve stupire se ancora Cristoforo Colombo, che pure ammetteva la circumnavigabilità della Terra, le assegnava una forma piriforme, con una protuberanza corrispondente all’odierno Venezuela. In fin dei 12 conti l’ipotesi della sfericità della Terra venne definitivamente dimostrata solo nel 1522, quando la Victoria, l’unica superstite delle navi della flotta di Magellano, fece ritorno a Siviglia, dopo aver circumnavigato il globo da Oriente verso Occidente. Al di là della forma ci sono altri elementi della concezione cosmologica di Cosma si rivelarono, nei secoli successivi, persistenti, in quanto rafforzati dalla grande diffusione della cultura religiosa cristiana. Anzitutto l’orientamento; difficilmente una rappresentazione ecumenica medievale tralascia di orientare la Terra con l’Est in alto sulla carta. Il punto in cui nasceva il Sole si rivelava idoneo a rappresentate l’origine stessa della “luce divina”. Ancora, nella fantastica concezione cosmologica di Cosma Indicopleuste compaiono gli angeli “lampadofori” che quotidianamente accompagnano la scomparsa degli astri, così che gli angeli, assisi su otri dei venti, figurano in una carta, forse del XII secolo, come pure in un tardo codice dell’opera di Pomponio Mela, datato 1417. Visioni che si rifanno ai passi dell’Apocalisse, dove Cristo manda gli angeli ai quattro angoli della Terra. Naturalmente questi passi del Vangelo e dell’Apocalisse possono aver creato delle perplessità sulla reale forma della Terra, ma l’autorità della tradizione geografica classica non consentì di rappresentare la Terra se non in forme circolari, seppure iscritte in una cornice quadrangolare. In ogni caso l’idea cosmografica medievale dei Padri e poi Dottori della chiesa non sembra essere disturbata dalle concezioni antiche. In realtà essa riuscì a compiere un processo di assimilazione e traslazione dei significati più densi della tradizione cartografica classica, sia ellenica che romana, come ad esempio porre Gerusalemme in posizione centrale; che altro non è se non la continuazione del simbolismo ellenico che a Delfi, sede del santuario greco, assegnava il ruolo di “ombelico” del Mondo, o meglio ancora, Roma caput mundi, che aveva caratterizzato le immagini cartografiche dell’età imperiale. Allo stesso modo la tripartizione della Terra, diffusa da Sallustio, permane per tutto il medioevo, accompagnata e rafforzata dalla presenza, su ciascuna delle tre parti, dei figli di Noè: Sem l’Asia, Cam l’Africa, Jafet l’Europa. 15 Il mappamondo di Fra Paolino deve la sua importanza al fatto che esso è il più antico fra quelli contenenti i primi elementi moderni, arrivati alla cartografia attraverso le testimonianze dei pellegrini e dei naviganti. Nel planisfero, accanto agli elementi tradizionali, quali il Continente antico circondato dall’Oceano e la posizione centrale della carta, compaiono indicazioni “moderne” dedotte da una fonte evidentemente molto vicina ai tempi dell’autore. Esse riguardano la Scizia, i regni del Catai, il Magnus Canis, il mar Caspio (disegnato come mare chiuso) e la Terra Nigrorum dell’Africa Orientale. Quasi contemporaneamente nel 1321 il veneziano Marin Sanudo, presentando al papa Giovanni XXII un progetto di Crociata, costruì un mappamondo che appare simile a quello di Fra Paolino. La necessità di elaborare descrizioni del Mondo, della Palestina in particolare, corredandole delle relative carte, era già stata caldeggiata da Ruggero Bacone nell’Opus Majus del 1267. Quindi col planisfero Vesconte Sanudo sii compie la saldatura tra la cartografia medievale dei mappamondi a T e la nascente cartografia nautica. Così, nel planisfero Vesconte Sanudo compare una rosa centrale di 16 venti e 16 rose disposte alla periferia del cerchio. Allo stesso modo, la carta della Palestina, appare quadrettata, e la quadrettatura vi svolge la stessa funzione che la scala svolge nelle moderne carte geografiche. 16 Naturalmente, accanto a queste innovazioni, la tradizione degli ecumeni medievali circolari si mantiene ancora in vita nella forma e nei contenuti, come dimostra un planisfero, datato dall’Almagià al 1430, noto come Mappamondo Borgiano. Di contro, l’Immagine dell’abitabile, 1436, del veneziano Andrea Bianco, si sviluppa anch’essa su una rosa di 8 venti, anche se non manca di inserire ad Orione, in alto, il Paradiso Terrestre, dal quale nascono i quattro fiumi biblici. Una decisiva svolta verso i tempi nuovi e verso le positive conoscenze geografico nautiche, si rivela nel prezioso mappamondo di Fra Mauro. Il mappamondo, che ha un diametro di 1,94 m. in un quadrato di 2,23 m di lato, venne realizzato tra il 1457 e il 1459. Fra Mauro è ben consapevole di compiere, sul piano cartografico una grande opera innovativa; di andare contro la nuova corrente geo cartografica, basata sulla riscoperta della Geografia tolemaica. Proprio contro Tolomeo si scaglia Fra mauro, e gli contrappone i portolani, i mappamondi, le carte esatte. Il mappamondo di Fra Mauro, rifiutando forme, disegni, distanze oramai superate, inaugura il grande movimento cartografico dell’età moderna, che, alcuni decenni più tardi, avrebbe tratto dalla scoperta del Continente nuovo ulteriori impulsi e certezze. 3.2 – GLI ITINERARI Gli itinerari medievali sono redatti troppo spesso sulla scorta di notizie fantastiche, concedendo troppo al “sentito dire”, a scapito dello sperimentato e del certo. La maggior parte degli itinerari ha la peculiarità di descrivere chiese e basiliche e luoghi di culto in genere, dove erano conservate reliquie di santi. Probabilmente gli itinerari nascono ad opera delle scuole dei peregrini che si stabiliscono nell’VIII secolo a Roma con lo scopo di costituire un punto di riferimento per i pellegrini che giungono in città per fortificare la propria fede con la conoscenza diretta della capitale della cristianità. Agli inizi del IX secolo risale la più nota di 17 queste iscrizioni, l’Itinerario di Einsiedeln, che prende il nome dal convento elvetico nel quale è stato rinvenuto; si tratta di un elenco dei monumenti di Roma, considerati tutti allineati lungo le strade che entrano nella città attraverso 12 porte aperte nella cinta muraria. Solo sul finire del medioevo gli itinerari vanno acquistando rigore scientifico, nel senso che perdono connotazioni leggendarie e diventano vere e proprie descrizioni aderenti alla realtà. A questo proposito si può ricordare la Carta dei Crociati, che risale forse al XIV secolo e riproduce in 9 fogli i territori che i crociati che partivano da Londra incontravano prima di giungere a Gerusalemme, sono indicate però solo le grandi città. 3.3 LE CARTE ISLAMICHE A similitudine del pensiero religioso, esposto da Maometto nel Corano, la cui teologia, estremamente semplice, rielabora dottrine provenienti dall’ebraismo e dal cristianesimo, innestandone i contenuti nelle concezioni e nel genere di vita proprio della penisola araba, così anche il pensiero scientifico, che procede di pari passo con l’espansione politica ed economica dell’Islam, trae origine dagli studi acquisiti da altre culture: quella greca e poi persiana, egiziana e indiana. I nuovi conquistatori si fecero ben presto eredi di tale tendenza e si può dire quindi che per alcuni secoli, mentre il livello generale degli studi in Occidente declina, la scienza greca sembra ritrovare nuova vita nel mondo mussulmano. Il fiorire della cultura islamica, da taluni denominata erroneamente cultura araba, si può far iniziare con la dinastia degli Abassidi, che si impadronì del califfato nel 750. Tra l’VIII e il X secolo vennero tradotti in lingua araba i testi fondamentali della scienza greca, proprio ad opera dei traduttori formatisi alla scuola di Bagdad, i quali vennero anzi creando una vera e propria lingua scientifica araba, la cui precisa terminologia tecnica ha influenzato profondamente le lingue scientifiche moderne. Pertanto ad opera di Mohamed Ibn Ketir al Farghani viene resa nota la geografia di Tolomeo, il cui titolo, arricchitosi dell’articolo arabo al viene trasformato in Almagesto. Il matematico Ben Musa, introducendo varie funzioni matematiche come seno, coseno, tangente, ecc., può essere considerato l’iniziatore della matematica moderna. A lui spetta il merito di aver introdotto nella civiltà occidentale l’uso posizionale dei numeri in base dieci, ricavati dalla scienza indiana, e di aver risolto i problemi dell’algebra elementare, dal titolo della sua opera Al gebr al mukabala. 20 Il Compaso da navegare contiene pure la segnalazione di numerosi pelei o pileggi, ossia i percorsi da effettuarsi nel mare aperto fra punti lontani fra loro, e termina con la descrizione dei litorali appartenenti alle isole maggiori e agli arcipelaghi. Il suddetto portolano non dovrebbe essere stato il primo a venir composto, del resto il Compaso tradisce una elaborazione avvenuta mediante il riutilizzo di scritti precedentemente approntati in funzione della navigazione in aree dalle dimensioni geografiche più limitate. Poiché è improbabile che si sia giunti sin dal primo tentativo a una così organica opera di fusione, la tendenza è quella di anticipare di almeno un cinquantennio la data della primitiva concezione del portolano afferente a tutto il Mediterraneo la quale andrebbe di conseguenza anticipata almeno alla metà del Duecento. I portolani erano quindi libri contenenti istruzioni per la navigazione che in un primo tempo riguardarono solo il Mediterraneo, poi anche l’Oceano Atlantico e infine tutti i mari del Mondo. In essi erano segnalate le direzioni che i piloti dovevano dare al naviglio per raggiungere le diverse località costiere utilizzando, a seconda del percorso, la navigazione per starea, o come oggi viene detto, per cabotaggio, oppure procedendo per pileggio, e cioè tramite più o meno lunghi tratti di mare aperto. Venivano, inoltre, precisate le lunghezze dei diversi percorsi, ottenute attraverso la traduzione in miglia delle unità orarie ogni singola volta impiegate. I sussidi strumentali utilizzati erano essenzialmente due: la bussola, necessaria per stabilire l’orientamento, e la clessidra, o la candela o una miccia graduata, per calcolare il tempo. Come il Compaso da navegare non fu il primo portolano ad essere stilato, non fu neppure l’ultimo. Né poteva essere altrimenti, trattandosi di un’opera con impliciti numerosissimi riferimenti a fatti antropici e economici e quindi soggetti a rapide modifiche. Va pure considerato che conseguentemente al diffondersi dell’uso dei portolani si ebbero consistenti aumenti della loro richiesta, cui risposero per un verso i nocchieri, attraverso la produzione di nuovi esemplari e per un altro verso le stesse copisterie mediante rifacimenti operati sulla base delle nuove informazioni loro trasmesse dai marinai. Ecco alcuni portolani: 1 – Portolano Marcianiano, datato al XII secolo, per i percorsi tra Acri, Alessandria e Venezia, manca però la parte tra Ragusa (Dubrovnik) e Venezia. 21 2 – Portolano di Marin Sanudo il Vecchio. Riguarda la navigazione del Mediterraneo Orientale. 3 – Compaso da navegare. 4 – Portolano di Grazia Pauli. Risalente alla prima metà del XV secolo. Per tutto il Mediterraneo. 5 – Portolano di Carlo di Primerano. Motzo lo fa risalire alla prima metà del XV secolo. Tutto il Mediterraneo. 6 – Portolano di Giovanni da Uzzano. Forse risalente al 1440. Ancora oggi, nonostante i progressi della tecnica nautica, numerosi Paesi che dispongono di una flotta, posseggono un Portolano. Il Portolano, detto pure Libro della navigazione o Libro della Marineria o Libro del mare, è appunto un libro, scritto da marittimi particolarmente esperti, allo scopo di rendere più agevole e sicuro l’andare per mare. Il Portolano concentra la sua attenzione sulle linee di costa per le quali si premura si segnalare sia i punti più caratteristici disposti lungo i loro percorsi (capi, spiagge, insenature, porti, ecc.) sia quanto, stando nei mari immediatamente antistanti, può costituire un impedimento più o meno pericoloso per la navigazione (scogliere, secche, isolotti, ecc.). 3.5 – LE CARTE NAUTICHE Francesco da Barberino, poeta didascalico italiano, scrivendo prima del Trecento sui pericoli del mare e sulle modalità da adottare per evitarli, elenca, tra l’altro, gli strumenti di cui ogni nave del suo tempo doveva allo scopo essere dotata. Questi strumenti constavano in una calamita ossia in una bussola, in un “orologio” e in un compasso. Il compasso era una carta che per la preferenza data ai fatti marittimi apparteneva a un settore specialistico, quello nautico. Anche queste carte, come già i portolani, traggono l’ispirazione dalla produzione precedente, forse dalle carte itinerarie dell’età romana, ma esse prestano attenzione solo ai perimetri costieri nei cui riguardi vantano una tale aderenza alla realtà da farne un’opera unica, mm solo per il medioevo, m anche per gran parte dell’età moderna. Anche queste carte, la cui definizione più ricorrente era quella di –compasso- venivano abbozzate dai nocchieri, probabilmente da quegli stessi che curavano la primitiva stesura dei portolani. La definizione di compasso attribuita alle carte nautiche, deriva dal disegno della rosa dei venti e quindi dal compasso che vi risulta immancabilmente inserito, un disegno talora duplice per il quale non è stato facile riuscire a interpretare la funzione. Oggi si pensa a un primo tentativo di accostamento della bussola con il compasso, al fine di ottenere la segnalazione della divisione in venti (16 o 32) adottata nella carta e corrispondente a quella usata nel portolano stesso. In questo senso la rosa dei venti tracciata sulle carte nautiche acquista un significato confrontabile con quello che la scala aveva agli effetti del calcolo delle distanze. Il terzo tracciato che compare su talune carte nautiche medievali è dato da un sistema di quadrati più grandi e più piccoli articolati in modo che i lati dei quadrati più grandi costituiscono la diagonale di quelli più piccoli. Questo tracciato non ricopre mai tutta la superficie della carte, ma compare solo in periferia, opportunamente collegato con la rosa dei venti. La presenza di questa quadrettatura il cui significato era assai più geometrico che geografico, consentiva la possibilità di disporre elementi (lati, angoli, aree) dalle misure ben precise cui rapportare, come su una qualunque carta piana, i dati delle lunghezze e delle direzioni in possesso dei marittimi. 22 L’aggiunta dei quadrati minori, moltiplicando il numero dei punti di riferimento, si è tradotta a vantaggio di una maggiore precisione. Questo anche se il fine geometrico della quadrettatura ha portato a trascurare l’accorciamento che gli archi di parallelo subiscono col procedere della latitudine. Ne è conseguito uno stiramento nel senso sud ovest che caratterizza la cartografia medievale. La correzione al suddetto errore avverrà nel Cinquecento quando il fiammingo Gerardo Mercatore, ideando la proiezione delle latitudini crescenti, rese ortodromica quella linea che nella realtà è lossodromica. 3.5.1 – LA CARTA PISANA La più antica carta nautica relativa a tutto il Mediterraneo è quella definita Carta pisana, si tratta di una carta anonima che probabilmente risale al 1275. Il periodo di realizzazione della Carta pisana verrebbe così a coincidere, circa, con quello del Compasso da navigare. I due elaborati però non risalgono alla medesima fonte, essendo notevoli le differenze, soprattutto linguistiche e toponomastiche. Non deve destare meraviglia l’episodio del 1270, un viaggio del sovrano Luigi IX re di Francia per raggiungere la Terra Santa. Questi, preoccupato in una notte di tempesta per le deviazioni che avrebbe potuto subire la rotta a causa del forte vento, chiese la verifica della situazione e il pilota, portati dal sovrano gli strumenti di bordo, dimostrò su una carta che si trovavano vicini al golfo di Cagliari. Da quanto detto se ne deduce che i suddetti strumenti avevano un significato pratico. Essi erano destinati a gente di mare. Un altro tipo di produzione, pure essa nautica, giunta fino ai nostri giorni, è quella eseguita in funzione di donazioni a personaggi illustri, della cultura, dell’aristocrazia, della politica. L’esempio più conclamato è quello della Carta Catalana del 1375, approntata da Abramo Cresques per il re Pietro IV d’Aragona, che la 25 MAPPA DI PIRI REIS 4 – L’ETA’ MODERNA Il Cinquecento va ricordato come il secolo d’oro della cartografia. Tra i motivi di rinascita generale dobbiamo indubbiamente segnalare l’invenzione dei caratteri mobili della stampa, le grandi scoperte geografiche, il mecenatismo dei principi e dei signori delle corti europee e italiane, la rilettura critica delle opere classiche, molto denaro a disposizione, la possibilità di scambi a grande distanza, anche attraverso conflitti, oramai non limitati il più delle volte a città vicine. Fra le cause particolari della fioritura della cartografia, bisogna segnalare al primo posto la riscoperta di Tolomeo e della sua opera geografica. Le grandi scoperte geografiche e quindi la diffusione delle carte nautiche, con le conseguenti osservazioni astronomiche e geografiche, occorrenti su grandi percorsi, furono anche un valido incentivo di conoscenza e di studio. 4.1 – LA CARTOGRAFIA DI DERIVAZIONE TOLEMAICA L’opera di Tolomeo dopo un lungo periodo di disinteresse risorge nel XV secolo, anche se il disinteresse non fu totale, poiché i suoi libri erano consultati da studiosi come Marciano d’Eraclea, Ammiano Marcellino ed altri. Si ha notizia anche di traduzioni, edizioni e vari usi, della geografia di Tolomeo, da parte di geografi e astronomi arabi nei secoli IX e X. Nonostante la poca diffusione tra il XII e XV secolo dell’opera di Tolomeo, va considerato il carattere “dotto” della sua opera, rispetto ai mappamondi e agli emisferi circolari, e alle carte nautiche che avevano un carattere pratico. La Geografia di Tolomeo rimase limitata ai conventi e alla abbazie, dove veniva studiata e ricopiata. La rinascita delle opere di Tolomeo è simile alla rinascita di molte opere classiche, che uscirono dai conventi per essere studiate anche in altri ambienti, laici e umanisti. La fortuna della Geografia di Tolomeo si deve a due circostanze: al fatto che Tolomeo aveva un nome famoso e noto come astronomo e poi forse anche alla semplicità di traduzione presentata dal suo testo, costituito in gran parte da nomi di località e valori numerici. Il fatto occasionale che provocò il successo dell’opera geografica di Tolomeo fu l’amicizia tra Emanuele Crisolora di Costantinopoli e Jacopo Angelo di Scarperia, che iniziarono la traduzione, proseguita dopo la 26 loro morte nel 1415 a Francesco di Lapacino e Lionardo Boninsegni che disegnarono anche le carte. La parte iconografica ebbe una notevole importanza per il commercio e la diffusione dell’opera. Un altro balzo in avanti fu compiuto quando venne introdotta la stampa, grazie alla quale le opere divennero meno costose e più diffuse. Nel 1475 fu pubblicata a Venezia la traduzione latina di Jacopo Angelo con il titolo Cosmographia, anziché Geografia, intitolata così perché i riferimenti celesti sono alla base della trattazione, poiché l’opera di Tolomeo è considerata prevalentemente astronomica. L’edizione del 1477 a Bologna, è molto importante perché è la prima stampa che contiene le carte geografiche, incise su rame: sono in tutto 26, anziché 27 come dei codici della redazione utilizzata nei Tolomei a stampa. Si tratta di un mappamondo, 10 carte dell’Europa, 4 dell’Africa e solo 11, non 12, dell’Asia. Le edizioni dei Tolomei si susseguono poi a ritmo incalzante, nel 1478 appare la prima edizione romana. Molto interessante è anche la prima edizione fiorentina del 1482 di Francesco Berlinghieri, che si assume il compito di tradurre in volgare e in terza rima l’opera di Tolomeo, con aggiunte e correzioni. Le aggiunte riguardano anche le carte, alle vecchie carte vengono affiancate le tavole moderne. Le quattro tavole moderne usate da Berlinghieri sono: la Spania novella, la Gallia novella, la Novella Italia, la Palestina moderna et Terra Sancta. L’aggettivo novella, va inteso che si riferisce alla regione e non alla carta, che è aggiornata. L’edizione del Berlinghieri però riprende il nome di Geografia, non più Cosmographia. Il cambiamento del titolo indica una interpretazione dei contenuti dell’opera tolemaica fatta in una certa epoca, che si riteneva culturalmente affine a quella di Tolomeo; il ristabilimento del titolo originale significa la presa di coscienza di chi si trova di fronte a un’opera da conoscere e rispettare per la dottrina, ma anche da aggiornare con nuove notizie e carte. Nel 1482 viene pubblicata per la prima volta in Germania una edizione della Geografia di Tolomeo (col nome di Cosmographia). Questa edizione di Ulma contiene 32 carte, le 27 dei codici più 5 tavole moderne. Le grandi scoperte geografiche forse portarono un po’ di confusione e incertezza tra umanisti, matematici ed editori di Tolomeo. Infatti passano ben 17 anni prima che appaia un’altra edizione di Tolomeo, dopo quella romana del 1490. La nuova edizione del 1507 costituisce la prima edizione critica, perché, pur mantenendo il testo della traduzione di Jacopo Angelo, si sostiene che l’opera fu tradotta e modificata dal testo originale. +Dal 1511 al 1548 in Italia non vi furono pubblicazioni dell’opera di Tolomeo; invece se ne stamparono molte a Strasburgo, che riportano diverse tavole moderne e trascrivono i nomi in Greco e in latino, senza pervenire a una vera e propria edizione del testo in greco: opera in cui si cimenterà Erasmo da Rotterdam, con l’edizione di Basile del 1533, senza carte, come l’edizione di Parigi del 1546 . Bisogna notare che nell’edizione di Strasburgo del 1522 appare per la prima volta in un Tolomeo a stampa il toponimo America. La ripresa dell’attività editoriale in Italia avviene nel 1548 a Venezia. Anche questa data rappresenta una svolta per tutta una serie di importanti elementi: la Geografia di Tolomeo viene edita in volgare, la parte cartografica è curata da Giacomo Gastaldi, il formato è “tascabile”, il mappamondo tolemaico è sostituito da due mappamondi moderni e infine le carte “tolemaiche” sono alternate con 34 carte moderne, aggiornate. Intanto venivano anche stampate carte moderne sciolte, che prima o poi venivano raccolte in “corpora” più o meno ampi, come quello che va sotto il nome di Lafreri, dovuto alla collaborazione di Antonio Salamanca e Antonio Lafreri, raccolta che spesso ha il nome di Geografia. 27 CARTA D’ITALIA DI MERCATORE DEL 1554 Lo stesso Mercatore pubblicò a varie riprese le sole carte di Tolomeo, con correzioni, 1578 o testo e carte, 1584; carte o testo o solo le carte, vennero ancora pubblicate nel secolo XVII. L’ultima edizione di sole carte secondo l’elaborazione di Mercatore è datata 1730. L’opera del geografo alessandrino è importante ma anche l’opera dei cartografi moderni è ugualmente necessaria. Il nome e l’opera di Tolomeo, pur nel rispetto della sua autorità e della sua importanza nella storia della cartografia e nella storia della scienza, vengono utilizzati sapientemente per far apprezzare i meriti dei moderni cartografi, non inferiori a quelli antichi. 4.2. GLI EDITORI E GLI INCISORI Cristoforo Colombo, con i suoi quattro viaggi, (3 agosto 12 ottobre 1492 – 1493-1496 – 1498-1500 – 1502- 1504) scoprì alcune isole delle Antille, la penisola di paria sulla costa del Venezuela e la costa dell’America Centrale fino all’attuale Colombia. Come è noto, Colombo non seppe mai di aver scoperto un nuovo mondo. E’ importante sottolineare che i viaggi di Colombo permisero di appurare, tra l’altro, l’esistenza dell’angolo di declinazione magnetica (angolo formato dall’arco di meridiano con la direzione del Nord indicato dalla bussola), perché le deviazioni della rotta nelle navigazioni atlantiche erano divenute troppo grandi per essere addebitate allo scarroccio, come si riteneva in precedenza, quando si navigava in un “piccolo” mare come il Mediterraneo. Amerigo Vespucci, che compì due viaggi, raggiungendo prima del Cabral le coste del Brasile nel 1499, e costeggiando l’America meridionale fino al Rio della Plata 1501-1502, per primo ebbe la consapevolezza di trovarsi in un nuovo continente. I Portoghesi conquistarono poi la Malacca nel 1511, dalla quale cominciò l’esplorazione dell’Asia di Sud Est. L’epoca delle grandi scoperte geografiche del XVI secolo si chiude con il viaggio di circumnavigazione del globo da parte di Ferdinando Magellano 1519-1522, che giunse nella parte più meridionale del Continente nuovo e vide per la prima volta l’Oceano pacifico. L’acquisizione cartografica di queste scoperte fu molto lenta e incerta per vari motivi, non ultimi quelli di tutela di un segreto economico e militare da parte dei primi colonizzatori. L’interesse geografico verso le nuove terre si riscontra nella fioritura di molti cartografi e incisori su rame. Queste carte recavano un privilegio si solito decennale. Trascorso questo periodo chiunque poteva tirare nuove copie dalle incisioni. Questo ci deve far riflettere sulla difficile situazione dal punto di vista giuridico e commerciale, che lascia intravedere una realtà meno entusiastica di quella che possiamo presupporre, una realtà fatta di veri e propri plagi, appropriazioni indebite e facili guadagni, compiuti con il lavoro di altri. I maggiori centri di produzione di carte geografiche furono, in Italia, Roma e Venezia. A Roma operava Lafreri, mentre a Venezia lavoravano i Camocio, Forlani e Bertelli. Lafreri (Antoine du Pérac Lafréry) nacque a Besançon nel 1512 e si trasferì a Roma nel 1544, dove aprì con Antonio Salamanca una casa editrice. Alla morte di Lafréry, rimasto unico proprietario, subentrò il nipote Claudio Duchet. Lafreri è considerato il precursore degli autori di atlanti, anche se nelle sue pubblicazioni, le carte, come di dice Baldacci, sono disposte in maniera “tumultuosa”. 30 e infine, nel 1569, in grande mappamondo a 18 fogli, rimo esempio di proiezione isogonica, detta da lui proprio proiezione del Mercatore e utilizzata ancora oggi per la sicura ricerca delle rotte marittime, grazie alla possibilità che essa offre di disegnare la curva lossodromica in linea retta. In conclusione, credo che nell’Italia del Rinascimento sia mancata quella iniziativa culturale e imprenditoriale di notevole respiro che portò all’estero all’edizione dei grandi atlanti. Gli ostacoli erano costituiti dalla stessa tradizione tolemaica, che non fornì abbastanza spunti per andare oltre, e dalla impreparazione commerciale, nonché dalla situazione politica che non consentivano l’allestimento di laboratori cartografici ed editoriali. Tanto Ortelio che Mercatore ebbero un pericoloso concorrente commerciale in Willem Janszoon Blaeu 1571 1638, allievo di Tycho Brahe, astronomo danese. Il primo atlante fu pubblicato ne 1631 con il titolo Appendix Theatri A, Ortelii et Atlantis G. Mercatoris. Laboratorio cartografico e casa editrice Blaeu pubblicavano anche atlanti su commissione. La diffusione degli atlanti e delle singole carte, determinò una domanda sostenuta di cartografi, commercianti di carte e incisori, e per conseguenza anche una notevole disponibilità di materiale inciso, che poteva ancora essere raccolto e ripubblicato, magari con qualche “aggiustamento”. Nel secolo XVII si pubblicarono in Olanda anche molti atlanti nautici, a cui collaborarono numerosi cartografi incisori ed editor, come il Blaeu, il Jonsson ed altri. Anche in Italia, a Venezia, vi era stata una tradizione di atlanti nautici, come quelli di Battista Agnese, che operò tra il 1536 e il 1564, pubblicando oltre 60 atlanti nautici. In Francia la tradizione degli atlanti fu inaugurata da Nicolas Sanson d’Abbéville (1600 – 1667), che diede vita a una dinastia di cartografi che durò circa un secolo. In Germania nel XVI secolo c’era la tendenza a raccogliere in atlanti una quantità di carte. Se non teniamo conto delle edizioni della Geografia di Tolomeo e della Cosmographia Universalis del Münster, (La Cosmographia Universalis di Sebastian Münster, pubblicata in più edizioni a partire dal 1544, è la prima descrizione del mondo in lingua tedesca. Vi furono poi numerose edizioni in diverse lingue, fra cui latino, francese (tradotta da François de Belleforest), italiano, inglese e ceco). L’Italia non partecipò alla grande moda degli atlanti del Cinquecento e del Seicento. Per trovare un grande autore italiano bisogna giungere alla fine del Seicento con Coronelli. Vincenzo Maria Coronelli nacque a Venezia nel 1630e vi morì nel 1718. Entrò giovanissimo tra i frati Minori e ne divenne generale nel 1701. Ricoprì anche la carica di cosmografo della Serenissima dal 1685 e fu lettore di geografia dal 1689. Pubblicò molte opere geografiche e tre atlanti. 4.4 E LE PITTURE Le piante di città furono in genere opera di ingegneri militari e di tecnici, come Leonardo Bufalini, che pubblicò una pianta di Roma nel 1551 in dodici fogli (ciascuno di 495 x 350 mm) quattro strisce (495 x 132). Questa rara carta ebbe sulle successive carte, un notevole influsso, che si attenuò solo alla fine del XVI secolo con le riforme di Gregorio XIII e Sisto V. 31 Giovanni Battista Nolli -Nuova Pianta di Roma (1748) Altre celebri piante di Roma furono quelle di Pirro Ligorio, di Tempesta e di Nolli. La maggior parte sono in prospettiva, in genere dal punto di vista dal Gianicolo. Per quanto riguarda l’Europa molto importante è la Pianta di Parigi di Jaques Gomboust del 1652. Anche nel Nuovo Mondo vennero subito fatte piante delle nuove città, come quella di Caracas del 1578 ad opera di Santiago de Leon de Caracas. Caracas fu fondata nel 1567 secondo una pianta a scacchiera rigorosa. 4.5 – LE CARTE REGIONALI Il contributo dell’Italia fu soprattutto ragguardevole nella costruzione di carte regionali, come la Sardegna disegnata da Rocco Capellino, inviato di Carlo V in Sardegna nel 1553 per eseguirvi alcune opere militari, a causa delle quali egli soggiornò nell’isola per circa un ventennio. Carta generale dell’Atlantino ms. del Regno di Napoli di P. Cartaro Contemporaneamente una notevole quantità di carte relative a limitati territori veniva redatta per scopi pratici di ingegneria (bonifiche, opere di pubblica utilità e di difesa) da tecnici e addetti militari. Queste opere furono importanti per il progresso della cartografia e permise ai grandi cartografi di disporre di basi cartografiche sempre più aderenti alla realtà. E’ opportuno sottolineare questo carattere pratico della 32 cartografia, che si è intensificato proprio a partire dal Cinquecento, anche se in tutte le epoche il disegno del territorio o delle proprietà è stato sempre legato a una utilizzazione pratica. Dal Cinquecento però si fa più forte il desiderio di conoscenza e di dominio del territorio mediante la cartografia. 4.6 – GIOVANNI ANTONIO MAGINI Il più grande cartografo italiano della seconda metà del Cinquecento fu Giovanni Antonio Magini, nato a Padova nel 1555 e deceduto nel 1617. Si dedicò giovanissimo all’astronomia e pubblicò una notevole quantità di trattati, che vennero stampati a Venezia. Aveva anche fama di astrologo ed era tenuto in ottima considerazione dal duca di Mantova, Vincenzo Gonzaga. Intanto era anche in rapporti con astronomi e matematici del suo tempo come Keplero e Tycho Brahe e con cartografi, come Mercatore e Ortelio. L’amicizia con Gonzaga giovò al Magini per consultare schizzi, descrizioni, appunti e materiale cartografico conservato presso le corti dei nobili italiani. Di tali materiali egli si servì in modo considerevole per l’elaborazione della sua opera più importante e originale, l’Italia, che fu pubblicata postuma dal figlio Fabio, appena quindicenne, a Bologna nel 1620. Carta del Regno di Napoli dell’Atlante del Magini del 1620 La sua opera principale è un volume in foglio dal titolo ITALIA. L’opera comprende 61 tavole geografiche incise su rame, accompagnate da un commento di 24 pagine. L’esame dell’opera, compiuto dall’Almagià, rivela da parte dell’autore una conoscenza assai approfondita di tutto il materiale cartografico pubblicato fino al suo tempo, da Gastaldi, Ortelio e Mercatore e altri. Magini curò molto l’inquadramento di ciascuna carta con quelle dei territori confinanti, ricorrendo anche a modifiche e alterazioni, soprattutto per le distanze. In questo modo, con lavoro paziente e accurato riuscì a costruire una carta d’insieme dell’Italia, 35 1769.Cook partì da Plymouth il 25 8 1768, accompagnato da astronomi e altri scienziati. Giunse a Tahiti e alle isole della Società, poi toccò la Nuova Zelanda. Dopo arrivò sulla costa orientale dell’Australia approdare nella baia in cui sorgerà Sidney e infine tornò in Europa il 12 giugno del 1771. I risultati ottenuti indussero il governo inglese ad affidare a Cook una seconda missione, dal 1772 al 1775. Con due navi e molti scienziati al seguito Cook superò il Capo di Buona Speranza (la punta più a Sud dell’Africa) e si spinse fino alla latitudine di 71° Sud, senza trovare nessuna terra, quindi si diresse a Nord, ma in direzione Est e toccò la Polinesia meridionale, le Isole marchesi, le Nuove Ebridi, la Nuova Caledonia e le Isole Georgia del Sud. Poi tornò in patria nel 1775. Nel 1776 partì per una nuova spedizione che aveva il compito di trovare il passaggio tra l’Oceano Atlantico e l’Oceano pacifico attraverso le regioni boreali. Partito con la nave Resolution il 12 luglio del 1776, seguito dal capitano Clarke a bordo della Discovery, Cook raggiunse il Pacifico a attraverso lo stretto di Bering, senza però trovare il passaggio a Nord Ovest (che sarà scoperto un secolo dopo dal norvegese Nordenskiöld). (Adolf Erik Nils Klaus Waldemar Freiherr von Nordenskiöld (Helsinki, 18 novembre 1832 – Dalbyö, 12 agosto 1901) è stato un esploratore svedese). 36 Il passaggio a nord-ovest è una rotta navale che collega gli oceani Atlantico e Pacifico, passando attraverso l'arcipelago artico canadese all'interno del Mar Glaciale Artico. Nel corso del suo viaggio Cook scopre comunque le isole a cui darà il suo nome, tocca le isole Sandwich (le Hawaii) e arriva fino alla California. A causa di una tempesta ritorna alle Sandwich ma qui verrà attaccato dai nativi e resterà ucciso. Il capitano Clarke comunque riuscì a salvarsi e a riportare in patria la spedizione il 4 ottobre del 1780. Il francese Francois de la Pérousse realizza l’ultima impresa notevole, effettuando la rilevazione della costa asiatica tra il Giappone e il mar di Ohotsk. La Pérousse parte da Brest nell’estate del 1785 con due navi. Dopo aver raggiunto la California, attraverso l’oceano, giunge alla Cina meridionale, a Macao, poi esplora la costa Nord occidentale del Pacifico, si dirige alle Filippine. Rileva la costa della Manciuria e dimostra che Sahalin è un’isola. Nel settembre del 1788 tocca Samoa, Tonga e la Botany Bay i Australia. Queste notizie furono desunte dal giornale di bordo dello stesso La Pérousse: i resti delle sue navi furono trovati nel 1837 nei pressi di un’isola delle Nuove Ebridi. Dopo l'esplorazione di Sachalin e delle Curili le due navi si diressero verso meridione. Il 1º dicembre 1787, a Samoa, fu ucciso dalla popolazione locale Fleuriot de Langle, scienziato, secondo in comando e grande amico La Pérouse. La tappa successiva fu l'Australia dove i britannici avevano appena fondato la città di Sydney, nel febbraio 1788 La Pérouse inviò un dispaccio con la sua rotta successiva, Tonga, la Nuova Caledonia, le Isole Salomone e infine la Nuova Guinea. Le due navi e gli equipaggi sparirono però misteriosamente. Si ipotizzò che fossero finiti in una tempesta tropicale. In patria i progressi della spedizione erano seguiti con attenzione e nonostante l'inizio della rivoluzione francese furono attrezzate due navi per la ricerca degli scomparsi. L'azione di ricerca non si concluse felicemente: i due comandanti, Entrecasteaux e Kermadec, perirono durante la navigazione e le due 37 navi di soccorso rientrarono in Francia senza alcuna notizia sulle navi scomparse. Dovettero passare trent'anni prima che Jules Dumont d'Urville, la cui nave era stata chiamata Astrolabe in memoria della scomparsa nave di La Pérouse, ritrovasse i resti delle due navi presso l'isola di  Vanikoro, nelle Salomone. La popolazione indigena dell'isola era ancora in possesso di diversi effetti personali degli equipaggi delle navi. I risultati di queste grandi ed eroiche spedizioni marinare segnarono una svolta determinante nel cammino della geografia e della cartografia in quanto: a) dimostrarono l’inesistenza del grande continente australe. B) delinearono invece l’esistenza di un emisfero oceanico, in cui i mari occupavano una superficie due volte pari a quella delle terre emerse. L’esplorazione dei territori interno dell’Africa ha inizio nel 1788 con la costituzione dell’African Association, che aveva due scopi, l’esplorazione dell’Africa e l’apertura d nuovi mercati per il commercio britannico. Per quanto riguarda l’esplorazione dell’America meridionale, hanno parecchia importanza i viaggi di Alessandro von Humboldt, nato a Berlino nel 1769. Costui fissò oltre 200 posizioni geografiche e raccolse moltissime informazioni climatiche, botaniche e geologiche. Esplorazioni delle zone interne dell’Australia si ebbero solo dopo l 1825 con Stuart ed Eyre e soprattutto negli anni tra il 1850 e 1875 sempre con Stuart e poi con Warburton. L’esplorazione delle zone polari fu l’ultima in ordine di tempo: le aree settentrionali furono attraversate per la prima volta da Nordenskiöld tra 1878 e 1879, mentre la Groenlandia fu esplorata dal Nansen nel 1888. Il Polo Nord venne raggiunto solo nel 1909 da Peary, con slitte e poi, in aereo, da Amundsen e Byrd e in dirigibile da Nobile. L’esplorazione delle coste dell’Antartide fu compiuta dal 1838 al 1843 da Francois Dumont d’Anville, Wilkes e Ross, poi altre diverse spedizioni scientifiche. Il Polo Sud fu raggiunto per la prima volta da Amundsen il 14 dicembre del 1919. Scott vi arrivò il 17 gennaio 1922 ma morì nel viaggio di ritorno. 4.8 LA CARTOGRAFIA NEI SECOLI XIX E XX Nel XIX secolo le esplorazioni non solo forniscono informazioni sempre più dettagliate sulla superficie della Terra, ma sono rivolte anche ad indagare sulle cause dei fenomeni osservati. Di tutto questo se ne avvantaggia non solo la geografia e le discipline naturalistiche, ma anche e soprattutto la cartografia, con carte sempre più precise. La quantità di informazioni disponibili diventa così imponente da richiedere una selezione cartografica delle notizie stesse considerate per argomento: nasce la cartografia tematica, di cui il 40 proiezione U.T.M. con fusi di 6° a partire dall’antimeridiano di Greenwich 180°, mentre per la precedente cartografia il meridiano fondamentale era quello di Roma, Monte Mario. 4.9 – GLI ATLANTI CONTEMPORANEI 4.10.1 – DEFINIZIONE E CONTENUTI Nell’accezione comune, per atlante si è intesa e si intende una raccolta di carte, prevalentemente a piccola scala (per grandissimi territori), ordinata secondo determinate intenzioni e visuali che sembrano non aver subito radicali modifiche, se non a livello esteriore, nonostante l’evolversi del tempo e della dinamica storico politica, sociale e culturale. Il termine, comparso per la prima volta nell’intitolazione dell’opera di Mercatore Atlas sive Cosmographicae Meditationes de Fabrica mundi et fabricati figura (Atlante o meditazione cosmografica sul tessuto del mondo e la forma del tessuto), Anversa 1595, sostituì le più antiche denominazioni di Theatrum e Speculum, fino ad allora applicate alle raccolte in oggetto, e si ritiene tragga ispirazione, come sostiene Baldacci, da Atlante, re mauritano, astronomo e cartografo. Tradizionalmente invece si risale alla mitica figura dell’omonimo eroe greco cui, secondo la leggenda, era stato affidato il compito di sorreggere il Mondo. Vanno sottolineate le conquiste compiute nel campo delle conoscenze tecniche e scientifiche. Al riconoscimento poi, sempre più diffuso, circa la reale utilità dell carte nei campi e applicazioni più vari, vanno infine sommate le istanze scaturite dai recenti programmi di gestione, programmazione e pianificazione del territorio i quali, si aprono, alla valutazione causale delle risultanze spaziali dal punto di vista storico, sociale, culturale, ecc. Dal punto di vista per il valore e le dimensioni assegnate alle varie opere cartografiche, sotto questo punto di vista, di impostazione concettuale e inquadramento ideologico, molto poco p cambiato negli atlanti da 160 180 anni a questa parte, il contrario è avvenuto in relazione alla loro qualità e contenuti formali, per cui si è assistito, in progressione, al miglioramento delle modalità e caratteristiche espressive, all’aumento degli esemplari e, soprattutto, alla diversificazione tipologica di questi, intesa come tendenza sempre più evidente, particolarmente nella produzione estera, verso il tematismo, la specializzazione. Le categorie convenzionali e certe differenziazioni tendono a scomparire, a favore di nuovi criteri di generalizzazione, che fanno diventare, a volte, problematica l’assegnazione agli atlanti di attributi tradizionali, come, “internazionale”, “scolastico”, “speciale”, ecc. Valutando anche la destinazione delle raccolte in oggetto, allestite da una parte per soddisfare le esigenze di un pubblico assai vasto (studiosi, tecnici, amministratori pubblici, ecc.) si sono stabiliti due aggruppamenti di base, e nello stesso momento l’ordine di trattazione, i quali distinguono tra –atlanti geografici- e –atlanti tematici-. 4.10.2 – ATLANTI GEOGRAFICI Espressioni contenutisticamente descrittive soprattutto di luoghi e oggetti geografici in cui solo da tempe recenti si sono innestati gli elementi umano e, ancor più, economico, tale categoria appare comprensiva per un verso di quegli atlanti noto sotto le denominazioni di: internazionali, generali, generici, universali, di consultazioni, grandi atlanti e per l’altro quelli definiti scolastici o con altre denominazioni come: nuovo, metodico, pratico, ecc. Essendo comunque i due tipi di raccolte, in qualsiasi modo le si definisca, niente di più che degli atlanti geografici generali, le osservazioni di seguito espresse sono basate sui punti maggiormente dibattuti a riguardo di entrambi. Si è detto che la materia contenuta nelle raccolte in questione descrive ancora oggi essenzialmente “luoghi e oggetti geografici” che la disciplina cartografica, nel corso degli ultimi due secoli circa, ha diversamente rappresentato e quindi trasmesso secondo le cadenze imposte dai processi conoscitivi, scientifici e tecnici. E’ noto che la cartografia a piccola scala o scala “geografica” (rapporti generalmente superiori a 1:1000.000), quella appunto degli atlanti in oggetto, abbia fissato i propri termini solamente dopo il suddetto perfezionamento delle proiezioni e l’acquisizione di sicure basi geodetico-topografiche relative all’intera superficie terrestre, realizzatasi definitivamente nei decenni di esordio a questo secolo, come 41 dimostrano i numerosi “spazi in bianco” ancora presenti a tale data, negli stessi atlanti appunto, riferiti, alle regioni polari o ai territori centrali dell’Asia, dell’Africa e dell’Australia. Con le esigenze scaturite nel XIX secolo, dalla ridefinizione di molti territori europei, i nuovi Stati e dalla politica coloniale, le misurazioni (prima si avvalevano del sistema di triangolazione col teodolite) interessarono spazi sempre più vasti. Si costituì una basilare attività cartografica a grande scala, dalla quale conseguì un altrettanto fervida derivazione di carte a piccola scala all’interno di un sistema che assegna la gestione della prima ai singoli organismi statali e la produzione della seconda ad aziende private. Operata tale scissione la produzione assume un ritmo di regolarità e se da essa è possibile scorgere i tempi e le tappe relativi alla progressiva acquisizione delle conoscenze dello spazio terrestre, non presenta seri ostacoli l’intravedere in quali modi ci si sia posti nell’ambito della cartografia a piccola scala, cioè nei confronti del territorio. La cartografia a piccola scala pare infatti non avere subito sostanziali mutamenti nel passaggio dalla rappresentazione iniziale di una realtà spaziale non ancora ben conosciuta, a quella attuale di uno spazio spartito e quantitativizzato, nel quale l’uomo non viene inserito se non in una dimensione numerica e distributiva o, come accadeva in un passato non lontano, etnografica, etnologica, antropologica. L’incisività dell’azione umana nell’ambiente e nel territorio invece, come pure le sue modalità d’espressione andrebbero, secondo alcuni studiosi, rilevate e cartografate ampiamente anche in questi atlanti, i quali sono più diffusi e usati, specialmente oggi che si fanno sempre più palesi e critici proprio nel territorio sia gli effetti delle dette azioni ed elementi sia le negative conseguenze di una loro mancata considerazione. Un mezzo espressivo basilare è costituito dalla cartografia tematica e da un suo uso scientifico, ragionato e ampliato, il quale, dovrebbe oltre tutto sostituire la sempre più massiccia e poco pertinente immissione di quelle pagine letterarie ed illustrazioni varie che vanno snaturando queste opere, le quali, si trovano così collocate su di un piano di negativo antagonismo con i testi di geografia in adozione. L’allestimento degli atlanti geografici infatti, sebbene mosso da intenti scientifici, oggi più di ieri, appare sostanzialmente e in maniera prioritaria legato a dettati economico commerciali, spesso difficilmente conciliabili con gli intenti scientifici, come dimostra la mediocrità o la qualità scadente di non pochi esemplari sul mercato nazionale ed estero. Su di un piano più particolareggiato, va rilevato come, fra le prime scelte che si impongono, una riguardi il formato e la mole del volume, da rivedere e riconsiderare specialmente alla luce dell’attuale situazione che ha allargato molto l’uso di tali atlanti, parallelamente al costituirsi di una nuova e vasta gamma di richieste scaturite dalle mutate condizioni e maniere di vivere e lavorare (si suggerisce di togliere specchietti, richiami, tabelle, grafici che spesso sono inutili). Le proposte valgono ancor più per gli atlanti scolastici, spesso trascurati o malvolentieri portati a scuola a causa della scomodità e ingombro, da cui la risposta della casa editrice Westermann di Braunschweig, per esempio, che ha provveduto a ridimensionare il suo atlante. Strettamente legata a tali tagli, formati e superfici, appare l’adozione della scala, dalla quale ci si attendono essenzialmente due requisiti: da una parte la possibilità di risalire immediatamente alle misure reali e dall’altra la facilità di operare confronti, verifiche e paragoni fra tavole a scala diversa. La scelta delle proiezioni poi non pone seri ostacoli, essendo il numero di codeste limitato a poche decine anche nell’uso abituale di talune di esse come succede per l’azimutale di lambert, particolarmente adatta per le carte a piccola scala; o quella cilindrica di Marcatore, ancora applicata ai planisferi. Tra i numerosi problemi, sempre per il contenuto formale, esteriore ed espressività grafica, riveste particolare importanza quello riguardante la rappresentazione dell’orografia e morfologia del territorio in genere. Il disegno del rilievo acquista una grande resa espressiva a partire dal XIX secolo con l’applicazione della tecnica del tratteggio, diversamente lumeggiato, messa appunto alla fine del Settecento, che si protrae fino agli anni Venti del XX secolo, come si deduce dall’Atlante internazionale del Touring Club Italiano e dal Grande Atlante della De Agostini di Novara, entrambi allestiti grazie all’iniziale operato di maestranze tedesche altamente qualificate. Le tinte altimetriche dovrebbero essere nella tradizionale gamma, in crescendo dal chiaro allo scuro e l’esecuzione dello “sfumo” sempre espresso in maniera tale da rispecchiare il più possibile le effettive caratteristiche dell’orografia, quali la forma, l’orientamento, struttura. Il più delle volte invece la tecnica è grossolana e generica. Il miglior esito in tal senso è stato ottenuto da Eduard Imhof il quale ha rinnovato lo 42 Schweiserischer Mittelschulatlas (Atlante svizzero delle scuole medie), rappresentando l’orografia con una reinterpretazione delle tinte altimetriche che risultano invertite rispetto alla successione abituale: si procede così da quelle più intense (blu verde) per le zone più+ basse, alle più tenui per le zone alte, fino al bianco addirittura. Poiché la rappresentazione degli altri elementi planimetrici, sia fisici che umani, non richiede particolari segnalazioni, ci soffermiamo sulla trascrizione dei toponimi. Negli atlanti geografici ci troviamo di fronte a ulteriori difficoltà, dovendo dare soddisfazione a due requisiti: facile intellegibilità e rispetto della strutture linguistiche originarie. Una risposta scientifica valida viene offerta dalla “traslitterazione” cioè dall’operazione di trasferimento segno per segno dall’una all’altra scrittura. Altro sistema è quello della “trascrizione fonetica”. Il secondo metodo è di più facile applicazione perché non impegna gran che dal punto di vista scientifico e didattico e non costringe gli apparati tipografici all’ammodernamento o trovare caratteri adatti. A tali ostacoli di ordine pratico si ritiene sia da imputare il fatto che il problema toponomastico non abbia ancora raggiunto una giusta soluzione. Tuttavia nel corso degli anni sono stati compiuti vari progressi in campo tecnico di riproduzione e di stampa, specialmente dopo il secondo conflitto mondiale. Una particolare impronta stilistica è data dalla calcografia (incisione su rame). Tale pratica non viene abbandonata fino a quando non si manifestano chiaramente gli alti costi rispetto a quelli ben più economici dei nuovi procedimenti litografici (incisioni su pietra, alluminio e altri metalli). Se i rinnovamenti tecnico grafici hanno trovato una applicazione relativamente pronta, per contro è spesso mancata una risposta aggiornata, sistematica e organica ai mutamenti nello spazio geo topografico e tematico. Relativamente alla geo topografia è chiaro che non ci si riferisce alla registrazione di fatti macroscopici come quelli di natura politica che, ad esempio, modificano i confini di uno Stato o ne tracciano di nuovi per un altro, ma ad annotazioni più particolari, come le vie di comunicazione, le reti idrografiche, i canali, i bacini artificiali, i porti, ecc. Ecco che l’ “aggiornamento” di queste raccolte viene demandato con frequenza al tematismo, ma solo riempitivo, esornativo, di ritocco esteriore e basta. Gli esiti tecnico grafici ed espressivi in genere poi, oltre a rivelare una mancata uniformità di scale, presentano uno scollamento dalla realtà spaziale in quanto conseguiti su asettiche basi caratterizzate solo dai confini politici o costieri della superficie territoriale considerata. 4.10 – ATLANTI TEMATICI La realizzazione di raccolte tematiche costituisce un fatto recente, dato il discreto sviluppo da queste raggiunte dopo la Seconda Guerra Mondiale. Anche se non mancano esempi precedenti, come l’Atlante fisico del tedesco Heinrich Karl Berghaus del 1838-1848. E’ da quel momento, cioè metà dell’Ottocento, che l’allestimento di atlanti costituiti da carte speciali o applicate, come vengono chiamate le carte tematiche, procede in crescendo, sia per il numero di esemplari che per la quantità dei temi sviluppati, come l’atlante fisico, speciale, topografico, regionale, economico, ecc., ancora largamente in uso. Gli studiosi tendono però ad abbinare i termini, ad esempio: Atlante tematico nazionale; Atlante tematico di economia, ecc. Inoltre questo ovvierebbe anche all’attribuzione di titoli spesso inadatti a definire compitamente il contenuto di una certa raccolta, come afferma Sestini nel 1965 citando l’Atlante fisico economico d’Italia del 1940, curato da G. Dainelli per il Touring Club Italiano, nel quale sono contenute anche carte trattanti temi demografici, culturali ecc. Specialmente in Italia gli atlanti tematici si muovono ancora nell’ambito della definizione, della proposta, in ritardo e in contrapposizione nei confronti di altri paesi e di un certo tematismo anche nazionale, a grande e media scala, autonomo, finalizzato e correttamente praticato a livello amministrativo locale, provinciale o regionale che sia. Successivamente le tensioni sociali, gli squilibri economici e territoriali, hanno reso manifesta l’inadeguatezza e i limiti del primo approccio, nonché l’esigenza di conoscere meglio il territorio. Ciò ha condotto a un tematismo che su grande e media scala per un verso si colloca secondo un’ottica meno generale e più ravvicinata allo spazio e alle relative componenti e, per l’altro, presenta caratteri di concretezza, nasce cioè da effettive esigenze per effettivi scopi. Si verifica così uno scollamento tra tematismo scientifico ufficiale, per le produzioni accademiche, e quelle degli organismi statali; e il tematismo tecnico, autonomo, praticato sia a livelli locali della pubblica amministrazione sia a livello 45 I circoli meridiani sono tutti uguali e misurano ciascuno 40.000 km. Infatti l’unità di misura del sistema metrico decimale, il metro, è la quarantamilionesima parte del meridiano terrestre. Sulla sfera esistono infiniti meridiani, ma consideriamo solo quelli distanti tra loro di un grado, quindi ne contiamo 360 (oppure 180 circoli meridiani). Naturalmente i gradi si compongono di primi, e questi di secondo o poi, decimi, centesimi, ecc. La distanza lineare di un grado di meridiano è di 111,121 km all’equatore, ma aumenta di poco verso i poli perché il circolo meridiano sulla Terra in realtà è un ellisse. Forse non è superfluo sottolineare che ad identiche ampiezze angolari o di arco non corrispondono sempre identiche distanze lineari: la circonferenza è infatti sempre di 360°, qualunque sia la sua dimensione lineare. Il piano perpendicolare ed equidistante dai poli incontra la superficie della sfera lungo una circonferenza, l’equatore, che è il più grande dei paralleli ed è l’unico parallelo ad essere anche circolo massimo (perché il suo piano passa per il dentro della sfera). Gli altri paralleli sono uguali a due a due, 46 uno nell’emisfero settentrionale e l’altro in quello meridionale: I poli non hanno dimensione, perché sono due punti geometrici. Anche i paralleli sono infiniti per le stesse ragioni dei meridiani, ma dall’equatore ai poli, considerando la semicirconferenza di 180°, vi sono 90 paralleli del valore di un grado, tanto in quello boreale che in quello australe, ma i 90° nord e 90° sud sono due punti. La lunghezza lineare dei paralleli diminuisce procedendo verso i poli (da 40.976,592 km a Zero), ma, ovviamente la loro ampiezza angola rimane costante di 360°, essendo tutti delle circonferenze. La distanza lineare di un grado di parallelo all’equatore è massima (111,307 km) ma diminuisce fino ad annullarsi ai poli. 5.2 – LE COORDINATE GEOGRAFICHE Ogni punto della sfera è attraversato da un meridiano e da un parallelo: la latitudine è la distanza angolare di un punto dall’equatore e può essere Nord o Sud; la longitudine, che è in pratica la distanza angolare di un punto a Est o Ovest del meridiano scelto, Greenwich, presso Londra; oppure un latro meridiano, come quello presso Monte Mario a Roma. In realtà la latitudine di un luogo è il valore dell’angolo al centro della Terra, formato dal lato che giace sul piano dell’equatore e da quello che passa per il luogo, così pure la longitudine è l’angolo al centro del piano del parallelo del luogo, con un lato passante per meridiano fondamentale e l’altro per il luogo. Per calcolare la latitudine di un luogo basta calcolare l’altezza della Stella Polare sull’orizzonte mediante il sestante o il teodolite. Si può calcolare misurando l’altezza del Sole all’orizzonte. Negli equinozi la latitudine si ricava sottraendo da 90° il valore dell’angolo formato dal Sole, l’osservatore e il punto di intersezione tra orizzonte e verticale del Sole. Il calcolo della longitudine si esegue con l’ausilio del cronometro. Poiché il Sole compie un arco apparente di 15 gradi all’ora (360° in un giorno), è facile calcolare, conoscendo l’esatta differenza oraria tra l’ora reale del luogo ove siamo e quella del meridiano fondamentale, la differenza in gradi del punto dal meridiano fondamentale (cioè la longitudine). Bisogna ripetere che l’ora reale di un luogo è quella determinata in base alla culminazione del Sole sul meridiano passante per lo stesso luogo. 5.3 – LA FORMA DELLA TERRA E LE DIFFICOLTA’ DI RIDURLA IN PIANO Le deformazioni cominciano a diventare notevoli quando si devono disegnare grandi aree geografiche, come i continenti o tutta la Terra. Se poi si volesse avere una figurazione il più approssimata possibile all’intera superficie terrestre, bisognerebbe ricorrere al globo. Nelle carte geografiche generali è sempre necessario conoscere il tipo di proiezione adottato; come pure, una volta deciso di disegnare la 47 distribuzione di un determinato fenomeno su una carta generale (esempio le razze, i popoli, le religioni, ecc.) bisogna conoscere bene le particolarità delle varie proiezioni per scegliere la più opportuna. Le carte di dettaglio sono invece ottenute con proiezione del reticolato geografico della Terra, questa volta più esattamente assimilata a un ellissoide. L’ellissoide è la figura geometrica più vicina alla forma della terra, che è un solido unico, un “geoide” (cioè simile a sé stessa). Il geoide non è un solido geometrico misurabile, ma corrisponde a una superficie di livello in ogni punto perpendicolare alla direzione del filo a piombo. Per questo si è convenuto di considerare la Terra un ellissoide, cioè un solido di rotazione generato dalla rotazione di una semiellisse intorno al suo asse minore. Superfici topografica, geoidica ed Ellissoidica. •La superficie geoidica è quella che “percepiamo” studiando l’attrazione gravitazionale. •La superficie ellissoidica è una astrazione matematica, una Semplificazione che noi adottiamo per sostituire la vera Terra con un modello che siamo in grado di descrivere analiticamente. •La superficie topografica è quella che noi vediamo. La Terra è avvolta da un reticolato geografico molto fitto, meridiani e paralleli che sono essenziali per calcolare le coordinate geografiche. Queste coordinate possono assumere sulla carta posizioni che sono le 50 Un caso particolare delle proiezioni coniche sono le proiezioni azimutali, perché il piano di proiezione può essere considerato come la superficie laterale di un cono con angolo di apertura di 180°. Le azimutali comprendono le prospettiche. Oggi non si parla più di prospettiche, ma di un procedimento analitico in cui tutte le linee sono tracciate per punti calcolati successivamente. L’azimut è propriamente l’angolo compreso tra il piano meridiano di un luogo di osservazione e il circolo verticale che passa per l’astro di cui si vuol conoscere la posizione. Il concetto di azimut, in cartografia, è passato a significare anche l’angolo formato sulla sfera terrestre tra il meridiano e l’arco di circolo massimo compreso tra il punto di osservazione O e un altro punto A. Per il principio delle proiezioni, sulla carta i due archi diventano sue segmenti. Per indicare analiticamente il punto A sulla carta, basterà moltiplicare, per le ascisse, il valore dell’arco OA per il seno dell’angolo al centro, e per le ordinate, lo stesso valore dell’arco OA per il coseno dell’angolo al centro. In questa proiezione il piano della carta è detto quadro ed è tangente alla sfera in un punto, cioè il centro di proiezione, che può coincidere con un polo (proiezione azimutale 51 polare o diretta) o con un punto dell’equatore (equatoriale o trasversa), o con un altro punto diverso dai precedenti (orizzontale, zenitale o obliqua). Le carte azimutali vengono anche chiamate carte zenitali. Le proiezioni finora esaminate vengono definite vere o pure, perché vengono ottenute mediante la semplice trasposizione in piano del reticolato geografico. L'azimut è una delle coordinate (insieme all''altezza) nel sistema di riferimento altazimutale (o orizzontale). L’azimut rappresenta l'angolo fra il meridiano e il piano (cerchio verticale) passante per lo zenit e la stella o l'oggetto da osservare. È misurata in unità angolari con valori che vanno da 0° a 360°. L’origine e il verso sono convenzionali e possono essere diversi da disciplina a disciplina. In astronomia viene si assume l'origine coincidente con il punto Sud (valore =0°) in senso orario. In questa convenzione l'Ovest assume il valore = 90°, il Nord =180°, l'Est = 270° (o -90°). Le proiezioni modificate più usate sono: la conica modificata di Delisle; la conica conforme di Lambert; la cilindrica conforme di Mercatore, ecc. Si deve precisare, comunque, che la linea lossodromica non è la minore distanza tra due punti. Questa invece è data dalla linea ortodromica, sulla carta di Mercatore è disegnata come una curva. 52 Alcune proiezioni convenzionali possono essere utilizzate per disegnare nel dettaglio zone relativamente poco estese della superficie terrestre, mediante opportuni accorgimenti. Se infatti dividiamo la superficie terrestre in numerose zone di breve ampiezza in latitudine, possiamo proiettare queste piccole aree ciascuna secondo le regole del reticolato conico, o sinusoidale, o cilindrico trasverso, ecc. Avremo una proiezione policonica o la poliedrica, o la proiezione di Gauss, che deriva dalla universale trasversa di Mercatore. Queste proiezioni, che sono chiamate geodetiche, hanno il vantaggio di essere naturali, cioè per ogni singola area (o foglio di carta) mantengono approssimativamente inalterate tutte le proprietà delle carte geografiche. Esse derivano dalla proiezione dell’ellissoide e non della sfera terrestre. 5.5 – LA PROIEZIONE U.T.M. 5.6 Proiezione Universale Trasversa di Mercatore, si costruisce avvolgendo l’ellissoide terrestre e non la sfera terrestre, con la superficie laterale di un cilindro, ma si noti bene, che la superficie laterale del cilindro è tangente lungo il meridiano, anziché lungo l’equatore come invece avviene nella proiezione di Mercatore diretta. In questo modo si ottiene l’equidistanza lungo un meridiano anziché lungo l’equatore. Si elimina perciò il problema della forte deformazione delle alte latitudini. 55 Per la identificazione delle località, oltre alle coordinate geografiche (lat. e long.) nel fuso gaussiano esiste anche una quadrettatura chilometrica, incentrata sul meridiano centrale (asse delle ordinate) e sull’equatore (asse delle ascisse). Proiezione di Mercatore inversa FUSI GAUSSIANI La proiezione UTM attualmente sostituisce la proiezione naturale policentrica o poliedrica di Sanson Flamsteed, prima adottata nella costruzione della Carta Topografica d’Italia dell’Istituto Geografico Militare. 56 5.7 – LA SCALA La scala costituisce un altro elemento di identificazione della carta geografica, quello per cui viene definita ridotta. La scala può essere indicata con numeri, es. 1:10.000, e si chiama numerica. Oppure con un segmento, con suddivisioni interne, alle quali corrispondono i valori di distanza reali e si chiama scala grafica. La scala numerica può essere anche indicata con il simbolo della frazione: 1/10.0000 che sta a significare di quante volte una misura di lunghezza lineare è stata ridotta nel disegno della carta. Es: 1:10.000 significa che una unità di misura sulla carta (un millimetro, un centimetro, un kilometro, ecc.) corrisponde a 10.000 centimetri, chilometri, ecc. In pratica alla scala 1:10.000, uno a diecimila, 1 cm sulla carta corrisponde a 10.0000 cm nella realtà, cioè a 100 metri. (La distanza nella realtà è = 500 m; Qual è la distanza su una carta in scala 1: 10.000? Convertendo i metri in cm otterremo: 500 m = 50.000 cm nella realtà 1:10.000 = dc: 50.000 cm dc = 50.000 cm/10.000 = 5 cm sulla carta). (Si consideri la distanza reale tra due punti pari a 2,5 km. Quanto sarà lungo il segmento corrispondente su una carta 1:100.000? 1:100.000 = dc: 2,5 km dc = 2.5 / 100.000 = 0.000025 km Convertendo i km in mm (la misura più opportuna in questo caso) otterremo che 0.000025 km sono pari a 25 mm N.B. La conversione dell’unità di misura (es.1 da m a cm o esempio 2 da km a mm) si può fare sia prima della divisione (es. 1- per agevolare il calcolo) sia dopo la divisione (es. 2); l’importante è ottenere un valore appropriato all’operazione che si sta svolgendo: nel caso di valori da riportare su carta quindi sarà opportuno utilizzare mm o cm). Formulario dr = distanza reale dc = distanza sulla carta scala = denominatore della scala Ricerca della distanza reale - 1: scala = dc: dr - dr = dc x scala. Esempio 1 In una carta in scala 10.000 misuro una distanza = 3 cm; a quanto corrisponde quella distanza nella realtà? 1: 5.000 = 3 cm: dr - dr = 3 cm x 5.000 = 15.000 cm nella realtà. Convertendo i cm in metri otterremo: 15.000 cm = 150 m nella realtà. Conversioni - superfici Quanto misura un ettaro reale su una carta in scala • 1: 1.000 = 100 cmq = 10 cm x 10 cm • 1: 5.000 = 4 cmq = 2 cm x 2 cm 57 Scala ticonica E’ necessario tener presente che la scala spesso non ci permette di conoscere con precisione le distanze reali tra due punti, e ciò per due motivi: Il primo è topografico: essendo la carta disegnata in piano, essa non solo presenta deformazioni per la riduzione in piano della superficie terrestre che è curva, ma anche un accorciamento, per il fatto che i punti della terra non giacciono tutti su uno stesso piano, ma sono ad altitudine diversa. Pertanto, una distanza, poniamo di 10 km nella realtà tra due punti a differente altitudine può essere ridotta a 8 o 9 km sulla carta, in quanto su di essa le distanze reali tra due punti vengono proiettate, e quindi rimpicciolite, su una superficie di riferimento su cui si immagina appiattita l’area disegnata sulla carta. Il secondo motivo riguarda il tipo di proiezione. La scala, specie nelle carte generali che riguardano grandi parti della terra, non è la stessa in tutti i punti. La scala può essere valida all’equatore ma poi tutto il resto della proiezione risulterà a scale diverse. Normalmente una carta si definisce a grande, media e piccola scala. La scala è data da un rapporto, tanto più grade è il denominatore (sotto il segno di frazione o a destra del sego di divisione), tanto più piccola è la scala. Questo è molto importante perché le carte a grande scala riproducono una grande quantità di particolari e comportano minime deformazioni, ma esse, a differenza di quelle a piccola scala, non consentono confronti tra fenomeni comparabili in aree lontane. Le carte vengono classificate: a- A grandissima scala: sono le planimetrie, le piante di città e mappe catastali; hanno scala maggiore di 1:10000. Le planimetrie possono essere 1:200 o 1:100. b- Carte a grande scala: sono carte topografiche, tra 1:100.000 e 1:10.000 c- Carte a media scala: sono carte corografiche, che raffigurano regioni e territori abbastanza estesi, come Stati interi; variano da 1:1. 000.000 a 1:200.000, anche le carte turistiche e itinerarie. d- Carte a piccola e piccolissima scala: sono le carte generali e le carte geografiche in senso stretto, inferiori al milionesimo. 5.8 – LA SIMBOLOGIA La carta geografica rappresenta la Terra o sue parti in piano, in forma ridotta, simbolica e approssimata Un altro elemento è la simbologia, perché la carta è simbolica, un disegno caratterizzato da segni, in parte verosimili e in parte obbediscono a convenzioni chiare e decifrabili, anche con l’uso delle legende. I simboli evidenziano i fenomeni e la loro distribuzione su un tratto di superficie terrestre, quello sulla carta. Non si possono, tuttavia, disegnare con la stessa evidenza, cioè alla stessa scala, tutti i fenomeni di natura fisica e antropica che sono presenti sulla carta, ma è necessario fare una certa scelta. Tale scelta dipende dalla scala e dalle caratteristiche stesse della carta. Le altre carte, a scala più piccola, riportano solo una parte degli oggetti geografici esistenti nella realtà a seconda dell’importanza che il cartografo vuol dare a ciascun tipo. A parte la scala, le carte possono essere distinte in carte generali e carte tematiche. Le prime riportano i simboli senza particolari evidenziazioni e differenziazioni; le seconde, invece, per il fatto che devono mettere in giusto rilievo un fenomeno (ad esempio alcuni oggetti, la loro distribuzione e i vari rapporti tra di essi, es, similitudine, ecc.), sottolineano in vario modo le particolari correlazioni, enucleandole dal contesto. Nella carta tematica, quindi, attraverso la simbologia, il geografo o il climatologo, col cartografo, ALTITUDINE 0 m COSTRUZIONE DI UN PROFILO ALTIMETRICO: 60 61 Lo stesso procedimento si può usare per disegnare un profilo altimetrico di una valle. 5.8.3 – LE VIE DI COMUNICAZIONE E LE INFRASTRUTTURE Si è già detto che le vie di comunicazione sono messe in opportuna evidenza nelle carte topografiche, questo è dovuto naturalmente alla grande importanza che le strade hanno avuto e hanno per la conoscenza geografica dei luoghi, sia per motivi militari che commerciali o turistici. Le caratteristiche delle strade ferrate sono evidenziate con differenziazioni che tengono conto dello scartamento, del numero dei binari, del sistema di trazione, ecc. Nelle carte generali sono spesso disegnate in rosso le strade ferrate, mentre le arterie stradali sono talvolta tralasciate. Connesse con le vie di comunicazione sono le infrastrutture, ponti, stazioni ferroviarie, stazioni di servizio e parcheggi sulle strade di grande comunicazione, gallerie e tunnel. Un posto a sé occupano i porti e gli approdi, industriali o turistici o commerciali. Possiamo inoltre classificare come vie di comunicazione anche i metanodotti, oleodotti, elettrodotti, perfino gli acquedotti, che servono per trasportare a grandi distanze l’acqua. 5.8.4 – L’INSEDIAMENTO Una parte consistente delle informazioni fornite dalle carte geografiche e soprattutto, in particolare, da quelle topografiche, riguarda l’insediamento e le sue diverse forme. Si distinguono infatti un insediamento temporaneo e uno permanente, quest’ultimo può essere sparso o accentrato. Quello temporaneo viene differenziato da quello permanente da simboli particolari, ma soprattutto dalla toponomastica. Autostrada Strada principale, strada statale Strada provinciale 0 di collegamente Strada saconcaria Strada praticabile, forestale Strada a pedaggio Transito vietato agli autovelcoli Mulattiera (carrareccia) —_. e... Sentiero, Iraccla di sentiero == 22 + Aflraversamento ghiacclalo, pericoloso [2 Farrovia constazione x” Funivia 3° Tolocabha 42 Funivia trasporto material da i Torre, rivino = Lil Monumento © Mina ex miniera ET Fora Curve di livello, squidistanza 25 m Bosco, vegetazione & RESSE 62 ——_—==Sentioro a lungo tragitto Marcatura di sentiero 0 num di segnavia ———t—@€m Cararoccia 0 mulattiora marcata — — — Sentiero marcato anasassa Tracce disonilero marcate ® Via ferrata dl Avergo isolato +I4+++ di Rifugio gestito in stagione & Campeggio dii Posto i ristoro, masga gestita L Ritugiv incustodito, general.ta accessibile ® Fermata autobus 2° Seggiavia a Sciovia 1 croce nveta na ef] Castella, ovino uit Molino = sil Caverna, grotta soog Quota altimetrica [I Parcheggio £ SE Sorgente, cascata Nimanpmmmi | Parco nazionale, parco naturale, area protetta Indicazione orlamtamento nora cana 65 6.1 – LA TRIANGOLAZIONE Una volta fissati i punti geodetici (latitudine, longitudine e altitudine) si costruisce un reticolato di triangoli irregolari, con il metodo della triangolazione. I punti geodetici sono anche detti punti trigonometrici. Il sistema della triangolazione fu ideato nel XVIII secolo da Snellius. Il sistema parte dalla definizione di una base geodetica o trigonometrica, congiungente due punti distanti tra loro 5 o 10 km. I punti devono essere ben visibili tra di loro. Per la misurazione si usa l’apparato di Bessel oppure si usano i fili metallici invar della lunghezza di 25 o 50 metri. Con un teodolite si traguarda dai due estremi della base geodetica (punti A e B) un terzo punto C, possibilmente elevato rispetto agli altri due e si misurano gli angoli alla base del triangolo ABC. Con calcoli matematici, teorema dei seni, si calcolano lati, altezza, ecc. Ogni lato del triangolo può divenire quindi base geodetica per un nuovo triangolo e così via, fino a ricostruire una rete di triangoli sul terreno da rilevare. Poiché le misure lineari si sommano le une alle altre, è necessario essere molto precisi nei calcoli. La precisione minima richiesta nella misurazione della base è di 1.1 alla meno 6 della distanza stessa. In pratica su una distanza di 10 km, non è possibile fare errori superiori a 1 cm. Gli strumenti per le rilevazioni eseguite in base alla misurazione dei lati possono essere di due tipi: per misure elettro ottiche; per misure elettroniche. (Strumenti anche il tellurometro, il geodimetro, il teodolite). Esistono alcune versioni del geodimetro che permettono la misurazione alla luce del giorno, per distanze limiate, ma con minore precisione dell’apparecchio originale. E’ pensabile che l’uso generalizzato del laser faccia presto la sua comparsa per misurare le distanze. Nella costruzione della rete di triangolazione si deve tener conto che ogni singola parte di essa, cioè ogni triangolo, è un triangolo sferico e che ogni distanza è una linea geodetica. La linea geodetica è quella linea tracciata sulla superficie terrestre, in cui le normali principali per ogni suo punto coincidono con quelle della superficie. Quando abbiamo calcolato le lunghezze dei lati e i valori angolari dei triangoli della triangolazione, dovremo ricavare le coordinate geografiche e gli azimut rispettivamente dei vertici e dei lati. Basterà calcolare con assoluta precisione le coordinate geografiche di un punto (centro di emanazione) e l’azimut di un lato. Da qui si possono ottenere le coordinate di tutta la rete. E’ indispensabile procedere per fasi successive; si stabilisce prima una rete di triangoli possibilmente equilateri, con vertici scelti in punti fissi e misurabili con molta precisione e con lati della lunghezza compresa tra i 30 e i 60 km. All’interno di quei triangoli, che formano la rete di primo ordine, con altre misurazioni, si forma la rete di secondo ordine, poi di terzo, ecc. È molto importante anche calcolare i vari livelli del suolo. 6.2 – L’AEROFOTOGRAMMETRIA La fotografia aerea, scattata da aeromobili, come i palloni (frenati o meno), elicotteri, aerei leggeri, satelliti, ecc. permette di sviluppare anche da altezze considerevoli le teorie e le tecniche della fotogrammetria. Le prime applicazioni furono fatte a età del XIX secolo dal francese Laussedat e dall’italiano Ignazio Porro. Chi condusse gli esperimenti sul terreno fu Michele Manzi, che nel 1875 utilizzò la fototopografia per completare il disegno di una tavoletta (carta topografica 1:25.000) relativa al gran Sasso d’Italia. Sempre per la prima sperimentazione in Italia delle fotografie dall’alto per uso topografico, dobbiamo ricordare anche Attilio Ranza che nel 1902 1903 fotografò Roma da un pallone frenato e si si servì delle foto per realizzare delle buone planimetrie. Dopo la Prima Guerra Mondiale, il progresso dell’aviazione e quello della fotografia diedero un notevole impulso anche alla aerofotogrammetria. Il volo sul territorio da fotografare deve essere sempre alla stessa quota stabilita precedentemente. La scala del fotogramma è data dal rapporto tra la distanza principale e la quota del volo, ovvero tra il lato del fotogramma e la corrispondente distanza sul terreno. Uno dei problemi più importanti dell’aerofotogrammetria è quello dell’orientamento dei fotogrammi. Per la cartografia a grande scala l’orientamento avviene mediante la determinazione a terra di tre o quattro punti di appoggio. Per quella a media e piccola scala, questo metodo sarebbe molto costoso e quindi si preferisce ricorrere alla triangolazione aerea e ai blocchi di strisciate, cioè con il concatenamento di un fotogramma al precedente. 66 Una foto scattata da un aereo o da un satellite può essere letta e interpretata. La semplice lettura si limita al riconoscimento degli oggetti fotografati, con opportune chiavi di lettura, che agevolano il lavoro topografico e lo studio del paesaggio geografico. La lettura consente per la non usuale prospettiva di cogliere: a) Particolari non osservabili dal piano di campagna b) Particolari associati ad altri poco o affatto visibili c) La disposizione d’assieme, che permette di ricostruire alcuni aspetti della litologia o del clima d) Le differenze di tonalità del colore, che ci permettono osservazioni sulle condizioni ambientali al momento della foto. Ecc. Oggi il progresso tecnologico ha dotato la fotografia aerea di mezzi notevoli per la ricognizione del territorio. Mediante la sensibilizzazione del materiale fotografico verso determinate lunghezze d’onda della luce, possono essere riconosciuti e distinti alcuni oggetti rispetto ad altri. Per esempio con emulsioni all’infrarosso possono essere messe in risalto le essenze arboree; le emulsioni dette a colori falsi (false color) evidenziano una quantità di particolari altrimenti non distinguibili in una normale fotografia. Ecc. 7 – LE FINALITA’ DELLA CARTA GEOGRAFICA Abbiamo visto che la scelta della scala è in funzione dell’usi che si dovrà fare della carta stessa. In base all’uso o usi molteplici, possiamo indicare le finalità: didattica; di ricerca; operativa; fiscale; militare; turistica. Naturalmente quella didattica è assolta con gli atlanti scolastici internazionali. Le carte sono a piccola scala, per i continenti si arriva a 1:30 milioni. L’Italia è a piccola scala nelle carte generali ma è riproposta per regioni nella scala 1:1000.000. Normalmente per ogni regione disegnata vengono redatte due carte: una fisica, con particolare riguardo agli aspetti fisici; morfologia, idrografia; e una carta politica, con accentuazione dei fenomeni antropici. Nei più recenti atlanti scolastici ci sono anche le carte tematiche riguardanti fenomeni fisici, come clima e vegetazione, oppure fenomeni antropici ed economici, come le colture, densità di popolazione, risorse minerarie, ecc. Naturalmente per l’Italia queste carte tematiche sono più abbondanti e particolareggiate e sono spesso accompagnate da elenchi statistici sulla popolazione, produzioni agricole e industriali, numero degli abitanti delle città, ecc. La successione delle carte in un atlante segue il criterio di dare maggiore importanza allo Stato in cui viene pubblicato. Fortunatamente negli attuali atlanti scolastici non compaiono più le cartine mute, prive di scritte. Precipuo scopo didattico hanno le carte murali, di grandi dimensioni e a media scala. La cartografia ha assunto negli ultimi tempi il ruolo di agile e aggiornata fonte di informazione. E’ necessario quindi che le carte geografiche rispondano essenzialment5e a due requisiti: attualità dei contenuti e specializzazione tematica. A uno stadio più avanzato nella direzione della ricerca geografica e territoriale in genere, appartengono gli atlanti nazionali, ricchi di carte tematiche che illustrano con chiarezza le caratteristiche fisiche del territorio e la situazione demografica, antropica ed economica fissata a un determinato periodo. Esistono anche atlanti regionali, a scala regionale. A finalità operative obbediscono soprattutto le carte tecniche, regionali, a grande scala, che offrono un quadro aggiornato della situazione geografica del territorio, con riferimento ai progetti e ai piani regolatori comunali e di taglio più ampio. Dobbiamo includere tra le carte operative anche i piani regionali e comprensoriali e i piani zonali, per l’agricoltura. Secondo il geometra Delio Meoli, le informazioni che la cartografia tematica devono fornire per la pianificazione e la gestione del territorio si possono distinguere in tre categorie: a) informazioni di geografia fisica con scarsa incidenza dell’uomo: substrato geologico, altimetria esposizione, ecc. b) informazioni sull’uso del territorio: urbanizzazione vegetazione, cave e miniere ecc. c) informazioni sul dissesto e sulla degradazione dell’ambiente: frane ed erosioni. Sempre secondo il Meoli, la cartografia tematica deve rispondere ai seguenti scopi: a) verificare l’intensità dell’urbanizzazione rispetto all’attitudine del territorio a recepire insediamenti umani e quindi valutare le possibilità di migliorare l’organizzazione del sistema di 67 insediamento. B) valutare le vocazioni d’uso del territorio e poi identificare quelle aree che sono utilizzate in modo non ottimale. Le carte topografiche e quelle corografiche hanno sempre avuto anche una finalità fiscale. Questo fine fiscale è preponderante nelle mappe catastali, che rappresentano la distribuzione delle proprietà. Il vero e proprio catasto fu iniziato da Cesare e continuato da Augusto e terminato sotto Traiano; in questo catasto vi erano non solo le misure delle singole proprietà, ma anche la stima di esse, per distribuire con equità il carico fiscale. Le origini del moderno catasto censuario con allegato rilievo topografico, risalgono ai primi del 1700. Ne 1718 calo VI decretò l’istituzione del “Censimento milanese” che entrò in funzione solo però nel 1760. Conosciuto come Catasto di Maria Teresa. Il catasto può essere distinto in relazione ai beni immobili censiti in : catasto rustico o dei terreni ; catasto urbano o dei fabbricati. Esiste il catasto descrittivo, quando contiene una descrizione degli immobili senza accompagnamento di carte o mappe. Il catasto geometrico, accompagnato da rilievi topografici delle singole proprietà, a grandissima scala. Catasto a particelle, quando i possedimenti sono divisi in particelle omogenee; Poi secondo la destinazione d’uso; il catasto estimativo per il valore dei beni, il catasto probatorio, quando ha la legittimità a costruire prova documentaria della effettiva proprietà dei singoli o dei gruppi di persone sugli immobili descritti. Con legge del 26 gennaio 1865 fu istituito il catasto urbano, rimasto in vigore fino al 1961; sostituito dal Nuovo catasto di edilizia urbana. Il nuovo catasto terreni si realizza con due operazioni: geometriche di misura e operazioni di estimo. Le operazioni geometriche di misura sono: a) la triangolazione del territorio, basata su triangolazioni fatte dall’Istituto Geografico Militare; b) delimitazione dei confini delle proprietà private e demaniali; c) poligonazione e rilevamento particellare che consente di ottenere altri capisaldi (vertici) oltre a quelli determinati con la triangolazione. Il rilevamento particellare viene eseguito all’interno della poligonazione con il metodo della celerimensura o con quello degli allineamenti. Naturalmente non bisogna dimenticare che insieme con questi metodi di rilevamento è possibile usare la aerofotogrammetria, già usata per usi catastali fin dal 1935. Le operazioni di estimo sono: a) qualificazione e classificazione; b) formazione delle tariffe d’estimo, con la determinazione della rendita imponibile per ettaro; c) pubblicazione dei dati catastali; d) evasione dei reclami; e) attivazione, dopo la pubblicazione. Entrambi i catasti sono costituiti dai seguenti atti: 1- Mappa particellare, che rappresenta la planimetria del territorio di un Comune, composta da fogli numerati, in scala 1:2000. 2- Tavola censuaria e schedario dei numeri di mappa, registri, del nuovo catasto dei terreni e quello edilizio in cui sono indicate le particelle con i loro elementi catastali 3- Registro delie partite e schedario delle partite che elencano tutte le ditte catastali, cioè i possessori. 4- Matricola dei possessori e schedario dei possessori con l’elenco delle ditte e delle loro proprietà. 5- La conservazione degli atti di entrambi i catasti è affidata agli Uffici tecnici erariali. Le carte hanno spesso finalità militari Per realizzare una carta con finalità turistiche è necessario ricorrere a una base a grande scala per evidenziare nettamente i percorsi e i centri di interesse turistico. Le carte che hanno finalità la ricerca e lo sfruttamento del tempo libero hanno in genere una scala 1:200.000 e 1:250.0000, quelle a scala più piccola hanno finalità più ampie, anche se prevalente è l’intento di soddisfare una domanda turistica; come le carte stradali e automobilistiche. Naturalmente tanto le strade quanto i luoghi di interesse turistico in senso generale devono essere messi in evidenza. Il sistema autostradale è ben evidenziato, con le aree di servizio e di ristoro, con svincoli ed accessi ecc.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved