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La storia moderna di P. Prodi, Sintesi del corso di Storia Moderna

Sintesi del libro di storia moderna

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 31/05/2019

MartinaPaoli
MartinaPaoli 🇮🇹

4.5

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15 documenti

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Scarica La storia moderna di P. Prodi e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! LA STORIA MODERNA (P. Prodi) LA STORIA COME DISCIPLINA 1.Il mestiere dello storico La prima operazione da fare nel passaggio dallo studio liceale della storia a quello universitario è quella di distruggere il manuale: non esiste nulla di più antistorico di un manuale di storia data la sua pretesa di fornire un quadro confezionato od organico del passato umano. Questi devono essere utilizzati solo in quanto contenitori di nozioni non altrimenti assimilabili, fornitori di materiale grezzo sul quale far funzionare la nostra intelligenza, mattoni da utilizzare e disporre per la costruzione di un nostro edificio personale. Ma non si può distruggere materialmente il manuale e dobbiamo anzi studiarlo (accostarci il più possibile alle altre opere di sintesi sul terreno di storia generale), ma mantenendo questo senso di diffidenza, di rigetto: dobbiamo in ogni caso porre in discussione ogni sua affermazione e in qualche modo smontarlo a pezzi in continuazione. Bisogna fare lo sforzo di estrarre dalle pagine del manuale problemi e nozioni, quesiti e dati per costruire in modo il più possibile personale quel reticolo di coordinate spazio-temporali che è necessario e preliminare a ogni discorso storico, ma senza lasciarsene imprigionare. La seconda operazione è quella di interrogarsi sul significato della storia come disciplina. La definizione della parola “storia” deriva dal greco istorìa e cioè indagine, inchiesta, curiosità. La storia si è proclamata come la disciplina che non studia genericamente il passato, ma il passato che è in noi, in funzione dell'oggi. La storia non è una scienza che mira a una ricostruzione impossibile di un passato ormai tramontato, ma una scienza che ci aiuta a comprendere la società del presente. Nel Novecento viene sottolineato il carattere della storia come scienza sociale, la sua funzione come studio della civiltà in cui viviamo. “Comprendere il presente mediante il passato e comprendere il passato mediante il presente”. Lo sforzo dello storico è quello di recuperare l'elemento dinamico, di movimento, il divenire. Il lavoro dello storico consiste in una continua tensione tra il suo interrogarsi sul presente e la ricerca di risposte che provengono dal passato. La disciplina storica e lo stesso mestiere dello storico non sono soltanto un esercizio intellettuale, una disciplina accademica, ma devono adempiere a una loro funzione vitale che cambia a ogni generazione e che ora è totalmente diversa rispetto al passato. Oggi il maggiore pericolo è lo sbandamento che si avverte particolarmente tra i giovani, ma che tocca anche le generazioni precedenti, sbandamento dovuto alla mancanza di identità collettive, a uno sradicamento che costringe tutti a una precarietà impossibile da sostenere anche a livello psichico individuale e a un oggi senza passato: in realtà per sopravvivere abbiamo bisogno del nostro passato e di identità collettive ma al tempo stesso anche di un'identità individuale. La storia ha perso la funzione di strumento per un'educazione civica, ma ha acquistato una funzione forse ancora più essenziale per la sopravvivenza della nostra civiltà. 2. Lo sguardo dello storico: il tempo e lo spazio Ciò che distingue lo storico dagli altri scienziati sociali è che egli ha in più nel vedere le cose una specie di quarta dimensione, la dimensione tempo. Egli non vede le cose soltanto come sono, come si presentano, ma come sono divenute. Ciò che caratterizza l'occhio dello storico è la ricerca di questi rapporti che permettono di fissare le coordinate spazio-temporali di un fenomeno: non si tratta di andare alla ricerca di una causa o tanto peggio della causa unica del fenomeno che vogliamo studiare, usando il tempo come una grande trappola per spiegare il divenire, ma di cercare di mettere alla luce l'immensa rete o ragnatela che collega gli avvenimenti nella vita concreta degli uomini, ben sapendo che se quella massima è falsa è vero l'opposto, che nulla può essere stato influenzato da ciò che è avvenuto dopo e che nulla esiste in noi che non sia divenuto. Per questo è preliminare e indispensabile una buona conoscenza cronologica. La pluralità del tempo storico non dipende soltanto dalle varie epoche storiche, ma è legata alle caratteristiche del fenomeno specifico che si vuole studiare, all'avvenimento messo al centro del nostro interesse. L'età moderna non è mai esistita, così come non sono mai esistiti come epoca storica il Rinascimento, il Barocco e nemmeno i secoli. Tutte queste sono soltanto astrazioni, concetti usati dallo storico per rendere possibile e abbreviare il discorso. Il periodizzamento della storia è un processo mentale che varia secondo il tempo e la cultura dello storico e che dipende dai fenomeni che vogliamo studiare e dalla loro collocazione nel tempo e nello spazio, dai segni che ci hanno lasciato e non viceversa. Per lungo tempo e per motivi politici si è distinto tra una grande storia o storia generale e una storia locale come storia di secondo ordine: successivamente questo confine è venuto a cadere. Ora è più opportuno parlare semplicemente di una dimensione spaziale della storia accanto a quella temporale: non esiste una storia generale di prima categoria e una storia locale di seconda categoria. L'unico confine possibile che si può tracciare astrattamente è tra una ricerca che indaga in un determinato e circoscritto territorio fenomeni che si ripetono in modo pressoché identico in tanti altri spazi e che ha quindi soltanto la consistenza di una conferma, di verifica ulteriore di risultati già acquisiti, senza apportare novità interpretative e ricerche che invece portano a un mutamento del quadro generale interpretativo e che assumono quindi una valenza più generale pur essendo spesso territorialmente circoscritte. C'è la necessità di tenere la massima considerazione non soltanto i rapporti tra gli uomini, ma anche il rapporto tra l'uomo e l'ambiente circostante in tutte le direzioni. 3. L'oggetto dello sguardo: storia generale e storie speciali Pur avendo perso il suo trono di regina delle scienze della società, la storia ha mantenuto una sua specifica funzione fondamentale. Una funzione ineliminabile della storia generale può e deve rimanere, almeno secondo due direttrici positive, con la formazione di campi suoi propri: a) come studio del punto di intersezione delle storie particolari tra di loro; queste lasciate a se stesse non risultano altrimenti comprensibili e solo poste in relazione fra di loro, nei loro punti di intersezione, possono tentare di avvicinarsi alla vita concreta degli uomini dato che non esiste nella realtà l'homo aeconomicus, l'homo religiosus,... ma solamente l'uomo nella sua complessità così nella vita quotidiana dell'oggi come nella storia. b) come studio di un punto particolare di intersezione, o per meglio dire di una linea di confine lungo la quale le singole storie particolari degli uomini si confrontano con il problema del potere, con il conflitto tra la libertà e il dominio che caratterizza in tutte le epoche il grande percorso della convivenza umana. Così potremmo definire questa storia senza nome come “politico-costituzionale” (insieme di rapporti che governano la vita degli uomini e che tendono continuamente a consolidarsi e a modificarsi nella convivenza, nelle regole e nei comportamenti. 4. Gli strumenti concettuali: i tipi ideali I risultati a cui lo storico arriva nella sua ricerca sono validi soltanto hic et nunc, relativamente al fenomeno che indaga, senza alcuna pretesa di validità eterna e universale. Lo studio della storia ha ritrovato una sua nova libertà rinunciando alla pretesa di dare un'interpretazione ultima o di fornire leggi esplicative dello sviluppo storico. Con questo non sono finite di certo le strumentalizzazioni: vi sarà sempre un uso strumentalizzato e ideologico della storia, ma lo storicismo di qualsiasi colore, di destra o di sinistra, idealista o marxista, ha dimostrato il suo fallimento nelle grandi tragedie del XX secolo come chiave interpretativa del cammino dell'umanità. Lo studio della storia appare quindi compatibile con diverse impostazioni filosofiche o religiose, purché rimanga fedele al metodo di indagine e non si lasci strumentalizzare. Si può concludere semplicemente dicendo che l'unica cosa che interessa lo storico è l'uomo nella sua incarnazione sociale concreta. Lo studio della storia deve dotarsi di una propria strumentazione concettuale e di un metodo scientifico. Il metodo storico procede dai concetti storiografici acquisiti alla ricerca del particolare per ampliare, approfondire e modificare i concetti di partenza. Gli storici partono da concetti storiografici, concetti cioè che vengono ereditano o formulano in base al pensiero storiografico attuale, come punto di partenza per discendere alla realtà concreta: in seguito all'osservazione della realtà procedono poi a modificare il concetto iniziale o arrivano anche ad abbandonarlo per costruire un nuovo concetto più utile alla comprensione della realtà indagata con un processo continuo di revisione del punto di partenza. Max Weber ha teorizzato per la prima volta all'inizio del Novecento questo procedimento parlando di “tipi ideali” in cui possiamo riunire e correlare i fenomeni simili i settori della società, da quello politico, con la piena maturazione dello stato-nazione, a quello della produzione, con la grande espansione della rivoluzione industriale. Sull'importanza del termine a quo, cioè del momento in cui riteniamo iniziare la storia moderna, occorre invece farsi le idee un po' chiare per non cadere in profondi equivoci che ci sembra caratterizzino tutta la discussione del postmoderno degli ultimi anni: postmoderno rispetto a quale moderno? Si è detto che condividiamo ancora l'indicazione di Voltaire sulla fine del secolo XV come punto di passaggio al moderno fino al XVIII: a condizione di intendere l'epoca moderna, così scolasticamente definita, in questi tre secoli, come baricentro di un periodo più grande e non come un'epoca chiusa: baricentro di un sistema di forze ed elementi che si muovono anche nei secoli precedenti e che possono produrre effetti complessivi in questo periodo soltanto nella misura in cui tali elementi erano già arrivati a maturazione, anche se soltanto in alcune aree e in alcune dimensioni. Così al contrario nei secoli dell'età moderna persistono a lungo resistenze e sopravvivenze del passato tutt'altro che marginali e che per questo rendono inevitabile lo sbocco rivoluzionario. 2. Il versante antropologico: individuo, famiglia, società Il primo e più diffuso approccio al moderno è costituito dall'idea che esso corrisponde alla nascita dell'individuo. Sin dal primo sviluppo della storiografia sull'età moderna la nascita dell'individuo è stata vista come la grande manifestazione dei nuovi tempi, frutto del rinnovamento portato dall'umanesimo. Dalla nascita della classicità si sviluppa quella autoconsapevolezza personale che da un colore nuovo prima alla vita intellettuale e all'arte, poi alla vita sociale dell'Europa a partire dai secoli XIV-XV. L'esplorazione antropologica e sociologica degli scorsi decenni ha però dato a quest'affermazione della nostra storiografia rinascimentale uno spessore prima sconosciuto. La grande trasformazione che avviene in questi secoli è il passaggio da una struttura sociale legata a una visione dell'uomo come parte del cosmo, in cui l'uomo ha una posizione fissa e determinata all'interno di un ordine preordinato del mondo; da una visione ancora legata alla casta, come collocazione all'interno di una gerarchia preordinata e immobile della società, a una nuova concezione basata su un rapporto egualitario e mobile tra gli esseri umani. Al concetto di individuo è infatti strettamente legato il concetto di rivoluzione non soltanto nel suo significato politico ma in un senso culturale molto più ampio: la visione di un mondo continuamente in trasformazione e modificabile per intervento dell'uomo. Le interrelazioni tra la vita delle istituzioni e la vita della società sono così continue da non permettere una considerazione dei fenomeni sociali senza la ricerca delle radici nei vari versanti in cui i rapporti tra gli individui e la società si consolidano nelle strutture, nelle istituzioni. Individuo e società sono aspetti inseparabili tra loro nella misura in cui gli uomini sono coinvolti nei mutamenti strutturali, di lungo periodo, della società, ma nella concreta realtà storica, nel processo di civilizzazione dell'Europa moderna un importante elemento di novità è costituito dal diffondersi della convinzione dell'esistenza di un io separato dalle strutture sociali e in dialettica con esse. Una storia sociale debole (che resta chiusa in se stessa) finisce spesso per mutuare i suoi metodi dalla sociologia o per trasformarsi in una ricerca dei margini più destrutturati della società (con lo studio degli esclusi e dei marginali) cercando di sfuggire al problema del potere con risultati che possono essere interessanti, ma che devono essere ricondotti alle correlazioni politiche, economiche e religiose per essere realmente compresi. Con ciò non si nega affatto la necessità di una storia sociale, essenziale come punto di incontro tra le varie storie nel concreto della vita quotidiana: il corpo, l'alimentazione, la vita sessuale, i sentimenti, le mentalità collettive in cui può prevalere l'approccio antropologico; le istituzioni societarie di base come la famiglia e le relazioni di parentela in cui si intrecciano anche problematiche più propriamente giuridiche e politiche; le sette e le chiese in cui la comprensione del taglio religioso e spirituale diventa indispensabile. Per una visione globale della storia sociale, viene confermata la visione del moderno che trova il suo fondamento in una trasformazione di lungo periodo e distrugge tutti gli schemi di una storia tradizionale basata unicamente sulle date, sui grandi pensatori o sui grandi uomini. Una prima conseguenza di questa mutazione antropologica dovuta alla nascita dell'individuo è costituita dall'abbandono della concezione della divisione in tre grandi ordini in cui si ripartiva l'umanità medievale: i preti, i nobili, i lavoratori, e delle sottospecie nelle quali questi ordini a loro volta si suddividevano. Nella prima età moderna questo schema interpretativo, che allineava la società al cosmo con leggi e forze immutabili inserendo ogni persona all'interno di un corpo e ogni corpo all'interno di un ordine prestabilito, viene meno: si afferma dapprima una mobilità sempre maggiore all'interno dei corpi sociali o ceti o stati nei quali viene superato per la prima volta il concetto di casta con una mobilità basata soprattutto sul parametro economico; si afferma poi la centralità di quello che sarà chiamato impropriamente terzo stato, e che noi possiamo anche chiamare borghesia se vogliamo sottolineare la sua nascita e il suo primo sviluppo nei borghi delle città mercantili, e insieme con esso un forte impulso, mai conosciuto prima, verso una mobilità sociale che annulla l'antico ordine. Non che vengano meno i privilegi dell'aristocrazia, ma essi si definiscono appunto sempre più come privilegi e in questo senso l'accanimento che si manifesta in loro difesa durante i secoli dell'età moderna è rivelatore non di un dominio immobile della nobiltà ma del suo tramonto, della necessità si trovare forme sempre nuove di legittimazione del potere dell'aristocrazia di fronte a una situazione ormai in movimento inarrestabile. Un altro fenomeno interessante sul versante antropologico è la nascita in questo quadro della famiglia moderna, mononucleare, basata sulla coppia e sui figli: si tratta di un elemento del tutto nuovo rispetto alla composizione medievale della famiglia allargata e patriarcale, detentrice di un ruolo sociale intermedio tra la singola persona e un potere politico che non è concentrato in alto, ma è diffuso nella società attraverso diritti ben riconosciuti come la vendetta, il diritto di farsi giustizia con l'uso della forza. La nuova famiglia rimane il centro di interessi economici, patrimoniali e di produzione, ma viene totalmente separate dalla sfera pubblica, almeno direttamente. Il potere di punire i delitti e di amministrare la giustizia verrà soltanto poco a poco e con fatica riservato allo Stato man mano che esso riuscirà a conquistare realmente il monopolio del potere e a esercitarlo concretamente. La famiglia nelle sue molteplici realtà agricole e cittadine, ricche o plebee, verrà ridefinita come cellula base della sfera privata ma svuotata di ogni significato politico. E' sulla base di queste trasformazioni che nei secoli della prima età moderna nasce il matrimonio formalizzato come contratto di tipo particolare, pubblico e pubblicizzato: nel Medioevo esisteva una pluralità di contratti matrimoniali e anche di soluzioni giuridiche diverse per i legami di coppia; ora il matrimonio è soggetto a riconoscimento da parte dell'autorità politica e religiosa sia nei paesi che hanno aderito alla Riforma sia nei paesi cattolici; anche la regolamentazione data dal concilio di Trento con la proibizione dei matrimoni clandestini si muove in questa direzione. Si sviluppa sia nei paesi cattolici sia in quelli riformati un rigoroso controllo della vita sessuale dei singoli teso a distinguere nettamente tra il rapporto giuridicamente sancito e i rapporti al di fuori della famiglia. In sostanza l'istituto della famiglia e il matrimonio si sviluppano nell'età moderna in circostanza con la divisione tra una sfera pubblica che tende a concentrarsi nello Stato e una sfera privata in cui domina l'individuo con le sue proiezioni patrimoniali e produttive e le sue difese giuridiche. Solo in questi secoli nasce la marginalizzazione dei figli illegittimi e l'affidamento al potere pubblico della tutela dei nuovi nati -orfani o abbandonati- che non hanno un posto preciso all'interno di uno specifico nucleo familiare. Si sviluppa la considerazione dell'infanzia, del fanciullo visto non più soltanto come un “piccolo uomo” ma come un individuo soltanto potenziale che ha bisogno di un'attenzione particolare e di uno status speciale per poter diventare adulto. Nasce inoltre nei secoli dell'età moderna la considerazione della donna come individuo “dimezzato”: uscita dalla passività che contraddistingueva nelle epoche precedenti il suo inserimento nell'ordine sociale-cosmico, la donna conquista a poco a poco un suo ruolo come soggetto giuridico nella sfera privata e patrimoniale; non nel senso di una sua parificazione dell'uomo (il processo verso le pari opportunità non è ancora concluso oggi, come è noto), ma verso il riconoscimento della stessa donna come soggetto che viene identificato come tale nella situazione contrattuale e patrimoniale e come partecipe del processo produttivo, un soggetto che manifesta già agli inizi una grande capacità di iniziativa prima in un campo culturale poi in campo professionale. 3. Il versante religioso: de-magificazione, riforma, confessionalizzazione Il fattore più interno nel processo di formazione del moderno individuo è stato visto nella perdita della visione preesistente di un mondo sacro, di un cosmo governato da un Dio supremo ma animato da entità sfuggenti alle stesse leggi divine e della natura. La prima definizione scientifica di questo processo di fuoriuscita dell'Occidente dalla visione magica del mondo è stata data all'inizio del Novecento da Max Weber, che ha coniato il termine di de-magificazione o disincanto del mondo. Il moderno nasce con un forte richiamo religioso in tutti i movimenti di riforma che hanno caratterizzato il tardo Medioevo e la prima età moderna, sia nella grande espansione degli ordini mendicanti che ha accompagnato la crescita delle città mercantili, sia nella cosiddetta devotio moderna che ha diffuso nel Quattrocento in tutta l'Europa il senso della trascendenza e il richiamo alla coscienza individuale che sarà più tardi la base dell'appello della Riforma. Il centro della vita sociale è rappresentato dalla comunità religiosa e di culto: il centro della vita sociale è la Chiesa- parrocchia che nei secoli precedenti si era costruita lentamente come rete capillare delle antiche pievi o chiese matrici. Solo ora, con le generazioni che si sono affacciate negli ultimi decenni sembra venir meno la funzione di acculturazione generale svolta dalle parrocchie, dalle chiese cattoliche, luterane e calviniste che siano. Con il grande scisma d'Occidente fra il Trecento e il Quattrocento si incrina l'unità della cristianità su base assembleare rappresentativa che sostituisse i due poli dell'universalismo medievale, papato e impero, ormai in crisi: dopo il fallimento del conciliarismo e con la trasformazione del papato stesso in principato rinascimentale la strada è ormai aperta alla metà del Quattrocento alla nascita delle nuove Chiese territoriali legate agli stati emergenti. Oggi tutto è cambiato sia nei paesi cattolici sia in quelli riformati: si tratta di risposte diverse, più rivoluzionarie o riformistiche, a un unico problema, quello della modernità, nel processo che vede nella sfera privata l'affermarsi di un nuovo rapporto tra la coscienza e il sacro. Privato della sua inserzione tradizionale nel cosmo, l'uomo-individuo moderno pone in primo piano il problema della salvezza individuale, il problema teologico della grazia che diventa centrale nei secoli dell'età moderna: l'uomo si salva per i propri meriti, per le proprie opere buone, o la corruzione dovuta al peccato originale impone l'abbandono alla predestinazione o a una imperscrutabile misericordia divina? La proposta di Martin Lutero tende a stabilire un rapporto diretto tra la coscienza del singolo cristiano e la parola di Dio, la Bibbia, superando la mediazione costituita dal magistero e dai sacramenti della Chiesa: la salvezza viene soltanto da Cristo senza alcun merito dell'uomo e tutti i cristiani sono sacerdoti, cioè essi stessi mediatori con la divinità; gli ecclesiastici moderni, i pastori, hanno soltanto un ruolo di servizio all'interno di una comunità che rimane sostanzialmente regolata dall'autorità e dal diritto dello Stato per tutto ciò che riguarda la vita pubblica, la disciplina ecclesiastica. Una seconda generazione di riformatori accentua il ruolo dell'impegno dell'uomo nel mondo, in un destino di salvezza o dannazione (predestinazione) che si incarna nella vita quotidiana, nella sua vocazione e nella sua professione e trova un suo riscontro nel successo e nel benessere del singolo. Da qui la nota e discussa tesi di Max Weber sul calvinismo come spirito del capitalismo. La Chiesa cattolica risponde nel concilio di Trento proponendo sulla grazia, sulla salvezza, una soluzione intermedia che unisce la necessità delle buone opere all'abbandono nella capacità redentrice di Cristo e riaffermando la sua funzione di mediazione tra Dio e l'uomo nei sacramenti da essa amministrati e nella disciplina ecclesiastica. Il problema che il concilio di Trento pone a base della propria riforma è quello della salus animarum, di una Chiesa che è responsabile della salute delle anime distaccando la propria funzione da quella politica. Il papato della controriforma assume però, con lo sviluppo della curia romana e con l'espansione dei nuovi ordini religiosi, una funzione centrale e centralizzatrice all'interno del mondo cattolico. Nella sfera pubblica dei componenti collettivi emergono infatti due tendenza diverse: da una parte, nei paesi riformati, si tende a lasciare al potere politico il governo della disciplina ecclesiastica, il cosiddetto ius circa sacra (chiese separate con impianto dottrinale cattolico ma con capo il sovrano); dall'altra parte, nei paesi rimasti cattolici, si cerca di contrapporre al frazionamento degli Stati moderni il centralismo della curia romana e il potere indiretto del pontificio romano anche negli affari temporali per garantire il fine spirituale della salvezza dell'uomo al di sopra della politica. Si apre quindi la strada a una serie di conflitti che si sviluppano durante i secoli dell'età moderna tra i sostenitori del potere regio e i sostenitori del potere del papa e della curia romana. Anche all'interno della Chiesa cattolica rimasta fedele a Roma si tendono a formare già dalla metà del 400 con il burocrazia, della politica estera si modifica lo stesso modi di concepire la politica: non abbiamo un puro contrapporsi tra il sovrano e i sudditi, un imporsi dall'alto del potere, ma una nuova dialettica che porta alla nascita dell'individuo moderno. Lo Stato interviene nella sfera privata dei sudditi con l'imposizione di un sistema sempre più organico di norme giuridiche, di ordinanze di polizia, ma anche con l'imposizione o la proposta di sistemi culturali, e religiosi, di modelli di comportamento; interviene nella vita sociale nei campi più disparati un tempo riservati alla Chiesa o ai corpi intermedi: l'istruzione pubblica, l'assistenza agli orfani o ai poveri, il costume, la moda. Al centro c'è il concetto di fedeltà non come semplice dovere di obbedienza, ma come conformità e adesione anche interiore a un sistema di potere. I sovrani della prima età moderna tendono a imporre ai propri sudditi una specie di battesimo laico e tacito: chi nasce in un determinato territorio ha incorporato un legame di fedeltà al suo principe; è il legame con il sovrano, con il monarca che nei primi secoli dell'età moderna costituisce il perno del vincolo politico. Il concetto di nazione rimane a lungo relativo a un'appartenenza culturale o etnica con limitato rilievo politico, mentre l'identità collettiva si rispecchia nella dinastia, nel monarca, ma è questo processo che porta poi alla successiva metamorfosi. Anche in rapporto alla visione complessa e lenta di questo processo a cui abbiamo sopra accennato, si possono e si devono cogliere alcune e ben distinte fasi intermedie. Una prima fase, che possiamo chiamare dello Stato confessionale, copre pressapoco i primi due secoli dell'età moderna e può essere definita con il famoso detto cuius regio, eius et religio: il suddito cioè deve seguire la religione del principe e dello Stato a cui appartiene. Lo Stato incorpora in qualche modo la Chiesa nel suo sistema amministrativo e delega alla Chiesa stessa molte delle funzioni che non è in grado di svolgere direttamente in una simbiosi non certo priva di tensioni, particolarmente nei paesi cattolici in cui la Chiesa continua a rivendicare il suo magistero sulle coscienze degli individui, sul foro interno. In questa fase le confessioni religiose servono da primo cemento dell'identità collettiva statale moderna in cui si identifica appunto il suddito-fedele: paradossalmente è il papato che, unendo alla funzione di comando anche la funzione di formatore, di educatore dell'individuo, diventa una specie di prototipo dello Stato moderno e della nuova politica che tende a formare e a controllare l'individuo. Questo serve non soltanto per comprendere il senso delle guerre di religione e della repressione delle eresie, ma anche le radici del disciplinamento moderno, del controllo della vita quotidiana dell'individuo, dall'anagrafe sino ai fattori più interni relativi al controllo della cultura e del pensiero: l'ideologia fa il suo ingresso in politica mutandone in certo modo lo statuto e ampliando la sua sfera a settori della vita che prima non rientravano minimamente in un discorso sulla politica. Una seconda fase è quella che possiamo chiamare dell'assolutismo illuminato: le strutture statali e il controllo ideologico si sono abbastanza rafforzati per permettere l'affermarsi della ricerca dei fini propri dello Stato nell'ordine e nella felicità pubblica, indipendentemente da ogni richiamo metapolitico e religioso, e per sviluppare la demolizione dei corpi e dei poteri autonomi sopravvissuti all'interno dello Stato stesso, la lotta contro le resilienze del mondo feudale e corporativo. Il sovrano perde la sacralità incorporata che aveva nei secoli precedenti e diviene il primo servitore dello Stato, rimanendo assoluto ma mutando la giustificazione ideologica del proprio potere. In questo quadro si afferma il principio della tolleranza religiosa non come libertà religiosa ma, appunto, come tolleranza, dalla quale sono esclusi gli atei o tutti coloro che non danno garanzie di sottomissione al potere. Una terza fase, che si apre in modo traumatico o gradualmente nella seconda metà del Settecento, caratterizza gli ultimi due secoli e si può definire come la fase dello Stato-nazione, dello Stato costituzionale o di diritto. Lo Stato, rinforzato organicamente, riesce ormai a penetrare e a centralizzare tutte le funzioni della società civile con l'idea di Nazione e di Patria come anima collettiva nella quale il cittadino-suddito è in qualche modo assorbito e incorporato sin dalla nascita. Il motto più efficace per comprendere questa metamorfosi è il pro patria mori; l'amore per la patria sino a morire per essa nelle guerre e a orientare al suo servizio la vita diviene la religione secolarizzata, il martirio o testimonianza suprema dell'uomo moderno sino alla generazione che ci ha preceduto, alla generazione dei nostri padri. All'interno dello Stato emergono i principi fondamentali che si esprimono nelle nuove carte costituzionali, unico strumento capace di garantire la coesione dell'organismo politico in questa nuova situazione. Le costituzioni formalizzano le norme fondamentali che sono oggetto di un patto collettivo e reggono tutto l'ordinamento statale: con garanzie per i diritti di libertà dei singoli nel quadro di una formale divisione dei poteri, ma all'interno dell'unico potere sovrano dello Stato, mentre poco a poco la democrazia si afferma come unica ideologia capace di sostenere questa costruzione politico-costituzionale. Il cittadino viene consacrato sovrano attraverso il voto così come avveniva nell'antico regime per il sovrano con il sacre (consacrazione, incoronazione). 5. Il versante culturale e scientifico: università, stampa, istituzioni educative E' solo nell'età moderna che l'uomo diviene capace di manipolare la natura e mettere al servizio della sua attività la scienza, la conoscenza. Se il mondo antico non ha sviluppato il macchinismo e in generale non ha fatto progredire la tecnica, ciò è accaduto perché esso aveva ritenuto che si trattasse di cose di nessuna importanza. E se il mondo moderno lo ha fatto, è stato perché gli è risultato che, al contrario, quella era la cosa più importante. Anche a questo proposito per comprendere l'età moderna bisogna arretrare nei secoli del pieno Medioevo. Un primo passo si può individuare nella nascita dell'università e nello sviluppo del pensiero teologico, filosofico e giuridico nei secoli XII-XIII. Organismi di altissimo livello di scienza si erano sviluppati anche in altre civiltà, ma ciò che distingue le nostre università dalle precedenti organizzazioni del sapere è la loro autonoma consistenza rispetto al potere politico e al potere religioso: all'interno della cristianità occidentale il potere politico, sacro e della scienza costituiscono strutture in dialettica tra loro, sempre in lotta per il predominio, ma senza che nessuno dei tre poli riesca mai a impadronirsi degli altri. Al suo interno l'università nasce poi organizzata come un'associazione giurata di studenti e docenti e questo è molto importante non soltanto per l'autogoverno interno, per difendere la propria autonomia dagli altri centri di potere, ma anche per l'affermazione della figura del dottore come grande interprete del mutamento della società, dalle strutture giudiziarie e politico-amministrative alla nascita della medicina moderna. La prima classe dirigente europea è quella dei dottori delle università. E' in questo caso che si sviluppano la filosofia scolastica e la scienza del diritto, canonico e civile. Lo sforzo razionale che si attua negli ultimi secoli del Medioevo nell'applicazione della ragione al mondo delle conoscenze acquisite, dalla teologia al diritto, al corpo umano e all'universo, sarà superato nell'età moderna con la fuoriuscita di tutte le scienze dall'orbita della teologia e della filosofia; il cammino compiuto con lo sviluppo della scolastica è stato però certamente la premessa più importante per la nascita della modernità. La storia dell'università e delle istituzioni educative non è separata della storia della società. La città è il terreno in cui cresce questa nuova cultura in rapporto con l'ascesa dei commercianti e della borghesia. La stampa diventa l'elemento moltiplicatore di queste conoscenze: l'invenzione della stampa a caratteri mobili e la sua diffusione nella seconda metà del 400 cambiano davvero il volto dell'Europa. La stampa è sia un fattore di mutamento che una conseguenza di uno sviluppo della società e della cultura: senza l'invenzione della stampa lo sviluppo che si era avuto nei due secoli precedenti sarebbe stato bloccato. L'invenzione della stampa rappresenta quindi una rivoluzione e nello stesso tempo è il frutto di una trasformazione secolare. Non si può essere individui in senso moderno senza partecipare direttamente o indirettamente a questo mondo dei segni, della scrittura. Nel 500 e nel 600 il progresso dell'alfabetizzazione e dell'istruzione diviene già visibile e papabile in tutta l'Europa occidentale: l'istruzione diventa uno strumento di mobilità e di ascesa sociale con l'introduzione di un sistema, basato sulla divisione delle classi di età e di apprendimento, che inculca sin dall'infanzia il criterio della concorrenza e della competizione come elemento essenziale per la formazione dell'uomo moderno, dell'individuo. All'interno della cultura scritta un posto del tutto particolare vengono ad assumere le funzioni di rappresentazioni simboliche del mondo e il linguaggio matematico. Per la prima volta si crede che la conoscenza del mondo fornisca anche gli strumenti per cambiarlo. Il concetto fondamentale è quello di rappresentazione e di misura. La possibilità di raffigurare e di misurare la realtà in modo quantitativo, numerico, matematico costituisce il nuovo legame tra la scienza e la tecnologia. La misura del tempo diventa calendario, agenda, cioè programmazione dell'attività dell'uomo con i primi calendari a stampa, nei quali il ritmo delle stagioni e delle fasi lunari viene inglobato all'interno di un tempo artificiale nel quale la dimensione quantitativa e di organizzazione del futuro prende poco a poco il sopravvento. In questi primi secoli muta lo stesso concetto di Dio e il modo di rapportarsi a lui, mutano gli attributi della divinità. La religione viene percepita non soltanto nella partecipazione a rituali collettivi, ma anche nella concezione di un Dio creatore e legislatore dell'universo e quindi anche giudice supremo: si apre un nuovo spazio per la coscienza individuale nella definizione di un ordine morale parallelo a quello fisico. Nei confronti della politica e dello Stato moderno questa trasformazione culturale ha conseguenze importanti: non soltanto l'ordine politico dello Stato assoluto viene visto come una proiezione dell'ordine dell'universo, non soltanto la scrittura diviene la base del potere, ma viene meno il latino come lingua universale, mentre le lingue moderne diventano strumenti per legami sempre più stretti tra la cultura e il potere, una delle basi per la fondazione delle nazioni moderne. La stampa diviene uno strumento formidabile al servizio del potere: in senso negativo, con la censura dei libri che cresce in parallelo con la stampa, ma anche in termini positivi, perché la lingua e la grammatica assumono una funzione fondamentale nella costruzione della nuova identità collettiva della patria e della nazione al servizio dello Stato e lo Stato stesso viene coinvolto a poco a poco nel grande processo di alfabetizzazione delle masse. Le università attraversano una grande crisi tra il Medioevo e l'età moderna proprio per la perdita della loro caratteristica di universalità: si moltiplicano le nuove fondazioni ma esse si regionalizzano e sono sempre più legate ai principi e alle monarchie che ne detengono il controllo, divenendo uno degli strumenti dello Stato moderno. Perdono la loro autonomia rispetto al potere politico e religioso ma mantengono una loro vitalità sia con la loro mutazione interna e la nascita dei collegi sia con la concorrenza che si apre sempre più forte tra di esse in campo internazionale. Accanto crescono nuove istituzioni come le accademie e le società scientifiche che riescono più facilmente a superare i lacci delle vecchie culture e più facilmente possono divenire diretta espressione del potere statale. Gli storici hanno discusso negli ultimi decenni circa il rapporto tra la cultura popolare e la cultura delle élite dominanti: non si tratta del rapporto tra cultura orale e cultura scritta, ma per i secoli dell'età moderna questo sviluppo sembra quasi coincidere con il processo di diffusione della scrittura e dell'alfabetizzazione. La cultura dei dominati, dei deboli, dei vinti, e più concretamente la cultura dei contadini o dei miserabili che popolavano le campagne e anche le città durante l'età moderna non ha lasciato che tracce indirette e non può essere studiata che in rapporto con la cultura dominante. La cultura scritta tende a distruggere le tracce della cultura inferiore con la repressione e con l'assimilazione: al centro sempre il problema del potere dal quale nessuna società può prendere le distanze. Lo scontro principale è tra la cultura scritta e quella orale-consuetudinaria. E' il “testo” che diviene base su cui può nascere la nuova società burocratica e industriale. 6. Il versante economico: la rivoluzione industriale Rivoluzione rappresenta uno dei termini più ambigui che si usano correntemente nel linguaggio storico. Se è possibile definirlo e circoscriverlo con una certa precisione e correttezza per quanto riguarda la sfera politica o istituzionale, la sua applicazione alla sfera della vita sociale ed economica desta molte perplessità. Universalmente si continua a parlare di rivoluzione industriale per designare il fenomeno centrale per la vita economica dell'età moderna, cioè quel complesso di innovazioni tecnologiche e organizzative che sostituendo al lavoro e alla fatica dell'uomo o degli animali le macchine alimentate da energie naturali ha permesso il passaggio dalla produzione contadina o artigianale alla produzione di serie in grandi quantità di merci dando vita alla moderna civiltà dei costumi. Qui interessa precisare due cose. La prima è che se parliamo di rivoluzione in economia per l'età moderna, di rivoluzione industriale, lo possiamo fare solo in modo traslato o analogico per indicare il passaggio da una vita economica statica, di sussistenza, basata sostanzialmente sull'agricoltura, sull'artigianato e sul commercio a breve distanza che aveva conosciuto nella storia delle civiltà periodi e luoghi di grande fioritura, ma sempre alternati a
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