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La Storia Moderna, di Paolo Prodi, Sintesi del corso di Storia Moderna

Il testo affronta le modalità di studio e ricerca della Storia Moderna

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018
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Scarica La Storia Moderna, di Paolo Prodi e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! LA STORIA MODERNA Prodi LA STORIA COME DISCIPLINA IL MESTIERE DELLO STORICO La prima operazione da compiere nel passaggio dallo studio liceale della storia a quello universitario è quella di distruggere concettualmente il manuale. Lo sforzo dovrà essere quello di estrarre dalle pagine del manuale problemi e nozioni, questioni e dati per costruire in modo personale quel reticolo di coordinate spazio-temporali che è necessario ad ogni discorso storico. La seconda operazione è quella di interrogarsi sul significato della storia come disciplina, intendendo questa parola da una parte come definizione di un settore particolare del conoscere, dall’altra come acquisizione dei metodi necessari per apprendere un mestiere. La definizione data della parola storia ( istorìa –dal greco- come indagine) individua nella storia una disciplina che non studia genericamente il passato, ma il passato che è in noi, in funzione dell’oggi. La storia non è una scienza che mira ad una ricostruzione impossibile di un passato tramontato, ma una scienza che ci aiuta a comprendere la società del presente. Rispetto al fotogramma della realtà che ci danno le altre scienze sociali ( economia, sociologia), ,lo sforzo dello storico è quello di recuperare l’elemento dinamico: il divenire. Da qui, la distinzione tra la storia come res gestae, cioè come fatti del passato, e la storia come racconto ed interpretazione dei fatti stessi, come historia rerum gestarum. Il lavoro dello storico consiste in una continua tensione tra il suo interrogarsi sul presente e la ricerca di risposte che provengono dal passato. Il punto centrale del dibattito oggi è quindi se la storia abbia conservato una sua identità nello sviluppo che hanno avuto le scienze sociali nel corso dell’ultimo secolo, o se si sia sciolta in esse, perdendo la sua autonomia. Di fatto, l’economia, la sociologia, l’antropologia hanno sottratto alla storia campi sempre più vasti d’indagine. Noi siamo convinti che la storia abbia ancora una sua specifica funzione. Di qui, l’importanza del discorso sul metodo, inteso come riflessione concreta sul mestiere dello storico. LO SGUARDO DELLO STORICO: IL TEMPO E LO SPAZIO Ciò che distingue lo storico dagli altri scienziati sociali è che egli ha in più nel vedere le cose una costituire la chiave di interpretazione della realtà, e che viceversa solo possedendo una chiave interpretativa si potesse comprendere la storia: questo è ciò che noi chiamiamo lo storicismo, e non ha nulla in comune con la storia. Lo storicismo ha dimostrato il suo fallimento nelle grandi tragedie del XX secolo, come chiave interpretativa del cammino dell’umanità. Lo studio della storia appare quindi compatibile con diverse impostazioni filosofiche o religiose, purché rimanga fedele al metodo di indagine e non si lasci strumentalizzare. L’unica cosa che interessa lo storico è quindi l’uomo nella sua incarnazione sociale concreta. Altro punto importante è che lo studio della storia non può approdare alla formulazione di leggi storiche, universali, ma deve comunque dotarsi di una propria strumentazione concettuale e di u metodo scientifico. Mentre gli scienziati della natura non possono che procedere dall’osservazione dei casi alla formulazione di leggi generali, il metodo storico consiste in un cammino inverso: non procede dai singoli casi alla ricerca di una legge interpretativa, ma al contrario procede dai concetti storiografici acquisiti alla ricerca del particolare per ampliare e modificare i concetti di partenza. Questo è anche ciò che distingue la storia dalle altre scienze sociali. Il pensiero storico di quest’ultimo secolo si è caratterizzato con l’inserzione della storia tra le scienze sociali; non ci interessa come storici elaborare leggi sul comportamento umano. Per la sociologia e la psicologia, la cosa principale è che i fatti di un dato caso rientrino in uno schema concettuale; per la storia, questo quadrare non ha importanza, o comunque ha solo un’importanza secondaria. Nel nostro lavoro, noi storici partiamo da concetti storiografici per discendere alla realtà concreta: in seguito all’osservazione della realtà, procediamo a modificare il concetto iniziale o anche arriviamo ad abbandonarlo per costruire un nuovo concetto più utile alla comprensione della realtà indagata con un processo continuo di revisione del punto di partenza. Max Weber ha teorizzato per la prima volta all’inizio del ‘900 questo procedimento parlando di <<tipi ideali>>, in cui possiamo riunire e correlare i fenomeni simili sotto un’unica denominazione, strumenti concettuali da verificare e modificare continuamente. Possiamo usare questa espressione per indicare le più diverse ipotesi con le quali far rientrare diversi fenomeni in un unico contenitore concettuale: Rinascimento, Barocco, mercantilismo, Stato moderno. In questo quadro, non può esistere la divisione tra una macrostoria ed una microstoria (intesa come ricerca storia immersa nella particolarità del caso osservato e quindi più in contatto con la vita): in realtà, nessun fenomeno può essere indagato senza partire da categorie, o tipi ideali, e nessuna di queste categoria, o tipi ideali, può rimanere indenne dai risultati di una ricerca che sia realmente innovativa e concreta. IL LABORATORIO DELLO STORICO: LE FASI DELLA RICERCA Tutti i manuali di metodo storico tendono a distinguere quattro fasi della ricerca: 1) La fase progettuale, quella che porta alla formazione dell’ipotesi di ricerca, e si muove sul piano della personalità dello storico. La storia è inseparabile dallo storico, che, nell’avvicinare il passato, rappresenta tutto il suo gruppo: la domanda che egli scegli di porre esprimerà un’esigenza comune a tutti gli uomini del suo ambiente. Qi trovano sintesi gli elementi già indicati: la sensibilità dello storico per un problema; lo stato degli studi sull’argomento; la presenza di un giacimento di testimonianze. L’elaborazione delle ipotesi deve sempre trovare un riscontro nella letteratura precedente. L’esperienza dimostra quanto sia necessario, in questa prima fase, insistere sui limiti di un lavoro, quello della tesi di laurea, che dovrebbe durare al massimo due anni, e che non può quindi affrontare tematiche immense; 2) La seconda fase è quella dello scavo dei dati bibliografici, delle fonti. E’ la fase che negli antichi manuali veniva chiamata <<euristica>> (dal greco) o del reperimento. Tale fase va miscelata con la prima. E’ opportuno nelle letture delle opere storiche battere il terreno a ritroso, partendo dai saggi pubblicati nel tempo più vicino a noi, ed arretrare man mano costruendo così il quadro completo degli studi esistenti. Le fonti si trovano per lo più raccolte nei musei, nelle biblioteche e negli archivi; che la differenza tra i musei e le biblioteche da una parte e gli archivi dall’altra è costituita dal fatto che i musei e le biblioteche sono stati istituiti per uno scopo culturale e che il materiale in essi contenuto è stato quindi acquisito e selezionato in base ad un determinato progetto culturale, mentre negli archivi le testimonianze si depositano ed accumulano nel tempo in base alla struttura e alle motivazioni pratiche, alle esigenze delle istituzioni da cui emanano. Una classificazione tradizionale distingue le fonti intenzionali, composte col fine esplicito di lasciare una memoria, dalle fonti preterintenzionali, tracce che l’uomo lascia nel suo passaggio senza lo scopo di tramandare la memoria: questa classificazione può essere utile nell’acquisizione della consapevolezza che ogni fonte ha un aspetto intenzionale ed uno preterintenzionale a seconda dell’angolatura da cui vogliamo esplorare il problema; 3) La terza fase è la critica e l’interpretazione delle fonti. La prima distinzione da fare è la distinzione tra l’autenticità di una fonte e la sua veridicità. Una cosa è dimostrare l’autenticità di un documento (ad esempio, che un documento sia stato emanato da un determinato organo politico), ed un’altra è dimostrare la veridicità della stessa fonte, cioè il fatto che le affermazioni in essa contenute corrispondano al vero. Nell’esame di autenticità prevalgono la critica esterna e l’esame morfologico della fonte (lingua, stile, grafia). Occorre ricorrere ad ogni strumento della tecnica filologica per verificare il grado di fedeltà della copia cercando di ricostruire le linee di derivazione dall’originale e le varianti rispetto alle altre copie pervenuteci. Nell’esame di veridicità, è necessaria sia la critica interna, cioè l’esame dei dati contenuti nella testimonianza, sia la comparazione con i dati derivati da altre testimonianze sullo stesso argomento. Per la comprensione delle testimonianze stesse, appare fondamentale la conoscenza di altre discipline non direttamente attinenti alle fonti: ad esempio, per la storia della Chiesa la teologia, il diritto canonico; 4) L’elaborazione del testo è l’ultima fase del lavoro dello storico. Elementi comuni che devono essere esplicitati sono: l’esposizione dell’ipotesi di partenza della ricerca; lo stato attuale degli studi e delle conoscenze sul problema; l’esposizione del lavoro fatto in dialettica con al precedente letteratura; una valutazione del passo avanti o delle novità che sono state introdotte nella riflessione storiografica col lavoro compiuto. Ciò che è importante è che ogni affermazione di rilievo abbia un riscontro preciso nella documentazione bibliografica o nella citazione . La tecnologia offre grandi possibilità, con i nuovi programmi informatici, aiutando a costruire un nuovo tipo di opere storiche, ovvero opere di servizio che ci aiutano a donare serie enormi di dati non altrimenti immagazzinabili: ciò è già stato fatto (CD-ROM) per la compilazione della mappa storia dei terremoti nelle varie regioni italiane, nel 1997, da Boschi. Le nuove tecnologie informatiche stanno anche trasformando i procedimenti di conservazione e catalogazione delle fonti, e stanno profondamente incidendo in tutte le fasi della ricerca. Da ultimo, bisogna aggiungere che anche la stessa crescita dei costi editoriali porta a rendere più difficile la pubblicazione di opere e collezioni di fonti, e renderà sempre più necessaria la costruzione di quelle banche dati su supporto informatico dalle quali gli storici potranno attingere il materiale per la loro esplorazione. LA STORIA MODERNA dell’individuo, frutto del rinnovamento portato dall’umanesimo: dalla rinascita della classicità si sviluppa quella autoconsapevolezza personale che pone l’uomo al centro dell’universo. La grande trasformazione che avviene in questi secoli è il passaggio dall’homo hierarchicus all’homo aequalis: si passa da una struttura sociale legata ad una visione dell’uomo come parte del cosmo, in cui l’uomo ha una sua posizione fissa all’interno di un ordine preordinato del mondo; da una visione legata alla casta, come collocazione all’interno di una gerarchia preordinata e immobile della società, ad una nuova concezione basata su un rapporto egualitario e mobile tra gli esseri umani. Al concetto di individuo è legato quello di rivoluzione non solo nel suo significato politico, ma in un senso culturale molto più ampio: la visione di un mondo continuamente in trasformazione per intervento dell’uomo. Prima conseguenza di questa mutazione antropologica dovuta alla nascita dell’individuo è costituita dall’abbandono della concezione della divisione in 3 grandi ordini in cui si ripartiva l’umanità medievale: i preti, i militi (nobili), i lavoratori, e delle sottospecie nelle quali questi ordini a loro volta si suddividevano. Nella prima età moderna, questo schema viene meno: si afferma dapprima una nobiltà sempre maggiore all’interno dei ceti sociali (o stati), nei quali viene superato il concetto di casta con una mobilità basata soprattutto sul parametro economico; si afferma poi la centralità di quello che sarà chiamato <<terzo stato>>, e che possiamo chiamare <<borghesia>>, con il suo primo sviluppo nelle città mercantili, ed insieme con esso un forte impulso alla mobilità sociale che annulla l’antico ordine. La stessa società aristocratica non ha costituito soltanto un punto di resistenza al nuovo, ma ha fornito alle classi in ascesa modelli di comportamento e di etichetta che sono diventati pilastri della nuova società: non abbiamo solo scontro, ma anche un’osmosi. Certamente, l’elemento dello scontro rimane fondamentale in questa dinamica, ma non va dimenticato il processo di osmosi: l’ideologia nobiliare appare come l’ultima trincea per la difesa della catena gerarchica degli esseri e per il legame tra le generazioni che il nuovo individualismo aveva minato alla radice, ma trasmette anche alla classi in ascesa valori adattati al nuovo tipo antropologico che sta nascendo, dalla nobiltà come custode del potere alla nobiltà come onore ed esercizio di una funzione sociale. Un altro fenomeno interessante è la nascita della famiglia moderna, mononucleare, basata sulla coppia e sui figli: si tratta di un elemento del tutto nuovo rispetto alla composizione medievale della famiglia allargata e patriarcale, detentrice di un ruolo sociale intermedio tra la singola persona ed un potere politico diffuso nella società attraverso diritti ben riconosciuti. La nuova famiglia rimane il centro di interessi economici, patrimoniali, ma viene separata dalla sfera pubblica. La famiglia verrà definita come cellula di base della sfera privata, ma svuotata di ogni significato politico. Alla nascita dell’individuo, quindi, corrisponde la separazione, l’esclusione di tutto ciò che non può essere considerato come in precedenza parte di un tutto, della catena sociale, e nello stesso tempo non raggiunge l’autonomia dell’individuo come soggetto attivo della vita sociale e suddito dello Stato: si sviluppa la considerazione dell’infanzia, del fanciullo visto non più solo come piccolo uomo, ma come individuo soltanto potenziale che ha bisogno di un’attenzione particolare e di uno status speciale per poter diventare adulto. Nasce nei secoli dell’età moderna la considerazione della donna come individuo dimezzato: uscita dalla passività che contraddistingueva nelle epoche precedenti il suo inserimento nell’ordine sociale-cosmico, la donna conquista un suo ruolo come soggetto giuridico nella sfera privata e patrimoniale, non nel senso di una sua parificazione all’uomo, ma verso il riconoscimento della stessa donna come soggetto che viene identificato come tale nella situazione contrattuale e patrimoniale (pensiamo al problema delle doti), e come partecipe del processo produttivo, un soggetto che manifesta una grande capacità di iniziativa in campo culturale ed artistico, e anche professionale. IL VERSANTE RELIGIOSO: DE-MAGNIFICAZIONE, RIFORMA, CONFESSIONALIZZAZIONE Il fattore più interno nel processo di formazione del moderno individuo è stato visto nella perdita della visione preesistente di un mondo sacro, animato da entità sfuggenti alle stesse leggi divine e della natura. La prima definizione scientifica di questo processo di fuoriuscita dell’Occidente dalla visione magica del mondo è stata data all’inizio del ‘900 da max Weber, che ha coniato il termine di de-magnificazione del mondo (nel 1982). Più equivocamente si usa il termine <<secolarizzazione>>: equivocamente perché con il termine secolarizzazione si può intendere il rifiuto di ogni concezione trascendente di Dio come creatore e autore delle leggi della natura e della ragione, mentre non è questo Dio che viene escluso nel processo di formazione del moderno. Al contrario, nell’interpretazione di Weber, il moderno nasce con un forte richiamo religioso in tutti i movimenti di riforma che hanno caratterizzato il tardo Medioevo e la prima età moderna, sia nella grande espressione degli ordini mendicanti (francescani, domenicani), che ha accompagnato la crescita delle città mercantili, sia nella devotio moderna che ha diffuso nel ‘400 in tutta Europa il senso della trascendenza e il richiamo della coscienza individuale che sarà più tardi la base dell’appello della Riforma. Questa diversa interpretazione del rapporto con la religione appare essere la biforcazione fondamentale nella comprensione storiografica e nella definizione del modero: se si accetta la tesi della secolarizzazione, il processo di modernizzazione sarà visto come una lotta tra le nuove idee razionaliste, tesiste o immanentiste, che trionfano con l’illuminismo dopo una lotta secolare, e un vecchio mondo dominato dall’oscurantismo; se si accetta l’ipotesi di Weber, si potrà vedere che la prima tappa di questo processo avviene nel corso dello stesso Medioevo, con lo sviluppo del pensiero teologico e la graduale affermazione di una religione, il cristianesimo occidentale, che pone in primo piano il tema della trascendenza di Dio rispetto al mondo e che restituisce quindi la mondo una sua autonomia dalla sfera del sacro. In questa interpretazione, il culto dei santi diventa la prima tappa per liberare il mondo da presenze ingombranti come le divinità animistiche o i demoni: solo sgombrando il campo dagli spiriti, l’uomo ha potuto impadronirsi dell’energia delle acque e delle foreste; solo proclamando i miracoli come eccezione rispetto alle leggi di natura, si è potuto eliminare la percezione di un mondo animato e irrazionale, pervaso da spiriti celesti e infernali. La Chiesa d’Occidente si distingue dalla setta perché riconosce l’impossibilità di attuare sulla terra un ordine divino governato dai perfetti, e riconosce una distinzione fondamentale tra la sfera del sacro e quella temporale. La funzione ambivalente della Chiesa sta nell’essere il principale strumento di questa repressione, non negando l’origine soprannaturale dei fenomeni, ma classificandoli e comprimendoli sotto il suo potere, e quindi regolandoli in un recinto chiuso. La funzione di acculturazione forzata spiega come mai le nuove confessioni religiose nate dalla Riforma abbiano rivaleggiato e superato la vecchia Chiesa cattolica nella persecuzione della magia. Il centro della vita sociale è rappresentato dalla comunità religiosa e di culto: il centro della vita sociale è la chiesa-parrocchia, che nei secoli precedenti si era costruita come rete capillare dalle antiche chiese matrici. Se immaginiamo il paesaggio europeo come visto dal satellite, è la chiesa parrocchiale che costituisce il punto di riferimento, sia nei paesi cattolici che passati alla Riforma, in tutta l’età moderna: dall’alto si vede la chiesa, ed introno il villaggio; vicino alla chieda c’è il cimitero e le altre strutture della vita associata; lontano, ma a portata di una giornata di viaggio, la città, la cattedrale, le sedi del potere e della cultura. Alcuni di questi tratti saranno cancellati dalla frattura religiosa del XVI secolo ad opera della riforma protestante, ma il quadro fondamentale delle strutture parrocchiali rimane quasi intatto anche nei secoli seguenti sino alla formazione delle attuali megalopoli e delle immense periferie in cui le chiese sono quasi scomparse: solo ora, con le generazioni affacciatesi negli ultimi decenni, sembra venir meno la funzione di acculturazione generale svolta dalle parrocchie. La Riforma protestante, e poi quella cattolica promossa dal Concilio di Trento (1545-1563), ci appaiono come la conclusione di un lungo periodo di crisi della cristianità medievale, il culmine di un processo di trasformazione nel nuovo rapporto dell’individuo con Dio e nel rapporto pubblico tra il sacro ed il potere, tra la Chiesa e lo Stato. La proposta di Lutero tende a stabilire un rapporto diretto tra la coscienza del singolo cristiano e la Bibbia, superando la mediazione costituita dal magistero ed i sacramenti della Chiesa: la salvezza viene da Cristo, senza alcun merito dell’uomo e dei cristiani che sono sacerdoti: gli ecclesiastici moderni hanno solo un ruolo di servizio nella comunità, che rimane regolata dall’autorità e dal diritto dello Stato per ciò che riguarda la vita pubblica. Una seconda generazione di riformatori, la centrale all’interno del mondo cattolico: è impossibile studiare la storia della Chiesa cattolica dell’età moderna, dai problemi più interni della spiritualità alle manifestazioni artistiche, sino a quelli del potere e della proprietà ecclesiastica, senza far perno su Roma. In Italia, in particolare, il papato continua a mantenere nei secoli dell’età moderna un forte influsso sugli Stati della penisola, formando una specie di zona grigia in cui l’autorità spirituale è intrecciata con quella politica con indebolimento della sovranità statale. Nella sfera pubblica dei comportamenti, emergono due tendenze: da una parte, nei paesi riformati, si tende a lasciare al potere politico il governo della disciplina ecclesiastica, lo ius circa sacra; in alcuni paesi nascono Chiese separate che pur mantenendo l’impianto dottrinale cattolico riconoscono come capo il sovrano. Nei paesi rimasti cattolici, si cerca di contrapporre al frazionamenti degli Stati moderni il centralismo della curia romana e il potere indiretto del pontefice romano anche negli affari temporali per garantire il fine spirituale della salvezza dell’uomo al di sopra della politica: si apre la strada a una serie di conflitti che si sviluppano durante i secoli dell’età moderna tra i sostenitori del potere regio ed i sostenitori del potere del papa e della curia romana. Anche all’interno della Chiesa cattolica rimasta fedele a Roma, si formano, già dalla metà del ‘400, con il sistema dei concordati, Chiese coincidenti con il territorio statale e controllate dallo Stato. Nascono quindi le Chiese confessionali che caratterizzano la prima età moderna in simbiosi e dialettica con gli Stati moderni come titolari della nuova sovranità, gli Stati confessionali: l’appartenenza alla Chiesa non è determinata solo dalla condivisione di un credo comune di verità di fede, ma da professioni di fede giurate. Rimangono esclusi gli eretici, coloro che non aderiscono a nessuna delle confessioni, gli esponenti di un cristianesimo radicale o settario, visto come pericolo per il potere politico e religioso costituitosi, movimenti che hanno un’importanza fondamentale per le sollevazioni popolari che hanno accompagnato la prima fase della Riforma, sia per la successiva storia intellettuale e politica europea. Non si vuole diminuire l’importanza rivoluzionaria della Riforma, ma affermare che non si capisce nulla se non si inquadrano questi fenomeni nel processo di modernizzazione e di confessionalizzazione. E’ in questa situazione che si sviluppa in Europa il disciplinamento sociale come processo dinamico in cui crescono realtà come il mercato ideali come la libertà e la democrazia. Anche se nell’età confessionale ci si avvicina al monopolio del potere, rimane sempre una concorrenza tra gli Stati, una distinzione di piani tra la sfera pubblica e la sfera privata, che permette la crescita dell’individuo. Il sistema dualista che aveva caratterizzato i secoli del pieno Medioevo, nella tensione tra papato e impero, tra potere ecclesiastico e potere laico, subisce una specie di metamorfosi. Non viene meno il dualismo proprio di questo cristianesimo occidentale, ma si dislocano diversamente i punti di attrito di questa continua tensione: nella concorrenza tra gli Stati, tra le Chiese, nella rivendicazione di diversi fondamenti dell’autorità, nella distinzione tra la sfera della coscienza e la sfera del diritto statale positivo. Lo sviluppo della coscienza e l’angoscia dell’individuo che si sente diviso da un universo da cui ha preso le distanze: a questo tema, gli storici dell’età moderna si sono interessati negli ultimi anni sotto la spinta della crisi delle ultime strutture costituire nei secoli passati come saldatura tra la sfera interna e quella esterna, come, nei paesi cattolici, la confessione dei peccati, il sacramento della penitenza. Così è aumentata l’attenzione ai metodi utilizzati nei diversi ambiti confessionali per il controllo e l’educazione delle coscienze: la confessione e le missioni popolari in ambito cattolico, la predicazione ed il controllo della moralità pubblica nelle religioni riformate. Il processo di secolarizzazione in senso proprio, come distacco dal trascendente, inizierà solo alla fine del XVII secolo con quella che è stata chiamata <<la crisi della coscienza europea>> (da Hazard nel 1946), e si svilupperà nella misura in cui lo Stato moderno non avrà più bisogno dell’unità religiosa come puntello ideologico e durerà per tutta la seconda età moderna sino ai nostri giorni: si apre la strada alla tolleranza ed alla libertà di pensiero almeno per quel che riguarda la professione religiosa. IL VERSANTE POLITICO: LO STATO MODERNO La novità più visibile nella storiografia dell’età moderna è la nascita dello Stato moderno , caratterizzato da 3 elementi: un territorio, una popolazione ed il monopolio del potere legittimo. Anche prima dell’età moderna, sono esistite forme di statualità nelle quali questi elementi risultavano solo parzialmente fusi in un unico organismo: nel Medioevo abbiamo la coesistenza nello stesso territorio di più fonti e più livelli di potere, un pluralismo di ordinamenti politici e giuridici in concorrenza tra loro (Chiesa, poteri cittadini, corporazioni). Gli organismi politici precedenti l’età moderna sono concepiti come entità fisse secondo lo schema aristotelico e come riflesso dell’ordinamento del cosmo nella vita sociale: ci possono essere differenze nei regimi (monarchico, aristocratico, democratico), ma la res publica è concepita come immobile e i mutamenti sono solo nel vertice, nell’alternanza al potere di persone e fazioni diverse, conseguenze di colpi di stato o sconfitte militari. L’analisi della stessa parola Stato nel suo uso ci mostra la differenza, l’avanzata del nuovo. Dapprima viene usata secondo il significato latino (status=condizione), per parlare della situazione concreta di una comunità in un determinato luogo o momento; poi passa ad identificare i detentori concreti del potere, il regime al potere, e infine definitivamente va a significare la concreta forma politica che si vuole illustrare. Nel ‘700 possiamo parlare di un sistema degli Stati europei composto da una trentina di Stati sovrani: questi soggetti in perenne lotta per il mantenimento dell’equilibrio, ridotti a poche decine, appaiono ben definiti, pur nelle grandi differenze delle loro forze effettive, nella loro sovranità, a parte il permanere di alcune configurazioni risalenti al periodo precedente come il Sacro Romano Impero e la Confederazione Elvetica. Questa semplificazione del quadro politico e questa concentrazione della sovranità è avvenuta mediante una serie di conflitti che riempiono le pagine dei nostri manuali e che non sono comprensibili se non visti in questa dinamica di costruzione dello Stato. Nel Medioevo il potere del sovrano era esercitati in base ai rapporti personali di fiducia e di fedeltà, che trovavano la loro più tipica espressione nel rapporto feudale. Ora nasce un corpo di funzionari chiamati ufficiali sempre più vasto e organizzato e specializzato nelle varie funzioni, direttamente dipendente dal principe; alla base del rapporto compare lo stipendio, un istituto limitato precedentemente al rapporto di lavoro privato: il funzionario assunto diventa amovibile e servitore dello Stato. Gli uffici sono venduti dal sovrano come una specie di appalto per anticipare le entrate deo Stato, con diverse conseguenze, negative e positive. In rapporto alla visione complessa di questo processo si devono cogliere alcune fasi intermedie. Una prima fase, che possiamo chiamare dello Stato confessionale, copre i primi due secoli dell’età moderna: il suddito deve seguire la religione del principe e dello Stato a cui appartiene. Lo Stato incorpora la Chiesa nel suo sistema amministrativo, e delega alla Chiesa stessa molte delle funzioni che non è in grado di svolgere direttamente in una simbiosi non certo priva di tensioni. In questa fase, le confessioni religiose servono da primo cemento dell’identità collettiva statale moderna in cui si identifica il suddito-fedele: il papato che, unendo alla funzione di comando anche la funzione di formatore, di educatore dell’individuo, diventa una specie di prototipo dello Stato moderno e della nuova politica che tende a formare e controllare l’individuo. Questo serve per comprendere il senso delle guerre di religione e della repressione delle eresie, ma anche le radici del disciplinamento moderno, del controllo della vita quotidiana dell’individuo, dall’anagrafe sino ai fattori più interni relativi al controllo della cultura e del pensiero. Una seconda fase, che copre il XVIII secolo, è quella che possiamo chiamare dell’assolutismo illuminato: le strutture statali ed il controllo ideologico si sono rafforzati per permettere l’affermarsi della ricerca dei fini propri dello Stato nell’ordine e nella felicità pubblica, indipendentemente da ogni richiamo metapolitico e religioso, e per sviluppare la demolizione dei corpi e dei poteri autonomi sopravvissuti all’interno dello Stato stesso. Il sovrano perde la sacralità e diviene il primo servitore dello Stato, rimanendo assoluto, ma mutando la giustificazione ideologica del proprio potere. Si afferma il principio della tolleranza religiosa non come libertà religiosa ma, come tolleranza, dalla quale sono esclusi gli atei o tutti coloro che non danno garanzie di sottomissione al potere. Una terza fase, che si apre in modo rivoluzionario nella seconda metà del ‘700, caratterizza gli ultimi due secoli e si può definire come la fase dello Stato-Nazione, dello Stato costituzionale o di diritto. Lo Stato riesce a penetrare e a centralizzare tutte le funzioni della società civile con l’idea di nazione e di Patria come anima collettiva nella quale il cittadino-suddito è in qualche modo assorbito e incorporato. All’interno dello Stato emergono i principi fondamentali che si esprimono nelle nuove carte costituzionali, unico strumento capace di garantire la coesione dell’organismo politico in questa nuova situazione. Le costituzioni formalizzano le norme fondamentali che sono oggetto di un patto collettivo e reggono tutto l’ordinamento statale: con garanzie per i diritti di libertà dei singoli nel quadro di una formale divisione dei poteri, ma all’interno dell’unico potere sovrano dello Stato. IL VERSANTE CULTURALE E SCIENTIFICO: UNIVERSITÀ’, STAMPA, ISTITUZIONI EDUCATIVE è visto non tanto come colui che interviene continuamente nel destino dell’uomo, quanto come creatore di un mondo da lui dotato di leggi sue proprie, un mondo in cui si manifesta la sua onnipotenza e che tocca all’uomo scoprire. La religione viene percepita non solo nella partecipazione a rituali collettivi, ma anche nella concezione di un Dio creatore e legislatore dell’universo e quindi anche giudice supremo: si apre un nuovo spazio per la coscienza individuale nella definizione di un ordine morale parallelo a quello fisico Da una costola della teologia nasce l’etica come scienza del comportamento e la teoria del diritto naturale com concezione di un mondo umano sottoposto a leggi analoghe e parallele a quelle del cosmo fisico. Nei confronti della politica e dello Stato moderno questa trasformazione culturale ha conseguenze importanti: non solo l’ordine politico dello Stato assoluto viene visto come una proiezione dell’ordine dell’universo, non soltanto la scrittura diviene la base del potere, ma viene meno il latino come lingua universale, mentre le lingue moderne diventano strumenti per legami sempre più stretti tra la cultura e dil potere. La stampa diviene uno strumento formidabile al servizio del potere. IL VERSANTE ECONOMICO: LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Se parliamo di rivoluzione in economia per l’età moderna, di rivoluzione industriale, lo possiamo fare solo in modo traslato o analogico per indicare il passaggio da una vita economica statica, basata sull’agricoltura, sull’artigianato e sul commercio a breve distanza che aveva conosciuto nella storia delle civiltà periodi e luoghi di grande fioritura, ma sempre alternati a periodi di depressione e di miseria, ad una fase dinamica di continuo mutamento in cui i mercati si rispondono, l’innovazione produce innovazione, l’espansione conosce rallentamenti e depressioni, ma riprende sempre con nuovi sviluppo qualitativi e quantitativi. La rivoluzione industriale costituisce non solo un punto di partenza, ma anche il punto d’arrivo di un’evoluzione verso il moderno che caratterizza in modo unico la società europea rispetto a tutte le altre che l’avevano preceduta sulla terra: senza quel lungo cammino, sul versante religioso, politico e su quello scientifico-tecnologico nei secoli precedenti, la rivoluzione industriale non sarebbe neppure stata concepibile. Rimane aperta una questione: perchè solo i Europa maturò questa trasformazione? La risposta rappresenta il nocciolo della storia moderna. All’evoluzione dei parametri spirituali, culturali e istituzionali si è già accennato: il nuovo concetto di individuo e la rottura delle gerarchie di casta, la de-magnificazione del mondo, le tensioni tra l’autorità spirituale e quella politica, la nascita di un sistema di Stati come unici soggetti politici in concorrenza tra loro, la distinzione tra la sfera dello Stato e del diritto pubblico, e la sfera dell’individuo che coincide soprattutto con la garanzia del diritto di proprietà privata. La sovranità rinuncia ad entrare nella sfera della vita economica se non con il prelievo di una quota della ricchezza prodotta, mediante il fisco. E’ su questa situazione che la tassazione diventa il punto centrale, la base per l’esistenza e il funzionamento di tutti i sistemi rappresentativi, di tutti i contratto sociali e di tutte le costituzioni. In questo quadro il punto principale è che tra il Medioevo e la prima età moderna in Europa si spezza per la prima volta il legame intrinseco fra la ricchezza immobiliare e il potere politico che aveva caratterizzato tutte le civiltà precedenti vissute sulla faccia della terra. La ricchezza mobiliare, legata alla moneta, al commercio, al credito, diventa autonoma e forma un livello superiore completamente distinto, anche se il possesso della terra rimane sempre importante sia in funzione della difesa dei privilegi dei ceti in declino sia come bene rifugio, più immune dai rischi per il nuovo ceto borghese in ascesa. Non solo il potere politico perde il diritto di disporre liberamente delle ricchezze dei sudditi, ma nasce il liberismo moderno con un vero rovesciamento dei valori tradizionali legato alla nuova ideologia dell’individuo: sulla radice del diritto di proprietà nascono i germogli dei nuovi diritti umani che saranno alla base di tutte le costituzioni moderne. Caratteristica delle economie primitive è l’assenza dell’idea di trarre dalla produzione e dallo scambio profitti che non siano immediatamente traducibili in termini di potere. La novità più importante dell’età moderna è la separazione degli aspetti economici della vita sociale e il loro costituirsi in ambito autonomo. La grande trasformazione prodotta dalla rivoluzione industriale è stata preceduta da un’evoluzione secolare della riflessione sull’economia: già nel pensiero dei teologi e dei camionisti tra il XIV ed il XVII secolo l’economico acquistò un’esistenza definita se non separata, e anche l’opera che viene vita come più innovatrice e alla base del liberismo, l’Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni di Adam Smith (1776) può essere vista come il frutto di un’evoluzione secolare, mentre nel pieno Medioevo l’Europa appare una regione povera rispetto alla ricchezza e alla vastità dell’Oriente, nella prima metà del ‘700, alla vigilia della rivoluzione industriale, essa è già più ricca e al centro di una rete mondiale di traffici che apporta materie prime da tutti i paesi del mondo ed esporta manufatti lavorati. In poco tempo, sono cambiati i fondamentali dell’economia, cioè i pilastri costituiti dalla popolazione, dall’evoluzione tecnologica, dall’organizzazione dell’impresa, del credito e della moneta, della produzione, del reddito e dei consumi. Con la crescita delle città comunali e la loro affermazione come centri non solo commerciali ma anche della libertà politica, dal XII al XIV secolo, si apre una nuova fase di espansione demografica: essa è frenata dai grandi flagelli della peste e delle carestie. All’inizio dell’età moderna le città che superano i centomila abitanti si contano sulle dita di una mano e sono quasi tutte in Italia: nel ‘700, Parigi, Londra, Amsterdam hanno già le dimensioni metropolitane di alcune centinaia di migliaia di abitanti. Pensiamo poi all’organizzazione e alla distribuzione del lavoro nelle città attraverso le associazioni di arti e mestieri, le corporazioni, che permettono il mantenimento e l’elevazione continua degli standard di produzione. E’ all’interno di questa economia cittadina e mercantile che si sviluppano le nuove forme di società di capitali e nuove forme di organizzazione del lavoro con la nascita del primo comunicazione, di strade e di ponti, relativamente sicuri. Dalla fine del XVII secolo, questi parametri sembrano impennarsi verso l’alto e in qualche modo preludere e preparare il terreno alla rivoluzione industriale in arrivo. L’Italia sembra esclusa o quasi da questo processo di sviluppo con l’accumulo di un ritardo che arriva sino ai nostri giorni: si è parlato per il ‘600 italiano di rifeudalizzazione. Tanti fattori di questo processo sono stati sottolineati: la perdita dell’importanza del Mediterraneo in seguito alle nuove scoperte geografiche, il maggior costo dei prodotti italiani, resi non concorrenziali per gli alti salari e per i lacci corporativi rispetto alle merci europee; l’inflazione che colpisce nella seconda metà del ‘500 le rendite patrimoniali fisse dovuta all’arrivo dei metalli preziosi dall’America; infine, i fattori spirituali, per il peso che avrebbe esercitato per secoli la controriforma come freno e repressione dell’innovazione sulla società italiana rispetto alle più vivaci e inventive società nordiche. Alla fine del Medioevo, la maggior parte dell’Europa vive ancora in un sistema legato all’economia agricola di sussistenza, ma sono già emerse nella realtà delle aree più sviluppate: le città e le istituzioni chiave che permetteranno lo sviluppo dell’economia mondiale; la crescita di una ricchezza mobiliare non legata alla terra e disponibile ad essere investita ben lontano dalle sue radici e che si distacca anche dalle persone fisiche con la nascita delle grandi banche, delle Borse; la divisione del lavoro sulla base delle aree regionali, con un aumento vertiginoso degli scambi e la separazione della produzione delle materie prime dall’elaborazione dei prodotti finiti destinati al consumo; l’impegno politico degli Stati a sostegno dei rispettivi apparati economici concorrenti (la politica del mercantilismo). IL VERSANTE SPAZIALE: L’ESPANSIONE DEL MODELLO EUROPEO Anche quello spaziale è un approccio indispensabile per comprendere l’età moderna. Distinguiamo tra Italia, Europa e mondo. E all’interno dell’Italia, la differenza evidente alla fine del Medioevo tra un Centro-nord nel quale sulla base delle tradizioni civiche di autogoverno dei comuni si è già verificato uno sviluppo nella produzione, nel credito e nel sistema politico-amministrativo nel suo complesso e un Sud ancora dominato da una struttura amministrativa accentrata da un lato e dall’altro da una diffusa struttura di potere feudale, con conseguenze che sono state viste prolungarsi nel lungo periodo sino al funzionamento delle attuali regioni. L’espansione europea nel mondo è una caratteristica fondamentale dei secoli della prima età moderna. Sul versante antropologico e religioso nasce il primo grande confronto tra civiltà diverse: dalla lotta con la confinante civiltà islamica, dalle crociate alla riconquista della penisola iberica, si passa alle grandi esplorazioni oceaniche e alla conquista dei nuovi continenti. Sul piano culturale, si passa dalla discussione sugli antichi e i moderni che caratterizza la prima fase dell’Umanesimo all’affermazione della superiorità della nuova civiltà europea cristiana sulle altre civiltà delle terre recentemente scoperte. Sul versante scientifico e culturale si ha per la prima volta la rivoluzione copernicana, che rimpicciolisce e definisce la terra nei confronti del sistema solare, e anche la rappresentazione cartografica del pianeta sempre più precisa; la tecnologia dei trasporti per terra e per mare rivoluziona poi il rapporto tempo/spazio sia per la sicurezza e la capacità dei nuovi mezzi di comunicazione. La storia dell’età moderna è sostanzialmente una storia d’Europa e della conquista del mondo da parte dell’Europa: la storia moderna è eurocentrica. Alla fine del XV secolo, l’Europa possiede già un potenziale economico, scientifico e tecnologico superiore a quello di ogni altra società asiatica, africana o americana. Anche rispetto all’avvenimento che noi prendiamo come data per fissare l’inizio dell’età moderna, la scoperta dell’America, il moderno è già cominciato prima: le scoperte geografiche sono l’inizio ma anche la conclusione di un ciclo storico più lungo. Dobbiamo distinguere tra diverse forme di colonizzazione. La più antica forma, legata nella sua prima fase alla monarchia portoghese, è quella finalizzata alla conquista militare da parte degli Stati di punti di appoggio e di difesa a tutela del commercio delle spezie e dello sfruttamento delle risorse e materie prime locali, commercio e sfruttamento sono riservati alla corona che assume una funzione imprenditoriale, direttamente o attraverso concessioni. Una seconda forma è costituita di veri imperi. E’ in particolare la Spagna che concepisce la conquista del nUovo Mondo come organizzazione politica ed economica dei territori acquisiti: vicereami, governatori, distretti ad imitazione dell’assetto territoriale della madrepatria, con lo sfruttamento sistematico delle risorse. E’ lo schema che viene seguito soprattutto in America Latina, che entra presto in una crisi profonda per le sue radici feudali e che trascinerà con sé anche la Spagna, ma che verrà poi ripreso nei secoli successivi e diventerà nell’800 modello della colonizzazione dell’Africa e dell’Asia da parte delle grandi potenze, dell’imperialismo come ultima fase dell’espansione coloniale. Un terzo modello è quello nel quale la conquista è gestita direttamente dalle grandi Compagnie commerciali e che può trovare il proprio esempio più noto nelle colonie olandesi, lungo le coste dei nuovi e vecchi continenti: un modello che, tra ‘700 e ‘800, cederà di fronte alle esigenze e alla lotta di potere tra gli Stati e lascerà il passo all’imperialismo in senso proprio. Un quarto modello è quello delle colonie di insediamento o popolamento: l’emigrazione verso nuove terre di minoranze politiche o religiose oppresse. E’ questo il caso delle colonie inglesi fondate nell’America del Nord nel XVII secolo, ed è il caso in cui le istanze ed i principi della libertà e della democrazia trovano il terreno in cui trapiantarsi. Parlando di colonizzazione, entriamo in un problema più importante, quello dell’acculturazione, cioè dell’insieme dei fenomeni che avvengono quando due culture, due società di tipo diverso, si incontrano: dialogo, confronto, scontro, nascita di una nuova cultura. L’antropologia ci insegna che ogni cultura è un corpo vivente con la sua attrezzatura materiale, le sue istituzioni, le sue tradizioni, la sua visione del mondo, le sue strutture: quando tutto ciò è messo in discussione, quella cultura viene sbriciolata quando viene costretta a sopravvivere nelle riserve indiane. La distruzione delle società indigene è avvenuta più per l’imposizione del modello antropologico dell’individuo di tipo europeo che per lo sfruttamento economico bestiale a cui gli indigeni sono stati sottomessi o per le malattie importante dall’Europa come spesso unicamente si sottolinea. Quest’angolatura è necessaria per comprendere il rapporto tra colonizzazione e cristianizzazione, il problema delle missioni e dell’evangelizzazione. La grande esplosione missionaria che si verifica nel ‘500 ad opera della Chiesa cattolica si manifesta come
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