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La storia moderna: dinastie e repubbliche tra il XV e il XVI secolo, Sintesi del corso di Storia Moderna

Laformazione delle grandi monarchie europee e delle repubbliche tra il XV e il XVI secolo, con particolare attenzione alle dinastie portoghesi e spagnole. Vengono analizzati i processi di unificazione dei regni e le politiche di espansione coloniale, nonché le istituzioni e i poteri dei sovrani. utile per comprendere la storia europea dell'età moderna.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 07/07/2022

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Scarica La storia moderna: dinastie e repubbliche tra il XV e il XVI secolo e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! RIASSUNTO – LA STORIA MODERNA CAPITOLO 1 – DINASTIE E REPUBBLICHE TRA IL XV E IL XVI SECOLO 1- Linee di lettura La formazione e le diverse vicende di alcune grandi monarchie europee sono al centro della storia europea di questo periodo. Ovviamente la monarchia non esaurisce il panorama delle vicende politiche del continente, dato che relativa importanza sarà rivestita dalle repubbliche. Tuttavia, le monarchie rimangono il nucleo centrale della questione politica dell’età moderna. Le nuove monarchie non sono il risultato del superamento dei vari particolarismi preesistenti, quanto piuttosto, di un inglobamento di tali particolarismi in complesse strutture politiche e istituzionali. Diventa centrale la figura del sovrano, che assimilava a sé la natura composita dello stato e ne tutelava i vari poteri. È il sovrano a rappresentare e legittimare gli interessi dei vari ceti, con i propri privilegi, ma anche delle classi sociali in ascesa. Durante l’età moderna, particolarmente rilevanti saranno alcune figure di sovrani, che sono riusciti a portare a termine importanti processi di unificazione. 2- Il Portogallo degli Avis Il Portogallo era al centro di importanti rotte commerciali con l’Inghilterra e il Nord Africa. Una posizione strategica che la nuova dinastia degli Avis seppe utilizzare a proprio vantaggio, attraverso una politica di espansione coloniale. Venne acquisita Ceuta e, in seguito, iniziò un’intensa attività di esplorazione e viaggi, volti a trovare una nuova via per raggiungere l’Oriente. Il superamento del Capo di Buona Speranza permise ai portoghesi di raggiungere l’Africa Equatoriale e, successivamente, l’Oceano Indiano. Altrettanto importante furono le espansioni verso Occidente, che hanno visto il Portogallo partecipare, insieme alla Spagna alla colonizzazione de Nuovo Mondo, garantendosi il controllo del Brasile. Questo processo fu caratterizzato da un intervento diretto dei membri della dinastia regnante e dagli interessi dei mercanti, ma anche e soprattutto, dallo sviluppo di una fitta rete di centri commerciali e di scambio. Tuttavia, questo sviluppo coloniale non fu accompagnato da un rafforzamento di potere della dinastia sul territorio. Gli Avis, infatti, non perseguirono la strada di un incremento di proventi fiscali e di controllo dei poteri locali. Il Regno di Portogallo rimase, così, una potenza debole al suo interno. La crisi della dinastia e l’estinzione della famiglia furono l’occasione per l’unione temporanea delle corone spagnola e portoghese, fino a quando, circa nel 1640, iniziò la crisi della corona spagnola. A questo punto, l’intervento di Olanda e Inghilterra ha permesso l’affermazione di una nuova monarchia portoghese sotto la dinastia dei Braganza. 3- La Spagna dei Re Cattolici e degli Austrias Il processo di unificazione del regno spagnolo dipese da due fattori principali: il matrimonio tra Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, che portò all’unione dei due regni; il processo di Riconquista. L'unione delle due corone non fece scomparire le varie differenze istituzionali tra i due regni. Infatti, all’interno del regno di Aragona vigevano, nell’ambito di ciascun territorio, diversi assetti istituzionali e differenti privilegi giurisdizionali, che tutelavano soprattutto gli interessi dei mercanti. Piò omogenea era la Castiglia, caratterizzata da estesi possedimenti in mano alle famiglie aristocratiche che avevano partecipato alla Riconquista. Il paesaggio del regno di Castiglia era dominato dall’altopiano, il quale permise lo sviluppo della pastorizia e delle attività connesse. L'unione delle due corone diede ai sovrani nuove possibilità di aumentare l’influenza regia. In Castiglia, le Cortes, ovvero le assemblee rappresentative di clero e aristocrazia, iniziarono a perdere potere, in quanto venivano convocate molto raramente. Questo e altri provvedimenti contribuirono alla causa della centralizzazione del potere. I nuovi sovrani istituirono l’Inquisizione, allo scopo di perseguire l’uniformità religiosa, ovviamente cattolica. Assai significativo fu, anche, il controllo del re sugli ordini cavallereschi, il cui prestigio era legato alla Riconquista. La carica di gran maestro dei vari ordini diede a Ferdinando e ai suoi successori un valido strumento di controllo degli ordini stessi. Vennero istituiti nuovi organi di governo, dove ampio spazio veniva garantito ai letrados, ovvero giuristi non nobili, che contribuirono a rafforzare il ruolo dei Re Cattolici. Tutti questi aspetti portarono alla formazione della cosiddetta “hispanidad”, vale a dire una precisa identità politica, culturale e religiosa, spagnola. In questo contesto non bisogna dimenticare le pagine buie relative alla persecuzione di ebrei e arabi. Una svolta importante, per la monarchia spagnola fu segnato dall’ascesa di Carlo d’Asburgo. Grazie all’abile politica matrimoniale perseguita dalla dinastia di Vienna, l’impero spagnolo passava nelle mani del giovane arciduca Carlo. Egli riuscì a escludere la madre Giovanna, figlia dei Re Cattolici, dalla successione e a concentrare il potere nelle sue mani. Tutto questo portò importanti mutamenti, rispetto alla situazione precedente; non solo per l’inserimento dei regni spagnoli in una realtà politico- territoriale diversa, ma anche per un vero e proprio modo di governare differente. Crebbero le tensioni, soprattutto nelle città castigliane e, non appena Carlo tornò in Germania, al fine di raccogliere l’eredità asburgica dall’imperatore morente, scoppiò la rivolta. Il conflitto inizialmente vide le sue motivazioni principali nella salvaguardia delle tradizionali autonomie cittadine, ma presto assunse un carattere più ampio di protesta antifeudale. Tutto questo portò ad un avvicinamento della nobiltà castigliana a fianco del sovrano. La vicenda dei “comuneros” lasciò un segno profondo nei rapporti tra Carlo V e la nobiltà, conducendo ad una serie di alleanze e reciproca fedeltà. A differenza della più inquieta Aragona, la nobiltà castigliana riuscì ad essere al centro del sistema di governo della monarchia. In questo contesto, maturò la coscienza di un destino imperiale e di una missione politico-religiosa universale. Venne così perseguita una politica concreta da Carlo V, nella direzione di difesa della cristianità dalla pericolosa espansione dei turchi sul Mediterraneo e garante della cristianizzazione delle popolazioni indigene del Nuovo Mondo. Tuttavia, in questa visione universalistica di re Carlo restarono sempre centrali gli stati spagnoli. La stessa struttura istituzionale della monarchia spagnola rispecchia l’idea imperiale di Carlo V e il ruolo che egli volle assegnare alla Spagna nei suoi progetti politici. La costituzione e il funzionamento dei vari Consigli traducevano il concetto di monarchia composita, vale a dire un insieme di realtà territoriali diverse e autonome unite sotto un potere centrale. Se la legittimità di tale complesso risiede nella figura del sovrano, la forza politica risiedeva negli interessi che legavano tra loro le varie comunità. Nonostante l’abdicazione di Carlo V rivelò la sua consapevolezza di non poter perseguire il suo ideale imperiale, il suo successore Filippo II mantenne una politica in grado di tenere insieme le varie parti che componevano la monarchia spagnola. Stava proprio in questo aspetto la grande forza di coesione della dinastia Asburgo, capace di affrontare grandi crisi finanziarie e rivolte di tanti domini. CAPITOLO 2 – MONARCHIE E REPUBBLICHE DALL’ETà DEI CONFLITTI RELIGIOSI ALLA FINE DEL 600 1. Linee di lettura La storia d’Europa di questo periodo è caratterizzata, da un lato dalla Riforma, che ha portato allo sviluppo di nuove confessioni religiose e di nuovi poteri territoriali e, dall’altro dallo scontro apertosi tra cattolici e protestanti. In secondo luogo, questa è la fase in cui si approfondiscono le differenze tra i vari paesi. Sul piano politico questa distinzione era tra il modello monarchico assolutistico, incentrato sulla figura del sovrano, il modello repubblicano moderato delle Province Unite e il modello monarchico parlamentare inglese, affermatosi dopo la Rivoluzione alla fine del 600. 2. L'età dei conflitti religiosi Questo conflitto fu reso aspro e complicato dal consolidarsi della chiesa luterana e calvinista. Lo scontro tra cattolici e protestanti si conclude, in Germania, con la Pace di Augusta, destinata a regolare per circa un secolo i rapporti tra le due confessioni. Due elementi che, invece, hanno rappresentato fattori di instabilità sono il calvinismo cui si è opposto la Controriforma e il sogno di riconquista delle popolazioni protestanti, da parte dei cattolici. La situazione fu particolarmente dura in Francia, che in quegli anni sotto la reggenza e il governo di Caterina de’Medici vide gli anni più difficili, caratterizzati da una continua oscillazione tra cattolici e calvinisti. Più di ogni altro atto, il trattato di Saint-Germain sembrò essere un accordo duraturo. In realtà, le pressioni dei cattolici portarono presto ad un ribaltamento di fronte e, nella celebre notte di S. Bartolomeo, ci fu il massacro degli ugonotti. Gli ugonotti riuscirono a riorganizzarsi e ad opporsi alla Lega Cattolica. Il contrasto terminò con una nuova pace, che riconobbe una parziale libertà religiosa agli ugonotti. Tuttavia, anche questa pace non bastò a spegnere il conflitto religioso, che vide la fase successiva nella Guerra dei 3 Enrico. Mentre nei Paesi Bassi la fine del conflitto religioso significò la consapevolezza di una irreparabile frattura tra il sud cattolico e il nord calvinista. In Francia, al contrario, l’esito fu diverso. Enrico III di Valois venne assassinato da un frate e il paese era dilaniato dai conflitti religiosi. In quegli stessi anni stava prendendo sempre più piede, nelle file dei cattolici, un atteggiamento moderato e aperto ad una forma di tolleranza religiosa. Dopo anni difficili, la conversione di Enrico di Borbone al cattolicesimo e il suo ingresso a Parigi pose fine alle guerre di religione. Il trattato di Vervins affermava la pace tra Spagna e Francia, mentre l’editto di Nantes riconosceva agli ugonotti il possesso di alcune piazzeforti, oltre alla pace religiosa. Le tensioni religiose non scomparvero mai del tutto e nel 1610 il re Enrico IV venne ucciso. Editto di Nantes: venne proclamato nel 1598 da Enrico IV e definì i rapporti tra calvinisti e cattolici, nel senso di una parità di culto. Esso fu revocato da Luigi XIV con l’editto di Fontainebleau, per essere poi ripristinato da Luigi XVI, alla vigilia della Rivoluzione Francese. 3. La repubblica delle 7 province unite Nel contesto delle province unite non si può non tenere conto del ruolo coperto dalla Spagna di Filippo II. Le linee del governo spagnolo, volto a un controllo più stretto dei paesi Bassi e allo sradicamento della Chiesa Calvinista suscitò una vasta opposizione, soprattutto nelle zone settentrionali. Filippo II decise allora di inviare un esercito per risolvere la situazione. Tuttavia, i suoi piani non riuscirono. L'imposizione di una nuova tassa fu l’occasione per riprendere la rivolta, la quale degenrò in una guerra, chiamata Guerra degli 80 anni (1568-1648). I rivoltosi trovarono una guida in Guglielmo d’Orange. In quegli stessi anni, la monarchia spagnola si trovava in una difficile situazione finanziaria, a causa del conflitto con gli ottomani per il controllo del Mediterraneo, come avverrà al termine della Battaglia di Lepanto, la quale vedrà il trionfo dei cattolici, ma una bancarotta spagnola. Per lo svolgimento della guerra le province meridionali e settentrionali dei Paesi Bassi decisero di unirsi con la pace di Gand. Tuttavia, i dissidi religiosi portarono, Nel 1579, alla formazione dell’Unione di Arras, che raggruppava le province meridionali cattoliche e della Lega di Utrecht, la quale era formata dalle province settentrionali protestanti. Inizialmente, le province unite cercarono di scegliere un sovrano; tuttavia, si decise per la creazione di una repubblica, dove era centrale il ruolo degli Orange. L'indipendenza delle province unite si avrà con il trattato di Anversa del 1609. Il definitivo riconoscimento delle province Unite, da parte della Spagna, si avrà solo nel 1648 (Pace di Vestfalia). Questo riconoscimento è dipeso, in gran parte, dall’affermazione politica degli interessi legati alle oligarchie mercantili. In quegli anni Amsterdam visse una fase di straordinario sviluppo, anche se già dall’inizio del secolo era la capitale commerciale europea. Tuttavia, lo sviluppo olandese si rivoltò principalmente oltreoceano, più precisamente a Oriente, con l’espansione di traffici e possessi coloniali della Compagnia delle Indie Orientali. In queste zone, l’Olanda danneggiò direttamente gli interessi del Portogallo, il cui declino coincise con l’annessione del regno alla Spagna nel 1580. In ogni caso due furono i fattori che determinarono il declino portoghese e allo stesso tempo lo sviluppo olandese: costituzione della Compagnia delle Indie Orientali; successo della Borsa di Amsterdam. I 25 dopo la Pace di Vestfalia furono molto significativi per lo sviluppo olandese: emerse la figura di de Witt, il quale rappresentava gli interessi della borghesia cittadina, un ceto più propenso agli accordi che alle guerre. Mentre con l’Inghilterra era pervenuta ad un accordo, sacrificando una colonia nel Nuovo Mondo; con la Francia di Luigi XIV la situazione era più complessa. Nel 1672 gli olandesi dovettero far fronte ad una minaccia di attacco, ricorrendo come ultima possibilità difensiva all’apertura delle dighe. Riuscirono a respingere l’attacco francese e, addirittura, con un’abile manovra diplomatica riuscirono ad annullare l’alleanza tra Inghilterra e Francia. Tuttavia, furono proprio le tensioni militari a provocare un cambiamento alla guida dell’Olanda. Venne scelto un partito militarista, guidato da Guglielmo III d’Orange, al posto di de Witt. Ottenuti i pieni poteri, egli adottò una politica antifrancese, stringendo rapporti con l’Inghilterra. Sposata Maria Stuart, egli si inserì nel dibattito inglese tra chi voleva la continuità della monarchia anglicana e chi voleva una restaurazione cattolica. La vittoria del Parlamento inglese nella Gloriosa Rivoluzione del 1689 comportò il passaggio di Guglielmo III d’Orange sul trono inglese, in nome di quel Bill of Rights, fondamento della nuova monarchia parlamentare. In questi ultimi anni del 600, quindi, l’Olanda rappresentò un’alternativa al modello di monarchia assoluta, rappresentando un esempio ben riuscito di repubblica federale, aperta al commercio e al mare, tollerante e colta. 4. Un'epopea militare: la Svezia Anche la Svezia rappresenta un caso di come la Riforma abbia contribuito alla creazione di un grande complesso statale e di come la Guerra dei 30 anni ha rappresentato un’ulteriore occasione di espansione. La salita al trono di Gustavo I Vasa aveva portato grandi cambiamenti nella storia del paese scandinavo. Egli introdusse i principi del luteranesimo, incamerò i beni ecclesiastici e riuscì, anche, a rendere ereditaria la corona. La dottrina luterana, anche in questo caso, servì per rafforzare il potere centrale. Tuttavia, fu a partire dalla Guerra dei 30 anni, che la Svezia iniziò a giocare un ruolo determinante a livello continentale. Fino alla morte di Carlo XII (1718), la dinastia Vasa perseguì un’incessante politica di espansione, soprattutto nell’area del Baltico e della Germania del Nord. A sostenere il sogno imperiale dei Vasa avevano contribuito, tra 500 e 600, diversi fattori: - Buona situazione economica del paese, ricco di miniere e aperto ai commerci con gli altri paesi. - Misure di politica economica e interna di Gustavo II Vasa. Su queste basi, Gustavo II poté esprimere le sue doti di grande condottiero nell’Europa di primo 600. Egli riformò l’esercito che non era più formato da mercenari, bensì da sudditi svedesi, guidati da ufficiali scelti per merito. Inoltre, egli basò le sue strategie militari sull’uso delle armi da fuoco. Egli fu protagonista della guerra dei 30 anni, in quanto si schierò a difesa della religione protestante e fu in conflitto con gli Asburgo per il dominio del Baltico. Alla morte di carlo XII (1718) finiva la dinastia Vasa, che era riuscita a rendere protagonista la Svezia in Europa, grazie alla politica militare ed espansionistica. Iniziò poi la cosiddetta “era delle libertà”, alla quale avrebbe posto fine il colpo di stato di Gustavo III (1771). 5. “La repubblica coronata”: la Polonia tra 500 e 600 La Polonia rappresentava il più vasto stato europeo, ma ebbe una storia per molti versi anomala, rispetto alle altre monarchie europee. I nobili videro un importante accrescimento dei propri poteri, nel corso del 500: nel 1505, i sovrani cedettero all’assemblea dei nobili il potere legislativo e, nel 1572, la stessa assemblea elesse come nuovo sovrano Enrico di Valois (futuro re di Francia). Quest'ultimo approvò delle leggi che garantivano ai nobili autonomia politica e di culto. Il regno di Sigismondo Vasa (dal 1582) segnò un’inversione di rotta nei metodi di governo. Infatti, venne promossa un’intensa azione di ricattolicizzazione della Polonia, nel segno della Controriforma. Così, nel corso del 600, la Polonia diventerà, grazie in particolare all’azione dei gesuiti, il nuovo baluardo della religione cattolica. La Polonia era il paese europeo con il più alto numero di nobili. Essi erano divisi in: magnati (grandi proprietari terrieri di origine feudale) e piccola nobiltà, la quale era particolarmente divisa al suo interno. Il modello politico polacco, con il potere in mano ai nobili, portò parecchia instabilità e dipendenza dalle potenze europee, le quali riuscivano a far eleggere il proprio candidato, nelle vesti di sovrano. Ad aggravare la situazione contribuiva il liberum veto, ovvero il diritto di ciascun membro dell’assemblea di bloccare ogni delibera che non avesse l’unanimità. 6. Gli zar delle Russie: da Ivan IV al consolidarsi della dinastia Romanov Nell'Europa centro-orientale, all’inizio del 500, l’impero russo non era ancora definito nelle sue dimensioni territoriali e nei suoi assetti politico-istituzionali. Le vicende della Russia rappresentano un esempio di formazione di una realtà statale, per molti versi simile a quello di altre monarchie europee. L'impero russo trovò nelle battaglie contro i turchi e i mongoli, una precisa identità e coesione. Tuttavia, non mancarono volontà di alcuni sovrani di avviare un processo di occidentalizzazione. Un ruolo molto importante nella formazione dell’impero venne svolto dal lungo regno di Ivan IV il Terribile. Egli continuò la politica di espansione, iniziata dai suoi predecessori. Di grande rilievo fu la politica interna, che lo portò all’incoronazione come primo zar delle Russie. Il suo obiettivo principale era la riduzione del ruolo dei boiardi, contro cui prese precise iniziative: creò un’assemblea opposta alla duma, reclutò un esercito non controllato dai boiardi e riformò l’aspetto amministrativo, assicurando allo zar il pieno governo di alcune regioni-chiave, mentre lasciava le altre sotto il controllo della duma. Iniziò, così, a formarsi quella nobiltà di servizio tipica della Russia in età moderna. Il lungo regno di Ivan IV sembrò seguire le orme delle altre monarchie: energico e deciso accentramento dei poteri a discapito dei poteri locali tradizionali. Dall'altra parte, però, Ivan IV prese anche iniziative importanti a favore dei boiardi, come un appesantimento della servitù della gleba. Nel tempo, i boiardi riuscirono ad acquisire sempre più influenza, riuscendo ai primi del 600 a far incoronare zar i sovrani di Polonia (periodo dei torbidi). A quel punto venne cambiata la tattica, per quanto riguarda la politica di espansione: infatti, si indirizzarono tutti gli sforzi verso Oriente e non più verso Occidente. Proprio in quegli anni venne conquistata la Siberia. La crisi provocata dalla morte di Ivan IV venne risolta con l’ascesa di Michele Romanov, primo di una dinastia destinata a governare fino al 1917. Una volta bloccate le mire espansionistiche di Polonia e Svezia, i tre sovrani strategia divenne insostenibile, in quanto la Spagna pagava buona parte delle sue entrate nel pagamento di interessi sul debito pubblico. Tutta questa situazione portò ad una convergenza di interessi tra i sovrani e gli aristocratici, specie finanziatori. I membri delle élite trovarono nella corte una possibilità di promozione e legittimazione politica. Una funzione di amalgama tra i ceti elevati della popolazione venne svolto, nel 600, dalla corte di Madrid, la nuova capitale scelta per la posizione centrale. A corte si formarono i vari equilibri di interesse della monarchia, intorno al sovrano e al suo valido (primo ministro). In questo ambito, la figura del valido poteva portare grandi cambiamenti nel sistema di governo. Per quanto riguarda il resto della società, la coesione derivava dalla “limpieza de sangre”, ovvero la rivendicazione di una comune genealogia cattolica delle persone spagnole, elemento che creò un forte senso di appartenenza. Un aspetto che ha sicuramente caratterizzato la Spagna dell’età moderna è la forza di tenuta, che le ha permesso di superare fasi molto buie, ma anche di affrontare complessi processi di ridefinizione del proprio assetto. La Guerra dei 30 anni portò relativi cambiamenti nella monarchia: da un lato, vennero ricomposti i rapporti con la Catalogna, mentre dall’altro la Spagna perse il Portogallo che si rese indipendente sotto la dinastia dei Braganza, con l’aiuto della Francia. Anche nel sud Italia si verificarono forti rivolte contro la monarchia. Tutti questi episodi hanno avuto in comune l’esigenza di un nuovo rapporto tra la monarchia e le varie parti che la componevano, in un contesto segnato dall’esaurirsi del ruolo imperiale della Spagna. 9. Quiete e tensioni nell’Italia della Pax ispanica La fase della quiete in Italia va dalla metà del 500 ai primi decenni del 600. In questo clima si delinearono quelle strutture statali, in corso di formazione durante le Guerre d’Italia. In quasi tutti gli stati si continuò a rafforzare il sistema di poteri, capace di legare il potere centrali alle varie realtà locali. Sono questi i decenni in cui i ceti dirigenti si organizzarono come oligarchie nobiliari, trovando legittimità in riforme che diedero loro il monopolio del potere. Alla metà del 600, l’Italia appariva come un grande laboratorio politico e culturale. Tuttavia, la formula della “pax ispanica” non esaurisce le vicende italiane. Una prima testimonianza di ciò è data dai granduchi medicei, che approfittarono dell’affermazione in Francia di Enrico IV, per rivendicare maggiore autonomia, nei confronti della Spagna. L'interdetto di Paolo V a Venezia rappresenta il primo episodio significativo di crisi ideologico-politica dopo il Concilio di Trento. L'episodio aprì un vero e proprio contrasto tra Venezia e il papato, in particolare per l’atteggiamento del patriziato veneziano che voleva difendere, ad ogni costo, la giurisdizione di Venezia. Questo contrasto venne risolto solo con l’intervento di altre potenze europee. Una seconda vicenda che scuote gli equilibri italiani è la successione al Ducato di Mantova, occasione in cui viene definitivamente riconosciuta la forza della Francia. In questo quadro vanno collocate le vicende dei domini italiani spagnoli. Mentre il Ducato di Milano rappresentò un caso di tenuta di accordi tra la monarchia e i ceti dirigenti dello stato, le rivolte nell’Italia meridionale (Napoli e Palermo) rivelarono l’emergere di gravi problemi economici e politici. Particolarmente rilevante è la rivolta di Napoli, la quale, nonostante la breve durata, seppe dar vita ad un dibattito politico e ideologico. Il quadro di relativa stabilità sembra mutare con il passaggio al secolo successivo. La mancanza di eredi al sovrano di Spagna faceva prevedere la scomparsa della dinastia Asburgo dalla Spagna, ma anche l’inizio di un periodo di incertezza. In questo contesto la pressione della monarchia asburgica si fece sempre più pesante sugli stati italiani. La guerra per la successione al trono spagnolo scoppiò nel 1700 e coinvolse Borbone e Asburgo. 10. La Francia da Enrico IV al Grand Siècle Nella prima fase della guerra dei 30 anni, la Francia guidata da Luigi XIII e dal potente cardinale- ministro Richelieu, puntò al rafforzamento dell’autorità monarchica, in vista di un nuovo ruolo di protagonista della Francia fuori dai suoi confini. Inoltre, essa si allineò alle politiche delle altre potenze, orientate alla creazione di un impero coloniale. Nel campo della politica interna, si procedette alla riduzione del ruolo della nobiltà feudale e alla riduzione dell’autonomia religiosa che l’editto di Nantes riconosceva gli ugonotti. In questo modo, anche la Francia cercava di perseguire il rafforzamento della monarchia tramite l’uniformità religiosa. Richelieu promosse l’assedio di La Rochelle contro gli ugonotti, al termine del quale venne modificato l’editto di Nantes, che ora non riconosceva più agli ugonotti la possibilità di avere un esercito autonomo e il possesso delle piazzeforti. La politica perseguita dal cardinale comportò un aumento del carico fiscale e, di conseguenza, delle tensioni sociali. Alla morte del sovrano e del cardinale, in Francia sembrava iniziare un periodo di incertezza, legato alla giovane età del nuovo sovrano Luigi XIV e alla presenza della Reggenza. L'unico elemento di continuità era la presenza del cardinal Mazzarino al vertice del governo. Mazzarino puntò sul rafforzamento del ruolo della Francia in Europa, sfruttando le debolezze e difficoltà delle altre potenze, come Inghilterra e Province Unite. Al successo nella politica internazionale era accompagnata una difficile politica interna, legata ai problemi finanziari portati dalla Guerra dei 30 anni. Diversamente dalle rivolte che, in quegli stessi anni, affliggevano la Spagna, la crisi politica francese si manifestò come opposizione dei parlamenti al sovrano e alla sua volontà di esercitare una maggiore pressione fiscale: furono queste le basi della Fronda, nel corso del quale i parlamenti parigini guidarono l’opposizione nei confronti del sovrano. All'inasprirsi del contrasto, sia il giovane sovrano, sia Mazzarino dovettero abbandonare la Francia e concedere la costituzione di Saint-Germain con la quale venivano accolte molte delle richieste dei parlamenti. A queste concessioni si oppose l’aristocrazia, che vedeva i suoi poteri ridursi. Si verificò, così, una seconda fronda, che a differenza della prima, non aveva un programma politico alla base, quanto piuttosto la tutela dei privilegi. Solo dopo la vittoria dell’esercito reale, il sovrano e Mazzarino tornarono in Francia. In questo modo, il paese superava le fronde con un potere e un prestigio ancora più solidi che all’inizio. La morte di Mazzarino diede il via al lungo regno personale di Luigi XIV, destinato a trasformare definitivamente la Francia in una potenza in una fase di ampi cambiamenti a livello continentale. In primis, il regno di Luigi XIV è molto diverso nell’esercizio del potere: esso è saldamente nelle mani del sovrano, con il supporto dei vari ministri. Tra questi, il più rilevante fu sicuramente Colbert (ministro delle finanze). Egli avviò un grandioso progetto di risanazione delle finanze statali e di sviluppo economico; elemento centrale fu il riassetto dei dazi doganali, volto a favorire la crescita delle esportazioni e alla protezione dei prodotti francesi. Colbert sviluppò l’agricoltura, così come il commercio. Tuttavia, i suoi progetti avevano l’obiettivo di raggiungere risultati nel breve periodo, non tanto la creazione di un’economia di lungo periodo. In quegli anni, la monarchia francese si occupò si un deciso rafforzamento dell’esercito e, non a caso, in quel periodo la Francia poté vantare dei capi militari di livello assoluto. In conclusione, la Francia arrivò alla fine del regno di Luigi XIV stremata sotto ogni punto di vista e con il suo ruolo in Europa ridimensionato, in parte a causa del grandioso sviluppo inglese. La Francia era ora un paese uniformemente cattolico, grazie all’editto di Fontainebleau, che portò a termine il processo iniziato da Richelieu. 11. L'Inghilterra: dagli Stuart alla Gloriosa Rivoluzione L'Inghilterra del 600 rappresentava, nel panorama europeo, l’esempio più significativo di trasformazioni politiche e sociali. L'ascesa alla corona di Giacomo I Stuart (1603) comportò l’unione personale dei due regni, i quali però, diventeranno il moderno Regno Unito solo nel 1707. Giacomo I adottò uno stile di governo differente rispetto a Elisabetta I. egli optò per un governo assolutistico. Sul piano della politica estera, all contrario di Elisabetta I, non fu in grado di gestire Francia e Spagna, scontentandole entrambe. Le sue teorie politiche sul diritto divino dei re finirono con lo scontentare i cattolici. Egli si trovò spesso in contrasto con il parlamento, specie in ambito fiscale e decise, quindi, di non convocarlo, in determinate situazioni. Per contrastare le richieste e il potere crescente della Camera dei Comuni, il sovrano cercò di perseguire una strada simile a Spagna e Francia: gestione diretta del governo, corte come centro di potere, il ruolo centrale del “primo ministro” e la promozione di un’aristocrazia il cui titolo derivava dal fenomeno della venalità. Alla sua morte, Giacomo I lasciò un regno decisamente impoverito per gli sperperi e la corruzione della corte, oltre che indebolito sul piano internazionale. In questo contesto stava già montando una forte opposizione alla corona, che avrebbe condotto alla Gloriosa Rivoluzione. Il suo successore, Carlo I adottò un’approccio ancora più assoluto: sciolse il parlamento e avviò una forte repressione politica e religiosa. CAPITOLO 3 – DAGLI STATI ALLE NAZIONI 1. Linee di lettura Nel corso del XVIII secolo si attuarono profonde trasformazioni negli assetti politici e istituzionali, in risposta alle nuove esigenze di maggiore controllo dei territori e di una maggiore efficienza dei metodi di governo. Al tempo stesso, si sviluppa una nuova concezione della società, che vede al centro l’individuo. È su queste basi che si formerà, nel corso del secolo successivo, l’idea di stato- nazione e i nuovi valori di nazionalità. 2. Equilibrio e guerre nell’Europa del 700 A partire dai primi anni del 700, inizia a delinearsi un quadro delle potenze differente. In primis, vi è la crisi spagnola, aggravata dalla morte senza eredi di Carlo II d’Asburgo. Già dagli anni 80 del secolo precedente, si era aperto in Spagna il dibattito sulla successione. Gli Asburgo di Vienna, in nome dei diritti dinastici chiedevano che la maggior parte dei domini spagnoli fossero distribuiti ad un membro della famiglia austriaca. Ad opporsi a ciò vi era, in primis, la Francia di Luigi XIV, il quale aveva mire notevolmente espansionistiche, ma anche una serie di realtà minori come i Savoia. Dopo un compromesso mediato da Inghilterra e Olanda, si decise di nominare erede di Carlo II, il duca d’Angiò, Filippo, nipote del sovrano francese, a patto che rinunciasse ad ogni pretesa sul trono di Francia. Si insediava così Filippo V, il quale trovò subito l’opposizione degli Asburgo. Essi, insieme a Olanda e Inghilterra, nel 1703, davano inizio alla guerra di successione spagnola. Le due potenze coloniali impegnarono le loro flotte a fianco degli Asburgo. L'azione congiunta di queste potenze permise di occupare diversi territori spagnoli. Fu rilevante l’appoggio del Ducato di Savoia che, tra 1706-07 conquistò Torino, la Lombardia e Napoli. Nel frattempo, la flotta inglese assicurava l dominio sui mari e permetteva l’occupazione di punti strategici, come Gibilterra. Tuttavia, il fronte alleato stava iniziando a dimostrare segni di difficoltà: infatti, la nuova maggioranza tory nel parlamento inglese stava spingendo per un disimpegno inglese nel conflitto. Con la morte dell’imperatore Giuseppe I Asburgo, si insediò al trono imperiale Carlo VI. A quel punto vennero avviate le trattative di pace tra le potenze coinvolte. La Pace di Rastatt del 1714 riconosceva ai Borbone il possesso della Spagna e delle colonie, ma il sovrano spagnolo non avrebbe potuto rivendicare diritti sulla corona francese. A Carlo VI d’Asburgo venne riconosciuto il possesso di importanti territori italiani, come Milano, Napoli, Mantova e Sardegna: in questo modo l’impero asburgico divenne un imponente complesso territoriale. I Savoia ottennero alcuni territori e l’ambito titolo regio. L'Inghilterra ottenne grandi cose da questo conflitto: manteneva il possesso dei territori strategici per il controllo del Mediterraneo, otteneva alcuni territori del Nord America e inoltre, dalla Spagna il monopolio della tratta degli schiavi. Infine, l’Olanda si garantiva i propri confini meridionali con il possesso di alcune piazzeforti. Tuttavia, gli equilibri garantiti da questa pace non durarono a lungo. Nel 1717 venne promossa un’azione militare dalla Spagna, allo scopo di riconquistare la Sardegna e la Sicilia, che vennero occupate. Questo attacco suscitò la formazione della Quadruplice Alleanza, composta dagli alleati della guerra per la successione al trono. La riconquista dei territori Particolarmente ampio e contraddittorio è il quadro delle riforme di Giuseppe II d’Asburgo: l’abolizione della servitù della gleba in Ungheria e Boemia provocarono forti proteste. La situazione si aggravò notevolmente quando alle rivolte si aggiungevano i Paesi Bassi in opposizione alle riforme religiose. La sorella dell’imperatore, governatrice dei Paesi Bassi venne cacciata. Quindi, l’ammontare della rivolta ungherese, sommata alla situazione nei Paesi Bassi indusse l’imperatore a revocare tutti i decreti di riforma. In Russia non mancarono le opposizioni alle riforme di Caterina II. Agli inasprimenti fiscali e alle immediate difficoltà, la zarina sciolse la commissione istituita l’anno precedente per proporre un programma di riforme, in un contesto dove il malcontento popolare stava aumentando. L'aperta rivolta di un cosacco, che si credeva lo zar Pietro III risorto, riuscì a sollevare una rivolta nell’Ural. Estesa al nord, questa rivolta assunse le dimensioni di una guerra contadina; tuttavia, nel 1774, l’intervento di una grande forza militare russa pose fine alle rivolte. Appare quindi evidente come, le riforme del secondo 700, pur incidendo sui vari modelli europei, rivelava le contraddizioni di sistemi in cui, solo un’importante frattura politico-sociale avrebbe portato a nuove soluzioni. 5. Le rivoluzioni. Uno sguardo storiografico Guardando al 700, gli Stati Uniti possono apparire come il laboratorio di nuove forme politiche e, in generale, di forme di organizzazione dello stato. Tuttavia, considerando il peso della storia, particolare importanza ha la Rivoluzione francese e il suo significato. Il valore di profonda rottura della società francese non doveva nascondere i motivi di continuità che caratterizzavano l’evoluzione della Francia, in particolare quella crescita dell’autorità pubblica, cardine dell’età moderna. Sotto questo punto, l’evolversi della Rivoluzione si dimostrò coerente, con l’abolizione delle istituzioni feudali. Entrambe le rivoluzioni permisero il completo disvelarsi della società borghese, che avrebbe rappresentato, a partire dall’800, il metro del dibattito politico e culturale. La rivoluzione americana avrebbe, invece, contribuito in modo fondamentale alla gestazione della società moderna occidentale, caratterizzata da: legittimazione dell’individualismo, uguaglianza e repubblicanesimo, inteso come partecipazione diretta alla res publica. 6. La rivoluzione americana Nell'America del nord, il dominio inglese si era fortemente consolidato, nel corso del 600. Accanto le colonie di origine regia, vi erano altre colonie costituite da dissidenti religiosi. Nel corso del secolo, queste colonie conobbero un importante sviluppo demografico ed economico, ma anche una maggiore articolazione sociale. I rapporti tra l’Inghilterra e le colonie si aggravarono quando, dopo la guerra dei 7 anni, la corona cercò di scaricare il peso fiscale dell’esercito sui coloni. Immediata fu la risposta dei coloni, nell’ambito dei quali si diffuse il motto “no taxation without representation”, ovvero che è impensabile che un popolo debba pagare imposte che non ha votato direttamente o indirettamente. La tensione accumulata dal susseguirsi di nuove imposte si manifestò sotto forma di boicottaggio delle merci inglesi: celebre l’episodio del Boston Tea Party). All'adozione di manovre costituzionali più restrittive, i coloni risposero con la costituzione di congressi provinciali, che esautoravano l’autorità della corona. Nell'ottobre del 1774 venne approvata, a Filadelfia, la dichiarazione dei diritti delle colonie. La decisione inglese di schierare un esercito per reprimere gli oppositori spinse i coloni ad organizzare un proprio esercito, guidato da George Washington (un ricco proprietario della Virginia). Nel 1776 i porti degli Stati Uniti vennero aperti a tutte le nazioni e, il 4 luglio, il congresso continentale di Filadelfia adottò la Dichiarazione d’indipendenza. Essa fu redatta da 5 rappresentanti. Il testo è diviso in 5 parti: - Preambolo - Richiamo ai diritti inalienabili e al diritto di ogni nazione di scegliere un proprio governo. - Una parte molto lunga di accuse contro Re Giorgio - La descrizione di una serie di tentativi delle colonie di ottenere riparazione dei torti subiti - La proclamazione formale d’indipendenza. In questa prima fase, significativo fu il contributo Franklin, personaggio già noto per i suoi illuminanti studi sull’elettricità. Egli, dopo l’emanazione della Dichiarazione, si recò a Londra e Parigi a cercare supporto alla causa e, ad assicurarsi l’appoggio politico e militare della Francia. La guerra tra colonie e Inghilterra termina ufficialmente nel 1783 con la Pace di Versailles. 7. La nascita degli Stati Uniti d’America Nel 1777 il Congresso di Filadelfia propose un abbozzo di costituzione federale: esso affidava ad un governo centrale, il congresso, pochi e deboli poteri. Dall'altra parte, avevamo dei forti stati locali, dotati di esecutivo, costituzione e congresso propri. 10 anni dopo, su proposta di Washington, si decise di rivedere la costituzione, nell’ottica di maggiore potere al governo centrale. Dal punto di vista politico, vi era una divisione tra nord e sud, soprattutto sulla politica economica: al nord, dove vi erano le manifatture americane, erano favorevoli ad una politica protezionistica; al sud, invece, dove andavano forte le esportazioni, erano favorevoli al libero mercato. Alla fine, il Congresso raggiunse un compromesso. La costituzione prevedeva un Congresso, diviso in due parti: - Senato: composto da due membri per stato. Rappresenta gli interessi dei vari stati. - Camera dei rappresentanti: rappresentava la popolazione americana Inoltre, vi era un potere esecutivo, detenuto dal presidente degli USA, il quale era dotato di vasti poteri ed era eletto a suffragio universale maschile, attraverso un sistema di doppio grado, basato sui grandi elettori di ogni stato. Infine, era presente un potere giudiziario autonomo, la Corte Suprema, i cui membri erano eletti a vita dal presidente. La stessa costituzione stabiliva che il presidente non poteva essere sfiduciato dal congresso, il quale non poteva essere sciolto dal presidente: in questo modo si realizzava un equilibrio di poteri. Un elemento fondamentale è che questa costituzione assicurava una netta separazione tra stato e chiesa. Le prime elezioni si svolsero nel 1789 e George Washington fu eletto primo presidente. Fu molto importante l’operato di Hamilton, ovvero il segretario di stato del tesoro.: egli era un convinto sostenitore di un ruolo attivo dello stato nell’economia. Egli istituì una banca centrale e attuò una politica doganale, a protezione della manifattura americana. Queste scelte portarono contrasti nel partito federalista, dal quale alcuni esponenti si staccano per dare vita al partito repubblicano. In questi primi dieci anni di Stati Uniti, si lavorò per la costruzione di una capitale, simbolo della nazione. La scelta del luogo fu affidata al presidente. Egli indicò un punto sulle rive del fiume Potomac, considerato punto centrale della nazione e, lì venne costruita la capitale che prese il nome dello stesso presidente Washington. 8. In Francia: dalla crisi politica alla Rivoluzione Anche nella Francia post-guerra dei 7 anni, le riforme politiche e fiscali erano al centro del dibattito. Si tentò di dare una risposta ai tanti interrogativi con la convocazione degli stati generali, nel 1789. Esso era il più antico organo di rappresentanza dei ceti: assai complesso era il sistema di elezione per il terzo stato. In ciascuna assemblea dei ceti erano presenti i cahier de doléances, contenenti le denunce e le proposte degli elettori. Tra queste, comune era la richiesta di leggi che limitassero i poteri del sovrano e che dessero ai rappresentanti delle varie località potere di concorrere all’approvazione delle imposte. Altre richieste comuni erano la riforma della giustizia e quella fiscale, oltre che le garanzie delle libertà fondamentali. Nei mesi precedenti la convocazione degli stati generali, la tensione stava crescendo. Ad aggravare lo scenario contribuivano le tensioni nelle campagne. In questo clima, il 5/5/1789 si aprirono gli stati generali. Vista l’impossibilità di trovare un accordo, i rappresentanti del terzo stato e alcuni nobili si proclamarono assemblea nazionale. È questo il succo del famoso “Giuramento della pallacorda” (1789). Nel frattempo, le tensioni nelle campagne si stavano inasprendo e nell’estate dello stesso anno sfociarono in diffuse rivolte. Il sovrano decise di schierare le truppe e la paura di un colpo di stato militare fece precipitare la situazione, portando fino alla presa della Bastiglia (14/7/1789), la prigione più importante. Si aprivano così gli anni della Rivoluzione francese. Determinante fu la volontà dell’assemblea nazionale di comporre un testo costituzionale, anche se già da qualche tempo era in discussione una Dichiarazione dei diritti fondamentali. In questo modo, venne decretata la fine del regime feudale, tenendo sempre ben presente che, in questo modo, si distruggeva l’antico regime. I decreti dell’agosto 1789 portarono notevoli cambiamenti: abolizione degli obblighi su persone e terre, soppressione della venalità delle cariche, imposte proporzionali, cancellazione dei privilegi e, infine, che tutti i cittadini maschi potevano essere ammessi alle cariche pubbliche, senza distinzione alcuna. Queste furono le premesse della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (emanata il 27/8/1789 e si ispirava alla dichiarazione americana). L'assemblea, nella paura di una riorganizzazione del sovrano, decise di trasferire la corte e l’assemblea a Parigi. Nonostante ciò, le tensioni erano sempre alte e, proprio in quei giorni, un gruppo di donne in protesta si diresse verso Versailles per spostare la famiglia reale con la forza. A questo punto, è chiaro il ruolo coperto dall’elemento folla, in grado di spostare gli equilibri della vita politica. 9. Una nuova realtà politica Nel gennaio 1790 l’assemblea nazionale procedeva ad una completa riorganizzazione politica e amministrativa del territorio, da cui traspariva la decisa volontà di rompere con la monarchia. Ai nuovi assetti corrispondeva una realtà politica che trovava espressione nei club, sostenitori delle varie idee politiche. A Parigi, la nuova amministrazione era divisa in 48 sezioni, mentre a livello provinciale si trovavano le sedi periferiche dei club delle città. Il club più rilevante era quello dei giacobini, al cui interno particolarmente autorevole era Robespierre. Nel primo anno di vita dell’assemblea nazionale si provvide alla riforma della giustizia. Tuttavia, una questione centrale restava il problema delle finanze del regno. Per risolvere il problema, l’assemblea decise di sequestrare i beni della chiesa e di emettere titoli di stato; dall’altra parte, lo stato francese si occupava del mantenimento degli ecclesiastici, delle spese di culto e dell’assistenza ai poveri. In seguito, l’assemblea optò per la costituzione civile del clero: in questo modo essi sarebbero stati votati dagli arcivescovi metropolitani e non più dal papa. In questo modo, ci si muoveva nella direzione di una chiesa nazionale. Ovviamente, non mancò la reazione di Roma, alla quale la Francia rispose con l’occupazione di Avignone. Sul versante economico, i provvedimenti non stavano portando i risultati sperati. Anche l’ostilità delle altre potenze, nei confronti della rivoluzione aggravò l’instabilità francese. Il tentativo della famiglia reale di fuggire all’estero aprì il dibattito su un possibile abbandono della monarchia, in favore di un governo repubblicano. La buona tenuta della maggioranza in assemblea consentì l’approvazione della prima costituzione francese, dove veniva ribadita l’importanza dell’assemblea e il principio della rappresentanza. Essa si basava sul suffragio censitario. 10. Dall'assemblea legislativa alla Convenzione: la Repubblica francese Le nuove elezioni dell’assemblea furono un primo test per la rivoluzione. I membri non potevano essere rieletti e, dopo l’elezione, l’organo era così composto: 264 deputati su 745 erano membri del club foglianti e sedevano a destra. A sinistra vi erano circa 136 membri, molti dei quali facevano parte dei giacobini e, infine, vi era il gruppo più numeroso, ovvero quello di centro. In questo contesto, la guida dell’assemblea fu presa dal gruppo di sinistra, guidato da Brissot, che sembrava il più adatto per affrontare quella situazione delicata. Ad aggravare il quadro contribuì la rivolta della sorelle, che sarebbero servite da cuscinetto, in caso di attacco alla Francia. Una questione di importanza centrale, relativa a questo periodo, riguarda il rapporto con la chiesa. Non solo per la proclamazione della Repubblica di Roma e l’esilio in Francia del papa, ma soprattutto, la complessità e delicatezza riguardo l’applicazione, in Italia, della politica ecclesiastica francese. Sotto questo aspetto, fondamentale fu il contributo di Napoleone, il quale mirò a intese con il clero, sottoponendolo a un rigido controllo politico. Tuttavia, gran parte degli esponenti del clero si schierarono su posizioni conservatrici e controrivoluzionarie. Questo clero controrivoluzionario riuscirà a sollevare le popolazioni italiane contro i nuovi governi, mentre Napoleone era impegnato in Egitto. Il triennio rivoluzionario si concluderà con la cacciata dei francesi dalla penisola e alla restaurazione delle precedenti dinastie. 14. L'avvio del regime napoleonico Nel 1798 Napoleone iniziava la Campagna d’Egitto, considerata un’ottima opportunità per danneggiare gli interessi inglesi. Dall'altra parte, egli voleva trovare nuove ragioni di ascesa politica nella gloria di conquista di un paese esotico. Alla spedizione parteciparono molti scienziati, studiosi e ricercatori, che seppero dare un contributo fondamentale allo studio e all’approfondimento della civiltà egizia. Dopo essersi impadronito di Malta e dell’Egitto, Napoleone subì una scottante sconfitta, da parte della flotta inglese, guidata da Nelson. Nel frattempo, Russia, Austria e Inghilterra stringevano la seconda alleanza antifrancese, preludio di quella campagna d’Italia, destinata a ribaltare nuovamente le sorti della penisola. Nonostante ciò, questo fu un primo momento di difficoltà per la Francia, dove il Direttorio stava perdendo consensi e montava l’opposizione di sinistra. In questo contesto si iniziò a preparare un colpo di stato militare. Tornato in Francia, Napoleone intimava con la forza lo scioglimento dei due consigli legislativi francesi e la consegna dei poteri ad una commissione di tre membri, guidata da lui stesso. Quest'ultima avrebbe dovuto preparare un testo di costituzione, che entrò in vigore alla fine del 1799. Essa era caratterizzata da: una generica riaffermazione dei principi fondamentali di libertà, il suffragio universale maschile era limitato e più indiretto. Il voto si esprimeva in liste, dalle quali il governo avrebbe selezionato i membri delle amministrazioni locali, mentre il senato avrebbe nominato i membri del legislativo, diviso in Tribunato e Corpo legislativo. Il primo discuteva le leggi, il secondo le votava. Un primo cambiamento significativo ci fu con l’istituzione del prefetto, una figura di intermediazione tra governo centrale e le varie località. Dal prefetto dipendevano i sottoprefetti, mentre i sindaci delle città erano di nomina governativa. Era presente un forte corpo di polizia, al quale competeva la lotta contro il crimine, ma anche contro l’opposizione politica. Si diede vita, quindi, ad un solido potere centrale in diretto rapporto con le varie realtà. Questo diventerà il modello di riferimento dello stato moderno, caratterizzato da un’efficiente burocrazia diffusa sul territorio: in particolare, l’istituzione del prefetto ha definitivamente eliminato la struttura di antico regime. Si trattava di una svolta autoritaria che, però, ribadiva alcuni importanti principi che si erano affermati con la Rivoluzione: uguaglianza e merito. Ovviamente, si formò una nuova élite, espressione dei nuovi ceti ricchi della popolazione e dei nuovi vertici politici e amministrativi della Francia. Cardini del nuovo sistema francese divennero: la proprietà, la considerazione del matrimonio come un contratto e una gerarchia di ruoli che garantiva uno spazio di autonomia giuridica alla donna. Il codice civile rinnovato venne esteso a tutti i domini francesi, contribuendo a cambiarne gli assetti. 12. Napoleone imperatore dei francesi La stabilizzazione della costituzione, all’inizio del nuovo secolo, era strettamente legata al ritorno ai successi in campo militare. Nel giugno 1800, alcune importanti vittorie permisero a Napoleone di ristabilire i domini francesi nell’Italia nord-occidentale. Alla fine dell’anno venne firmato un trattato con l’Austria con la quale veniva riconosciuto alla Francia il possesso della riva sinistra del Reno e veniva sanzionata la nuova situazione italiana. 2 anni dopo, la pace con l’Inghilterra restituiva le colonie alla Francia, oltre a Malta. Nel mezzo di queste paci vennero stipulati nuovi accordi con la chiesa, con i quali venne riconosciuto il cattolicesimo come religione della maggioranza dei francesi, ma non come religione di stato. la Francia si sarebbe occupata, anche, del mantenimento degli ecclesiastici. In questo modo, Napoleone stava rafforzando il proprio ruolo di pacificatore e si stava facendo portatore di un nuovo ordine europeo. Nel 1802, il Consiglio di Stato propose di rendere la carica di console vitalizia e di riconoscere, al primo console, il potere di nominare primo e secondo console. In seguito, la scoperta di una congiura nei confronti di Napoleone fu l’occasione per concedere il titolo di imperatore. Così, il 2/12/1804, papa Pio VII a Notre-Dame consegnava la corona imperiale a Napoleone, che con un gesto epocale si autoincoronava imperatore. Già nel 1802, Napoleone aveva apportato significative modifiche all’Italia creando la Repubblica cisalpina, di cui lui stesso era presidente, mentre vicepresidente era il patrizio milanese d’Eril. Nello stesso anno veniva creato il Regno d’Etruria (Toscana). Successivamente, nel 1805, la Consulta (massimo organo di governo italiano) proponeva la creazione di un Regno d’Italia, di cui re era Napoleone. L'anno dopo vennero annesse il Veneto, l’Istria e la Dalmazia; nel 1808 vennero annesse le Marche e l’anno dopo il Trentino e parte del Tirolo. Nel 1807 venne conquistato il regno di Napoli e fu affidato a suo fratello e, successivamente al marito della sorella di Napoleone, a seguito del passaggio di Giuseppe Bonaparte sul trono spagnolo. Nello stesso anno, 1808, napoleone conquistava i territori rimanenti dell’ex stato della chiesa e il papa fu fatto prigioniero. Ogni tappa dell’ascesa politica di Napoleone fu accompagnata da una forte spinta offensiva verso l’esterno. Nel 1803, era riuscito strappare alla Dieta dell’impero asburgico un impegno alla riorganizzazione statale. Si optò per la creazione di stati grandi e piccoli con i primi che controllavano i secondi. Gli stati maggiori erano alleati della Francia: fu questa la fine del Sacro Romano Impero. Sul fronte opposto, riprendeva il conflitto con l’Inghilterra. Il progetto di invasione dell’isola fu presto abbandonato, ma venne stipulata un’alleanza con la Spagna. Tuttavia, verso la fine del 1805, la flotta franco-spagnola venne distrutta da quella inglese, guidata da Nelson nella celebre battaglia di Trafalgar. Nello stesso 1805, le principali potenze europee davano vita ad una terza alleanza contro la Francia. Mentre l’Inghilterra manteneva il controllo sui mari, Napoleone aveva la supremazia sul continente. Dopo una serie di vittorie contro l’esercito asburgico, si apriva la strada per Vienna (1809) e gli Asburgo furono costretti a firmare la pace. Nel frattempo, a maggiore protezione della Francia, Napoleone creò la Confederazione del Reno. In questo scenario Russia e Prussia crearono la quarta coalizione antifrancese (1806). Tuttavia, le truppe prussiane subirono diverse sconfitte e la Prussia perdette molti territori. Discorso analogo in Russia, dove lo zar Alessandro I dovette firmare la pace con la Francia. In conclusione, rimaneva in guerra solo l’Inghilterra. Avendo rinunciato ad ogni piano di invasione dell’isola, Napoleone cercò di vincere sul piano economico. Venne, quindi, instaurato il blocco continentale, ovvero il divieto per l’impero francese e gli alleati di commerciare con l’Inghilterra. Nel 1807, l’occupazione del Portogallo tolse agli inglesi un alleato fondamentale. Tuttavia, l’intervento britannico l’anno seguente (1808) determinò la sconfitta del corpo militare francese. Nel 1809 Napoleone fece incoronare il fratello come re di Spagna, ma incontrò, fin da subito, una forte resistenza. La difficile situazione creatasi in Spagna spinse l’imperatore a nuovi accordi con lo zar, al quale aveva chiesto in sposa la sorella. Intanto, nasceva la quinta coalizione antifrancese tra Inghilterra e Austria (1809). Napoleone, per la seconda volta entrò a Vienna costringendo gli Asburgo alla pace. Ricorrendo alla classica politica matrimoniale, gli Asburgo offrirono in sposa a Napoleone l’arciduchessa Maria Luisa, la quale si sposò con l’imperatore nel 1811. L'impero napoleonico raggiunse, in quel periodo, il massimo della sua espansione. In seguito, peggiorati i rapporti con il nuovo zar, Alessandro I, il quale aveva deciso di non dare in sposa la sorella a Napoleone, che invece, sposò Maria Luisa. Napoleone diede inizio alla campagna militare per la conquista della Russia. L'esercito francese penetrò agilmente nel territorio Russo ed entrò a Mosca; tuttavia, di fronte agli enormi problemi di approvvigionamento dell’esercito, la campagna si trasformò in un vero e proprio disastro militare. Il bilancio fu di circa 500k uomini rimasti uccisi o fatti prigionieri e l’esercito era rimasto senza artiglieria e cavalleria. Nel frattempo, nacque la sesta coalizione antifrancese (1812) e Napoleone organizzò un nuovo esercito. Quest'ultimo fu sconfitto, mentre in Germania, Svizzera e Olanda le popolazioni si ribellavano ai regimi filofrancesi. In Spagna si reinsediarono i Borbone. Le truppe alleate ottennero la vittoria decisiva a Lipsia (1813) ed entrarono a Parigi il 31/3/1814. Il legittimo re di Francia, Luigi XVIII riottenne il trono ed emanò la propria costituzione. La Francia rientrò nei confini precedenti il colpo di stato, mentre a Vienna si teneva una conferenza (1814) per decidere l’ordine europeo. Napoleone fu mandato in esilio presso l’Isola d’Elba e i vecchi sovrani tornarono al potere. In Francia, la fine dell’impero portò una forte crisi economico-sociale. Sfruttando questa situazione, Napoleone riuscì a fuggire dall’esilio e il 20/3/1815 entrò a Parigi con le truppe di soldati fedeli e concesse la costituzione. La carta fu approvata, ma circa la metà degli elettori si astenne: ciò dimostrava la grande perdita di influenza di Napoleone. Le potenze si organizzarono, quindi, nella settima e ultima coalizione, la quale sconfisse definitivamente Napoleone a Waterloo (Belgio), il 18/6/1815. Bonaparte questa volta fu mandato in esilio a Sant’Elena, una sperduta isola dell’Atlantico, dove visse fino alla morte. CAPITOLO 3 – RELIGIONE E CULTURA NELL’EUROPA MODERNA 1. Linee di lettura L'aspetto religioso e quello culturale sono centrali per tutta l’età moderna. La contrapposizione tra un’Europa protestante ed una cattolica diede luogo a persecuzioni e conflitti sanguinosi. Nel frattempo, si visse un rafforzamento di entrambe le confessioni. La chiesa cattolica, in particolare, dopo il Concilio di Trento, creò istituzioni e strumenti, come l’inquisizione o la censura, che consentiranno un progressivo controllo sui comportamenti religiosi e morali. Oltre ai conflitti interni al mondo cristiano, non bisogna dimenticare le persecuzioni nei confronti delle minoranze non cristiane, soprattutto islamici ed ebrei. Particolarmente interessanti sono, nel mondo cattolico, i nuovi rapporti tra chiesa e stati, con la prima che cercò costantemente nuovi metodi di autonomia e intervento. La conclusione della Guerra dei 30 anni fu una sorta di spartiacque sotto il profilo religioso. Non solo si accentuò il distacco tra chiesa e politica con l’esclusione del papa dalle trattative di pace, ma si avviò definitivamente il grande processo di secolarizzazione, iniziato nel 500, con le nuove scoperte scientifiche. Il 700 fu un secolo molto rilevante grazie alle politiche di sovrani illuminati che soppressero istituzioni ecclesiastiche, ridussero i privilegi della chiesa, ma anche la sua possibilità di intervento tradizionale. I provvedimenti vennero poi estesi alle altre confessioni cristiane. Nonostante i tentativi di riforma, la crisi della chiesa cattolica toccò il punto più alto nei periodi rivoluzionari. Questo processo continuò durante l’impero napoleonico e successivamente, nel periodo della Restaurazione. Questa tendenza portò a nuove intese con la chiesa, nei primi anni dell’800. Questo generale processo di laicizzazione della società è accompagnato dallo sviluppo di nuove organizzazioni politico-istituzionali e dallo sviluppo del pensiero liberale. È significativo notare, in questo contesto, l’espansione della chiesa nei continenti extraeuropei, soprattutto in quello africano, dall’800. A partire dal XV secolo, si sviluppano alcuni elementi della società contemporanea: l’esistenza di un’opinione pubblica, l’organizzazione della produzione intellettuale, l’affermazione di nuovi strumenti di comunicazione, come i periodici e, infine, lo sviluppo dell’istruzione. Gli storici si sono concentrati maggiormente sulle rivoluzioni che hanno caratterizzato questo periodo e la storia futura dell’umanità. Un punto di partenza è l’invenzione della stampa, nella seconda metà del 400, che ha contribuito a rompere le barriere culturali. Si è, quindi, sviluppata una cultura alta e una cultura popolare. La frattura religiosa del primo 500 è stato un ulteriore momento di evoluzione, ma allo stesso tempo di rottura. Infine, un ultimo aspetto rilevante Il secondo movimento protestante, destinato a riscuotere notevole e duraturo successo è il calvinismo. Esso è caratterizzato da un movimento di riforma tendenzialmente moderato, sotto il profilo teologico e dottrinale, ma portatore di un sistema fortemente coeso. Il movimento vede le sue origini nella persona di Calvino. Formatosi in Francia, era fuggito da Parigi per motivazioni religiose. Nel 1536 arrivò a Ginevra, dove fu impegnato in una complessa opera di mediazione tra i magistrati cittadini e i movimenti riformatori. Venne, poi, allontanato dalla città per farci ritorno qualche tempo dopo. Nel 1541 emanava un documento che configurava un modello di chiesa e di organizzazione civile. La caratteristica principale era la gerarchia dei fedeli, al cui vertice era presente il concistoro, composto da anziani e ministri. Questo connubio tra autorità civili ed ecclesiastiche portò una significativa compattezza al movimento, capace di una prodigiosa espansione, ma anche di un irrigidimento delle sue posizioni. Per questi motivi, la diffusione del calvinismo portò diversi conflitti e tensioni. La traduzione in pratica dei principi calvinisti comportava la necessità della presenza nella scena politica, sociale e religiosa di calvinisti. Di conseguenza, si formava una sorta di contropotere che si opponeva a quello ufficiale. Questa presenza attiva della società dei calvinisti è diretta conseguenza del pensiero sulla predestinazione. Questi elementi, successivamente, vennero ripresi dal sociologo Weber, il quale voleva trovare delle connessioni tra il movimento calvinista e lo sviluppo del capitalismo. Nel secondo 500, la diffusione in Europa del calvinismo fu in contemporanea del verificarsi di grandi sconvolgimenti politici che si risolveranno, solo alla fine del secolo. In Francia, i calvinisti vennero riconosciuti con l’editto di Nantes; i Paesi Bassi vennero divisi in nord e sud, ovvero tra cattolici e protestanti; in Inghilterra, invece, il calvinismo si diffuse nell’ambito della confessione anglicana. Lo scontro tra calvinisti e cattolici riprese nella prima metà del 1600, a causa della politica di riconquista cattolica di Ferdinando II Asburgo. Tutto ciò provocò la rivolta in Boemia, scintilla da cui iniziò la Guerra dei 30 anni, che si concluderà nel 1648 con la pace di Vestfalia. 7. Fermenti religiosi nella chiesa e nell’Italia della prima metà del 500 Durante il 500 ci fu il passaggio dalla chiesa cattolica medievale a quella moderna, incentrata sempre di più sulla figura del papa e su un rigido controllo delle manifestazioni culturali, religiose e morali. Non bisogna confondersi e considerare il periodo del Concilio come l’unico periodo di riforma, in quanto esso ha rappresentato solo una fase di un processo molto più lungo e articolato. Idee e progetti di riforma erano già stati discussi dai vertici della chiesa, prima della rottura luterana. Questi orientamenti non riguardavano solo i vertici della curia, ma erano espressione delle posizioni che emergevano nei circoli dei vari territori. Questi circoli erano luoghi in cui, cultura, religione e politica si intrecciavano tra loro, dove il tema della riforma religiosa era centrale e dove la tematica riguardo la salvezza animava i dibattiti. L'istituzione di Sant’Uffizio e Inquisizione rappresentò una rottura definitiva tra cattolici e protestanti, dove anche questi ultimi si stavano irrigidendo sulle loro posizioni. Tuttavia, questi primi 40 anni del 500 rappresentarono la chiusura di un dibattito e scontri religiosi, che, in Italia, si erano tradotti nella nascita di tante nuove chiese. Queste chiese non scomparvero mai del tutto, ma sopravvissero in contesti più ridotti: rilevante è il caso di Ferrara, in cui questi movimenti erano appoggiati dalla dinastia regnante. Una parte dei protagonisti di questi movimenti si stabilirono nei territori protestanti, spesso inserendosi ai vertici delle nuove chiese. Un'altra parte tradì le proprie convinzioni e si dedicò alla dissimulazione religiosa. La maggior parte, però, partecipò attivamente al dibattito sul Concilio di Trento. Tra questi, alcuni saranno soggetti all’Inquisizione, mentre altri troveranno un ruolo nella chiesa cattolica riformata. In questo quadro di contrasti religiosi, molto rilevante è stato il contributo dei vari ordini, in particolare i gesuiti. Questi ultimi, infatti, hanno rappresentato lo strumento più efficace per realizzare gli obiettivi della Controriforma. 8. Dal Concilio di Trento alla Controriforma Il Concilio si aprì nel 1545 e si concluse circa 20 anni dopo, a seguito di varie interruzioni. Il concilio si aprì solo quando la chiesa aveva trovato precisi punti di riorganizzazione interna e le linee distintive con le altre chiese. La decisione del pontefice di trattare in maniera prioritaria le questioni dottrinali faceva intendere la decisa volontà di Roma di chiudere con il protestantesimo. Una volta ricostituita e marcata la confessione cattolica, nelle ultime sessioni il concilio si era occupato principalmente di questioni disciplinari. Inoltre, si affermò un’adeguata istruzione dei parroci; venne imposto l’obbligo di tenere i registri parrocchiali. Dopo il Concilio di Trento, il matrimonio divenne il sacramento più rilevante e, questo tema fu dibattuto, a causa della differente concezione del sacramento, da parte di stati e chiesa: i primi lo vedevano come un semplice contratto, mentre la chiesa difendeva il piano sacramentale. Ovviamente, l’applicazione dei decreti dipendeva dai singoli stati. L'appoggio di questi ultimi non era scontato, in quanto ciò implicava un aumento dell’autonomia e delle possibilità di intervento della chiesa in quei territori. Infatti, molti stati europei erano scettici, soprattutto sul piano disciplinare perché sarebbero stati limitati i tradizionali poteri di controllo e intervento dell’autorità pubblica. Ad esempio, Venezia ribadì più volte la sua opposizione ai decreti che ledevano apertamente l’autonomia e i privilegi della repubblica. Anche in Spagna e nei suoi domini, l’accettazione dei decreti passò attraverso lunghe trattative. Infine, nel granducato toscano, dove i Medici erano da tempo legati al papa da reciproci rapporti, ci furono comunque complesse trattative riguardo i decreti del concilio. Nonostante queste problematiche, i decreti tridentini, nella loro applicazione, segnarono una profonda trasformazione nella chiesa e nella società cattolica. In quegli anni, inoltre, si stavano delineando le caratteristiche principali dell’età della controriforma: il ruolo del pontefice era molto rafforzato, dopo il concilio, riguardo l’autorità nel definire gli strumenti di applicazione dei decreti. Dopo poco tempo, fu evidente il nuovo peso acquisito da Roma e il suo alto clero. Rientra in questa logica l’accentuarsi di rigidi controlli sulle istituzioni culturali, sulla produzione letteraria e sulla circolazione di idee. Vennero istituiti, a questo scopo, il tribunale del Sant’Uffizio e l’Indice dei libri proibiti. La chiesa non si concentrò solamente sulla repressione, ma soprattutto su una lungimirante azione di propaganda e promozione di culti e devozioni, in particolare durante l’età barocca. L'Europa cattolica di questo periodo è caratterizzata da un’importante azione dal basso, nel senso che, soprattutto nelle zone rurali, operano missionari e parroci che cercano di ricostituire la religiosità e i costumi cattolici. Si tratta di un lungo processo, che ha come principale obiettivo quello di difendere il cattolicesimo dalle confessioni protestanti, ma che permetterà di modellare la fisionomia del cattolicesimo: questa azione sarà promossa dagli ordini religiosi, primi su tutti i gesuiti. 9. Cattolicesimo ed ebraismo Già alla fine del 400, è possibile avvertire un cambio di atteggiamento dei cattolici, nei confronti della minoranza ebraica. In Spagna, nel 1492, venne portata a termine la Riconquista. Di conseguenza, si passò da un atteggiamento di accettazione delle comunità ebraiche ad una intolleranza sempre maggiore con la limitazione della libertà, vere e proprie espulsioni o conversioni forzate. Motivi religiosi e d economici contribuirono all’accentuarsi di questo atteggiamento e alla creazione di stereotipi ebraici, destinati a restare per tanto tempo nell’ambito della società europea. L'avvio della Controriforma non sembrava potesse colpire la minoranza ebraica e, in Italia, si ebbero zone che chiusero l’ingresso agli ebrei, come i domini spagnoli del sud; dall’altra parte, ad esempio Mantova, si svilupparono importanti comunità ebraiche, anche se non mancarono episodi di conversione forzata. Più difficile la situazione degli ebrei, in Europa orientale, dove, a parte il caso della comunità di Praga, protetta dagli Asburgo per ragioni economiche e finanziarie, furono periodicamente oggetto di persecuzioni. In un generale clima di incertezza, l’unico esempio di tolleranza è l’Olanda: Amsterdam sarà, infatti, il centro di una fiorente cultura ebraica. Solo nel 700 questo spirito di tolleranza si diffonderà anche negli altri paesi. 10. La chiesa cattolica nel 600 Con la fine delle guerre di religione in Francia (1598) e la riorganizzazione post-Concilio, la chiesa cattolica riprendeva una posizione di rinnovato prestigio, nel contesto italiano ed europeo. Per tutta la prima metà del secolo, la Spagna ha rappresentato il punto di riferimento del cattolicesimo. Era un modello incentrato sull’importanza di grandi figure di santi, ma allo stesso tempo, vi era una religiosità popolare molto carica e controllata dagli ordini religiosi. A questo proposito ricordiamo Ignazio di Loyola o Teresa d’Ávila, i quali, nonostante le difficoltà, sono riusciti a dare un’impronta originale alla religione spagnola, che divenne un modello per tutto il mondo cattolico. Nel frattempo, in Francia, vi era una straordinaria ripresa del cattolicesimo, sia in risposta alla diffusione del calvinismo, sia come capacità di elaborare un preciso e proprio modello di vita religiosa. Un punto molto rilevante è rappresentato dall’accettazione dei decreti del concilio. Dopo la Pace di Vestfalia, alla metà del secolo, la chiesa incontrò un momento di difficoltà. Tuttavia, con i papi Innocenzo XI e XII si avviava una politica di riforme. Venne abolito il nepotismo, cioè il ruolo di preminenza riconosciuto al parente più stretto del pontefice e che aveva danneggiato l’autorità papale per molto tempo. Nonostante alcuni momenti complessi, per tutto il 600, il papato ha esaltato la propria centralità, soprattutto sul piano artistico e architettonico. Le vicende della chiesa cattolica non si esauriscono in Europa, ma riguardano in maniera significativa i territori extraeuropei. Mentre la evangelizzazione delle Americhe era iniziata nel 500, più complessa era la situazione asiatica. In Cina, si era elaborato un metodo missionario, che tenesse conto della complessità della cultura e delle tradizioni cinesi. L'adattamento dei gesuiti a questa cultura aprì uno scontro all’interno dei cattolici, che diede vita ad una polemica secolare sui “riti cinesi”. In Giappone, invece, un primo tentativo di attività missionaria fu subito spazzato via dalla reazione delle autorità. 11. Religione e ragione nel 700 La visione dell’uomo e del mondo, che si afferma nel 700, tiene conto di una forte razionalità. Punto di partenza è da considerarsi l’opera di Locke “cristianesimo ragionevole”, nella quale si esprime l’esigenza di un cristianesimo capace di conciliare una ragione sempre più consapevole con una fede che non si poteva chiudere nella difesa intransigente del dogma. Anche la figura di Cristo subisce una modifica, in questa concezione: egli non rappresenta più il Salvatore o il Messia, ma il saggio che predica una morale ragionevole. Accanto a questi atteggiamenti, che per quanto innovativi sono comunque espressioni di fede; nel corso del secolo si sviluppano movimenti caratterizzati da un fermo materialismo, dove l’uomo è visto come una macchina (Kant). 12. Chiese e società nell’Europa del 700 In questo contesto di cambiamenti si inseriscono le tensioni nelle varie chiese cristiane nel 700. Una bolla papale che condannava l’opera di riflessione sul Vangelo, da parte del francese Quesnel, scatenò una forte opposizione politico-religiosa. Si fece sempre più insistente l’appello ad un concilio che provvedesse alla riforma della chiesa. Tali provvedimenti toccarono svariati punti, tra cui: riduzione degli ecclesiastici, riduzione delle feste e l’abolizione di forme esteriori di culto. Si passa, quindi, da una concezione verticale e gerarchica della chiesa con il pontefice in testa, ad una concezione verticale dove il pontefice è il vescovo principale, ma è comunque sullo stesso piano degli altri: l’autorità risiede nell’insieme dei vescovi e non nel pontefice. Ad ampliare la riflessione contribuì l’opera di Muratori e di quella parte della cultura che seguì il suo pensiero: essi si fecero portatori della necessità di una riforma moderata, ma coraggiosa, che metteva il cattolicesimo in
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