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La Storia senza redenzione, Sintesi del corso di Letteratura Contemporanea

riassunto completo dell'intero libro

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica La Storia senza redenzione e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Contemporanea solo su Docsity! La Storia senza redenzione Capitolo 1: Traiettorie meridionali 1. Il tempo degli antenati Nonostante sia possibile affermare che il Decameron di Bocaccio sia un libro meridionale, più in particolare napoletano, e non toscano e che Basile con il Pantamerone sia sulla stessa linea, è ormai consolidato che la narrativa di tradizione meridionale sia entrata nel canone della modernità riconoscendo in Verga il suo capostipite. Questo ha portato alla egemonia di una regione sulle altre nel meridione, ovvero la Sicilia, quasi a parlare di una letteratura nella letteratura (vedi nomi come Pirandello, Sciascia, Vittorini etc). Si può parlare di leadership siciliana che ha imposto la propria egemonia: sentimento di lontananza dalle mappe della storia, di esclusione, inseguire progetti impossibili. Sensazione inappagata di perifericità (Sciascia la chiama sicilitudine). Verga con le sue opere più importanti (I Malavoglia e Mastro don Gesualdo) ha tracciato una traiettoria precisa: resoconto quasi ai limiti della denuncia sociale e non romanzo di invenzione VS Manzoni => Storia luogo del riscatto (vedi Renzo). Per Verga non c’è alcun riscatto nella Storia, alcuna redenzione, alcun progresso. Così la narrativa del Mezzogiorno ha imboccato la strada della non-storia, riconoscendosi in Verga, padre fondatore. Visione dunque antievolutiva che porta ad una società immobile. 2. La questione immortale Negli ultimi decenni il concetto di Mezzogiorno si è dilatato fino ad abbracciare una geografia che ingloba il continente meridiano: un insieme di destini che guarda al mare come luogo di condivisione e appartenenza, come scenario di conflitti e lingue incomunicabili. Ma il Mediterraneo è tutt’altra geografia rispetto al Meridione: è un contenitore di identità capace di mettere in crisi la percezione di un Occidente stabile e inattaccabile, così che potrebbe sembrare provocatorio ripristinare un discorso sul Mezzogiorno inteso in chiave ottocentesca, quando si raggiunse l’Unità ma senza perfezionarne gli esiti. Il secolo successivo, il 900, si sarebbe sforzato di rimediare agli errori solo in parte, tanto da chiudere nel dimenticatoio la questione meridionale. È colpa della borghesia, assente dall’esercizio della Storia, che non ha colto nell’Unità italiana l’occasione per una rivoluzione civile del Mezzogiorno. Benedetto Croce e Gramsci sono stati i privi a individuare nell’intellettuale un soggetto debole, paradossalmente ancora più di contadini e artigiani. Se lo Stato si è dimostrato nemico del Mezzogiorno la responsabilità cade sulla grettezza della borghesia meridionale. (questo afferma Dorso) L’errore da evitare è però quello di sovrapporre il ceto borghese a quello intellettuale, non sempre sovrapponibili. Si tratta di due diverse tipologie di assenze. Quella del ceto borghese deriva da un difetto nello sguardo, di miopia, che avrebbe ridotto al minimo la presenza negli scrittori meridionali di questa figura cardine della modernità (artigiano e borghese). Esiste una lunghissima schiera di scrittori la cui dimensione narrativa si è appiattita sul Mezzogiorno contadino. 3. Nascita e morte dell’artigiano Gesualdo Motta si fa strada nel mondo del lavoro e anche con successo: da apprendista diventa muratore, da muratore capomastro, da capomastro ricco e fortunato imprenditore edile. Se si fosse fermato qui Verga avrebbe sollevato il suo personaggio proprio come Manzoni con Renzo. Ma ciò non è avvenuto. Mentre era in procinto di compiere la sua rivoluzione con addosso i panni da borghese, commette l’errore di volersi imparentare con la nobiltà, che ormai era in decadenza. Viene destinato a Gesualdo un finale da vinto. Il fallimento del personaggio di Verga allontana la narrativa del Mezzogiorno da qualsiasi tipologia di romanzo fondato sull’etica degli artigiani, concentrando i toni dello scontro esclusivamente sulla conquista della terra. 4. Non-storia siciliana e ribellione continentale A differenza di quanto prevede l’etica della sottomissione, il 900 avrebbe consegnato nelle mani degli scrittori meridionali la possibilità di infrangere il tabù dell’immobilismo. Mentre in Sicilia si sarebbe continuato a scrivere nella dimensione della non-storia. Mentre la letteratura prodotta nell’isola avrebbe perfezionato il teorema verghiano, evolvendo verso la negazione della Storia o interpretandola come feroce impostora (Sciascia), nelle geografie extrasiciliane avrebbe trovato humus favorevole la matrice della rivolta popolare. Potrebbe sembrare un passo avanti verso la demolizione del principio di inerzia, ma solo in apparenza. Gran parte dei testi che costituiscono l’ossatura della narrativa meridionale del 900 esprimono situazioni e personaggi avviati sulla strada del ribellismo. Parliamo di un argomento, la rivolta popolare per la conquista della terra, che acquisisce presto una posizione centrale nel dibattito sul meridionalismo. Nulla vieta di pensare che un argomento del genere sia di natura appenninica e non insulare, un dissenso che mira a individuare un unico fronte di lotta (i contadini) impegnato contro i codici di comportamento di uno Stato ritenuto prevaricatore e persecutore. Strappare la terra alla piccola\media nobiltà feudale da parte delle classi umili sembra essere il motivo che domina le ragioni del narrare meridionale in quella parte di 900 esteso tra l’avvento del fascismo e l’Italia costituente. 5. Il naufragio e il labirinto ? 6. Molti scribi, poca utopia Crovi pubblica sul Menabò il saggio Meridione e letteratura, in cui giunge a definire i caratteri che connaturano in negativo la narrativa meridionale e la narrativa meridionalista: la prima intesa come illustrazione, la seconda come cronaca. Il limite entro cui è rimasta imprigionata gran parte della narrativa siciliana e non è l’incapacità di elevarsi a rappresentazione analitica dei processi di trasformazione socioculturale del Sud Italia. Il problema è di scelta ideologica, riguarda cioè la maniera di porsi nei confronti della materia da raccontare e degli obiettivi da raggiungere. Finchè si trattava di manifestare un disagio individuale o collettivo, di gridare torti e soprusi, gli scrittori legati al Meridione hanno svolto il compito che si erano assegnati dando prova di essere perfetti testimoni di una precaria condizione umana. Ma a questo punto il discorso non attiene più alla dimensione di non-storia. Levi assume come bersaglio la tradizionale interpretazione di un Risorgimento positivo ed eroico, leggendo il brigantaggio come rivolta sociale per contrastare il processo di unificazione. Secondo la visione leviana, i contadini sono una categoria di persone che vivono nel sottosuolo della Storia, addormentati nella condizione che nega speranza al futuro. Ogni tanto però affiora in essi il sentimento di rabbia che li rende protagonisti di una stagione di violenze (come la rivolta di Bronte), di cui il brigantaggio rappresenta un evento di forte caratterizzazione emotiva e politica. Anche lo scontro con i latifondisti nel secondo dopoguerra rientra tra i fenomeni della controstoria perché è una ribellione contro lo Stato, simile al brigantaggio. Grazie alla letteratura della controstoria la civiltà contadina esce dall’isolamento ponendo fine a quella condizione di classe condannata all’immobilità. Ciò spiega perché il fenomeno del brigantaggio catalizzi l’attenzione degli scrittori appartenenti alle zone interne dell’Appennino. Filone lucano => linea di scrittori (Alianello, Campanile, Nigro) che si concentra sul problema del controrisorgimento e legge il brigantaggio quale tentativo di contrastare la volontà di annessione del Mezzogiorno pianificata dai Savoia. Al prologo di questo argomento c’è l’idea di una frattura avvenuta nel 1861 tra il movimento risorgimentale e la condizione meridionale. Spaccatura che non sembra avere soluzione se non in una rivoluzione del meridione. La spedizione di Garibaldi e il successivo arrivo dei Savoia vanno interpretati come azione di conquista e non di liberazione, volta a peggiorare e non migliorare la condizione degli umili. Senso di impotenza e rassegnazione, infinite delusioni attuate dai numerosi protagonisti di questa vicenda => Garibaldi, Savoia, briganti, a danno del Meridione. 6. il Risorgimento imperfetto Il tema del tradimento serpeggia nelle narrazioni della controstoria. Il concetto di Risorgimento imperfetto coincide con la nozione di Risorgimento tradito o inconcluso. La questione meridionale ha continuato a mantenere viva l’attenzione degli scrittori. I quali proprio intorno al centenario dell’Unità hanno trovato lo stimolo per ripensare il sud nelle sue contraddizioni più macroscopiche. I contadini, i ceti poveri, secondo questa visione, restano in un limbo privo di luce, pur avendo vissuto la venuta di Garibaldi. Raffaele Nigro pubblica nel 1987 I fuochi del Basento, romanzo che ripercorre le rivolte brigantesche cominciate all’epoca della Repubblica napoletana del 1799 fino all’unificazione italiana. In questi moti rivoluzionari, che sembrano richiamare alla memoria le guerre contadine di Carlo Levi, Nigro intravede il miraggio di una civiltà che desidera entrare finalmente nelle traiettorie della Storia (non rimanerne fuori). Grazie a quest’opera, la narrativa della controstoria cessa di essere fenomeno di reazione nostalgica e imbocca la strada della Storia come possibile luogo del riscatto, lotta per la dignità, conquista diuna coscienza civile. Riabilita la figura del brigante facendola trasmigrare dalla maschera dell’assassino a quella del sognatore, sino a parlare dei briganti come di rivoluzionari. Capitolo 3: Le ombre dell’antirisorgimento 1. Canone e anticanone A una letteratura impostata su motivi celebrativi, che costituisce il nucleo del canone risorgimentale, si oppone una linea scettica e disincantata verso il processo di unificazione nazionale, a base della quale sta una serie di testi che formano il caposaldo dell’anticanone e che Spinazzola aveva chiamato “romanzi antistorici”: I Vicerè di De Roberto (1894), I vecchi e i giovani di Pirandello (1913), Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa (1958). Oltre che da un punto di vista ideologico, canone e anticanone si fronteggiano anche sotto il profilo geografico, diventando espressione di due italie, diverse e contraddittorie. Il romanzo antistorico non solo discende dal ramo nobile della narrativa italiana (Manzoni), ma ha anche avuto il merito di ridarle nuovo vigore, andando incontro al successo nel 900. Il romanzo antistorico, quindi, non solo va considerato una variante del romanzo storico, ma anche il suo continuatore e rifacitore, e ciò ha permesso di risuscitarlo in un’epoca in cui si gridava alla morte del romanzo. 2. Il mito infranto Sciascia si pone a erede di una tradizione che, oltre a esprimere sfiducia nell’idea di redenzione della Storia, tende a riassumere in chiave novecentesca l’ironia, i sospetti, i dubbi relativi al processo di unità nazionale. Quando si parla di antirisorgimento bisogna distinguere una linea che appartiene alla Sicilia (e che non va disgiunta dal concetto di sicilitudine caro a Sciascia) corposa e destinata a riconoscimenti letterari, e un’altra matrice, peninsulare, dagli aspetti più prossimi al fenomeno del ribellismo. Sia l’una che l’altra si posizionano nel perimetro dell’anticanone.  Azione critica della letteratura nei confronti di un fenomeno storico di ampia portata come l’unificazione, che trova il suo punto di focalizzazione nella figura di Garibaldi, patriota per eccellenza. In tema di antirisorgimento occorre evidenziare il dramma che circonda Garibaldi: presagire il fallimento della propria impresa, prefigurarla già nel suo nascere come occasione mancata. Da qui comincia il discorso del Risorgimento tradito, uno dei tanti rivoli che alimentano il fiume dell’anticanone. Tutte le scritture che entrano nel panorama risorgimentale devono confrontarsi con il mutamento della Storia e posizionarsi dentro o fuori il canone. 3. Sull’orlo del revisionismo Nel discutere sui fenomeni della non-storia, dell’antistoria e della controstoria è necessario individuare il punto di discrimine intorno a I fuochi del Basento (1987) di Nigro: un libro che ha avuto merito di riportare all’attenzione il problema della questione meridionale come questione della pre-unificazione , spostando quindi il giudizio sul brigantaggio a manifestazione di lotta politica che precede il fatidico 1861. Il romanzo suggella una sorta di preistoria in cui prima si lotta per affrancarsi dalla condizione di servi, poi per liberarsi dalla condizione di conquistati. Negli ultimi 25 anni il dibattito sull’antirisorgimento ha fatto nuovamente concentrare l’interesse degli scrittori sui temi relativi all’unificazione nazionale, quindi sulle medesime posizioni su cui si erano soffermati i siciliani De Roberto-Pirandello-Tomasi-Sciascia. Gli scrittori hanno scelto di dare corpo a una materia che già di suo è frammentaria, riproducendo la parzialità delle storie da narrare. È proprio l’atteggiamento a-retorico a marcare le scritture che ridiscutono in chiave problematica la stagione del Risorgimento. Una prima direttrice delinea un Mezzogiorno tradito nelle aspettative, vittima predestinata di un disegno politico, ridotto a territorio di conquista. Si tratta di una prospettiva che elegge a manifesto La conquista del Sud di Alianello (1972): un saggio di notevole forza polemica. Alianello è stato anche vittima di fraintendimenti da coloro che hanno visto nel suo saggio rivendicazioni neoborboniche, un fraintendimento che ha fatto da bandiera indiretta a una letteratura generatasi da risentimenti e conflitti. Ne abbiamo un esempio in Controstoria dell’unità d’Italia (2007) di Gigi Di Fiore. Il suo lavoro appare influenzato del clima politico degli ultimi 25 anni, un’epoca che ha enfatizzato il divario fra Nord-Sud, contrapponendo la tradizionale questione meridionale a una questione settentrionale, colma di rivendicazioni economiche, espressione di un malcontento. Un altro esempio lo troviamo in E’ tornato Garibaldi di Giovanni Russo, dove ravvisa una giustificazione politica: riaffermare con orgoglio il ruolo dei patrioti meridionali durante l’impresa garibaldina, in un momento in cui una certa area politica si è fatta interprete di miraggi secessionisti. In questa fase di rilettura dei fenomeni storici troviamo la ricostruzione della prima, vera guerra civile italiana: il brigantaggio postunitario, oggetto del saggio di Guerri, Il sangue del Sud (2007). L’autore scava nella memoria dimenticata con l’obiettivo di dare voce agli sconfitti. 4. Meridionalismo di maniera Ciò che caratterizza i romanzi degli ultimi anni è il ripetersi di situazioni e discorsi che fanno pensare a motivi e temi già sperimentati in passato. Ciò è segno che lo statuto della letteratura non ha ancora saputo rinnovarsi rispetto agli exempla e questa incapacità di trovare nuove chiavi di lettura mostre un limite che viene a segnare i fenomeni del Risorgimento e dell’antirisorgimento. Appaiono evidenti i prestiti con una certa interpretazione immobilistica del sud alla Carlo Levi (vd Guarneri e Cataldo). 5. Garibaldi fu ferito Il filone antirisorgimentale gravita intorno a Garibaldi e lo elegge a figura chiave di un sentimento di delusione, vittima predestinata dei raggiri politici che avrebbero contribuito non poco a infrangere l’epopea. 6. Questione di scarpe Sciascia ha smascherato il gioco menzognero con cui Verga avrebbe manipolato il racconto sui fatti di Bronte nella novella Libertà, considerata un exemplum di non-storia. Quando si parla soprattutto di eroi bisogna avere dei sospetti o, come suggerisce Mari in Troppa umana speranza (2011), decidere bene quali scarpe scegliere: gli scarponi, accettando di lasciare impronte e tracciare il selciato; scarpe alate, camminando quasi senza toccare il suolo. Capitolo 4: Il volto dei vinti 1. Anatomia di una sconfitta Dopo il processo di unificazione nazionale la letteratura di area meridionale avvia una lunga riflessione anche sul rapporto tra vinti e vincitori. Archetipo di questo discorso è ancora Verga: le sorti degli sconfitti occupano le energie dello scrittore siciliano tanto da riscontrare, nei suoi testi, A metà strada tra L’alfiere e L’eredità della Priora si collocano i tre episodi che compongono Soldati del re (1952). Il libro ha la forma di un polittico narrativo e sposta l’attenzione all’indietro dal tempo dell’impresa garibaldina alla grande stagione rivoluzionaria che chiude la Restaurazione, un periodo di pochi mesi, giorni, ma di grande intensità politica. Si sofferma sulle questioni della libertà e dell’autodeterminazione. In Soldati del re Alianello mette in scena le eroiche intenzioni dei rivoluzionari quanto la fedele obbedienza dei conservatori alla parola data. I personaggi => gente umile, destinata a subire più che a fare storia. Alianello si preoccupa di cercare un senso ai fatti della storia, anche di quelli meno noti. 6. Il Risorgimento obliquo L’opera di esordio di Campanile => La nonna Sabella (1957), esce in un periodo in cui pochi scommettono sul romanzo storico. È un libro anomalo rispetto al canone meridionale. Tomasi fornisce il ritratto di una nobiltà che non vuole inserirsi nei processi evolutivi della nuova realtà politica e decide di astenersi dalla storia. Campanile sceglie invece la strada di una borghesia incredula e spaesata, che assiste ai processi di mutazione e rimane meravigliata. Ciò che fa di Campanile un autore dallo sguardo obliquo rispetto a Tomasi è la lettura degli eventi risorgimentali, quel privilegiare non il punto di vista della nobiltà, ma della borghesia. La nonna Sabella narra di una Basilicata parzialmente interessata dal clima della condizione contadina. Mentre Levi rischiava di semplificare la questione meridionale riducendola all’essenza dei problemi agrari e rendendola incapace di allargare lo sguardo sui ceti artigiani, Campanile rettifica questa prospettiva => borghesia meridionale finalmente davanti alle stratificazioni della storia e alle proprie responsabilità di ceto che avrebbe dovuto nutrirsi di ambizioni politiche. 7. Uomo si nasce, brigante si muore Raffaele Nigro => rivisitazione romanzesca sul tema del brigantaggio. In apparenza I fuochi del Basento di Nigro sembrerebbero usciti da una costola de L’eredità della priora, ma così non è. Nigro fa del brigantaggio un segno del dinamismo storico. I briganti appartengono alla stirpe manzoniana delle “genti meccaniche e di piccol affare”, ma il loro agire non è più quello dei contadini leviani, rassegnati a vivere nel sottosuolo della storia, piuttosto il tentativo di riscrivere con un nuovo linguaggio il patto tra condizione materiale e riscatto morale. L’ansia di modificare le condizioni di vita accomuna in un unico destino di lotta e di guerra uomini e donne => popolo deciso a intrecciare la propria esistenza con gli eventi della grande storia, in un periodo che va dal 1784 (quando nel Mezzogiorno arrivano i primi influssi della Rivoluzione francese) e il 1861 (quando si realizza l’unità d’Italia). Nigro capovolge i termini del narrare meridionale con un romanzo di ascendenze manzoniane. I fatti narrati sono un misto di cronaca e di immaginazione. Egli attribuisce a una guerra di briganti la fisionomia di una lotta per la conquista della libertà e dell’uguaglianza => giustifica la presenza di un altro ‘900. Nigro reinventa nei modi di un realismo magico l’epica popolare della guerra contadina, caricando di slanci utopici il bisogno di libertà e giustizia che è presente negli umili, e illumina l’estenuante ricerca di un mondo ideale in grado di riscattare il sud dalla sonnolenza della borghesia. I fuochi del Basento restituisce dignità letteraria a un argomento piuttosto marginale come il brigantaggio. Catozzella => 2021, recupera la matrice brigantesca dei fatti post unitari. Grazie a Nigro, il brigantaggio non è più un’anomalia del processo di unificazione, ma un fenomeno da ascrivere negli itinerari del processo di identificazione di una patria comune. Capitolo 5: Inferno contadino e paradiso americano 1. Scrittura odeporica Osservandola da un certo punto di vista, la produzione scritta di Levi si potrebbe inserire nel genere della narrativa di viaggio: esplorazione geografica che si fa allegoria metafisica e dove spesso ironia e dramma convivono con l’incanto paesaggistico. Levi descrive squarci di orizzonti come se stesse dipingendoli. Si potrebbe dire che è uno scrittore di quadri oltre ad essere uno scrittore di viaggi. 2. Fascinazione dantesca Risulta evidente che alla base della scrittura di Levi e di quella legata alla civiltà contadina agisce la suggestione dello sconfinamento nei regni ultraterreni. Per riscontrare la parentela tra Levi e la Commedia bisogna procedere a ritroso e avvicinarsi all’evento cruciale che ha segnato l’intera esperienza narrativa => il confino in Basilicata avvenuto tra le due guerre. La Lucania è percepita come l’oltre-giudecca, il luogo più profondo dell’imbuto dantesco. Percorso di Levi da Torino ad Aliano => una sorta di caduta, come la cacciata dall’eden di Adamo ed Eva. Levi è un nuovo Dante e prima ancora un Enea che abbatte le porte dell’Averno in compagnia della Sibilla Cumana. 3. Lucania infernale (?) 4. Sfumature di paesaggio Un ulteriore elemento che avvicina il corpus narrativo leviano alla Commedia è la trasfigurazione iconica del paesaggio. Il viaggio in Sicilia si deve considerare alla pari di quello in Lucania e in Unione Sovietica una discesa allegorica nell’inferno contadino. L’avventura in Sicilia, come quella in Lucania e in Unione Sovietica, presenta gli stessi caratteri di viaggio ultraterreno. Il poema trecentesco dunque accompagna il viaggio al Sud di Levi e lo inscrive nella tipologia della catarsi o dell’avventura battesimale. 5. Un’ America di stelle Il fatto che Levi associ l’orizzonte russo a quello lucano autorizza a parlare di una integrazione nell’ethos contadino. Il confino ad Aliano è stato per lui una seconda nascita. La percezione di una dimensione radiosa, antitetica al buio dell’inferno, anche in Levi, come già in Dante, introduce la visione di un paradiso che si offre ai contadini come regno di speranza e di luce. Ma in un sud misero e crudele nemmeno la religione riesce a fornire le coordinate per individuare l’eldorado felice. Capitolo 6: l’identità dispersa. 1.Un popolo invisibile. Il lucano vive bene all’ombra come afferma Sinisgalli, il quale introduceva la mostra Avigliano ’65, tenutasi dal 22 ottobre al 28 ottobre 1965 tenutasi presso la Galleria Levi di Milano. Sinisgalli definiva il carattere riservato dei numerosissimi emigrati (tra 800 e 900) destinati al ruolo dei giramondo. Un primo elemento da osservare è l’impressione di invisibilità e discrezione che si apparenta alla condizione dei fantasmi e degli spiriti. Sinisgalli, infatti, associa la condizione dei lucani a quella dei misteriosi abitatori di mondi nascosti e contempla anche l’insoddisfazione professionale dei lucani, i quali non si consolano mai di quello che hanno fatto, anzi questo demone della scontentezza fa presupporre la parentela con altre popolazioni vissute alla periferia delle civiltà. Tutto ciò giustifica l’icona dell’artigiano inappagato e scontento che si ripromette di proseguire il lavoro nell’aldilà fino a continuare ad alimentare il sospetto che nella continua ricerca della perfezione si nasconda il vero limite di questo popolo vissuto aggrappato ai contrafforti dell’Appennino meridionale o nelle corti vallate. Dunque, il desiderio di perfezione diviene un preambolo alla follia. 2.Etica della marginalità. Sinisgalli cerca anche di mettere in evidenza il carattere di immutabilità a cui è condannato il popolo lucano. In un altro capitolo di “Un disegno di Scipione e altri racconti” sottolinea anche che l’etica della marginalità riguarda sicuramente l’aspetto geografico, ma si estende anche ad una condizione di estraneità a un ambiente a causa dell’attaccamento materiale e morale alla civiltà contadina e alla logica della terra. Emblematico è il racconto della scampagnata domenicale che il falegname Lasala, una delle più nostalgiche maschere del Cristo, fa al medico/scrittore torinese ricordando con nostalgia gli anni trascorsi dall’altro capo dell’oceano. Il conflittuale rapporto con i “gabinetti americani” tormenta non poco l’immaginario degli emigrati lucani. In Scotellaro, intervistato da Francesco Chironna nell’inchiesta sui Contadini del Sud (1954), il lucano si proiett nel comfort della civiltà moderna, ma subisce un senso di disorientamento che costringe a soluzioni fantasiose e stravaganti. La narrazione di Levi, contraddistinta da una certa ironia, non impedisce di individuare un ulteriore segmento dell’identità lucana fuori confine: l’etica del vicinato in cui sono coinvolti tanto i ceti medio alti quanto i commercianti e gli artigiani. Nonostante ci si trovi tra grattacieli, ascensori, porte girevoli, servizi igienici e cunicoli, non viene intaccato il carattere solidaristico proprio come avveniva nei paesi d’origine, in cui il vicinato assumeva la funzione di assistenza e si configura quasi come un legame affettivo. Sulle comunità lucane oltreoceano continua ad agire la dimensione paesana e questo conferma il paradigma di un’identità ostile a qualsiasi mutamento, dove si predilige l’autoemarginazione al processo di contaminazione che avrebbe infranto le relazioni tipiche col vicinato. 3.Fuori dal paradiso Quando Sinsgalli lavorava a Un disegno di Scipione e altri racconti (tra anni 60 e anni 70), la grande emigrazione era già iniziata da un quarto di secolo. In “Belliboschi” (1948) e in “Quadernetto americano” pubblicato su Civiltà delle macchine nel 1954, Sinisgalli descrive la figura di un lucano dedito al commercio e agli affari con risultati lusinghieri, ma non ancora americanizzato. La vita 3.Sicilitudine/sciclitudine Vittorini, pur vivendo a Milano nella geografia del moderno, mette mano negli anni 50 a un romanzo come Le città del mondo (1969) concepito sul mito nostalgico dell’oro e in posizione anacronistica rispetto al panorama delle opere coeve come il Sempione e Le donne di Messina (1949), un libro sull’utopia appenninica. Il romanzo si apre con la descrizione dell’agglomerato di Scicli: luogo che rappresenta un bivio nell’immaginario vittoriniano, crocevia di destini rinviati o disattesi in grado di originare il termine “sciclitudine”. Sciclitudine > proiezione utopica; sicilitudine > devastante solitudine che si respira in Sicilia. Nell’incipit de Le città del mondo, si riscontrano un’approssimazione delle informazioni cronologiche e la precisazione indicazione topografica. La vicenda si svolge in una primavera tra il 1914 e il 1920, ma è chiaro che egli si sottrae dal definire il tempo in cui tutto ciò si colloca > bisogna ragionare per ipotesi. La prima riguarda l’effetto straniante che il testo avrebbe creato nel lettore se avesse indicato con esattezza la data entro cui si svolge la vicenda. C’è anche un secondo motivo: l’esigenza di indeterminatezza cronologica può scaturire dal tentativo di evocare, innalzare a simboli quando riporta fatti della terra di origine. In Conversazione in Sicilia, Vittorini gioca sull’indeterminatezza del topos, mentre ne Le città del mondo punta sul valore indecifrato del cronos quasi a voler affermare che, quando si parla di Sicilia, bisogna abolire spazio e tempo. I personaggi di Vittorini che vivono in una condizione di dolore (a differenza di Levi i cui personaggi non trovano via d’uscita) esaltano la via arcadica riconoscendone i benefici, ma si mettono addirittura in viaggio per i luoghi felici. 4.In cerca di un altrove I personaggi di Vittorini si configurano come cercatori di utopie. Se si guarda nella direzione del mito, ci si accorge che si tratta di un mito non solo legato al rimpianto del passato, alla nostalgia dell’età dell’oro, ma anche al futuro nascente. Scicli esercita un primato tanto ne Le città del mondo (primo dei luoghi abitati da cui dipana il viaggio di Rosario e suo padre) quanto in Conversazione in Sicilia. Scicli si configura come un irregolare agglomerato che presenta particolarità nel rapporto tra altezza e lunghezza > è indimostrabile che Calvino abbia attinto a Scicli per la sua Despina > sicuramente ha letto il libro di Vittorini da cui ha tratto buone suggestioni. Anche Despina, come Scicli, ha un aspetto ancipite. Despina è nave e cammello contemporaneamente e Scicli è nido e caverna. Scicli viene accostata a Gerusalemme (città santa dell’Apocalisse di Giovanni) per le sue sembianze radiose. Vittorini dunque potrebbe aver ereditato tale motivo dalla tradizione biblica, ma esso trova riscontro nella linea architettonica di Edoardo Persico, autore di quel modello utopico, la città cubica cucito sul modello della Gerusalemme celeste. 5.Addio all’Arcadia La stesura de Le città nel mondo si interrompe nel 1955. Raffaele Crovi ne Il lungo viaggio di Vittorini (1994) attribuisce l’interruzione del libro sia a vicende private ( morte del figlio Giusto, arresto del fratello Sebastiano) sia a questioni legate al trauma politico scaturito dal XX Congresso del Partito Comunista Sovietico, tenutosi nel 1956, in cui Kruscev denunciò i crimini di Stalin. Vittorini alla fine non avrebbe concluso la vicenda forse a causa dell’irrompere delle trasformazioni sociali e politiche e del boom economico. Con l’ingresso degli oggetti della modernità industriale nel tessuto del racconto, il paese d’arcadia entra in crisi sia come luogo dove riconoscere un’utopia sia come modello di società da elogiare. Se Vittorini avesse continuato il racconto di una Sicilia agricola-pastorale, avrebbe rischiato di vanificare l’immagine di scrittore votato alla cultura politecnica. 8. Vecchie e nuove marginalità. 1.Una malinconica posterità Per rendere esplicito il sentimento della fine1 che grava sulla vicenda narrata in I vecchi e i giovani, Pirandello ricorre ad un’immagine da melodramma: un anziano reduce si consegna alla morte esibendo gloriosamente le medaglie sul petto. Quest’uomo è Mauro Mortara, un popolano al servizio di una nobile famiglia siciliana che ha combattuto a favore del processo di unificazione nazionale, è un eroe rimasto fedele ai principi di un’Italia convinta di approdare alla soglia di una nuova epoca. Quando troveranno il suo cadavere nel fango, i soldati ignari di chi egli sia stato si chiederanno da dove sia sbucato fuori un individuo così armato e che significato abbiano quelle medaglie. “Chi avevano ucciso?” è la domanda con cui Pirandello chiude il romanzo. Le prime tracce del libro risalgono al 1894 quando lo scrittore si concentra su un testo che ha per titolo “Il vecchio”. Solo cinque anni dopo, nelle carte manoscritte, compare il nome che risulterà definitivo, ovvero “I vecchi e i giovani” e tale resterà sulla prima apparizione a stampa (pubblicata in 11 puntati sulla “Rassegna contemporanea” nel 1909) poi nell’edizione Treves che risale al 1913 e poi nella versione mondadoriana del 1931. “I vecchi e i giovani”è un libro problematico nella struttura, contraddittorio negli esiti postrisorgimentali, eleggendo a protagonista il garibaldino Mortara, ma anche due rami dell’aristocrazia isolana, incarnata da due fratelli: uno clericale conservatore e un filosofo filo unitario. Pirandello cerca sempre il dramma dell’uomo, il suo ricorrere all’arte del mascheramento per difendersi dallo scorrere del tempo o per fuggire alla Storia. 2.Permanenza e fuga Sciascia è lo scrittore siciliano con cui Vittorini stabilisce un filo diretto nel grande crocevia degli anni 50. Solo in parte decifrate, sono le occasioni che Sciascia fornisce a Vittorini di ripensare ai luoghi d’origine come a un argomento da risolvere, quasi fosse un dilemma interiore, un appuntamento strategico al bivio tra memoria familiare e mito comunitario su cui urgono i problemi del latifondo e l’occupazione delle terre. Sciascia fa da sismografo a Vittorini, registra le oscillazioni di un mondo in subbuglio e le restituisce all’amico che abita a Milano, ma i due restano intellettuali agli antipodi, contrari perfino nella maniera di vivere e gestire i legami con la propria terra: Vittorini votato alla fuga dall’isola-madre, Sciascia alla permanenza. Riscrivere la Sicilia vuol dire anche cercare il reperto storiografico, rincorrere date, indizi, testimonianze, traghettare l’isola da una condizione di non-storia verso la grammatica dell’antistoria. Vittorini però non ama il romanzo storico: lo ribadisce nella lettera del 28 giugno 1963, dove dice di preferire “Il giorno della civetta” (1961) a “Il consiglio d’Egitto”(1963). 3.Illuminismo di provincia Sciascia è sempre stato letterato ed editore e ce lo testimonia il volume “Leonardo Sciascia scrittore editore ovvero La felicità di far libri” (Nigro 2019). Sciascia si presenta come un uomo dotato di un’intelligenza illuminista che si cimentava sin dalla scelta dei titoli da adottare per le diverse collane finendo per essere una specie di collaterale della critica. Ogni testo diventa una partita giocata tra chi pubblica e chi legge, una sfida che prevede l’intelligenza critica. Il nome di Giorgio Manganelli non compare casualmente tra i fantasmi che Nigro evoca. Fra Manganelli e Sciascia esiste un comune sentire la letteratura come astuzia della ragione, un gioco serio cominciato e portato avanti con l’obiettivo di comprendere il mondo e comprendersi con l’aiuto delle parole. Sciascia conosceva le debolezze del popolo a cui apparteneva, quello regionale e dell’altro quello continentale a cui probabilmente avrebbe giovato la consuetudine del ricordo come antidoto per la lotta contro il potere. Non sarebbe un azzardo dichiarare che i risvolti siano il tentativo di un dialogo esattamente come lo furono quelli che Vittorini inventò per “I gettoni”. 4.Oltre le periferie Lo scambio epistolare avvenuto tra Mario LA Cava e Leonardo Sciascia è uno spaccato culturale del Mezzogiorno al bivio tra ricostruzione e anni di piombo. Dal 1951 al 1988, concentrandosi negli 1 Sentimento della fine inteso come limite della Storia anni delle trasformazioni socioeconomiche che hanno coinvolto anche le regioni meridionali, si compie la parabole creativa dei due autori. Entrambi sono accomunati da una dimensione geografica che li relega in una periferia di mondo (uno in Calabra, l’altro in Sicilia) lontani dalle capitali dell’editoria (Milano e Torino) o della politica (Roma). All’inizio, la provincia non è vissuta come una condanna, ma come una risorsa. La Cava collezionerà più di un rifiuto, mentre Sciascia diventerà un punto fermo della casa editrice Einaudi. È probabile che a monte di tutto ciò prevalga una diversa idea di letteratura che va maturando con il passare del tempo. Il carteggio diventa l’occasione per puntualizzare in quale misura si va rinnovando il vincolo dello scrittore con la propria terra d’origine. La guerra sembra aver influito su questo tema sentito nelle latitudini meridionali modificando la natura del rapporto di un lirismo d’arcadia. Agli scrittori meridionali viene offerta l’opportunità di ridiscutere il concetto di periferia e di margine. Nel 1957, la DC promuove un numero speciale della rivista “Prospettive Meridionali” in cui affida ad alcuni autori il compito di narrare ciò che si va modificando nelle regioni centro-meridionali. L’obiettivo è raccontare la realtà non attraverso l’elegia, ma tramite il ritratto di una condizione arcaica. Il Sud è considerato provincia e questo sentirsi alle estremità di un centro che sta altrove interpreta il sentimento di marginalità che ratifica la distanza con il Nord. 5.Alla scuola dei Gran Lombardi Vittorini, negli anni di Conversazione in Sicilia (1941), ha intuito l’esistenza di un’isola abitata da “gran lombardi”: una razza particolare di individui poco appariscenti ma solidi nei principi come l’omonimo personaggio che si incontra nel suo romanzo in grado di lottare per la dignità e i diritti degli uomini. Lombardo è un aggettivo a cui Vittorini e Sciascia destinano significati confinanti > è sinonimo di legalità e giustizia. Ed è anche questo il mito che sopravvive nel quotidiano palermitano “L’Ora” soprattutto nel ventennio in cui lo dirigeva Vittorio Nisticò, ovvero dal 1955 al 1975. Nisticò fu chiamato a dirigerlo e lo trasformò in uno strumento di indagine politica, autonomo nelle idee rispetto al PCI che pure in quel periodo ne era diventato finanziatore. Un filo di sangue lega la vicenda del quotidiano a Giovanni Falcone, magistrato simbolo dell’antimafia come se la presenza di una Palermo che credeva nella legalità fosse dentro un processo di osmosi tra giornalisti e macchina investigativa. L’Ora vanta un suo primo primato anche in questo: intimidazioni, attentati, tre cronisti uccisi tra il 1960 e il 1972. 6.Esercizi di cronaca “Il sorriso dell’ignoto marinaio” di Consolo è l’opera più rappresentativa di questo autore. Ogni pagina di questo originale romanzo storico, ogni indizio, ogni situazione conducono il lettore verso un’idea di letteratura che è un viaggio in una spirale senza fine, mistificazione del passato, menzogna o impostura. In “Esercizi di cronaca”, Consolo affronta il problema della comunicazione verbale in chiave socio-antropologica pensando agli emigrati meridionali nella Milano degli anni 60 e rimasti ai margini del processo di integrazione. Capitolo 9: il continente antropologico. 1.Manzoni sotto il Garigliano Raffaele Crovi nel saggio Meridione e letteratura, pubblicato su Il Menabò, riflette e dà un giudizio severo quando addebita alla letteratura d’impianto meridionale l’incapacità di analizzare i processi di trasformazione avvenuti nella società. Vittorini si pone come ispiratore de Il Menabò e anche il più antisiciliano degli scrittori siciliani. Il paradigma della letteratura e della Storia diventa una tipologia di scrittura vista negativamente da parte dei teorici della neoavanguardia che gridano alla “morte del romanzo”. Soltanto in area meridionale si continua a credere nel valore della narrazione ispirata al manzonianesimo > viene creata infatti una rivista “Le ragioni narrative”, bimestrale di 8 numeri, stampato a Napoli tra 1960 e 1961 > rivista che si pone l’obiettivo di difendere il romanzo come genere di tradizione morale. Già il termine “ragione” mette in evidenza il tentativo di radunare in quel sostantivo la lezione di Vico e dell’illuminismo. La difesa del Il sovrabbondare di narrazioni che guardano a Taranto e al suo dissesto ecologico obbligano a pensare che la fabbrica perda la fisionomia del luogo in cui ottenere un potenziale riscatto, ma diventa un nuovo motivo finalizzato a demonizzare la civiltà industriale. Nel meridione giungono due realtà imprenditoriali importanti come la Olivetti e l’Alfa Romeo. L’alfa Romeo, però non è stata in grado di generare narrazioni di ampio respiro letterario, mentre nella Olivetti trova ospitalità un libro come Donnarumma all’assalto, ovvero un libro di speranze tradite. Secondo Ottieri e Bernardi non esiste altro modo per superare la disoccupazione se non guardando con speranza agli imprenditori del Nord: ad Adriano Olivetti, a Orlando Rughi, docente universitario di origini emiliane intenzionato a costruire un’azienda chimica. Sulle soglie di una potenziale modernità nemmeno la fabbrica viene ritenuta capace di operare alcune forma di riscatto, nemmeno di tipo economico. In “vogliamo tutto” di Nanni Balestrini e “Le ferie di un operaio” di Vincenzo Guerrazzi, viene mostrato il lato disumano della catena di montaggio che provoca sofferenza e alienazione all’uomo. Per parlare di un neoluddismo, bisogna attendere “Tuta blu. Ire, ricordi e sogni di un operaio del Sud” (1978) di Tommaso di Ciaula: è un romanzo/monologo sulla rabbia di un metalmeccanico pugliese durante la crisi petrolifera dei primi anni Settanta, un testo che risente di un clima conflittuale nei confronti della fabbrica alimentato dalla presenza del sindacato e condizionato da un atteggiamento di odio verso la fabbrica. 5.Una dimensione irrisolta La rivista della Finmeccanica è uno dei pochi luoghi in cui si svolge il dibattito sulle “due culture” ed è anche uno strumento attraverso cui colmare il divario tra una tradizione umanistica arretrata e le frontiere della tecnologia. Tra il 1953 e il 1957, la direzione è nelle mani di Sinsgalli. Le visite in fabbriche vengono riportare in un unico libro intitolato “L’anima meccanica. Le visite in fabbrica” in “civiltà delle macchine” (1953-1957). I letterati continueranno a non conoscere le macchine, però ne decantano le virtù con un lessico che non è per niente problematico e conflittuale. Sinigalli credeva nel processo di modernizzazione del Mezzogiorno, ma la sua voce sarebbe stata interpretata come la voce di un entusiasta o di un integrato ed emarginata perché assimilata a quella dei padroni. Rea ha cercato di consolidare l’immagine di un territorio che ha cercato la strada del progresso: l’ha inseguita non mediante gli affollatissimi flussi migratori dal Sud al Nord, ma attraverso i piani di uno sviluppo industriale che però non hanno inciso sui destini del Meridione. La narrativa di Rea si è arrestata su un bivio: non più il rimpianto per il tempo di ieri, ma il fallimento del tempo di domani. CAPITOLO 11 1. LE DUE ITALIE Mensile “nord e sud” (dal dicembre ’54) di francesco compagna il meridione italiano viene analizzato anche in relazione all’occidente continentale e mediterraneo ampliamento di orizzonte geografico sprovincializzazione allontanare l’idea del sud come civiltà contadina che non ha niente ha che fare con quella moderna. Compagna è centrale negli scenari della nuova questione meridionale aveva pubblicato per Laterza alcuni saggi che guardavano ai fenomeni urbani, anziché rurali, del meridione “i terroni in città” (’59) e “la politica delle città” (’67) vogliono arginare ideologicamente l’interpretazione leviana del mezzogiorno (vedi “Cristo si è fermato a Eboli”). Il problema principale di compagna è riadattare la discussione alle trasformazioni che sono in atto in quegli anni (anni della ricostruzione) trovare una giustificazione alle forme di immobilismo e ai fenomeni migratori (ciò che levi condannava). Dei fenomeni migratori Levi parla nella prefazione di “profonda Sicilia” (libro di Mario Farinella, edito a Palermo nel ’66) secondo levi il mondo contadino ha subito un’ulteriore sconfitta: quelli che erano contadini sono finiti a lavorare nelle fabbriche e nelle miniere del nord Italia e dell’Europa (luoghi definiti “astratti purgatori”) levi fa questa condanna in riferimento alla riforma agraria degli anni ’50, che si era rivelata inutile e aveva quindi indotto forti flussi migratori verso desolanti periferie per levi questa è una disfatta. Riccardo Musatti in “la via del sud” (‘55) dà una lettura di questi fatti diametralmente opposta per lui la fuga dalla campagna non è solo indispensabile, ma anche benefica, in un paese che costringe il 40 percento della sua popolazione a cercare sostentamento in un’agricoltura molto più povera che nelle altre nazioni. Il fallimento della riforma agraria è la base di partenza da cui si sviluppano entrambe queste opinioni per levi questo fallimento è oggetto di deprecazione, per Musatti esso può trasformarsi in un’occasione: affermare un’“industrializzazione decentrata” nel meridione. Intorno a questo tema ci sono opinioni numerose e contradditorie miraggio di un sud pieno di fabbriche. Vittorini negli anni ’50 e ’60 egli coinvolge, nelle sue narrazioni, gli equilibri tra dialetto e lingua e, in particolare, tra i vari dialetti che si mescolavano nelle periferie delle città industrializzate, formando una sorta di koinè. Per Vittorini questa è una risorsa linguistica, per levi una disfatta sociale. Sempre a proposito di questo processo di osmosi tra nord e sud leggiamo “il mondo visto da sotto” di Pedullà secondo lui, tra gli anni ’60 e gli anni ’90 (quando i meridionali si spostarono per cercare lavoro, ovunque ce ne fosse) il nord e il sud si sono uniti in un obiettivo comune: io ho le industrie, tu hai la manodopera. Letteratura elaborata negli anni dell’impegno interpretazione del fenomeno migratorio come esperienza di dimenticanza (positiva) e come atto fondativo di una nuova umanità. A questo proposito vediamo un articolo di Ignazio Silone (“ritorno a fontamara” su “Comunità” nel ’49, poi confluito come “la pena del ritorno” in “uscita di sicurezza” nel ’65) evoca la partenza dal luogo d’origine con le parole di un vecchio socialista: “parti e dimentica questa terra di dolore… beato te che sei ragazzo e puoi ancora dimenticare” ribalta l’opinione comune: auspica il contrario della memoria il giovane è ancora in tempo ad acquistare un’altra memoria e un’altra identità. 2. FINE DELLA CIVILTà DEI PADRI “l’immigrazione meridionale a Torino” (’64), inchiesta di Goffredo Fofi condotta tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, seguendo i flussi interni l’emigrazione non viene più vista come una sconfitta della persona e della Storia. L’inchiesta si compone di motivi come il lavoro, ma anche psicologici ed emozionali, i rapporti delle comunità con il territorio, i problemi di organizzazione e accoglienza. Fofi attribuisce a Torino il ruolo di città-campione: gli immigrati convergono verso modello di vita urbana e hanno il sogno di indossare una tuta blu (FIAT). Il giudizio di Fofi sulla FIAT come un’azienda utilitaristica ha fatto sì che il libro fosse stampato da Feltrinelli anziché da Einaudi, come inizialmente sarebbe dovuto essere. Non vuole fare polemica nei confronti della FIAT, il suo libro ha un ruolo testimoniale, con tanto di tabelle statistiche. Vuole maturare una coscienza nazionale. Milano è vista, nell’immaginario novecentesco, come una piccola NY oltre a soddisfare i bisogni primari permette di coltivare il desiderio di costruirsi una nuova identità, diventare adulti, chiudere col vecchio mondo. Sia a NY sia a Milano i giovini giungevano per “ammazzare i padri”: liberarsi della tradizione Europea/rurale questo è uno dei motivi che spinge all’emigrazione, insieme ovviamente alle ragioni economiche. Assioma della modernità: città come luogo di perdita dell’innocenza e di riscatto sociale allo stesso tempo. “è un meridionale però ha voglia di lavorare” (2011) libro corredato da immagini documentali degli anni del boom famiglie e operai accampati, incidenti sul lavoro… 3. L’ITALIA DEGLI ULTIMI “l’Italia dei poveri” (1958) di Giovanni Russo è un libro/inchiesta rappresentare alcuni aspetti della realtà italiana ritroviamo un’idea di umiltà nella marginalità: uomini che non appartengono a categorie privilegiate, che vivono sopravvivendo tuttavia umiltà e povertà non sono due termini perfettamente sovrapponibili. “l’Italia dei poveri” rappresenta un popolo abituato a patire, offeso da miseria materiale e morale. Nonostante questa rappresentazione, questo libro prende le distanze da “Cristo si è fermato a Eboli”: quello rappresenta una Lucania fuori dal tempo e ancestrale, questo rappresenta il periodo del secondo dopoguerra, quello del boom economico. Inoltre, quello rappresenta prevalentemente braccianti, questo operai, sacerdoti, prostitute, funzionari di partito, turisti… La differenza fondamentale è il fatto che questo libro racconti un’Italia dimessa ma pronta a uscire dalla non-storia e dal non-tempo (al contrario della concezione leviana) popolazione che vuole cambiare, che si trasferisce, che vuole migliorare il paese. 4. OMOLOGAZIONE E DECULTURAZIONE “un treno nel sud” (1958) di Corrado Alvaro (Vito Teti scrive introduzione di nuova ed. del 2016) Alvaro anticipa Pasolini intuendo il rischio di omologazione, deculturazione e di malesseri e chiusure di cui il sud sconta le conseguenze. Alvaro parla di un’Italia precapitalistica: lo fa per sottolineare le contraddizioni di ciò che viene definito progresso e che nel sud rimane visto come un miraggio. Tema della fuga (dalla Calabria) per tentare un destino di avventura. Il vero problema è la sfida con la Storia viaggiare vagabondo tra le regioni del sud, apparentemente colorito di nostalgia e memoria, ma il vero problema è la mancanza di un ceto mercantile e artigianale. “sud e magia” (1959) di Ernesto De Martino la questione meridionale si lega sempre più al latitare della borghesia, che in alcuni casi presuppone il silenzio degli intellettuali, obbligati a rifugiarsi nel passato, nello stesso modo in cui un bracciante disegna il proprio futuro nell’emigrazione mentre il secondo ha una possibilità di riscatto trasferendosi al nord, il primo no e non riesce quindi a trovare una propria utilità. 5. EMIGRAZIONE IN FORMA DISTOPICA “la fantarca” (1968) è un romanzo di Giuseppe Berto racconta dell’emigrazione di popolo calabrese nello spazio, a bordo di un’astronave. Il razzo, vecchio, arrugginito e fluorescente, è diretto su Saturno ed è stato battezzato Speranza n.5. È improbabile che il razzo riesca a varcare l’atmosfera, perché troppo malandato, sembra quasi una vecchia locomotiva a vapore. Gran parte del romanzo si svolge su questa astronave, che Berto paragona a volte ad una lavatrice, altre ad un frigorifero simboli del boom economico. Berto contrappone la cieca speranza di costruire un’umanità migliore su un altro pianeta ai rischi del viaggio a bordo di un oggetto figlio del progresso. Metafora del razzo/nave: è come l’arca di noè vi salgono persone e animali nella speranza di ricominciare da capo altrove, perché la loro terra è destinata a morire. Sentimento del day after riprende il clima che si era creato con la guerra fredda (lanci nello spazio) le incertezze del periodo sono campionate da Berto la Terra è diventata invivibile per via delle divisioni e delle rivalità (muri alle frontiere, armi segrete…). Il dissesto ecologico e la questione meridionale sono argomenti molto dibattuti negli anni ’60 il primo esplode nel ’68, il secondo esisteva già da un secolo. I calabresi in viaggio verso saturno hanno la missione di rendere abitabile un posto che non lo è, hanno maggiore speranza rispetto a quella che avrebbero migrando al nord e vivendo ai margini delle periferie. CAPITOLO 12 1. LA FRONTIERA DELLA STORIA Nel cimitero di Aliano in Lucania c’è la tomba di Carlo Levi da lì c’è una bellissima vista sul panorama a causa del diabete Levi aveva vissuto l’ultimo periodo della vita in cecità. Levi aveva osservato il mondo della Lucania dagli anni ’30 agli anni del secondo dopoguerra, senza vedere per questa terra speranza di cambiamento. Poi, però, il cambiamento è arrivato anche dove Levi non 3. LE DUE ECONOMIE “le donne di messina” (’49) di vittorini VEDI APPUNTI CON LA TRAMA, COL CAZZO CHE LA RISCRIVOc’è poi una seconda stesura del romanzo che esce nel ’64 tra le due cambiano diversi elementi: nella prima stesura il separarsi dal mondo con un’economia di sussistenza è un’utopia, nella seconda viene visto come un limite, perché c’era chiusura verso la storia, la modernità e quindi anche verso un miglioramento dello stile di vita. Le due economie: di sussistenza o di mercato. 4. IL LIEVITO DELLA STORIA Mario pomilio si pone tra chi ricerca e non tra chi proclama. “il quinto evangelio” (’75) alto tasso di problematicità in materia di fede, scrittore che cerca la verità anziché proclamarla, ipotesi che la storia possa tramutarsi in utopia. ANCHE QUI RIVEDI LA TRAMA E GLI APPUNTI, CHE CAZZO DI LIBRO INUTILE. Disobbedienza di pomilio al paradigma dei generi letterari forte sperimentalismo. 5. ENIGMA IN FORMA DI ISOLA Raffaele nigro è un narratore epico eccezione nel panorama italiano novecentesco. Nei suoi libri compaiono entrambe le tipologie del racconto omerico: romanzo di guerra e romanzo di viaggio. Fa parte anche lui delle esperienze narrative che si originano dalla dorsale appenninica lui fa da spartiacque tra la dimensione tragica e la ricerca del luogo felice, sembra quasi celebrare la fine di una civiltà e il disvelarsi di un’altra. Coordinate che guardano la storia secondo la prospettiva di morte e risurrezione, di conclusione e di principio. Resoconto dello sradicamento e poi ricerca delle radici mezzogiorno al bivio tra la cancellazione di un luogo e l’approdo in un altro. È raro però che si torni a itaca come ha fatto ulisse si cambia terra e itaca resta dentro di noi. CAPITOLO 14 1. MEZZOGIORNO AL BIVIO Ogni narratore che tra la fine del ‘900 e l’inizio degli anni 2000 vuole raccontare del sud si trova davanti ad un bivio:  Seguire la strada della coralità, dove si intrecciano microstoria e macrostoria  Narrare di esperienze individuali, quindi fare un racconto di cronaca più che di epica La prima tipologia è legata alla tradizione e ai criteri della letteratura mediterranea, la seconda è all’insegna del minimalismo e del tempo breve. Si è ridotta l’identità del mezzogiorno all’antitesi crimini-giustizia. L’obiettivo è cercare le cause e sottoporle all’attenzione dei lettori. Non abbiamo però a che fare con letteratura dell’impegno, perché essa non deve e non esaurisce i suoi obiettivi nella denuncia, ma cerca anche una soluzione e ha una dimensione costruttiva. Gomorra non è libro di letteratura dell’impegno, ma di letteratura confermativa. Questo tipo di letteratura in parte giustifica il proliferare di gialli e di narrativa d’inchiesta. La letteratura, in questo modo, segue la realtà anziché anticiparla e rimodularla. Manca la dimensione del tempo come profondità. Domenico dara è un’eccezione a questo Mimmo sammartino è un rigurgito della narrativa leviana sud come terra magica e ancestrale Gaetano Cappelli fa racconto da esteta 2. IL PAESE INUTILE Mauro francesco minerivino “la calabria brucia” 2008, “statale 18” 2010, “stradario di uno spaesato” 2016 sono sondaggi sul territorio, nuova prospettiva, immagine di roghi estivi allegoria di apocalisse ma con atmosfere on the road esigenza di capire un popolo e di spiegare la sua subalternità. Unendo frammenti narrativi e riflessioni saggistiche viene fuori la coscienza di un territorio. È presente anche l’invettiva politica e il ragionare contro, ma solo in parte, per raggiungere l’obiettivo: mostrare come la modernità per quei luoghi ha significato solo degrado e dispersione. È uno sguardo antropologico, non moralistico, si vuole capire, non giudicare. 3. DE MARTINO POSTMODERNO “quel che resta. L’italia dei paesi tra abbandoni e ritorni” (2017) di vito tetiparentela con giorgio de chirico e alfonso gatto il primo dipinge “gli archeologi”, il secondo fa una raccolta di versi “morto ai paesi” entrambi testimoniano la presenza in ciascuno di noi di un passato che non finisce mai di lanciare messaggi. “quel che resta” di claudio magrisin un mondo che cambia molto velocemente, più di quanto la memoria non riesca a fare, occorre legarsi a quello che resta, ma non per celebrare la nostalgia. TI CHIEDERAI, ALLORA PER FARE COSA? BEH, NEL LIBRO NON C’È SCRITTO E SE C’È SCRITTO NON SI CAPISCE. Paesologia e abbandonologia due fenomeni che teti non approva. Secondo teti non esiste modernità senza rapporto con il proprio passato. 4. FANTASMI PARTENOPEI Da anni Napoli, la Campania e il sud in generale sono visti come una discarica e come un luogo dove il delitto non ha redenzione. Questa idea di Napoli era stata descritta già da matilde serao, che aveva descritto una società derelitta. Montesano scrive “nel corpo di napoli” (1999) ribadisce il filo conduttore che lega la sua opera alla letteratura verista. “ombre dull’ofanto” (1992) di raffaele nigrotema delle mafie e della malavita sulla stessa linea abbiamo “non lo chiamano veleno” (2006) di treccagnoli, “il male in corpo” (2019) della fasanella e “veleno. La battaglia di una giovane donna nella città ostaggio dell’Iva” (2013) della zagaria. Gli scrittori del veleno cercano di decifrare il processo di modernizzazione del mezzogiorno, che ha avuto inizio col secondo dopoguerra corsa sfrenata all’arricchimento, senza morale. Anna maria ortense, “il mare non bagna napoli” (1953) racconta una terra abitata da gente miope e senza occhiali. “fantasmi vesuviani” (2009) di felcie piemonteseha tratti in comune con il libro della ortensedimensione di incompletezza, sensazione di essere al passo dal momento cruciale senza raggiungerlo mai, insoddisfazione, desiderio di fuga, delusioni entrambi gli autori hanno difficotà a trovare il bandolo della matassa. “esco presto la mattina” (2009) di massimo cacciapuotimetafora su cosa significhi abitare oggi a napoli 5. FABBRICARSI UNA META “il padre degli animali” (2007) di andrea di consoli suggestioni di una condizione ancestrale e edenica. Dialogo tra generazioni poste di fronte allo spaesamento del moderno. Si domanda le ragioni di una civiltà morta e le contraddizioni che ci sono dietro la facciata di apparente solarità. Meridione come terra senza pace, monotonia del dolore. La cronaca ha scalzato l’epica “la commorienza. La misteriosa morte dei fidanzatini di Policoro” (2010) di Di Consoli non solo denuncia, ma comprendere le ragioni della violenza gratuita, dare una spiegazione, ricerca di identità. Raffaele nigro e carmine abate parlano di emigrazione, rispettivamente verso america e verso nord europa, e di immigrazione da africa e medioriente contribuiscono a mettere le regioni del sud in una dimensione più dilatata. I loro protagonisti sono persone in fuga dal passato, condannati a condizione di sradicamento, ma il loro approdo in un’altra dimensione geografica dà loro modo di progredire nella sfera comunitaria, fino a restituire loro la consapevolezza di uomo. Perdere la memoria, per questi autori, dà modo di eliminare il sentimento di sradicamento e di iniziare un nuovo processo di formazione. I personaggi sono eroi al bivio tra affrontare con coraggio l’altrove e il desiderio di ritorno. 6. I MARGNI DI UN’ITALIA MINORE “manifesto per riabitare l’italia” uscito per editore donzelli nel 2020 no riabitare l’italia in modo nostalgico rispetto a quello che c’era prima. Si potrebbe, per esempio, valorizzare maggiormente le aree appenniniche. 7. CONTRO LA NUOVA ARCADIA Migrazione dalle aree del sud verso il nord, in particolare milano in prima fase per le fabbriche, poi, negli anni ‘70/’80 per l’università. Con la pandemia questa idea di nord come modello inscalfibile è entrata in crisi, ma non abbastanza da ribaltare gli equilibri nord-sud. Raffaele crovi “appennino. Avventure di un paesaggio” (2003) le aree interne, tantopiù se meridionali, mancano ancora dei servizi che consentono di avere un buono stile di vita. Al sud la classe politica quasi mai ha lavorato in termini di progettualità. Vito teti “quel che resta” (2017) definisce la sindrome del cuculo distruggere i mondi quando sono in vita per poi piangerli e rimpiangerli quando sono defunti o moribondi lui è contrario a questo modo di fare 8. LABIRINTO IRPINO 23 novembre 1980 terremoto dell’irpinia ne parla Generoso Picone in “paesaggio con rovine” (2020)oltre alla distruzione fisica, scompare un’intera civiltà le aree interne hanno continuato a vivere nella marginalità e, nonostante con la ricostruzione siano stati rimodulati gli assetti urbani, è rimasta la sensazione di subalternità. Chi ha vissuto quel trauma ha maturato l’idea che dal labirinto irpino si possa uscire solo andando verso altre geografie. CAPITOLO 15 1. NARRARE ANGIOINO E NARRARE ARAGONESE Il narrare angioino è ricco di fantasia, quello aragonese racconta i fatti nudi e crudi. Il capostipite moderno del narrare aragonese è Verga. Questa narrazione ratifica l’assenza della borghesia e quindi il fallimento di qualsiasi spinta al progresso. 2. RAGIONI NARRATIVE Ci sono due modi di scrivere: raffigurare il mondo così com’è o raffigurare il mondo come dovrebbe essere. Per quanto riguarda la narrativa del sud, da verga a levi e da levi a saviano, il mondo viene rappresentato così com’è coltivato il senso di denuncia. Verga e levi ratificano l’assenza della storia in termini di redenzione; l’immagine del sud che ci è giunta negli ultimi decenni ha una forte matrice apocalittica. 3. DAY AFTER AND WASTE LAND “l’ultima sposa di Palmira” (2011) di giuseppe lupo scrittura esperienziale, terremoto del 1980, narrazione angioina se possiamo narrare significa che siamo vivi, sopravvissuti ipotizzare come sarà il domani, progettare. Se guardiamo l’italia concentrandoci sulla gente che abita l’appennino, troviamo che essa si trova in una dimensione equidistante tra l’Oriente e l’Occidente e tra il nord e il sud. La letteratura è la rappresentazione di una maniera di essere del mondo e aiuta a capire la natura degli uomini. Zona mediterranea susseguirsi di popoli lungo le epoche come un’anomala torre di Babele. 4. EPICA DELLA PROGETTUALITÀ La letteratura non deve essere un tentativo di elevare la cronaca a teorema della coscienza. Raffaele La Capria “l’armonia perduta. Una fantasia sulla storia di Napoli” (1986) saggio. Nel 1799 è avvenuta una ferita (QUESTO CRETINO DI GIUSEPPE NON HA SCRITTO QUALE) il sogno di cui parla la capria è quello di una repubblica cercata e combattuta da intellettuali, eppure caduta.
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