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la strage in tv secondo Volponi, Appunti di Pedagogia

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Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 09/11/2021

camilla_dalben
camilla_dalben 🇮🇹

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica la strage in tv secondo Volponi e più Appunti in PDF di Pedagogia solo su Docsity! DANIELE FIORETTI La strage in TV: terrorismo e mezzi di comunicazione di massa ne Il sipario ducale di Paolo Volponi All’interno della produzione narrativa di Paolo Volponi /! sipario ducale è senza dubbio uno dei romanzi meno amati dalla critica. Basta prendere in esame la bibliografia critica volponiana per rendersene conto. A parte qualche recensione all’uscita nel 1975 e un saggio di Armando Balduino nel 1976! si è dovuto infatti attendere vent'anni prima che la critica tornasse a rileggere e analizzare questo libro.? Quali sono i motivi di tale mancanza d’attenzione? Probabilmente si è ritenuto che il Sipario ducale fosse un’opera minore, un testo volutamente “semplificato” dopo l’arduo sperimentalismo del romanzo precedente, Corporale (1974), che tante reazioni negative aveva suscitato al momento della sua pubblicazione. In effetti, la chiave per comprendere questa temporanea svolta stilistica di Volponi va ricercata proprio nella scarsa fortuna editoriale di Corporale. Anche se oggi Corporale è considerato come uno dei vertici della produzione narrativa volponiana, all’epoca della sua uscita il romanzo fu largamente incompreso; il suo stile franto e carico di accensioni liriche fece sì che il libro venisse considerato difficile, a tratti incomprensibile, e perciò invendibile. Cè da dire che, a proposito della “difficoltà”, o per meglio dire della valenza sperimentale di un testo letterario, Volponi si era già espresso chiaramente già nel 1966. Poco dopo l’uscita de La macchina mondiale l’autore aveva affrontato il problema in un saggio intitolato appunto Le difficoltà del romanzo. È interessante il fatto che, in tale scritto, Volponi avesse deciso di rovesciare i termini della questione, rifiutando con forza la nozione stessa di romanzo “difficile”. Infatti, secondo lo scrittore, il problema della “difficoltà” di un libro non risiede tanto nel testo stesso quanto nella ricezione, nell’atteggiamento assunto dall’interprete nell’approccio al prodotto letterario: quando si prende in mano un romanzo non si deve cercare un passatempo, una specie di lavoro a maglia o di pettegolezzo; ma occorre affrontare il romanzo con l’animo di studiare, con il desiderio di capire e di mettersi in relazione con quell’universo nuovo che il libro, la sua lingua, i suoi temi, la sua struttura costituiscono.* In sostanza, Volponi esortava i lettori a considerare il testo letterario non come un divertimento ma come un oggetto complesso da analizzare con attenzione, il punto di partenza di un’avventura conoscitiva, un’impresa che richiedeva l’attiva partecipazione di 1 ARMANDO BaLbuino, Due romanzi di Volponi, in Ip, Messaggi e problemi della letteratura contemporanea, Venezia, Marsilio, 1976. 2 Si segnalano MARIA CARLA PAPINI, Paolo Volponi. Il potere, la storia, il linguaggio, Firenze, Le Lettere, 1997 e LOTHAR KNAPP, La città e la storia. ‘Il sipario ducale’ di Paolo Volponi, «Allegoria», a. IX, n. 27, pp. 159-166. A parte questi contributi, al Sipario ducale e della sua «latitudine strabicamente storiografica» aveva accennato solo EMANUELE ZINATO, Paolo Volponi, «Studi Novecenteschi», nn. 43-44, 1992, pp. 7-50. 3 PAOLO VOLPONI, Le difficoltà del romanzo (1966), ora in ID., Romanzi e prose, a cura di Emanuele Zinato, vol. I, Torino, Einaudi, 2002, p. 1024. un lettore “forte” e consapevole. Tuttavia, nel caso di Corporale, l’incomprensione non si limitò al pubblico non specializzato: anche una parte consistente della critica si mostrò insoddisfatta e recensì negativamente il romanzo, allontanando così anche lettori agguerriti e muniti dei necessari strumenti interpretativi.* Il risultato fu che, dopo Corporale, le librerie iniziarono a rifiutare i libri di Volponi, perché erano convinti che non sarebbero riusciti a venderli. L'autore stesso, in un’intervista con Filippo Bettini, raccontò che Livio Garzanti lo spinse a girare per l’Italia insieme a Anna Drugman, che all’epoca era a capo dell’ufficio stampa della casa editrice milanese, per convincere i librai che // sipario ducale era un libro completamente diverso da Corporale, più semplice e di presa più immediata. Questa campagna promozionale ottenne il risultato voluto. Le vendite aumentarono considerevolmente, aiutate anche dalla vittoria ottenuta al Premio Viareggio. A tale proposito Volponi dichiarò: «Il sipario ducale, che fino a quel momento era rimasto fermo, perché considerato un fratello del romanzo precedente, poté sbloccarsi e trovare il suo spazio. Ma è un fatto piuttosto significativo che il suo riconoscimento sia dovuto passare attraverso la smentita di Corporale».5 È indubbio che il ricorso allo stile piano e apparentemente tradizionale del Sipario ducale abbia rappresentato una sconfitta per Volponi, o meglio una battuta di arresto di quello sperimentalismo narrativo che poi sarebbe invece tornato con forza in romanzi come Il pianeta irritabile e Le mosche del capitale. Tuttavia sarebbe sbagliato leggere questo romanzo solo come il tentativo, da parte di Volponi, di accattivarsi il mercato delle lettere. Il sipario ducale non è un testo scritto pensando al successo commerciale; infatti, nonostante una certa innegabile semplificazione linguistica e strutturale rispetto alle prove precedenti, il romanzo prosegue in modo coerente, sotto il profilo del contenuto, l’itinerario del pensiero e dell’impegno politico e sociale del suo autore. Permangono ad esempio alcuni elementi tipici della prosa volponiana, quali la scelta di un protagonista controcorrente, “diverso”, in qualche modo sempre isolato dall’ambiente in cui vive: un Don Chisciotte, una particella stramba che riesce, come già era avvenuto nei romanzi precedenti, con la sua logica straniata a mettere in crisi e a dimostrare l’assurdità del pensiero ritenuto “normale” dalla società. Non mancano inoltre nel testo forti critiche all’attualità politica e sociale italiana; in particolare è evidente la critica del sistema politico, caratterizzato dall’egemonia della Democrazia Cristiana. Secondo Volponi i democristiani, interessati più al mantenimento del potere acquisito e al contenimento del Partito Comunista che alle riforme, portavano avanti un programma di governo sostanzialmente conservatore che perpetuava, anziché smantellarle, istituzioni, pratiche e consuetudini che avevano caratterizzato l’Italia fascista. In questo senso, le opinioni espresse nel Sipario ducale hanno molto in comune con il Pasolini “luterano”. In un articolo pubblicato sul «Corriere della Sera» il 1° febbraio 1975, Il vuoto di potere, Pasolini denunciava una continuità completa e assoluta tra “fascismo fascista” e “fascismo democristiano”; a suo dire la democrazia che la DC opponeva al regime fascista era infatti 4 Vale la pena di notare che sia un critico vicino alla neoavanguardia come Renato Barilli (cfr. RENATO BARILLI, “Corporale” o la narrativa ‘bassa’, [1974], ora in ID., La barriera del naturalismo, Milano, Mursia, 1980) sia il neosperimentalista Pier Paolo Pasolini, che della neoavanguardia si professava nemico, recensirono negativamente il romanzo, muovendogli critiche simili (cfr. PIER PAOLO PASOLINI, Quel ‘pazzo’ di Volponi non sa rinunciare a niente [1974], ora in ID., Descrizioni di descrizioni, Torino, Einaudi, 1979). 5 PAOLO VOLPONI, / vent’anni di “Corporale”, intervista a cura di Filippo Bettini, «Critica marxista», nn. 4- 5, 1995, p. 105. ducale: scrivere per capire il senso degli anni di piombo mentre essi erano ancora in corso, anzi prima ancora che raggiungessero il loro apice con il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro. Tuttavia il romanzo volponiano non è soltanto un libro sulla strage di Piazza Fontana, ma anche e soprattutto sulla notizia della strage e sulle reazioni che essa aveva provocato nel paese e nelle coscienze degli individui. Da qui la decisione di Volponi di ambientare // sipario ducale non a Milano, il teatro della strage, ma a Urbino; il romanzo è strutturato sulla tensione dialettica tra centro e periferia, ma anche sulla relazione tra coscienza critica e necessità di azione diretta. A Urbino abitano i protagonisti della vicenda, Gaspare Subissoni e la sua compagna Vivés. Subissoni è un insegnante in pensione, Vivés lavora come impiegata in una cooperativa. Entrambi sono anarchici e hanno alle spalle un passato di combattenti; si erano infatti conosciuti in Spagna negli anni Trenta, e avevano lottato insieme nella Guerra civile spagnola (1936-1939) a fianco dei militanti del Fronte Popolare. Sono entrambi dunque dei reduci, degli sconfitti di quel conflitto che portò all’instaurazione in Spagna di un regime fascista guidato dal dittatore Francisco Franco. La militanza politica di Vivés e Subissoni è caratterizzata da tale sconfitta. Fortemente simbolico in questo senso è l’occhio cieco di Subissoni, ferito da un colpo di baionetta durante la guerra, e da allora perennemente lacrimoso, quasi a significare l’impossibilità di superare il dolore causato da questa disfatta.!* Una delle conseguenze di questo dolore, almeno per quanto riguarda il personaggio di Vivés, è quella che, gozzanianamente, si potrebbe definire una “spaventosa chiaroveggenza”. Vivés è colei che si dimostra la più lucida interprete della situazione, la più pronta a intravedere la verità dietro la cortina fumogena messa a punto da giornali e televisione. Una volta appresa la notizia della strage, infatti, dice a Subissoni: considera queste bombe. Il loro motivo è semplice come il loro meccanismo: è così chiaro tutto che anche la polizia e il governo non potranno sbagliare. Sono sicura che scopriranno presto gli attentatori e che questi sono stati mandati dalla destra. Se non scopriranno niente vorrà dire che lo stesso governo ha messo le bombe e che continuerà a metterne altre finché non fingerà di essere costretto a mettere su un nuovo regime autoritario.!4 Ecco qui esposta, in sintesi e con grande lucidità, l'essenza della strategia della tensione: le bombe come dispositivi funzionali alla restaurazione, alle ragioni della destra; il loro scopo era quello di creare un senso di paura nell’opinione pubblica per screditare i movimenti della sinistra radicale e rendere giustificata l’introduzione di misure di polizia più restrittive. Questa teoria, all’altezza delle date di stesura del romanzo, fra l’estate del 1974 e l’inizio del 1975, era stata nel frattempo corroborata da due altri gravissimi fatti di sangue: la strage di Piazza della Loggia e quella del treno Italicus, avvenute rispettivamente il 28 maggio e il 4 agosto 1974. Il sospetto che dietro a questi atti ci fossero precise responsabilità dello stato e dei servizi segreti sembrava del resto trovare conferma nelle difficoltà incontrate dalle indagini e nei tentativi di depistaggio, non ultimo quello che 13 PAOLO VOLPONI, Il sipario ducale, cit., p.66: «Subissoni non aveva guardato subito il suo occhio perché sapeva bene che era soltanto pieno di lacrime: come al solito, una o due volte l’anno dal ’39, queste scaturendo si dirigevano quasi tutte nel vano dell'occhio cieco, nel cui vano rimanevano a brillare come un’ostrica nel guscio disserrato: solo se il pianto, cosa che gli era capitata non più di tre volte in quei trent'anni, fosse fluito abbondante, le lacrime avrebbero superato il ciglio e poi sarebbero dilagate non ‘una per una, magari inseguendosi rapidamente, ma come piccoli flutti giù per tutto il bordo della gota». 14 Ivi, p. 27. costò la vita all’anarchico Giuseppe Pinelli. Ed è di nuovo Vivés a intuire che si sarebbe cercato di addossare la responsabilità della strage su un capro espiatorio, un innocente: «Vivés lo prese [Subissoni] per la testa e non lo lasciò. — Innocente, - gli disse. — Sei l’uomo più innocente della terra. Prenderanno un innocente come te».!5 Vivés è consapevole che, per capire come stanno davvero le cose, non è sufficiente accontentarsi dei rapporti ufficiali e delle notizie che le giungono attraverso la televisione e i giornali; la donna pianifica un intervento diretto, un viaggio a Milano per prendere visione coi propri occhi della situazione, per entrare in contatto con la gente, esaminare i luoghi, discutere e, se possibile, trovare le prove per dimostrare le responsabilità dello stato nella strage. Questa è l’unica strategia rivoluzionaria che abbia senso per Volponi: il dialogo, il confronto con l’altro, lo sforzo di diffondere consapevolezza nell’opinione pubblica; questi sono i soli atti concretamente rivoluzionari che un intellettuale può portare a termine. Ma il senso di sconfitta continua ad assillare Vivès. Lo scoppio della bomba coincide con il manifestarsi dei primi sintomi di una malattia che la conduce ben presto alla morte, vanificando i suoi piani e gettando Subissoni in uno stato di prostrazione dal quale sembra incapace di risollevarsi. La morte di Vivès, al termine di una struggente agonia, sembra rappresentare la fine della speranza, da parte di Subissoni, di ogni possibilità di resistenza o di opposizione. Ma ecco che un altro personaggio femminile, Dirce, finisce casualmente sulla porta di casa del professore. Dirce, la ragazza prostituita e poi “venduta” da una mammana agli Oddi- Semproni per servire da trastullo sessuale al giovane conte Oddino (che poi della giovane si innamora al punto di desiderare di sposarla) mantiene, nonostante le degradanti esperienze a cui è sottoposta, una innata innocenza che, secondo Zinato, la avvicina a certi personaggi pasoliniani e morantiani.! Dirce, che apparentemente sembra porsi in un contrasto antitetico con Vivés, ne è invece la continuazione. Alla ragazza manca la consapevolezza ideologica di Vivés, ma tale mancanza è compensata dalla sua ingenuità e dalla sua vitalità di popolana. Subissoni arriva ben presto a percepire la continuità tra la ragazza e Vivés: «quella Dirce di sotto, che cercava di far rumore per comunicargli la sua presenza, era una creatura di Vivés: viva e vera come lei sapeva che fosse la gente... e con il bisogno di ripararsi, di sfuggire ai prepotenti, di trovare compagni e di lavorare serenamente».!? È per merito di Dirce che Subissoni riesce infine a recidere il legame con l’amata e odiata Urbino; la necessità di difendere la ragazza dalla caccia spietata di Oddo è la molla che fornisce al protagonista l’energia necessaria per rompere la sua stasi, recarsi a Milano e, almeno così è lecito supporre, assumere un ruolo attivo nella società e nella storia. Si è già anticipato che // sipario ducale è più un romanzo sulla notizia della strage di Piazza Fontana che sulla strage in sé. Si potrebbe anche allargare il campo e vedere il romanzo come una meditazione sull’informazione, o meglio sulla disinformazione di stato, sul potere dei mezzi di comunicazione di massa, qualora siano controllati dalle autorità e usati per confondere le acque, insabbiare le indagini, inquinare e fuorviare le coscienze. La televisione in particolare, assume nel testo una rilevanza centrale e inquietante, come ha subito notato Giuliano Gramigna.!8 La sfiducia di Volponi per i mezzi di comunicazione 15 Ivi, p. 87. 16 Cfr. gli apparati di PAOLO VOLPONI, Romanzi e prose, vol. II, cit., p. 719. 17 PAOLO VOLPONI, Il sipario ducale, cit., p. 262. 18 Cfr. GIULIANO GRAMIGNA, Dietro il sipario la verità nascosta, «Il Giorno», 25 giugno 1975. di massa appare, in questo romanzo, assoluta. Per esempio, Subissoni e Vivés non possiedono un apparecchio televisivo a casa e quindi, per sentire le notizie sulla strage, devono recarsi in un locale pubblico, una fiaschetteria. Mentre sullo schermo tutti assistono, increduli e allibiti, il susseguirsi di immagini, commenti e analisi dell’accaduto, il professore esclama ad alta voce, suscitando tra l’altro le proteste degli altri avventori: «non credo a niente: nemmeno a una parola. I dati, certo, i fatti... ma tutto è falso, il resto; il lutto, l’indignazione. Tutto alchimia... di questo branco di mistificatori».!° Al contrario dei due anarchici, la nobile famiglia Oddi-Semproni ha in casa un modernissimo televisore, e sembra vivere in simbiosi con esso. L’inquietante “treppiede occhialuto”, come uno strano mostro, si è saldamente installato nell’antica biblioteca di famiglia, mettendo in secondo piano la raccolta di preziosi e antichi volumi: La più grande e la più nuova delle televisioni cittadine troneggiava nella biblioteca degli Oddi- Semproni affermando la propria superiorità sui vecchi tavoli grifati, sulle vetrine a listarelle di piombo, sulle cornici pallide di mecca e anche sui dorsi di cuoio, di pergamena, di tela, di seta, di carta a mano, di paglia, di marocchino degli innumerevoli libri sepolti uno accanto all’altro, abbandonati al margine del buio: mura diroccate, seppure salde, di una costruzione da decenni , ata 20 muta e non frequentata. Questa forzata coabitazione di antico e moderno serve all’autore come spunto per alcune considerazioni sul cambiamento culturale già in atto in tutta l’Italia, caratterizzato dal passaggio dalla cultura scritta alla cultura dell’immagine. Nella descrizione volponiana i libri sembrano formare le mura di una ideale cittadella della cultura; ed è interessante che queste mura, nonostante siano diroccate, appaiano molto più solide delle architetture di luce proiettate sullo schermo televisivo. Ma ormai l’intera famiglia è completamente succube dell’influenza della televisione. Lo dimostra la gita che gli Oddi-Semproni decidono di fare a Taranto per vedere dal vivo il famoso ponte mobile dopo averne ammirato in televisione la grandiosa maestosità. Gli Oddi partono, in una macchina guidata dall’untuoso autista-factotum Giocondo Giocondini, ma una volta giunti sul posto non possono che constatare lo scarto esistente tra immagine e oggetto, tra rappresentazione e realtà. Quella che sullo schermo era apparsa un’opera splendida e imponente, uno “spazio bianco e ingegneresco”, colto dalla telecamera nel momento in cui si apriva al passaggio di «un cacciatorpediniere irto di radar, vibrante di antenne e di cannoni»! si rivela alla prova dei fatti solo un ammasso di metallo coperto di ruggine, tanto che Oddino esclama: «Sembra un pisciatoio! — sbottò Oddino, — arrugginito!».?? Il tema del contrasto tra la realtà e l’immagine fittizia che ne restituisce la televisione viene esposto, sia pure confusamente, da Giocondini in un altro punto del romanzo. Mentre sullo schermo si accampano le immagini dello scoppio della bomba in Piazza Fontana, il factotum si rivolge a Oddino: — Lei è proprio un conte, — disse. — Lei non si sente piccolo come me, davanti a questi fattacci. To ho perfino paura della televisione... Sarà perché la vedo così poco! Non so nemmeno aprirla. A casa mia, mia moglie l’ha messa in un posto che si riflette dappertutto, anche per la sua 19 PAOLO VOLPONI, Il sipario ducale, cit., p. 26. 20 Ivi, p.8. 21 Ibidem. 22 PAOLO VOLPONI, Il sipario ducale, cit., p. 56.
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