Scarica La stratificazione sociale ed il welfare e più Appunti in PDF di Scienze Umane solo su Docsity! LA STRATIFICAZONE SOCIALE Stratificazione e mobilità sociale Nella società gli individui occupano posizioni diverse in base a diversi fattori (età, sesso, etnia ecc.). La società non si presenta in modo omogeneo, ma a ‘’strati’’; con il termine stratificazione sociale si indica la presenza di una gerarchia sociale e per indicare questa struttura gerarchica si usano, anche, le espressioni di scala o piramide sociale, dove il termine piramide fornisce visivamente l’idea che gli strati inferiori sono formati da un numero maggiore di persone, soprattutto nelle società arretrate e preindustriali. Le prime suddivisioni all’interno della società sono avvenute sulla base delle differenze di genere, cioè le differenze di ruolo tra maschi e femmine, ancora marcato in certe culture. La stratificazione sociale è stata definita soprattutto in base a tre fattori, il reddito, il potere, la cultura. I tre aspetti sono in relazione tra loro, chi ha il reddito maggiore può raggiungere un livello culturale più alto e posizioni di potere. Nel passato lo status sociale era prevalentemente ascritto, cioè si ereditava la posizione della propria famiglia ed esisteva scarsa mobilità sociale. La gerarchia sociale era infatti articolata, tra nobili, clero, borghesia o terzo Stato. La stratificazione sociale tendeva a riprodursi di generazione in generazione. Con il passare del tempo, in seguito all’Illuminismo, alla rivoluzione francese e a quella industriale, la società è cambiata e la mobilità sociale è aumentata. Soprattutto si è riconosciuto, con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nel 1789, il diritto all’uguaglianza, almeno nelle opportunità: le disuguaglianze sono però rimaste e, anzi, nei primi tempi dello sviluppo capitalistico-industriale, le condizioni del cosiddetto quarto stato (il popolo), sono peggiorate. Anche oggi le maggiori opportunità di mobilità sociale non sempre si realizzano pienamente; anzi, negli ultimi essa si è invertita: se fino ad alcuni decenni fa esisteva una mobilità in ascesa ed i figli riuscivano a migliorare le condizioni socio-economiche rispetto ai padri, oggi si tratta di una mobilità sociale in discesa e le condizioni dei figli sono peggiori di quelle dei padri. Sia che si tratti di sistemi sociali chiusi sia che si tratti di sistemi sociali aperti, le diverse società si fondano su una gerarchia di fatto: la stratificazione infatti tende a riprodursi. Riguardo all’equilibrio sociale che si realizza nella stratificazione, si fronteggiano due teorie: ● Teorie funzionaliste: Durkheim e Parsons considerano la stratificazione una necessaria e auspicabile conseguenza della divisione del lavoro sociale; essi sottolineano come essa permette il funzionamento della società stessa, ma non si soffermano sulle conseguenze che ha sulla vita delle persone ● Teorie del conflitto: Karl Marx, gli esponenti della scuola di Francoforte e Mills evidenziano la presenza nella società di classi i cui interessi sono contrapposti; sono le classi al potere a presentare come necessaria e stabile una stratificazione sociale “storicamente determinata”, cioè, come afferma Marx, dovuta ad un particolare momento storico nello sviluppo delle forze produttive: in questo modo la gerarchia sociale viene riprodotta. Classi e ceti sociali Marx introduce il termine classi sociali; il termine “classe” indica un insieme di oggetti o persone che condividono le stesse caratteristiche. Gli individui, infatti, occupano una posizione in società, ma condividono questa posizione con un gruppo di persone, che svolge lo stesso lavoro. Alla base non vi sono differenze biologiche: la divisione in classi, dunque, è sociale e implica una gerarchia. La divisione in classi viene considerata uno strumento per il buon funzionamento della società, perché corrisponde alla divisione del lavoro sociale, la quale è il frutto della razionalizzazione, di cui parla Weber. Anche secondo Marx le classi hanno svolto questa funzione e la storia, secondo la sua teoria del materialismo storico, progredisce proprio attraverso la lotta di classe: una classe sottomessa si ribella e assume il potere. Nella società capitalista, affermano Marx ed Engels, i rapporti di classe si sono semplificati con la formazione di due blocchi, la borghesia e il proletariato, mentre nel passato era possibile individuare un’articolazione maggiore, nella quale risaltavano sempre due classi fondamentali, l’una costituita da chi possiede i mezzi di produzione e l’altra da chi può solo prestare la forza lavoro. La dialettica tra queste classi caratterizza i differenti modi di produzione. Secondo Marx lo sviluppo storico della società è: ● Comunismo originario, in cui non c’è ancora proprietà privata e non esistono classi ● Società antica, si fronteggiano padroni e schiavi ● Società feudale, signori servi della gleba ● Società capitalistica, borghesi e proletari ● Società socialista e comunista, dittatura del proletariato e successiva abolizione delle classi ed estinzione dello Stato (scomparsa di differenze sia sociali sia politiche) Anche chi non condivide la prospettiva classista di Marx, ammette che la società risulta divisa in classi o in strati (es. l’economista Paolo Labini utilizza ancora termini tradizionali come borghesia, classe operaia e sottoproletariato). Il termine classe fa riferimento soprattutto al lavoro e al reddito, cioè alla condizione economica. Altri studiosi, ritenendo che la condizione sociale di un individuo sia caratterizzata anche da altri elementi, seguono Marx Weber, che parla di ceti; il ceto non considera esclusivamente il livello del reddito economico, ma lo stile di vita, il livello culturale, il prestigio ed il tipo di consumi. Poiché il termine ceto non fa riferimento diretto alla condizione economica, si parla di: ceto basso, ceto medio, ceto alto, o ancora di ceti elevati e ceti popolari. La disuguaglianza Le differenze tra gli individui non comportano una disuguaglianza sociale. Differenza e disuguaglianza vanno distinte. La disuguaglianza è la disparità di trattamento che si basa su tali differenze. Con disuguaglianza si intende il fatto che la società non offre a tutti i suoi componenti le stesse possibilità di accesso alle risorse, e quindi al benessere e al potere. Disuguaglianza economica e diritti La disuguaglianza economica comporta una limitazione nell’esercizio dei propri diritti (es. il diritto allo studio è garantito a tutti, ma se la famiglia di origine non ha adeguate condizioni economiche, non potrà mantenere i figli per lungo tempo agli studi). La disuguaglianza sociale riguarda le singole società al proprio interno ma anche il rapporto tra mondo occidentale e terzo e quarto mondo. Tuttavia, lo stesso discorso si ha con le migrazioni: l’immigrato straniero è spesso il più povero tra i poveri, e i suoi diritti sono limitati. Differenze ‘’etniche’’ e discriminazione Un altro fattore di disuguaglianza è quello etnico, che può provocare la discriminazione e dar vita a un regime di segregazione razziale. Per discriminazione razziale si intende una diversa considerazione sociale e un diverso trattamento economico dei soggetti discriminati. La segregazione razziale riguarda la separazione fisica dei luoghi frequentati dalle diverse popolazioni in uno stesso territorio (es, la scuola, il lavoro ecc.). Per esempio negli Stati Uniti il sistema di discriminazione e di segregazione razziale è terminato alla metà degli anni 60, grazie alle proteste dei movimenti per i diritti civili capeggiati da Martin Luther King; molto importanti in quegli anni gli studi e l’attivismo politico del sociologo William DuBois, il quale individua una doppia coscienza degli afroamericani, che si sentono sia neri che statunitensi. Le differenze di genere Come si è già visto per la socializzazione, permangono ancora forti le differenze di genere. Le donne hanno meno opportunità di carriera e, a parità di lavoro, la loro retribuzione è inferiore a quella degli uomini. Le opportunità di carriera sono poi limitate per le donne dalle faccende domestiche che gravano ancora su di loro nella maggior parte dei casi. Alcuni sociologi, come Parsons, giustificano le differenze di genere facendo riferimento alle diverse basi biologiche che hanno determinato un certo sviluppo socio-culturale. L’antropologo Bourdieu, invece, ritiene che il dominio maschile sia una costruzione culturale che favorisce la conservazione del potere: tale costruzione però è stata accettata più o meno inconsciamente da chi la subisce. Molte disuguaglianze permangono nonostante non siano ufficialmente sancite: l’uguaglianza formale, cioè davanti alla legge non sempre è uguale all’uguaglianza di fatto. Teorie del mutamento sociale Intuitivamente, si potrebbe affermare che il mutamento sociale è determinato dal malcontento per la disuguaglianza esistente. Il sociologo Thomas Buttomore, individua 5 teorie del mutamento sociale, facendo riferimento agli autori che le hanno proposte: ● Auguste Comte: lo sviluppo delle conoscenze determina il tipo di struttura sociale; la concezione si basa sulla legge dei 3 stadi, secondo la quale lo sviluppo intellettuale dell’uomo e lo sviluppo morale hanno come conseguenza un certo tipo di realtà sociale. Le origini del welfare In ogni società sono esistite forme di sostegno caritatevole da parte delle istituzioni religiose o casse per l’aiuto reciproco di categorie professionali (es. in Italia nascono le SOMS, società operaie di mutuo soccorso, dopo i moti del 1848). In realtà, anche lo Stato, adotta in alcuni Paesi una qualche forma di intervento pubblico (es.nel 1536 in Inghilterra vengono emanate le leggi sulla povertà, in vigore fino al 1948). Le prime leggi in Inghilterra e Germania Per parlare di Welfare State bisogna aspettare che lo Stato si assuma direttamente l’onere dell’attività assistenziale nei confronti di tutti i suoi cittadini, e non solo di alcune categorie; è un passaggio importante, perché presuppone il riconoscimento dei diritti sociali. Il welfare State, perciò, ha un aspetto pubblico, non spontaneo e universalistico. La nascita dello stato sociale è strettamente connessa alla natura e ai fini dello Stato come viene concepito nel mondo contemporaneo, ossia come uno stato di diritto, fondato sulle leggi e sul rispetto di valori come l’uguaglianza. Lo stato sociale discende quindi dallo stato di diritto: il sociologo Lorenz von Stein attribuisce allo stato di diritto il compito di salvaguardare l’assoluta uguaglianza dei diritti per ciascun individuo, e allo stato sociale di “promuovere il progresso economico e sociale di tutti i suoi appartenenti, in quanto il progresso dell’uno è sempre la condizione e molto spesso la conseguenza del progresso dell’altro”. È proprio in Germania, che tra il 1883 e 1889, vengono emanate da Bismark (cancelliere), le prime leggi sulla previdenza e sull’assistenza pubblica. Il rapporto Beveridge Il rapporto Beveridge del 1942 è considerato l’atto di nascita del Welfare State. Esso è la relazione finale di un’inchiesta commissionata dal governo laburista (di ispirazione socialista) britannico al sociologo William Beveridge per esaminare la situazione economica e sociale del Regno Unito. Il rapporto presenta un progetto per garantire ai cittadini una protezione rispetto ai rischi presenti in un’economia di mercato, aiutando coloro che per malattia, invalidità, sono esclusi dal mercato del lavoro. Il Rapporto Beveridge si traduce in provvedimenti nel 1948 e vengono previsti una serie di interventi: ● servizio medico nazionale gratuito destinato a tutti cittadini ● indennità di disoccupazione ● aumento delle pensioni ● rafforzamento dell’insegnamento pubblico ● intensificazione dell’edilizia popolare ● controllo dello Stato su prezzi e salari Tale sistema viene finanziato con il prelievo fiscale progressivo: chi ha di più paga tasse più alte. Il welfare si presenta così come una forma di redistribuzione delle risorse attuata dallo Stato. Il welfare nel secondo dopoguerra In tutti i paesi sviluppati il Welfare conosce un decisivo sviluppo. Il periodo d’oro del Wefare è negli anni 1950-1973 quando si raggiunge il livello più alto del Pil nella maggior parte dei paesi dell’Occidente, e in particolare i paesi scandinavi. La Svezia e la Danimarca riprendono esperienze anteriori, risalenti agli anni ‘20, rafforzandole nella prospettiva di non garantire solo il minimo necessario, ma di consentire a tutti una condizione generale più soddisfacente di vita. In Germania un piano ispirato dal rapporto di Beveridge viene realizzato solo nella zona di influenza sovietica: la Germania orientale. Nella Germania occidentale viene varata un’importante riforma delle pensioni nel 1957, e nel 1975 un governo socialdemocratico delinea un elenco di diritti sociali, quali: il diritto alla formazione e al lavoro, alla salute, al sussidio per l’abitazione e al sostegno in caso di invalidità. Negli Stati Uniti, sotto la presidenza di Kennedy, lo Stato sociale raggiunge i suoi livelli più alti. Forme di intervento statale a favore dei cittadini vengono messi in atto anche da regimi fascista e nazista; i provvedimenti presi da questi regimi, però, non rispondono all’esigenza di promuovere la cittadinanza e la libertà, quanto piuttosto esercitare, attraverso queste politiche, un controllo politico e sociale sulle persone. Lo stato sociale in Italia In Italia i primi passi verso lo Stato sociale risalgono al 1898 quando alcune leggi introducono l’assicurazione che copre gli infortuni, l’invalidità e la vecchiaia. Bisogna aspettare, però, il fascismo per provvedimenti più organici. È allora che nascono INFPS e INFAIL, dedicate alla previdenza e agli infortuni sul lavoro; esistono ancora oggi con le stesse sigle, dalle quali è scomparsa la F di fascista: Inps, Istituto nazionale per la previdenza sociale, e Inail, istituto nazionale per gli infortuni sul lavoro. La politica sociale fascista porta alla creazione di altri istituti, come l’ONMI, opera nazionale per la maternità e infanzia, l’opera nazionale Balilla e la Gioventù italiana del Littorio, dedicate ai ragazzi, e l’ond, l’opera nazionale dopolavoro. Nonostante i diritti sanciti dalla Costituzione varata nel 1946, bisogna aspettare il 1968 per riavviare il dibattito sullo stato sociale. È in quegli anni che ha inizio la statalizzazione dei servizi assistenziali. Nel 1978 viene istituito il servizio sanitario nazionale, la trasformazione in enti degli ospedali, l’introduzione di pensioni retributive e sociali. Forme di welfare Il welfare può assumere forme diverse, che dipendono sia dalle risorse a disposizione di uno Stato sia dalle idee politiche di chi governa un Paese. Distinzione in base alla finalità Richard Titmuss individua tre tipi di Welfare in base alle finalità che la politica sociale dello Stato distingue: ● Welfare assistenziale: l’intervento pubblico garantisce la sopravvivenza degli individui che non possono ricorrere alle famiglie d’origine o al mercato per soddisfare i propri bisogni ● Welfare aziendale: lo Stato integra i redditi da lavoro con una politica previdenziale pubblica e obbligatoria e fornisce indennità di disoccupazione e pensioni di vecchiaia. ● Welfare istituzionale-retributivo: attraverso la leva fiscale lo Stato ottiene il necessario per fornire servizi alla collettività. Si realizza così una universalizzazione dei servizi. Titmuss predilige l’ultimo dei tre tipi, il cui elemento distintivo sono le misure rivolte a tutti. Welfare e idee politiche Le diverse forme di Welfare sono espressione di idee politiche diverse. Il sociologo Gosta Esping-Anderson propone una classificazione basata sui diversi regimi politici. ● regime liberale: negli stati in cui predominano idee politiche liberali (es. Stati Uniti) è diffusa la convinzione secondo cui bisogna ridurre al minimo l’impegno dello Stato, perché i cittadini devono essere in grado di cavarsela da soli. ○ caratteristiche: misure di assistenza basate sulla prova dei mezzi (means test) di cui dispongono i cittadini; individuazione ristretta dei destinatari in base al bisogno (less eligibility); prestazioni sociali poco generose alla minoranza che ne ha diritto; scarso impegno dello Stato. ○ effetti: demercificazione bassa, cioè forte dipendenza degli individui dal mercato in base ai redditi; destratificazione bassa, cioè persistenza di dualismo tra il welfare dei poveri (pubblico) e il Welfare dei ricchi (privato); defamilizzazione media, per cui permane la dipendenza dal sostegno familiare per le fasce sociali deboli. I destinatari, perciò, dei servizi pubblici sono una minoranza (Welfare residuale); la maggior parte della società ricorre al mercato privato di servizi, negli Stati Uniti l’assistenza sanitaria è privata ma esistono organismi ad esempio Medicaid per i poveri, il Medicare per gli anziani. ● regime conservatore-corporativo o particolaristico: secondo questo modello, diffuso in Europa continentale e meridionale (es. Germania), diritti e tutele dipendono in primo luogo dal fatto di esercitare un lavoro. Una variante di questo modello è il Welfare aziendale, basato su contributi dei dipendenti e della stessa azienda che rappresentano il principale finanziamento dei servizi. ○ caratteristiche: interventi pubblici collegati alla posizione occupazionale con prestazioni legate a contributi e retribuzioni; individuazione dei destinatari in base alla posizione occupazionale con priorità ai capofamiglia; ampio intervento dello Stato in alcuni ambiti solo quando ai bisogni non si riesce a dare risposta su base individuale e familiare. ○ effetti: demercificazione media per cui la dipendenza degli individui dal mercato è relativamente attenuata, destratificazione medio-bassa, in quanto il sistema d’interventi pubblici non elimina le disuguaglianze sociali e di genere, defamilizzazione bassa perché la dipendenza dal sostegno e dall’aiuto familiare rimane alta. ● regime socialdemocratico o universalistico: i diritti derivano dalla cittadinanza, vi sono pertanto servizi garantiti a tutti cittadini dello Stato passando dal concetto di assicurazione sociale a quello di sicurezza sociale che si propone di garantire a tutta la popolazione un’alta qualità di vita. Tale modello è rappresentato dagli Stati dell’Europa del Nord. ○ caratteristiche: misure a carattere universalistico basate sulla cittadinanza e rivolte a tutti con prestazioni generose uguali per tutti ○ effetti: demercificazione alta, con forte attenuazione della dipendenza dell’individuo dal mercato, destratificazione alta, grazie allo stesso trattamento di cui tutti i cittadini beneficiano e al quale si sentono in dovere di contribuire, defamilizzazione alta, ossia scarsa necessità del sostegno della famiglia. Welfare e obiettivo degli interventi Un’altra distinzione, sviluppata da Chiara Saraceno, importante che aiuta a capire le diverse forme di Welfare riguarda l’obiettivo degli interventi. Si può distinguere, in questo caso, una concezione allargata e una concezione ristretta di welfare. ● concezione allargata: gli interventi riguardano tutti cittadini con un impegno ampio dello Stato nella riorganizzazione della produzione e distribuzione delle risorse. Lo scopo è di offrire immediatamente le opportunità necessarie a individui e classi sociali per la conduzione della propria vita ● concezione ristretta: in questo caso gli interventi sono settoriali e riguardano un insieme specifico di politiche sociali dal sostegno al reddito al servizi sanitario ecc, senza però una visione complessiva di società. La concezione ristretta privilegia le esigenze dei lavoratori, e non della società nel suo insieme Si tratta di una concezione ristretta di cittadinanza sociale riservata ai lavoratori che pagano le tasse e ai loro familiari: il riferimento tradizionale è il capofamiglia, cioè il lavoratore maschio. La crisi del welfare Dalla metà degli anni 70 il welfare è entrato in crisi, la quale si è ulteriormente aggravata nel corso degli anni. In tutti i paesi vi è stato un ridimensionamento della spesa pubblica. Si può riflettere su 4 aspetti della crisi del Welfare: i costi dei servizi, l’invecchiamento della popolazione, l’efficienza delle strutture pubbliche, le conseguenze derivanti alla globalizzazione. Costi Il motivo principale della crisi del welfare è di tipo economico. Non sempre i paesi hanno a disposizione le risorse necessarie per finanziare un sistema dispendioso come Welfare. Soprattutto in un periodo di crisi economica, si ritiene preferibilmente dirottare le risorse residue verso lo sviluppo economico e la sicurezza pubblica. A fronte della crisi, alcuni studiosi sostengono l’alleggerimento del prelievo fiscale, in modo da ‘’lasciare più soldi’’ nelle tasche dei contribuenti e rilanciare i consumi e l’economia. A ciò si oppongono alcuni studiosi, i quali sostengono che andrebbe fatto un calcolo costi-benefici per verificare se il risparmio sul prelievo fiscale compensa il necessario aumento nel costo dei servizi offerti dallo Stato (es. assistenza sanitaria più cara) Invecchiamento della popolazione Un’altra motivazione della crisi del Welfare è legata all’invecchiamento demografico: una minore natalità e un prolungamento della durata della vita, fanno sì che il peso percentuale del numero degli anziani non più produttivi aumenti considerevolmente. Uno dei provvedimenti è l’innalzamento dell’età pensionistica; questo però ha una conseguenza di altro genere, cioè la chiusura del mercato del lavoro per le nuove generazioni alle quali tocca attendere di più per cominciare a lavorare, con un effetto negativo sull’economia in generale. L’invecchiamento della popolazione però, negli ultimi anni, è in parte bilanciata dai flussi migratori che portano nei Paesi occidentali individui più giovani e famiglie nelle quali il tasso di natalità è più alto. Inefficienza La crisi del Welfare è rafforzato dal fatto che lo Stato organizza male l’erogazione di servizi, tanto da giustificare lo smantellamento di uno stato sociale malfunzionante. Nei pressi del Nord dove tradizionalmente il Welfare State è più efficiente, i cittadini sono disposti a pagare tasse elevate a fronte dei buoni servizi che ricevono. L’efficienza del welfare è messa a sua volta ulteriormente in crisi nei paesi in cui esiste una forte evasione fiscale che toglie fondi agli interventi pubblici.