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La teoria della complessità di Morin | Argomento TFA, Dispense di TFA Sostegno

Argomento per l'esame TFA sulla teoria della complessità di Morin

Tipologia: Dispense

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Scarica La teoria della complessità di Morin | Argomento TFA e più Dispense in PDF di TFA Sostegno solo su Docsity! 1 Epistemologia della complessità EDGAR MORIN L’attualità del pensiero del teorico della complessità e la centralità della relazione soggetto-oggetto-ambiente per realizzare l’inizio di un inizio. di Pasquale Martucci «L’oggettività che va ricercata è quella che integra l’osservato nell’osservazione, e non l’oggettivismo che crede di raggiungere l’oggetto sopprimendo l’osservato, e non fa che privilegiare un metodo di osservazione non relativistico. (…) La vera conoscenza dialettizza incessantemente il rapporto osservatore-osservato, “sottraendo” e “aggiungendo”». (1) Osservando la società attuale, non si può che convenire sulla necessità di acquisire una visione della vita che sia complessa, che tenga conto di una molteplicità di variabili da considerare. Fermandosi all’analisi compartimentalizzata, riduzionistica, non si ha una vera conoscenza ma solo propaganda, notizie parziali se non addirittura false. Ed allora è necessario affidarsi alla teoria della complessità di Edgar Morin, ad un sociologo e filosofo che ha dedicato tutta la sua vita all’elaborazione dei concetti di “soggetto conoscente”, di “oggetto da conoscere” e della loro “relazione”. Tra il 1962 e il 1973, il pensatore francese condusse studi sulla “sociologia del presente”, occupandosi della “trasformazione della configurazione culturale delle nostre società”, di un nuovo spirito del tempo, mentre “la sociologia ufficiale credeva di lavorare sul terreno ancora solido della società industriale”. Invece, già si stava affermando un nuovo modello sociale nell’ambito della complessità, quello che definì cultura di massa: “La cultura di massa è una cultura: costituisce un corpo di simboli, di miti, di immagini concernenti la vita pratica e la vita immaginaria, un sistema di proiezioni e di identificazioni specifiche, che si aggiunge alla cultura nazionale e alla cultura umanistica, entrando in concorrenza con loro”. (2) Edgar Morin è famoso per la teoria della complessità. Già però ne: “Lo spirito del tempo”, affermava quella che sarà la sua ricerca più compiuta, spaziando tra i vari ambiti del sapere, puntando sul rapporto soggetto-oggetto, osservante-osservato, sistemi e feedback, pensiero non riduttivo, per permettere di districarsi nelle diversificate e non certamente semplici istanze sociali. Sarebbe la complessità, su cui occorre compiere uno sforzo epistemologico per conoscerla e comprenderla. E per fare ciò, c’è bisogno di un pensiero complesso e globale, un metodo che “contenga in sé il senso dell’irriducibile legame di ogni cosa con ogni cosa”. (3) E il metodo sarà proprio il lavoro che comincerà ad elaborare negli anni ottanta del novecento e pubblicherà negli anni successivi in modo sistematizzato. (4) Si tratta di ambiti metodologici legati a sociologia, filosofia, antropologia, per giungere alla biologia e all’ecologia, cioè “la complessità dell’esistenza” che si sviluppa sul terreno dell’unità dell’uomo, unità dell’uomo di natura e cultura, una nuova alleanza tra scienze dell’uomo e scienze della natura: “l’umanesimo planetario, delineato da Morin, è 2 generato dalla coscienza del fatto che non c’è stata una umanità, ma ci sono state molteplici umanità, molteplici metamorfosi dell’umanità”. (5) Morin individua nella società il prodotto delle “innumerevoli interazioni fra gli individui”, incluse in tratti propri (cultura, linguaggio, autorità dello Strato) ed in funzione di un tutto, un “sistema” che permette la costituzione di qualità e proprietà, chiamate: emergenze. (6) Egli dedica parte dell’intero suo percorso di studi ad una “riforma del pensiero”, ponendo la questione di una nuova conoscenza che superi la separazione dei saperi presenti nella nostra epoca. E dedica grandi speculazioni sulla possibilità di educare gli educatori a un pensiero della complessità. Sostiene Morin: “Il cammino non esiste, ma si costruisce camminando”. Il sapere ha bisogno di una organizzazione che gli dia senso: occorre un collegamento tra saperi e cultura, la necessità di una nuova conoscenza che superi la separazione presente nella nostra epoca e che sia capace di educare gli educatori ad un pensiero della complessità. Richiamando una frase di Michel de Montaigne: “È meglio una testa ben fatta che una testa ben piena”, distingue tra “una testa nella quale il sapere è accumulato e non dispone di un principio di selezione e di organizzazione che gli dia senso” e una “testa ben fatta”, che comporta un’attitudine generale a porre, organizzare e collegare i problemi e dare senso al sapere. (7) Morin sostiene che la cultura è divisa: da una parte la cultura umanistica che si occupa dei problemi umani, stimolando la riflessione sul sapere e sull’integrazione delle conoscenze; dall’altra, la cultura scientifica che, separando i campi della conoscenza, suscita scoperte e geniali teorie, senza tuttavia riflettere sul destino umano e sul divenire della scienza. E tra queste distinzioni, si inserisce la sfida sull’informazione globale, sulla funzione della conoscenza che deve essere “rivisitata e riveduta dal pensiero”. Come si può vedere, per Morin è necessario riformare il pensiero per rispondere a queste sfide e permettere il legame delle due culture disgiunte. (8) Questo è l’unico modo per affrontare la complessità nella vita quotidiana, sociale, politica, nazionale e mondiale. Di ciò è convinto Giuseppe Gembillo che, nella sua “Laudatio: La filosofia di Edgar Morin”, individua nel metodo del pensatore francese il passaggio dal riduzionismo alla complessità, attraverso “il duplice processo di storicizzazione della logica filosofica e della logica scientifica, unificando questi due percorsi paralleli in un processo circolare”. (9) Morin vuole fondare una “Scienza nuova”, connotata storicamente, sul modello vichiano. E dunque è il metodo che può separare e collegare all’interno di una visione ampia, per permettere di “incontrare e affrontare nuove alternative”, senza tuttavia cancellare il metodo tradizionale che “non può programmare la scoperta, la conoscenza né l’azione”. Il pensiero complesso è importante perché la realtà è cangiante e presenta sempre novità. L’indicazione è di “cominciare dalla riforma delle idee”, attraverso l’autocritica che permette di discernere quelle idee che camuffano e sfigurano il mondo. Nella storia dell’umanità, l’uomo quando scopre la ragione sembra affidare la “propria facoltà conoscitiva” al solo intelletto, trascurando tutto il resto. Contrappone a ciò “l’uomo intero”, nel quale il processo di conoscenza “è il risultato della collaborazione e della interazione tra razionale e immaginario, tra emozione e riflessione, tra homo sapiens e homo demens”. Il soggetto conoscente “è il figlio del suo divenire”, radicato nel suo processo storico e nella natura di cui è parte integrante. E’ la complessità che prevede: “il tutto è più delle parti che lo compongono, perché le parti che lo compongono, interagendo tra di loro, producono appunto qualcosa di nuovo e imprevedibile, che è, solo e soltanto, il risultato delle interazioni stesse”. (10)
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