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La traduzione, teorie e metodi Bertazzoli (riassunto), Sintesi del corso di Traduzione

Riassunto del libro "La traduzione, teorie e metodi" di Bertazzoli per l'esame di Storia, teorie e tecniche della traduzione della professoressa Carla Bagna

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 27/04/2023

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nataliagiuliano 🇮🇹

4.5

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Scarica La traduzione, teorie e metodi Bertazzoli (riassunto) e più Sintesi del corso in PDF di Traduzione solo su Docsity! La traduzione, teorie e metodi 1 TRADURRE 1.1 BREVE STORIA DI UN TERMINE La traduzione è un’attività molto antica, a partire dagli inizi della civiltà occidentale, fino all’epoca alessandrina i greci traducevano per scambi commerciali, rapporti politici, nonostante fossero disinteressati culturalmente per le lingue degli altri popoli che erano definiti barbaroi. Si riscontra la presenza di alcuni termini che distinguono tra traduzione orale, ermeneuo ed ermeneus, e traduzione scritta, metafero, metafrazo (parafrasare, tradurre) e metagrafo (trascrivere, tradurre). I latini, invece, utilizzarono la traduzione per necessità culturale e politica a causa dell’espansione dell’Impero Romano, arrivando ad essere consapevoli del fatto che essa avrebbe portato a un arricchimento della lingua e della cultura latina. Qui si trovano termini come interpres, interpretatio e interpretor per la traduzione orale. Per la traduzione scritta si tenta di definire il concetto originale di traduzione artistico-letteraria. Nell’operazione traduttiva l’attenzione del traduttore si sposta dal valore strumentale della corrispondenza dei termini ai fini della semplice comprensione, alla considerazione di tutta la struttura del periodo, con intenti stilistici. Si ha un passaggio da un’operazione riferita al piano dell’elocutio (scelta delle parole) a quello della dispositio (ordine e combinazione più opportuna dei termini), arrivando a un testo stilisticamente accurato. Vengono coniati dei termini come verto, converto, per la traduzione letteraria e poetica, che trasmettono l’attenzione al testo della lingua d’arrivo. Marco Tullio Cicerone in De optimo genere oratorum (46 a.C. ca.) mostra l’elaborazione della distinzione tra interpres (chi traduce alla lettera) e orator (chi traduce come oratore\autore), con un’operazione che comprende creatività e una certa libertà per quanto riguarda l’elocutio e la dispositio. Termini come exprimere (riprodurre, modellare) e reddere rappresentano una corrispondenza non letterale tra opera originale e traduzione. Si deve a Cicerone la differenza tre “lettera” e “spirito” del testo, si tratta di tradurre “non verbum pro verbo”, non rendere parola per parola, ma riprodurre il senso originale. Quinto Orazio Flacco nell’Ars Poetica (17 a.C. ca.) riconosce come opera d’arte una traduzione con alcuni requisiti: che sia capace di cogliere il senso del testo, che sia in grado di arricchire la lingua e che venga compresa nel contesto culturale al quale è destinata, per renderlo possibile il traduttore non deve essere troppo legato alla lettera del testo di partenza. Orazio coglie anche il senso della mutabilità della lingua e del suo continuo rinnovamento. Alla terminologia dell’età imperiale si aggiunge mutare (usato da Seneca e Quintiliano e ripreso da Dante sottoforma di trasmutare). Quintiliano utilizza transferre nel senso di tradurre dal greco al latino, da cui derivano translatio (l’oggetto del tradurre -> nomen actionis) e translator (il soggetto del tradurre -> nomen agentis), con una distinzione fondamentale per gli studi sulla traduzione. Un momento fondamentale per la traduzione è l’avvento del cristianesimo e la traduzione della Bibbia occupa una posizione di rilievo nella storia della cultura occidentale perché contribuisce all’affermarsi delle lingue volgari e alla nascita e allo sviluppo dell’ermeneutica (teoria dell’interpretazione dei testi). La prima traduzione in greco del Vecchio Testamento risale al III secolo a.C., ma quella canonica per il mondo occidentale è quella latina di san Gerolamo, tratta dall’ebraico. Gerolamo lasciò importanti riflessioni sul problema della traduzione nell’Epistola ad Pammachium (Lettera a Pammacchio, 390 ca.) in cui distingue due modi di tradurre: una traduzione interpretativa per i testi laici, che permette di esprimere il senso dell’originale senza restare fedele all’ordine delle parole e rifacendosi alla formula di Cicerone, e una traduzione letterale per i tesi sacri, che deve conservare il mistero (mysterium fidei) che l’ordine delle parole (ordo verborum) racchiude. Il fine deve comunque mirare alla chiarezza e all’intellegibilità del testo sacro. Anche Agostino anteporrà la priorità di essere capito dal popolo al timore di subire la condanna dei grammatici, portando tale preoccupazione a divenire centrale nell’età della Riforma, quando si realizzeranno le grandi traduzioni in volgare del testo sacro. Nel 1657 esce la Biblia Sacra Polyglotta (di Brian Walton, vescovo di Chester) che comprende la traduzione in nove lingue e diverse tipologie traduttive: versione, versione interlineare, traduzione, interpretazione e parafrasi. La versione interlineare è posta tra le righe del testo originale, o riga a riga, è analitica e non sottostà alle regole sintattiche della lingua ricevente. La traduzione letterale (parola per parola) corrisponde alla versione degli antichi traduttori che la praticavano per esigenze teologiche e religiose. La fine della latinità porta alla fondazione di una nuova terminologia in relazione alle trasformazioni culturali e sociali. Nel Medioevo il diffondersi della cultura e degli scambi tra popoli e il fenomeno dell’evangelizzazione vedono il moltiplicarsi delle traduzioni nelle lingue volgari. La necessità della traduzione è legata alla trasmissione di contenuti con l’abbandono della concezione artistica della traduzione e la perdita del valore della aemulatio (imitazione degli antichi modelli letterari). Tra le voci verbali in uso, con trasferre (tradere, tramandare) compare l’italiano translatare, il francese translater, lo spagnolo transladar, il portoghese transferir. La comparsa di traducere (traduzione scritta) trova accoglienza nelle lingue romanze e porta all’italiano tradurre, al francese traduire, allo spagnolo traducir e al portoghese traduzir. Nel saggio De interpretatione recta (Sulla perfetta traduzione, 1420 ca.) Leonardo Bruni (umanista fiorentino) affronta le questioni teoriche della traduzione insieme alle riflessioni sul rapporto tra parole e cose, stile e pensiero e al criterio di fedeltà. In Italia accanto a tradurre si afferma il tecnicismo volgarizzare e le locuzioni verbali mettere, recare, ridurre, porre, sporre (in volgare), a interpres (il traduttore orale) si sovrappone turcimanno o trucimanno (termine di origine araba). Nella prima metà del XVI secolo il francese traducteur è attestato come italianismo da Ètienne Dolet nel suo trattato sul tradurre. Il termine ebbe successo, tanto che Joachim du Bellay conia l’espressione “traduttore/traditore” in riferimento a certi traduttori del suo tempo e viene poi ripresa da Jakobson. Secondo l’Encyclopédie di Diderot (1756) la differenza tra versione e traduzione si riconosce nel fatto che la versione è “l’interpretazione letterale di un’opera” ed è più aderente alle strutture della lingua d’origine, la traduzione è più soggettiva e influenzata dalle scelte del traduttore. Secondo Èmile Littré “la traduzione si intende fatta in lingua moderna, e la versione in lingua antica”. Si parla poi di trascrizione quando un messaggio orale passa da una forma orale a quella scritta, mentre il passaggio da una forma di scrittura a un’altra si chiama traslitterazione. 1.2 CHE COS’E’ LA TRADUZIONE? Secondo l’European Translation Platform è “la trasposizione di un messaggio scritto in una lingua di partenza in un messaggio scritto nella lingua d’arrivo”. Dunque, è il processo che trasforma un testo, il “prototesto”, in un altro testo, il “metatesto”, mediante l’uso di una lingua diversa da quella in cui il testo originale è stato scritto per interagire con una cultura diversa da quella nella quale è stato prodotto. Di traduzione si parla anche per un testo che viene riscritto nello stesso codice linguistico (traduzione interlinguistica). La traduzione si innesta nell’universo linguistico-culturale di una società che è “una guida alla realtà sociale” (secondo Sapir), all’interno di ciascuna lingua la realtà si presenta come un insieme di Weltanschauungen (visioni del mondo), alle quali corrispondono differenti Weltansichten (opinioni). Per Sapir la lingua assume lo statuto di sistema culturale modellizzante all’interno del quale la letteratura e l’arte sono sistemi modellizzanti secondari perché esiste una loro derivazione dal sistema modellizzante primario del linguaggio. Le traduzioni svolgono un ruolo fondamentale poiché interagiscono con i sistemi letterali, favorendo l’evoluzione dei generi e delle letterature nazionali, creando nuovi modelli nel sistema della cultura riceventi e mutamenti negli statuti culturali. Peeter Torop (studioso di semiotica applicata alla traduzione) afferma che qualsiasi atto di comprensione è traduzione e che tutto il sistema culturale si identifica in un concetto di traducibilità totale, tradurre un’opera in un’altra lingua significa tradurla in un’altra cultura. La traduzione diviene un elemento vitalizzante per il processo di formazione di una società che si manifesta nell’interazione tra letteratura nazionale e culture straniere. Torop aggiunge la traduzione metatestuale, comporta da parti complementari che accompagnano il testo tradotto (note, recensioni) e quella intertestuale, che Lo studioso ceco Jiří Levý afferma che la traduzione ha una sua dimensione pragmatica anche se la teoria della traduzione tende ad essere normativa. Umberto Eco individua una possibile norma nella “semiotica della fedeltà” che consiste nel ritrovare l’intenzione del testo, ciò che dice o suggerisce in rapporto alla lingua in cui è espresso e al contesto culturale in cui è nato. L’intenzione del testo (intentio operis) è ciò che un’opera esprime di per sé al di là delle intenzioni di chi la produce o di chi la legge. Un momento fondamentale della traduzione interlinguistica riguarda la distanza spazio-temporale che separa il prototesto e il lettore del metatesto. Date le problematiche che si possono riscontrare a livello semantico, l’adattabilità di espressione si misura sul grado di adeguamento del testo alle regole del sistema culturale d’arrivo. Il traduttore, scegliendo la strategia traduttiva, decide in che misura il metatesto debba adattarsi al contesto culturale d’arrivo e in che misura la cultura sia in grado di ricevere il testo tradotto. Nel momento in cui un testo viene trasformato per entrare a far parte di una nuova cultura si assiste ad un’interazione tra strutture testuali e linguistiche che si adattano alla nuova forma. Il processo traduttivo può orientarsi verso il principio di “adeguatezza” o verso il principio di “accettabilità”. A partire dagli anni Ottanta gli studi hanno rivolto particolare attenzione all’insieme delle decisioni che il traduttore dovrà prendere prima di affrontare un testo da tradurre. Uno degli elementi costitutivi delle strategie del processo traduttivo è rappresentato dal lettore del metatesto. In rapporto alla strategia creativa, Eco sostiene che l’autore/traduttore deve tener conto dell’interazione con il lettore tipo che appartiene a un dato contesto spazio-temporale. Il traduttore, nell’elaborare la propria strategia traduttiva, proietta il prototesto sull’idea che si fa di quello che potrà essere il lettore tipo del metatesto. Il Lettore Modello è un insieme di condizioni di felicità, testualmente stabilite, che devono essere soddisfatte perché un testo sia pienamente attualizzato nel suo contesto potenziale. Il successo di un testo dipende dalla capacità dell’autore/traduttore empirico di elaborare una strategia testuale adatta a un numero elevato di lettori empirici in quanto l’attività collaborativa del lettore è indispensabile affinché il testo compia la sua funzione collaborativa. La collaborazione è la capacità del lettore tipo di percorrere a ritroso il testo, ipotizzando quegli elementi che sono lasciati inespressi. La semiotica interpretativa sostiene che un testo è incompleto senza l’intervento di un lettore che inferisca. Il lettore modello cercherà di decifrare il messaggio che gli ha lasciato l’autore dando all’insieme un0immagine coerente ed unitaria. un testo è un “intessuto di non- detto” poiché lascia implicite delle informazioni che il destinatario deve interpretare in base alla sua conoscenza del contesto comunicativo. L’importante è che il testo tradotto restituisca il senso dell’originale e del pensiero dell’altro, in questo caso la traduzione sarà target-oriented (rivolta al metatesto) o source-oriented (rivolta al prototesto) e “fedele”, cioè “accettabile”. Eco parla di traduzione in termini di negoziazione. Il traduttore si pone come negoziatore tra una cultura di partenza e una ‘arrivo, la traduzione è quindi una pratica che mette al centro l’intero sistema culturale. Walter Benjamin, nel saggio Il compito del traduttore (1962), si basa su un pensiero filosofico-sacrale e sulla ricerca di una “lingua pura” (reine Sprache) e unica che sorgerà quando tutte le lingue esistenti avranno superato i limiti della loro individualità. Questa è intensivamente nascosta nelle traduzioni ed è compito del traduttore svolgere la propria funziona al servizio della lingua universale, superando l’imperfezione della lingua individuale. Secondo le sue riflessioni nel commento al saggio di Benjamin, Derrida sostiene che la traduzione è sia possibile che impossibile poiché le lingue sono caratterizzate da una condizione di pluralità che vanifica ogni messa a punto di tecniche di traduzione. Essa è un processo in continua evoluzione, non impraticabile ma virtualmente infinito e quindi non è più l’anello di collegamento tra due culture, legate alle rispettive lingue, ma uno strumento che deve far emergere le distanze culturali, le differenze e la “sacra crescita” delle lingue. Derrida relativizza il debito della traduzione verso l’originale, in quanto le traduzioni devono aspirare al significato originario di opera autonoma; quindi, sia l’originale sia la traduzione sarebbero due creazioni allo stesso livello. Si annulla così ogni tipo di trasmissione di un significato originale per rendere possibile la “contaminazione” con la pluralità delle lingue e dei significati. Allo stesso tempo dovrebbe conservare, rispetto alla propria lingua, una “differenza” vitale. Questo rapporto reciproco permette alle lingue postbabeliche di contaminarsi in un processo di continua rinascita. La traduzione permette la sopravvivenza dell’originale e l’atto del traduttore diventa creativo e narcisistico. La “dominante” Il concetto di dominante deriva dalle teorie dei formalisti russi e degli strutturalisti come Jakobson che riconosce nell’adozione del concetto di dominante la possibilità di scegliere l’elemento più importante rispetto al testo da tradurre, cioè l’aspetto peculiare intorno al quale si costruisce l’identificazione dell’intero testo (il metro, la rima, la struttura retorica). La dominante determina se l’originale è interpretato e tradotto adeguatamente e ne garantisce l’integrità. Nell’opera letteraria ha una funzione estetica, può essere considerata come la componente sulla quale si focalizza l’opera d’arte. Il concetto di dominante di Torop si fonda sull’ipotesi che il traduttore debba considerare l’aspetto intrinseco del testo da tradurre tenendo presente anche il contesto culturale verso cui si proietta il progetto traduttivo. Si procede a un’attenta valutazione del testo d’origine per riscontrare quali siano gli elementi dominanti per la cultura emittente e successivamente si proiettano tali dominanti per la cultura ricevente. Il principio di “adeguatezza” e il principio di “accettabilità” Toury afferma che, se il comportamento traduttivo è improntato a criteri di “accettabilità”, il testo originale deve subire una trasformazione che tende a omologarlo ai canoni della cultura ricevente. Secondo l’”accettabilità” il testo prodotto è leggibile al massimo ed è il prototesto a venire avvicinato al lettore. La traduzione “accettabile” tende a passare per un originale. Al contrario, l’”adeguatezza” è la misura in cui il metatesto si adatta al prototesto come elemento della cultura altrui. Il metatesto ha una propria identità ed un atteggiamento di indipendenza. Una traduzione che propende verso l’”adeguatezza” può essere inaccettabile perché non tiene conto delle esigenze del lettore modello. 2 TEORIA E STORIA DEL TRADURRE 2.1 L’ARS VERTENDI DEGLI ANTICHI Le figure dell’interprete (che traduceva oralmente) e traduttore (tramite la lingua scritta) sono presenti già nelle civiltà arcaiche. Il documento più famoso dell’antichità è la stele di Rosetta del II secolo a.C. che permise di decifrare i geroglifici egiziani grazie alla traduzione greca. Il ruolo di traduttore nell’antica Grecia non aveva grande importanza poiché si imparavano le lingue degli altri popoli per fini commerciali o pratici. Alla morte di Alessandro Magno (323 a.C.) inizia un’ampia attività di traduzione nei paesi ellenizzati e principalmente ad Alessandria d’Egitto. Qui viene curata la prima edizione critica dei poemi omerici e prodotta la prima traduzione greca del Vecchio Testamento (III secolo a.C.) per impulso del re d’Egitto Tolomeo Filadelfo, sotto il quale si svilupparono la Biblioteca e il Museo d’Alessandria. Con la conquista dell’Egitto da parte dei romani, il centro della cultura si sposta a Roma, dove si sviluppa la letteratura d’ascendenza ellenistica e, in seguito, quella cristiana. L’opera di conquista e di colonizzazione voleva favorire la conoscenza della lingua e della cultura dei paesi sottomessi politicamente, superando le frontiere linguistiche e favorendo una condizione di plurilinguismo. Questa situazione di ibridismo linguistico ha creato un sempre maggiore scompenso tra latino scritto e latino parlato, fino alla nascita delle lingue romanze. I rapporti culturali del mondo latino con il mondo greco si caratterizzano per l’assunzione di forme letterarie e linguistiche già codificate dal mondo greco, fino alla contaminatio, cioè riproposizione in latino di opere greche attraverso rimaneggiamenti. L’imitatio è un altro principio su cui si fonda la traduzione in latino dei grandi autori greci, soprattutto nel senso creativo della aemulatio. Dal III secolo a.C. si assiste a un’operazione di fusione di elementi culturali greci e latini. I primi grandi autori (Livio Andronico, Ennio, Plauto, Terenzio) si formarono nei centri di cultura greca. Livio Andronico è considerato il primo traduttore: ci ha lasciato alcuni frammenti di una traduzione latina dell’Odissea (Odyssia) in versi saturnii che ebbe diffusione a livello didattico fino al I secolo. Ennio, bilingue alla nascita, diviene trilingue con l’apprendimento del latino. Traduce alcune tragedie di Euripide e un’opera in prosa (Euhemerus) di Evemero di Messina, nella quale si elabora la teoria interpretativa del mito, detta everismo, secondo la quale gli dèi erano antichi sovrani o eroi divinizzati. Plauto romanizza il modello della commedia greca e contribuisce alla nascita della letteratura latina. Con Cicerone vengono gettate le basi teoriche della problematica del tradurre. In De optimo genere oratorum, Cicerone afferma che il traduttore non deve rendere parola per parola, ma riprodurre il senso dell’originale. Rivendica la fedeltà al senso e non alla lettera, offrendo un modello di traduzione che porti il testo verso il lettore attraverso una lingua adatta. Vi si enuncia anche il principio della traduzione d’autore, sorretta da principi estetici, con interesse allo stile e alla creatività. La distinzione tra traduzione fedele alla “lettera” o al “senso” dell’originale diventa un nodo centrale del dibattito per secoli. Nell’Ars poetica, Orazio parla del tradurre e ribadisce il valore della traduzione artistica: sconsiglia l’imitazione troppo rigida dell’originale e considera il tradurre un lavoro ermeneutico sul testo di partenza al fine di produrre un’opera in sintonia con il mondo culturale cui è destinata. Con Cicerone si assiste allo sforzo di ricreare nel latino l’eleganza dei greci senza venire meno alla lingua d’uso nativa. San Gerolamo, studioso del latino classico e delle versioni antiche della Bibbia, traduce in latino la storia universale (Chronicon) di Eusebio di Cesarea, il cui originale è andato perduto. Si è conservata una traduzione armena completa e la versione latina di san Gerolamo. Le sue opere più importanti sono legate ai testi sacri: una revisione delle antiche versioni latine del Nuovo e Vecchio Testamento sulla traduzione greca dei “Settanta”, la traduzione del Vecchio Testamento elaborata direttamente dal testo ebraico nel 406, questa prende il nome di Vulgata e verrà riconosciuta nel Concilio di Trento come testo ufficiale della Chiesa. Gerolamo prende ad esempio le traduzioni latine di Omero dichiarando che bisogna tradurre “non verba, sed sententias”, cioè non parole, ma concetti. Una buona traduzione deve avere come scopo la correttezza del contenuto e la grazia dello stile. Per Gerolamo altra cosa è la metodologia del tradurre sacro in cui tutto deve rimanere fedele all’originale, compreso l’ordine delle parole. L’editto di Costantino (313), che riconosce il cristianesimo come religio licita e stabilisce la libertà di culto, si innesta sul mutamento politico e sociale che viene a crearsi con la presenza dei barbari nei territori della penisola. Nel corso del V secolo la formazione dei regni romano-barbarici determina la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476) e la disgregazione dell’organizzazione politico- economica e culturale romana. Venendo a mancare l’unità linguistica, che l’Impero Romano aveva favorito. Si accelera il processo di trasformazione delle lingue parlate nei dialetti del vulgus (volgari). Tali lingue neolatine o romanze, si diffondono prima oralmente, contrapponendosi al latino classico (lingua scritta), e in seguito si trasformano in lingue letterarie. In questo periodo la Chiesa ricopre un ruolo fondamentale nella diffusione della cultura, la letteratura assume un carattere soprattutto religioso. A fronte di un analfabetismo quasi totale, la Chiesa diviene l’unico diffusore dei testi sacri e della cultura scritta, praticata nelle biblioteche dei monasteri (scriptoria). Grazie all’opera degli amanuensi si conservano e si tramandano testi classici latini e greci e quelli degli scrittori cristiani della tarda latinità, che presentano una sintesi tra cultura classica e cristianesimo. La cultura si apre all’enciclopedismo e attraverso la conoscenza di nuovi sistemi culturali e nuove discipline nasce la necessità di compilare opere che raccolgano e cataloghino i vari argomenti del sapere: il diritto, la geografia, la medicina, l’astronomia. Nel VIII e IX secolo i monaci traduttori hanno il compito di tramandare la cultura latina e diffondere le opere letterarie e storiche. Eruditi come re Alfredo il Grande traducono e fanno tradurre in anglosassone numerose opere latine. Nel Medioevo si definiranno nettamente le due tipologie traduttive: da una parte la traduzione letteraria (Sulla perfetta traduzione), che nasce dalle considerazioni sulla pratica del tradurre di Bruni. Marsilio Ficino è un traduttore di Platone e Plotino e traduce dal greco in esametri latini alcuni canti dell’Iliade. Anche in Olanda, Germania e Francia l’Umanesimo ha grande sviluppo. Dopo la formazione degli Stati nazionali e l’indebolimento del potere ecclesiastico, le traduzioni si trasformano in un’arma politica nei confronti della Chiesa. I grandi riformatori delle Chiese nordiche rifiutano l’autorità indiscussa del Papa e gli oppongono la parola delle scritture. Aumentano, così, le difficoltà interposte dalla Chiesa di Roma alla traduzione della Bibbia in volgare e, dopo il Concilio, vengono proibite le traduzioni dei testi sacri in volgare. La Bibbia in volgare continua però a diffondersi anche dopo il veto di scomunica e ha una grande influenza sui movimenti riformatori. Negli Stati europei inizia un progressivo distacco dall’uso del latino e l’insorgenza degli Stati nazionali favorisce lo sviluppo delle letterature nazionali. Dalla fine del Trecento, si assiste all’espansione di traduzioni inglesi della Bibbia. John Wycliffe, professore di teologia ad Oxford, assume la Bibbia come unico fondamento di fede. Ne cura la sua traduzione inglese in forma completa per renderla accessibile ai suoi seguaci lollardi. John Purvey (successore di Wycliffe) nel 1408 fa una revisione della traduzione; nella prefazione l’editore mette in rilievo lo scopo che ha animato la traduzione: rendere comprensibile la parola di Dio. Le versioni seguenti della Bibbia in inglese acquistano nuova enfasi dalla nascita della stampa: saranno tutte condannate per eresia e messe al rogo pubblico, insieme ai loro autori. Nel 1553 un gruppo di esuli inglesi si stabilisce a Ginevra, dove traduce la Bibbia, pubblicata nel 1560 (Bibbia di Ginevra). La Bibbia di re Giacomo (1611) fu stesa in lingua modernizzata (primo esempio di inglese moderno). La più antica in italiano è stampata a Venezia nel 1471 a cura di Niccolò Malermi. Nel 1535 Pierre- Robert Olivetan porta a termine la prima traduzione completa in francese, svincolata dalla Vulgata. De interpretatione recta di Leonardo Bruni Si tratta di un trattato incompiuto risalente al 1420 e collegato alla traduzione dell’Etnica nicomachea, Bruni formula la prima teoria moderna della traduzione soffermandosi sul ruolo del traduttore e sugli obbiettivi della traduzione. Secondo la sua teoria chi si dedica ad una versione deve avere una perfetta conoscenza delle due lingue per comprendere il significato delle parole e per entrare nello spirito dell’autore. Sostiene la necessità di una totale fedeltà al testo da cui si traduce. L’intenzione è prescrittiva, cioè di dettare delle regole. Per quanto riguarda l’aspetto formale, i requisiti di una buona traduzione sono la conservazione del ritmo e la musicalità del testo. Essa deve attenersi allo stile personale dell’autore. La varietà sinonimica in epoca latina e medievale sul tradurre confluisce nella voce verbale traducere, che sostituisce traslatare e nei sostantivi traductio (come pratica traduttiva scritta) e traductor. La Bibbia di Lutero Questa traduzione diviene causa dello scisma tra la Chiesa Tedesca e la Chiesa di Roma. I principi delle traduzioni dei testi sacri antecedenti a Lutero tendevano verso l’adeguatezza. Essendo fondamentale la trasmissione dei contenuti e la conservazione degli aspetti formali dell’opera. La prima Bibbia in tedesco è del 1466. Fu pubblicata a Strasburgo da Johann Mentelin come traduzione della Vulgata. Dal 1521 al 1535 Lutero compie la prima traduzione completa della Bibbia in tedesco, facendo riferimento a versioni latine, greche ed ebraiche. Egli mira alla germanizzazione dei testi sacri, la traduzione doveva essere il più vicino possibile alla lingua parlata ed essere comprensibile, ponendosi al di sopra delle Mundarten (dialetti) anche senza negarli. La traduzione della Bibbia si trasforma nel modello per il tedesco scritto. Il lavoro di Lutero ebbe un influsso determinante sullo sviluppo della lingua tedesca poiché si presenta come germanizzazione delle Sacre Scritture. 2.4 IMITARE E TRADURRE NEL RINASCIMENTO Il concetto di imitatio domina buona parte della cultura del Rinascimento, l’imitazione dei modelli classici è l’elemento fondante del sistema morale ed estetico. A livello teorico, molti dei testi umanistici sulla traduzione sono in latino e si occupano soprattutto della traduzione dal greco al latino. La dottrina platonica, che riconosceva la possibilità di ricreare lo spirito del teso originale in un altro contesto culturale, ha dato grande impulso a questo metodo traduttivo. Le traduzioni diventano imitazioni e liberi adattamenti per dimostrare l’inveniva dell’autore, attraverso l’uso di una nuova lingua che porta in vita i testi antichi come se fossero una cosa nuova, come per esempio i rimaneggiamenti delle opere di Plauto e l’adattamento dell’Asino d’oro di Apuleio. Il traduttore rinascimentale compie una trasmigrazione del testo originale, lavorando a pari livello dell’autore e dividendosi tra i doveri verso quest’ultimo e verso il nuovo pubblico. Si rifanno brani di classici e si incastonano in opere nuove, scritte nello stile del tempo. La traduzione viene considerata come alto esercizio di stile, tradurre Virgilio od Ovidio vuol dire “petrarchizzarli”, “ariostizzarli”. Una traduzione importante è quella degli Annali di Tacito eseguita da Bernardo Davanzati: egli lavora nel senso di una maggiore concisione rispetto ai testi precedenti. Dialogo del modo de lo tradurre di Sebastiano Fausto da Longiano è uno dei primi trattati sul tradurre in lingua italiana, in esso ci sono alcune novità come la consapevolezza del modo in cui si traduce, la distinzione della vera traduzione dalle parafrasi, compendi e metafrasi, l’opzione per la traduzione “straniante” (lettore condotto verso il testo d’origine) e non secondo la tecnica “addomesticante” e il rifiuto di scegliere fra traduzione a “senso” e traduzione alla “lettera”. L’Inghilterra fu influenzata dalle traduzioni sacre e da quelle laiche sulla lingua e la cultura, il traduttore elisabettiano si fonda sulla “naturalizzazione” del testo di partenza, che deve avvicinarsi al gusto del lettore. I grandi traduttori inglesi di poesia del XVI secolo sono Thomas Wyatt e Henry H. Surrey (traduce in blank verse alcuni canti dell’Eneide). In Francia Ètienne Dolet fu uno dei primi a formulare una teoria della traduzione, egli fu processato e condannato per eresia a causa di una traduzione dei dialoghi di Platone, nella quale si insinuava un dubbio sull’immortalità dell’anima. Nel 1540 compone un trattato sistematico sulla traduzione chiamato La Manière de bien traduire d’une langue en autre, in cui sostiene che il traduttore è un linguista competente che lavora sulla traduzione comprendendo il “senso” e lo “spirito” del proprio autore. Dolet pone delle regole che vanno dalla conoscenza delle due lingue coinvolte alla comprensione del significato del testo e dell’argomento trattato. Poiché il francese comune, elegante e sciolto, non prevedeva l’assunzione di latinismi, bisognava evitare di rendere parola per parola, scegliendo e ordinando le parole in modo appropriato per ottenere il tono giusto. Insiste, quindi, sul compito del traduttore, che deve dare una chiara valutazione culturale del testo di partenza e deve avere consapevolezza della posizione che dovrà occupare nel sistema d’arrivo. Queste idee vennero riprese da George Chapman, traduttore di Omero. Nella Epistle to the Reader, sostiene che è necessario entrare nello spirito dell’originale per renderlo con una libertà che si identifica con l’autore. Per evitare di compiere traduzioni troppo libere si deve studiare e analizzare le versioni precedenti, mettendole a confronto. L’Eneide di Annibal Caro La traduzione dell’Eneide (in endecasillabi sciolti) di Annibal Caro (1563-1566) può essere considerata un’opera autonoma posta sotto il segno rinascimentale dell’imitazione. Si opta per l’endecasillabo sciolto per riprodurre il ritmo dell’esametro latino e privilegiare l’aspetto dell’elocutio. Predomina il gusto di una retorica ricca e armoniosa, anche se spesso ridondante. 2.5 DELL’INTERPRETARE NEL SEICENTO Nella Francia del XVII secolo si auspica il rispetto delle regole dello stile imposte dalla retorica classica, cioè la chiarezza, l’armonia e l’eleganza, attributi della bellezza della forma. Diviene importante il metodo dell’assoluta libertà nei confronti del testo da tradurre adottato da Nicolas Perrot d’Ablancourt. Il suo intento fu quello di rendere lo “spirito” stesso dell’autore e lo stesso effetto ricercato, ma attraverso traduzioni che si adattassero ai canoni dell’estetica francese. Le opere classiche venivano trasformate secondo le esigenze della cultura francese arrivando a una radicale metamorfosi dei testi originali: il traduttore doveva appropriarsi dell’originale e naturalizzarlo. Nasce la realizzazione delle cosiddette belles infidèles in cui la fedeltà non era lo scopo principale, anzi dovevano emergere lo stile e l’eleganza dello scrittore che le realizzava, veri e propri adattamenti con la pretesa di migliorare i testi. Il traduttore si fa a sua volta autore aggiungendo, togliendo e ampliando il testo a suo piacere. Il poeta Antoine Houdar de la Motte adotta questo metodo: afferma che per far capire e apprezzare gli autori antichi bisogna adattarli ai valori della società contemporanea. Anne Lefèvre (Madame Dacier) adotta una traduzione dell’Iliade libera e in prosa, sostenendo l’impossibilità di rendere in versi la grazia e lo spirito del testo antico. Pierre-Daniel Huet, nel suo trattato sull’arte del tradurre (De interpretatione), si oppone al genere delle belles infidèles, critica l’eccessivo narcisismo (ingenium) del traduttore che si appropria di testi altrui modificandoli a suo piacimento. Il suo saggio anticipa, tra gli altri, il tema dell’ambiguità del testo. In area inglese si traduce dalle lingue antiche e da quelle moderne e i traduttori accompagnano i loro esperimenti con introduzioni teoriche. Le riflessioni sulla traduzione caratterizzano i testi per una marcata tendenza al processo di assimilazione\ricreazione indicato da Chapman. John Denham pone il traduttore e lo scrittore sullo stesso piano, anche se cronologicamente lontani. Il poeta John Dryden espone, nella prefazione alle sue versioni di opere classiche, le metodologie usate. Elabora un piccolo trattato sulla traduzione che attesta l’importanza del suo pensiero critico. Nella prefazione alla traduzione delle Heroides di Ovidio, enuncia tra tipi di traduzione: metafrasi, quando il testo è reso parola per parola (versione interlineare); parafrasi, quando si traduce secondo il senso; imitazione, quando il traduttore si allontana liberamente dal testo originale. Suggerisce il criterio della via di mezzo tra la fedeltà assoluta all’originale e una libertà eccessiva, pur cercando di modernizzare la lingua del testo di partenza. Dryden sostiene che l’aderenza e la fedeltà devono essere rivolte allo spirito e non alle parole usate per esprimerlo. All’interno del processo di assimilazione è fondamentale la conoscenza della lingua dell’autore, ma anche del suo pensiero ed è importante che sia un poeta a tradurre poesia. A questi principi si ispira Alexander Pope che riconosce all’autore una superiorità dello spirito: l’originale riprende il suo posto gerarchicamente superiore. Con Pope si ritorna al rispetto del testo autoriale, preparando la svolta romantica. In questo periodo si assiste all’ammodernamento linguistico cui vengono sottoposte alcune opere, come i Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer, anche i testi di Racine e di Shakespeare vengono rivisti e riadattati al gusto e alla lingua contemporanei. Nel XIX secolo il Decameron ha avuto traduzioni in vari dialetti regionali e riscritture in chiave “naturalizzante”, in una traduzione di Aldo Busi si formalizza il concetto di traduzione intralinguistica (interpretazione dei segni linguistici per mezzo di altri segni della stessa lingua). 2.6 TRADUZIONE E GÉNIE DES LANGUES DEL SETTECENTO Il Settecento si apre con delle questioni irrisolte: la dicotomia della fedeltà allo “spirito” o alla “lettera” dell’originale, la funzione della traduzione nei sistemi culturali di arrivo, la figura del traduttore e la legittimità o possibilità della riduzione di un testo poetico in prosa. Dal punto di visto c’è una novità: viene emanata la prima legge inglese sul copyright (1709), grazie alla quale le traduzioni sono riconosciute come opere indipendenti. Sia in Francia che in Inghilterra si assiste a un’operosità traduttiva e i traduttori elaborano importanti teorie sul tradurre. Originalità e creatività diventano i parametri per il mercato editoriale. In Francia Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert sprona a seguire dei modelli equidistanti sia dall’eccessivo letteralismo sia dalla smodata libertà. Importante è la trasmissione delle idee che nascono dal genio di ogni lingua che viene manifestato in rapporto al carattere della nazione. Jaques Delille si appella all’idea di “armonia” nella traduzione, mentre Pierre- François Guyot Desfontaines critica la traduzione in versi e ritiene importante la fedeltà espressiva- Anche in Italia è presente questa dicotomia metodologica. Tuttavia, l’opinione dominante si allinea sulle teorie francesi e sull’assunzione del concetto di genio come parametro del tradurre. Gian Rinaldo Carli insiste sul genio della lingua e sul carattere del traduttore e rifiuta ogni pretesa normativa, adottando però un atteggiamento diverso a seconda che la traduzione si riferisca ai testi antichi o a quelli moderni. comprensione dell’altro rappresenta un arricchimento. Nei frammenti pubblicati su “Athenaeum” del 1798, Schlegel parla della traduzione introducendo i concetti di distanza e di Bildung, nel senso di capacità di entrare in rapporto con l’altro, formando un’identità culturale nazionale. La lingua di partenza e quella d’arrivo si ritrovano in una condizione di scambio. Tutta l’opera di Wilhelm von Humboldt si bilancia tra due prospettive: da una parte il principio di individualità e di differenziazione, dall’altra l’apertura del linguaggio alla comunicazione interlinguistica. Alla visione binaria tra il concetto di traducibilità e di intraducibilità, si accompagna quella del rapporto fra originale e lettore e fra traduzione “estraniante” e traduzione “naturalizzante”. Secondo Humboldt se l’essenza della lingua cui ogni umo aspira passa attraverso il linguaggio nella sua universalità, tale condizione si realizza in un processo di Entfremdung, di allontanamento. La traduzione non deve far sentire l’estraneo (das Fremde), ma l’originalità e la peculiarità (die Fremdheit), deve far incontrare lo straniero. Humboldt valorizza l’individualità e la diversità delle lingue: ricchezza di scambi tra diverse esperienze. Solo nell’identificazione della differenza degli idiomi e nella diversità delle Weltansichten linguistiche si può arrivare all’idea di universalità del linguaggio. Il dibattito sulla traduzione ebbe parte centrale nella querelle classico-romantica. I classicisti erano favorevoli alla traduzione “naturalizzante” (l’autore condotto dal traduttore verso la lingua del lettore), mentre i romantici a quella “estraniante” (il lettore che si avvicina all’autore, condotto dal traduttore). Nella nozione di Weltiliteratur (letteratura universale), Goethe riconosce alla traduzione una centralità culturale nel sistema di ogni lingua. Egli considera la traduzione un’arte che permette la pienezza delle relazioni tra gli individui e le nazioni attraverso le quali essi costruiscono la loro identità e i loro rapporti con l’estraneo. La traduzione serve ad arricchire la lingua e la cultura in cui si traduce, ma anche a svecchiare e dare nuova energia alle opere originali. Universalità e cosmopolitismo sono le vere caratteristiche dello spirito tedesco, all’interno del pensiero romantico la teoria del linguaggio d’arte universale (Kunstsprache) e il sincretismo culturale rimandano a una teoria della traduzione come strumento per la costituzione dell’universalità letteraria. Per Novalis ci sono tre tipi di traduzione: grammaticale, trasformante o mitica. La traduzione grammaticale restituisce solo il contenuto, quella trasformante permette il potenziamento dell’opera attraverso la Kuntsprache, ossia una funzione filosofica, critica e poetica e quella mitica consiste nell’annullamento dell’originale, fino alla sua trasformazione in simbolo, elevazione allo stato di mistero che è l’essenza stessa della romanticizzazione. Berman riconosce nel tradurre (übersetzen) l’atto filosofico del porre al di sopra L’opera Sulla maniera e utilità delle traduzioni di Madame de Staël dà un grande impulso al dibattito. Per Madame de Staël le traduzioni sono arricchimenti delle culture nazionali nel commercio dei pensieri, con preciso riferimento al pensiero di Goethe e di Schlegel. Sono importanti il pensiero di Friesdrich Schleiermacher e il suo saggio Sui diversi modi del tradurre nel quale l’indagine ermeneutica trova una propria metodologia e la traduzione una dimensione strettamente filosofica. Al centro della comprensione del discorso scritto od orale non c’è un determinato oggetto, ma il modo in cui il pensiero di un individuo si manifesta nella lingua. La teoria ruota attorno a due concetti che sono il punto focale del discorso traduttologico: quello della Entfremdung e della Verfremdung. Il fulcro del processo traduttivo si trova all’interno della radice fremd (estraneo, straniero), per cui spostando l’estraneità nel nuovo contesto, si arriva a una condizione di adattamento (Entfremdung) oppure, attraverso un processo del linguaggio, il lettore di arrivo viene portato nel contesto linguistico di partenza mediante un processo di straniamento (Verfremdung). Seguendo il primo procedimento la qualità del testo di partenza viene meno a causa di un processo di adattamento delle differenze. Nel secondo caso si giunge ad un arricchimento del lettore e della cultura di arrivo, parzialmente semantizzata con i valori dell’estraneo e rifondata su altre basi. 2.8 LE TEORIE SULLA TRADUZIONE DEL NOVECENTO Nel ventesimo secolo Benedetto Croce riconosce, nel suo saggio Estetica, l’impossibilità ontologica della traduzione. Successivamente Luigi Pirandello attribuisce alla necessitò dell’atto interpretativo della traduzione un’inevitabile ed insopportabile ingerenza. Le sue affermazioni trovano riferimento nell’auctoritas di Croce e nella poetica della traduzione di Giovanni Pascoli espressa nei Pensieri e discorsi, soprattutto nei confronti della traduzione di testi classici. Commentando il saggio pascoliano, Pirandello elabora una lettura che lasci fuori il più possibile ogni atto ermeneutico, che nel mutare il corpo, muterebbe necessariamente anche l’anima. Pirandello, inoltre, manifesta il suo scetticismo in relazione alla formula di “diminuzione e guasto” del pensiero crociano. I primi veri approcci metodologici nel campo della traduzione si rivolgono al processo traduttivo secondo i presupposti della scienza linguistica, per cui la lingua è un sistema di cui tutti i termini sono solidali ed in cui il valore dell’uno non risulta che dalla presenza simultanea degli altri. Gli studi iniziano nell’Europa orientale grazie ai formalisti russi del Circolo linguistico di Praga ma vengono coinvolti anche i ricercatori dei paesi anglosassoni. Considerando la traduzione come atto primariamente linguistico, si arriva al riconoscimento di una sostanziale intraducibilità del testo. Negli anni Cinquanta compare la definizione di scienza riferita alla traduzione, in seguito all’interesse per la traduzione automatica di testi non letterari con i computer: linguisti e matematici pensano di poter applicare la statistica e la teoria linguistica alla traduzione. Tale metodologia si basa su studi che hanno come finalità la formulazione di norme e criteri universalmente validi che possano garantire processi automatici per la traduzione (prescriptive translation studies). Alcuni studiosi tentano di delineare i rapporti esistenti tra la logica formale e i processi traduttivi. Con l’applicazione dei principi della linguistica strutturale, la teoria si configura come normativa, poiché ha lo scopo di fissare norme su come produrre un testo equivalente all’originale. A una certa struttura linguistica deve riferirsi una struttura linguistica corrispondente. Questa fase è caratterizzata da un’impostazione rigorosamente scientifica. Le ricerche mirate nella definizione dello studio della traduzione come scienza guardano al testo e alla lingua di partenza (source). Questa metodologia traduttiva è definita source-oriented, cioè funzionale all’originale. La traduzione viene considerata opera ancillare al testo originale. Questa prospettiva è strettamente radicata all’idea dell’equivalenza. Non essendo possibile un’equivalenza assoluta tra i testi, si verranno di volta in volta proporre forme di equivalenza diverse. Caduto il concetto di identità (due lingue non presentano mai sistemi identici di organizzazione dei simboli in espressioni dotate di senso), Eugene Nida introduce i principi di “equivalenza formale”, in cui si concentra l’attenzione sia sulla forma che sul contenuto del messaggio, secondo una valutazione di tipo linguistico, e di “equivalenza dinamica”, in cui si privilegia il valore comunicativo del testo secondo criteri di tipo pragmatico e semiotico. Così si trasmette al lettore della cultura d’arrivo la globalità del significato testuale, determinando un effetto analogo a quello prodotto dall’originale sul proprio lettore. I maggiori rappresentati di questa fase sono linguisti come John C. Catford, Eugene Nida, Georges Mounin e Werner Koller. Negli anni Sessanta le metodologie prescrittive si rivelano inadeguate. La complessità del processo di scambio di relazione tra culture diverse non poteva essere risolta all’interno di un ordinamento solamente normativo. Alla linguistica saussuriana si affianca la semiotica. Si sente la necessità di affrontare la questione dal punto di visto pragmatico e su basi teorico-metodologiche. La nuova impostazione si deve allo strutturalista Jakobson, che riconosce la traduzione come passaggio del significato di un termine in termine corrispondenti. Egli propone la formula di “equivalenza nella differenza”, in quanto l’atto comunicativo-interpretativo risente della soggettività dell’individuo. All’interno della differenza si deve individuare il nucleo invariante che deve essere presente in ogni traduzione: si deve rispettare l’essenza di ciò che l’autore vuole dire. Il prodotto del processo traduttivo sarà uno dei testi possibili e potrà essere un buon testo se il traduttore avrà rispettato con coerenza i parametri traduttologici postulati. Nel corso degli anni Settanta e Ottanta viene superata la fase scientifico-prescrittiva degli studi precedenti attraverso il confronto con i problemi legati alle teorie della traduzione. Teorie testuali e pragmatiche si fanno spazio in un grande dibattito nato nei Paesi Bassi per poi diffondersi in tutta Europa. Ai prescriptive translation studies, si accostano gli studi descrittivi, i descriptive translation studies. Questi si muovono nell’ottica del testo e della sua ricezione, la prospettiva degli studi da linguistica diventa testuale. Sono fondamentali le questioni terminologiche e concettuali, a partire dalla definizione di traduzione e di alcuni termini usati in relazione ad essa. Berman definisce la traduttologia come la riflessione della traduzione su se stessa a partire dalla sua natura di esperienza, distinta da un altro sapere. Si iniziano a elaborare riflessioni sulla necessità di rapporti tra aspetti linguistici, extralinguistici ed extratestuali. Si assiste ad una svolta sull’aumento della dimensione culturale a scapito di quella strettamente linguistica. Viene ristretto il primato del testo originale per offrire alla traduzione un valore quasi autonomo, viene annullato ogni rapporto con l’idea di fedeltà e infedeltà per affermare l’essenza intertestuale della traduzione e la sua autonomia rispetto all’originale. Per Lotman è fondamentale l’influenza esercitata dalla traduzione all’interno delle culture, ispirato dal pensiero di Toury e di Even-Zohar, che sono tra i maggiori responsabili del consolidamento della prospettiva descrittiva. Lo scopo non è più quello di prescrivere regole ma di elaborare una teoria in grado di capire e descrivere i fattori in base ai quali una traduzione possa essere definita tale. La prospettiva degli studi si è invertita da source-oriented a target-oriented negli studi di James S. Holmes, Antoine Berman, Gideon Toury e Itamar Even-Zohar. Toury vede le traduzioni come fatti di pertinenza delle culture d’arrivo. Egli si riferisce ai concetti di annessione e di decentramento utilizzati da Meschonnic, il quale per annessione intende ciò che riporta tutto alla sua cultura e che considera tutto quello che è situato al suo esterno –lo straniero- come negativo o al limite idoneo ad essere integrato e adattato. Con il decentramento si tende a un’operazione di esplorazione delle differenze. Questi concetti per Toury diventano sinonimi di traduzione target- oriented, secondo un approccio che tenta di naturalizzare il testo nel contesto culturale-letterario del sistema d’arrivo, e di traduzione source-oriented che si propone di trascinare il lettore verso il contesto del sistema di partenza per qualificare la natura del testo tradotto. Even-Zohar studia il concetto di Polysystem Theory, che diventa il presupposto per il pensiero di Bassnett-McGuire, secondo la quale il fondamento interdisciplinare della teoria traduttiva deve radicarsi all’interno del contesto delle culture. Il volume di Steiner After Babel (1975) è uno dei testi più significativi degli anni Settanta e venne tradotto in molte lingue, tra cui l’italiano. È una dettagliata costruzione storico-critica delle teorie della traduzione e dell’attività traduttiva della cultura occidentale. Steiner crea una periodizzazione quadripartita, partendo da Cicerone fino al XVIII secolo, egli parla di focalizzazione empirica immediata, con spartiacque la pubblicazione del saggio di Tytler. Il secondo periodo si appunta sul saggio di Schleiermacher inaugurando lo “stadio di teorie e indagine ermeneutica”. Questa metodologia si radicherà fino ai primi decenni del Novecento e si concluderà con il saggio di Benjamin Il compito del traduttore. Il terzo periodo è quello dei linguisti e degli strutturalisti che tentano di fondare una scienza della traduzione attraverso i procedimenti della linguistica. Il quarto momento è in netto contratto con il pensiero formalistico e scientistico che ha dominato fino agli anni Sessanta. Contemporaneamente iniziarono a comparire i primi studi che avrebbero preso il nome di translation studies, il cui nuovo approccio consiste nell’aver identificato l’importanza del problema della ricezione del testo, e della traduzione come luogo di interscambio e valorizzazione delle differenze culturali in una prospettiva comparatistica. I concetti di traduzione source-oriented e target- oriented In un saggio del 1980 il ricercatore israeliano Toury traccia due strategie traduttive che hanno un risvolto importante nella critica della traduzione. Le traduzioni source-oriented (orientate al prototesto) hanno come obiettivo dominante la traduzione dei testi letterari. Toury ritiene che se la dominante traduttiva assoluta è individuata nel prototesto, è difficile riuscire a creare un testo vero e proprio a causa delle esigenze filologiche dell’originale (principio dell’adeguatezza alla traduzione letteraria). Le traduzioni target-oriented (orientate al metatesto) hanno obiettivo la creazione di metatesti letterari, i testi creati sono letterari ma si distaccano dai rispettivi originali (principio dell’accettabilità alla traduzione letteraria). di traduzione, in quanto si ritiene che il testo abbia subito una manipolazione intenzionale. La traduzione può muoversi nella fedeltà filologica, con una particolare attenzione al testo di partenza, in questo caso vorrebbe restituire il testo caratterizzato da quella unicità che la storia gli ha assegnato, ma può anche verificarsi la necessità di adeguare la traduzione all’orizzonte di attesa del pubblico, creando nel lettore della traduzione le stesse reazioni intellettuali ed emozionali che l’originale ha creato sui primi lettori nella lingua d’origine. La traduzione può sconfinare nell’adattamento per problemi di comprensione del codice linguistico, per una diversa collocazione culturale del testo o per la necessità di comunicare attraverso codici semiotici diversi da quelli dell’originale. Si esercita il processo di adattamento principalmente riguardo le diversità “culturospecifiche”, le diverse culture attribuiscono alla parte non detta della comunicazione compiti diversi. Il loro contenuto implicito muta a seconda del variare del contesto ambientale. Qualsiasi testo si caratterizza per quello che viene detto o scritto (esplicito) e per ciò che non viene detto o scritto esplicitamente, perché dato per scontato (implicito). Il non detto è ricavabile dal contesto, cioè dalla cultura in cui l’enunciato s’inserisce. Le differenze tra le culture fanno sì che intere categorie di oggetti o fenomeni presenti in una cultura siano assenti in un’altra (ibid). Occorre operare un adattamento o del testo al lettore, o del lettore al testo. Un lettore può essere incapace di capire alcuni aspetti del testo per ignoranza di alcune caratteristiche culturali dell’ambiente che ha dato origine a quel testo. In questo caso, l’adattamento del lettore al testo si formalizza nelle informazioni necessarie per la decodifica del testo e che sono riassumibili nel concetto di apparato paratestuale (note, prefazioni ecc.). Nel caso si optasse per adattare il testo al lettore si modificherebbe il testo. Esempi di motivi che inducono un traduttore a scegliere di avvicinare il testo al lettore: - Il prototesto è troppo lungo rispetto allo spazio a disposizione per il metatesto; è stata richiesta una traduzione tagliata con indicazione della forma del metatesto desiderata. - Il destinatario del metatesto è un pubblico infantile, l’editore si fa carico di una concezione sociale (canone) di ciò che è “adatto” o “inadatto” a un bambino, e prepara un adattamento censurato in vari modi: censura dei riferimenti sessuali, dei riferimenti violenti (fisici), delle parole “troppo difficili da pronunciare”, censura politica di regime, censura su comportamenti considerati contrari alla pubblica morale. Lo stesso può accadere per un pubblico adulto. - Le caratteristiche culturali del pubblico del metatesto sono diverse tanto da richiedere una modifica sostanziale del contenuto del testo; quest’ultimo punto si riferisce a testi di carattere pratico, istruzioni, funzionamento di macchine o programmi ecc. Tutti questi tipi di adattamento rientrano nelle traduzioni perché sono caratterizzati dalla presenza di un prototesto od originale, di un metatesto o traduzione, di un modello di lettore e di una “dominante”. 3.3 TRADUZIONE E RICEZIONE Le moderne teorie traduttologiche pongono l’accento sul contesto di ricezione di un testo, quindi sulla cultura di arrivo, piuttosto che sulla volontà dell’autore del testo di partenza. Focalizzano l’attenzione sull’idea della traduzione come testo autonomo. Il metro di valutazione diventa il sistema letterario della cultura della quale una traduzione entra a far parte. Toury (1980) è il primo ad aver elaborato una concezione della critica traduttiva in linea con l’orientamento della nuova disciplina traduttologica. Questa concezione consiste nello studiare i metatesti che sono stati prodotti in una determinata cultura ricevente. Tale analisi ha lo scopo sia di trovare costanti nel comportamento traduttivo, sia di trovare regolarità che possano contribuire a configurare un comportamento traduttivo culturospecifico: quali sono i parametri che fanno sì che un certo metatesto possa essere considerato appropriato per una determinata cultura. Secondo questo modello i testi tradotti costituiscono un sottosistema all’interno del sistema della letteratura in una lingua, regolati dalle convenzioni e dalle norme della cultura di arrivo. Paradosso dei testi non tradotti: valutare quali testi non sono tradotti, esaminare l’azione di “filtro” messa in atto è una forma di analisi del canone dominante di una determinata cultura, e della sua apertura a recepire le culture altri. Studiare la ricezione di un testo tradotto significa analizzare il ruolo svolto dal testo e il grado di accoglienza della traduzione all’interno della cultura di arrivo. Ripercorrere la storia delle traduzioni di un testo, in un dato contesto culturale, significa avere la possibilità di studiare l’evoluzione del gusto della cultura di arrivo. Il compito del traduttore secondo le moderne teorie traduttologiche è giocato su due piani: come conoscitore delle strutture testuali e delle condizioni culturali del prototesto, e di studioso delle condizioni della ricezione del metatesto. Il traduttore deve farsi carico sia della mediazione linguistica che di quella culturale. Per la traduzione è necessaria una complessa serie di conoscenze interdisciplinari che vanno dalla filosofia alla sociologia, alla storia della letteratura, dalla semiotica alla storia dell’arte, alla storia. Il traduttore è chiamato a compiere alcune scelte traduttive che devono tener conto del destinatario dell’opera. Tuttavia, non si possono ignorare alcune condizioni indipendenti delle scelte soggettive del traduttore, come la politica culturale della società interessata all’operazione o alla politica di mercato. L’atto del tradurre non è mai neutro: come atto di manipolazione delle differenze linguistiche e culturali del prototesto, nell’intenzione di ridurre l’opera tradotta a condizioni di maggiore familiarità all’interno della cultura ricevente, può rispondere a una forte politica culturale. Nel complesso di sistemi interagenti per cui sono determinanti i fattori sociali, culturali, ideologici, letterari e linguistici, la traduzione assume lo statuto di fenomeno di comunicazione interculturale e sociale. Even-Zohar analizza la rete di questi sistemi culturali, correlati in rapporto dialettico, all’interno della quale inserisce anche il sistema della letteratura tradotta. 4. STUDI E PROSPETTIVE RECENTI SUL TRADURRE 4.1 TRANSLATION STUDIES L’attribuzione del nome di translation studies venne decisa dopo un periodo di discussioni. La nascita dei translation studies si fa coincidere con il Colloquio di Lovanio su letteratura e traduzione del 1967, quando Lefevere accolse la proposta di chiamare translation studies quell’ambito di studi che riguarda i problemi derivanti dalla produzione e dalla descrizione delle traduzioni, includendo tutte le categorie (traduzione letteraria e non letteraria, traduzione scritta e orale, analisi degli aspetti pragmatici e teorici del tradurre). Gli Atti del Convegno raccolti da Holmes, Lambert e Van den Broeck offrirono un’organizzazione sistematica agli studi, che da allora assunsero lo statuto di area disciplinare autonoma. Fu Holmes il primo a usare la definizione di translation studies nel 1972. Il critico si riferiva a una disciplina che, da una parte, descrive il fenomeno della traduzione, secondo la prassi che deriva dall’esperienza del soggetto (descriptive translation studies). I translation studies sono un campo di studi di carattere analitico-descrittivo. L’obiettivo è quello di descrivere i fenomeni della traduzione come si manifestano nella prassi: la traduzione diventa una forma di comunicazione interculturale imperniata sull’intero sistema della cultura ricevente. Secondo questi studi la traduzione è considerata un atto creativo essa stessa, un complesso lavoro di reinterpretazione. L’assunzione di una terminologia precisa aveva lo scopo di riconoscere questa branca di studi e di ricerca, venne accantonato il termine science of translating che era considerato troppo pretenzioso, in quanto la disciplina non ha il rigore di una scienza. In seguito, si propose il termine traductologie che appunta una precisa attenzione sul significato linguistico. Oggi si propende a usare translation studies, in cui si esprime sia l’atto del tradurre, sia il risultato. Il volume Translation Studies (1980) di Bassnett-McGuire divenne un punto di riferimento per gli studi sulla traduzione. Il lavoro si presenta secondo una precisa strutturazione: accanto alle questioni centrali sul tradurre si passa in rassegna la storia degli studi traduttologici, dalle origini ai giorni nostri, e alcuni problemi legati alla traduzione letteraria. Il lavoro di Bassnett-McGuire definisce con chiarezza il valore del metatesto come opera autonoma e non secondaria rispetto all’originale. Nel 1985 esce The Manipulation of Literature di Theo Hermans, dei saggi che considerano la traduzione un “genere letterario primario” e fondamentale nell’evoluzione dei sistemi culturali. Secondo Hermans le istituzioni sociali hanno a disposizione lo strumento della traduzione per manipolare una società al fine di costruire il proprio modello di cultura. Alla fine degli anni Ottanta, un gruppo di studiosi si riunisce sotto il nome di Manipulation School, contribuendo allo sviluppo della disciplina dei translation studies. Questo gruppo evidenzia le implicazioni ideologiche della traduzione e definisce la traduzione non più come linguistic transcoding, ma come un processo di cultural transfer. Bassnett-McGuire e Lefevere si fanno promotori del cultural turn, con la quale gli studi traduttologici entrano in stretto rapporto con i cultural studies. Nel testo Translation, History and Culture, al posto del criterio cronologico, l’autore adotta un approccio tematico secondo alcune dominanti di fondo e con un’attenzione alla multidisciplinarietà. L’approccio alla traduzione è un processo dinamico che interagisce con una cultura non normata e richiede una negoziazione di cui la traduzione si fa portatrice. Particolare importanza assumono le prospettive sulle tipologie testuali e sulla cultura, si passa da un livello testuale a uno culturale con un’attenzione al contesto di ricezione. Nel 1992 Lefevere introduce il concetto di riscrittura (rewriting) che si riferisce ai processi in cui il prototesto viene reinterpretato o manipolato. Egli riconosce nella traduzione una continua riscrittura del testo originale attribuendole un valore e un’ideologia proprie. Lo scambio di testi tra lingue e culture mira a sprovincializzare le culture nazionali con una funzione di arricchimento e la strategia scelta è legata al principio di adeguatezza. Bassnett-McGuire indica la capacità dei translation studies di esportare modelli di ricerca, evidenziando uno stretto rapporto tra disciplina traduttologica e letteratura comparata. In questa nuova prospettiva di ricerca, gli studi sulla traduzione si concentrano sulla produzione dei testi (analisi linguistica e culturale del contesto d’arrivo, problema della ricezione), mentre gli studi culturali analizzano le relazioni egemoniche nella produzione dei testi. Il saggio The Translation Turn in Cultural Studies individua tre fasi evolutive parallele nella storia delle discipline dei cultural studies e dei translation studies. Bassnett-McGuire (autore del saggio) riconosce dei passaggi nell’evoluzione degli studi culturali: una fase culturalista nei lavori di Nida, Newmark, Catford e Mounin; una fase strutturalista sovrapponibile a quella polisistemica di Even- Zohar e caratterizzata da sistemi e struttura e una fase post-strutturalista, caratterizzata dal riconoscimento del “pluralismo culturale”. Nello stesso modo vengono analizzate le tappe evolutive degli studi traduttologici. Un tentativo di classificazione degli studi era venuto da Radegundis Stolze che ha riconosciuto quattro scuole: a seconda che gli autori pongano maggiore attenzione ai sistemi linguistici, ai testi, all’attività del tradurre o al traduttore in quanto persona. Egli ribadisce che il traduttore non piò limitarsi a una mera analisi linguistica del testo da tradurre, ma deve anche essere a conoscenza delle relazioni tra quel testo e il sistema culturale al quale è destinato. Lo studio della traduzione necessita di una pluralità di voci e di soggetti e lo studio della cultura richiede sempre un esame dei processi di codificazione e decodificazione che comprendono la traduzione. La studiosa Christiane Nord ripropone la teoria dello Skopos: partendo da una visione di equivalenza non più basata su strutture linguistiche, si considera prioritario nell’atto traduttivo lo “scopo” e si pone una distinzione tra le scelte traduttive dettate da convenzioni e quelle dettate dallo stile e dal gusto personale del traduttore. Venuti riprende in termini moderni il concetto fondante del pensiero tedesco sulla traduzione, che aveva visto l’importanza dell’annessione culturale attraverso le traduzioni (Goethe, Humboldt), postulando che la traduzione è uno spazio letterario in cui si realizzano modifiche sostanziali al panorama letterario del mondo, e intervenendo su quel processo di scambio che è alla base di ogni prospettiva comparatistica. Per secoli il testo originale è stato investito di una autorità indiscussa confinando il traduttore all’”invisibilità”. Il rapporto impari tra autore, intoccabile nella sua condizione di genio creativo, non soggetto ai cambiamenti linguistici sociali e culturali, e traduttore come manuale compilatore di una copia, costretto all’uso di un linguaggio trasparente che riflettesse il più possibile quello dell’autore, viene ora ribaltato: la traduzione è un atto culturale e politico autonomo. Bisogna riaffermare l’alterità del testo straniero secondo un’etica della traduzione. Venuti riprende il concetto romantico di traduzione “naturalizzante” e traduzione “estraniante” proposto da Schleiermacher mettendo in relazione/contrapposizione due strategie traduttive: domesticating (domesticazione) e foreignizing (stranierificazione). Nel primo caso si tenta di agevolare la lettura del
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