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LA TUTELA DEL MADE IN ITALY ATTRAVERSO IL MARCHIO, Tesi di laurea di Diritto Commerciale

TESI COMPLETA , LA TUTELA DEL MADE IN ITALY ATTRAVERSO IL MARCHIO, COMPLETA DI INDICE ,BIOGRAFIA, SITOGRAFIA E NOTE; CON CONCLUSIONI FINALI.

Tipologia: Tesi di laurea

2021/2022

In vendita dal 28/05/2022

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Scarica LA TUTELA DEL MADE IN ITALY ATTRAVERSO IL MARCHIO e più Tesi di laurea in PDF di Diritto Commerciale solo su Docsity! “La Tutela Del Made in Italy attraverso il Marchio" Introduzione: ……………………………………………………………….. L’importanza del Made in Italy Indice: 1.1 Nozione generale del marchio 1.2.1 Funzione distintiva 1.2.2 La funzione di provenienza e di indicazione 1.2.3 Funzione attrattiva 1.3 La classificazione del marchio 1.4 Qualità del marchio 1.5 Ordine di Registrazione 1.6 Diffusione del marchio 1.7 Cancellazione del marchio Capitolo II: Le origini del Made in Italy e la normativa di riferimento 2.1 L’importanza del Made in Italy , come è diventato rilevante 2.2 Il quadro normativo internazionale delle merci 2.2.1 Il codice doganale Comunitario 2.2.2 Il Marchio d’origine 2.2.3 Denominazione di origine e indicazione geografiche protette 2.2.4 Marchi di qualità e Marchi regionali 2.2.5 Regole Nazionali sul mercato d’origine: La posizione delle istituzioni comunitarie. 2.3 Situazione attuale del Made in Italy e nuove normative 2.3.1 L’accordo di Madrid: Il fermo in dogana del falso “made in iItaly” 2.4 Il marchio collettivo, il 100% made in Italy legge 166/2009 Capitolo III: La tutela del Marchio e del Made in Italy 3.1 Legge finanziaria 2004, strumenti di tutela a livello Globale 3.2 Gli strumenti di tutela nell’ordinamento Italiano 3.2.1 La Tutela tramite registrazione 3.2.2 L’opposizione 3.2.3 L’azione di contraffazione 3.2.4 I procedimenti cautelari 3.2.5 La tutela penale 3.3. Dop e Igp 3.4 Il fake “Parmesan” Capitolo IV: Il marchio storico di Interesse Nazionale 4.1 il marchio storico 4.3.1 marchi storici e Registro speciale 4.3.2 I Pro e I contro del marchio storico. Introduzione L’importanza del Made in Italy Nella mia tesi affronto l’importanza del Made in Italy sia nel territorio Nazionale e Internazionale. consumatore di riconoscere e di localizzare l’azienda, evidenziandone la qualità. Parliamo dunque della sezione Marchi che lo troviamo nell’art. 7 del codice della proprietà industriale che si estende all’art.28 ciò che è possibile “oggetto di registrazione”1. Esiste in seguito anche un marchio comunitario istituito con il regolamento Ce, 20-12-1993 n.40 ed oggi sostituito dal regolamento Ce, 26-2-2009 n.207, grazie al quale si ottiene la validità del marchio su tutto il territorio Europeo. Parlando di deposito del marchio comunitario la procedura viene gestita direttamente dall’ EUIPO ovvero l’ufficio dell’unione europea per la proprietà intellettuale, non è molto importante che venga depositato un marchio nazionale. Successivamente troviamo anche un marchio internazionale dichiarato dalla convenzione D’unione di Parigi del 1883 e dell’ accordo di Madrid 1891. Inoltre però non viene considerato un marchio autonomo che effetto in tutti gli stati del mondo, bensì è un estensione del marchio Europeo o nazionale che viene depositato con una sola domanda in più stati esteri e acconsente d’accederne alla tutela secondo le discipline nazionali. Non solo all’interno del territorio Nazionale ma anche nel resto del mondo questo sistema di tutela a più livelli è molto essenziale per garantire l’esclusività del marchio. L’organizzazione mondiale della proprietà intellettuale convenzionata da Stoccolma il 4 Luglio 1967, l’Italia è proprio uno dei contributori, che conta oggi 188 Paesi membri, di cui le principali funzioni sono la registrazione del marchio e 1 Articolo 7: “possono essere oggetto di registrazione tutti i nuovi segni suscettibili, in particolare parole, che fanno parte i nomi di persona, i disegni , le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto, le tonalità cromatiche, purché siano differenti da altri prodotti di un’altra impresa. mediazione per la risoluzione di controversie fra privati e l’utilizzo abusivo dei marchi. 1.2.1 Funzione distintiva La principale e primaria funzione del Marchio è quella distintiva. Definisce un prodotto o un servizio che proviene da una determinata impresa che il fine non è altro che differenziarlo da quelle simili offerti dai concorrenti. Il marchio quindi viene protetto non perché ha un valore connaturato ma perché permette di effettuare questa distinzione2. L’art. 13 del Codice della proprietà industriale, stabilisce che l’uso assiduo del commercio non può costituire oggetto di registrazione come marchio di impresa, tutti quei segni evolversi ,comma 1; oppure denominazioni generiche del prodotto o indicazione descrittive, comma 2. Il 4 Marzo 2012 il tribunale di Torino valutando l’articolo 13 si è osservato la ratio della norma che è quella di assicurare che i segni che determinano una o più caratteristiche dei prodotti o servizi, per i quali viene effettuata una registrazione come Marchio, in quanto tutti gli operatori economici possono usufruire poiché offrono prodotti e servizi simili. In seguito a questa funzione ci troviamo di fronte alla funzione comunicativa definita come capacità da parte delle aziende di divulgare messaggi e impressione di natura sociale e commerciale3. 1.2.2 La funzione di provenienza e di indicazione 2 A. Fittante, Brand, Industrial e Made in Italy, Milano, 2017 3 C.Galli, Protezione del Marchio, Milano, 2004 La funzione del marchio non è solo quella di differenziare i prodotti simili nel mercato, ma ha il compito di indicare il prodotto per la sua provenienza. A seguito della” riforma Marchi” introdotta nel 1992 sottolineando come la funzione di questo marchio sia andato a minimizzare sensibilmente, sulla base delle indicazioni dettate dalla direttiva CE n. 89/104. Numerosi studiosi nel corso degli anni ed esperti in materia di diritto industriale, hanno sottolineato che tramite questa concessione di trasferibilità del marchio sia andata a ridurre da un lato la tutela dei consumatori, dall’altro anche come si sia provocato un vero e proprio indebolimento della funzione principale del segno distintivo stesso. Prima della riforma, secondo Adriano Vanzetti, il marchio formava il fattore costante nel tempo dell’impresa, senza il quale di identificazione non si sarebbe potuto parlare. A proposito di questa riforma originale sembrerebbe perdere la sua essenza per lasciare libera interpretazione a quella di una sorta di molte autocertificazioni riguardo la provenienza di un prodotto, e sia da un’impresa legittima titolare del segno, sussiste dunque una fondata preoccupazione che tramite la concessione della libera cessione, si rischi che “ il pubblico sia ingannato, perché fidando,appunto, sulla continuità dell’origine egli riceverà a sua insaputa prodotti provenienti da un’impresa diversa”4. Vanzetti per affrontare questa problema, evidenzia come interpretare le norme del c.p.i, in materia di rischio, l’ordinamento richieda una serie una serie di oneri, come ad 4 A.Vanzetti, manuale di Diritto industriale, Milano 2005 di registrazione. Per questo motivo la Corte di Cassazione ha replicato in una pronuncia del 2015 che non è registrabile il marchio tridimensionale che si limiti a riprodurre la forma tipica del prodotto e che non si caratterizzi per elementi ornamentali o di fantasia idonei ad essere percepiti quale segno del consumatore7. Nell’art. 7 sono ammesse anche le registrazioni combinazione del colore e le tonalità cromatiche, un esempio è il valentino. E’ necessario affinchè un colore per sé sia valido come marchio è necessario che sia slegato completamente dal prodotto che lo contraddistingue. In base alla caratteristiche del segno, si riconosce una tutela anche al marchio di suono, che è un marchio costituito da note musicali e che per poter essere registrato deve rappresentare un pentagramma graficamente8. La rappresentabilità grafica infatti o di riprodurre in un documento, un segno attraverso immagini o linee, è una caratteristica principale del marchio. Per questo motivo la tutela viene garantita al marchio solo se è accompagnato da una rappresentazione grafica, evidenziata sia dal nuovo codice della proprietà industriale all’articolo 148 sia dalla Direttiva Comunitaria n.89/104/CEE. Con questa stessa tutela, non si riconosce invece al marchio olfattivo. In quanto parte della dottrina evince che esistono odori e fragranze in grado di suscitare emozioni, la maggioranza degli autori evidenzia che questo tipo di marchio non sia ritenuto meritevole di tutela. Infatti la Giurisprudenza ha messo un “veto” con l’introduzione del Regolamento UE n.2424/2015, sulla registrabilità del marchio olfattivo, in quanto non riproducibile graficamente9. Inoltre i marchi si possono anche classificare in funzione 7 Cassazione Civile, sez 1, 27 luglio 2015 8 Manuale della proprietà industriale e intellettuale, Santarcangelo di Romagna, 2019 9 A.Sirotti, manuale Pratico dei marchi e brevetti, Roma, 2019 dell’attività d’impresa, così abbiamo i marchi di fabbrica, ed i marchi apposti dal commerciante, grossista o rivenditore finale. I prodotti che possono avere più di un marchio di fabbrica subiscono più fasi di assemblaggio coesistendo così più marchi. Nell’art. 2572 c.c e l’art. 20.3 comma, c.p.i enunciano che per il marchio di commercio il rivenditore può applicare il proprio marchio ma non può n alcun modo sopprimere il marchio del produttore. Possiamo distinguere i marchi generali da quelli speciali, nella prima categoria vediamo i segni che hanno come obiettivo di contraddistinguere la generale produzione dell’impresa, ma quando si vuole fare una distinzione di prodotti per evidenziare le diverse qualità, si posso usare anche uno o più marchi speciali. E’ molto diffusa questa pratica soprattutto tra produttori di automobili come la Volkswagen, la golf, polo e Passat. Troviamo il marchio collettivo nell’art. 2570 c.c che enuncia “ ai soggetti che svolgono la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi” di registrare il marchio collettivo “per concederne l’uso, secondo le norme dei rispettivi regolamenti , a produttori o commercianti”. A differenza del marchio individuale, il marchio collettivo è soggetto a un uso plurimo, abbiamo esempi rinomati; prosciutto di Parma, Pura lana vergine, Moscato di Pantelleria etc..etc. Abbiamo anche l0’art. 11 del codice industriale che si dedica al marchio collettivo, che successivamente all’art. 11 bis il marchio di certificazione che volto a garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi. Ed infine abbiamo anche l’art. 11 ter che introduce il marchio che ha una forte capacità distintiva e che sono definiti marchi di fantasia10. 10 G.F. Campobasso 1.4 Qualità del Marchio Per far si che avvenga una registrazione del marchio, bisogna avere una serie di caratteristiche di validità, in assenza dei quali è considerato nullo e perciò non sarà oggetto di registrazione, oppure se avviene la registrazione potrà essere dichiarato invalido portando una perdita della tutela precedentemente acquisita dalla registrazione avvenuta11. In conformità al Codice della Proprietà industriale, troviamo quattro requisiti che sono: la liceità, la verità, l’originalità e la novità. Per poter essere registrato un marchio deve essere Lecito. Nell’art. 14 del c.p.i il primo comma stabilisce che “non possono costituire oggetto di registrazione come marchio di impresa; I segni contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.; I segni sono idonei ad ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o dei servizi; I segni il cui uso costituirebbe violazione di un altrui diritto d’autore. Andiamo a vedere il primo punto, riguardo l’ordine pubblico ed il buon costume occorre fare riferimento alle leggi che si applicano in Italia. Riguardo il secondo punto viene esposto il secondo principio che è quello della verità, come ad esempio è stato ritenuto ingannevole il marchio New England per prodotti di abbigliamento italiano12. E infine il requisito dell’originalità, il marchio deve essere dotato di capacità distintiva e permettere quindi di distinguere quel prodotto rispetto altri presenti sul mercato. 11 P.P, op. cit., p.28 12 G.F. Campobasso Come tutti gli altri diritti di carattere patrimoniale, il marchio può essere attribuito dal titolare ad un altro soggetto e deve essere considerato come un vero e proprio bene autonomo. Con la riforma del 1922 la disciplina della circolazione dei marchi è stata profondamente trasformata, dal momento che quest’ultimo può essere trasferito indipendentemente dalla cessione dell’azienda. L’articolo 2573 c.c secondo comma, evince che quando il marchio è costituito da un segno figurativo, da una denominazione di fantasia o da un’altra derivata, si presume che il diritto all’uso di esso sia trasferito insieme con l’azienda. Abbiamo due tipi di contratti che permettono la circolazione del marchio: I contratti di trasferimento e i contratti di licenza, con entrambi i contratti il marchio può essere trasferito sia a titolo definito, tramite il trasferimento che temporaneo, tramite la licenza del marchio. Ai sensi dell’art. 23 c.p.i. e dell’articolo 2573 c.c. il contratto di trasferimento, permette al titolare del marchio il trasferimento della titolarità ad un altro soggetto a fronte del pagamento di un corrispettivo. Inoltre l’ articolo 23 stabilisce un principio fondamentale e la tutela dei consumatori, quindi la possibilità di far circolare il marchio, a seguito del trasferimento non deve sorgere alcun rischio di inganno per il pubblico. Il marchio inoltre può essere trasferito sia a titolo definito, tramite il trasferimento, che temporaneo e tramite la licenza di marchio consentendo di capitalizzare il valore commerciale dello stesso. Ai sensi dell’ art.23 c.p.i. e dell’articolo 2573 c.c consente al titolare del marchio il trasferimento della titolarità ad un altro soggetto a fronte del pagamento di un corrispettivo. Inoltre può essere anche trasferito una parte dei prodotti ovvero una cosiddetta parte parziale, anche se è controverso se ciò è possibile anche qualora si tratti di prodotti identici o affini che continua a produrre15. L’art. 23 stabilisce un principio fondamentale sulla tutela dei consumatori, poiché per far circolare liberamente il marchio, non deve ledere il principio fondamentale e non deve sorgere alcun rischio di inganno per il pubblico riguardo i caratteri fondamentali del prodotto. Qualora la legge stabilisce che ciò che avviene tramite pubblicità dichiarativa, esprime che i diversi episodi che riguardano il trasferimento del marchio , ma anche tutti i contratti citati, presso L’ UIBM ( ufficio italiano brevetti e marchi) devono essere resi pubblici. Ci troviamo di conseguenza al contratto di licenza, questo permette al titolare di un marchio di concedere temporaneamente l’uso del marchio stesso, mantenendo quindi la proprietà, a fronte di un corrispettivo in denaro. Può essere una licenza per la totalità o per una parte di prodotti , ma soprattutto la novità fondamentale è che la licenza può anche non essere esclusiva, per cui è consentito che lo stesso marchio possa essere contemporaneamente utilizzato dal titolare originario o da uno o più concessionari. Il licenziatario è obbligato ad usare il marchio per prodotti o servizi uguali a quelli corrispondenti emessi in commercio dal titolare o dagli altri licenziatari, con caratteristiche qualitative uguali. Un aspetto importante del contratto di licenza è quello del Franchising la legge n. 129/2004 ha introdotto la disciplina riguardante la fattispecie della affiliazione commerciale o comunemente nota come franchising, ovvero un contratto di collaborazione con cui il franchi sor o affiliante concede ad un franchisee o affiliato il diritto di servirsi di segni distintivi, 15 P. Marchetti, in riforma della legge marchi, Padova 1995. know-how, prodotti ed immagine , per svolgere la propria attività commerciale. Esistono tre tipi di franchising, il franchising del produttore, di distribuzione e quello di servizi. Nel franchising di produzione l’affiliante è un impresa industriale che produce i propri beni e li distribuisce attraverso le proprie reti di affiliati. Quello di distribuzione avviene ogni qualvolta il franchi sor funge da centrale di acquisti, selezionando e acquistando stock. Infine abbiamo il franchising di servizio il quale non distribuisce prodotti ma bensì servizi, che possono spaziare fra ristorazione , la mediazione creditizia e i servizi internet. Un ulteriore contratto è quello del merchandising, un contratto atipico con il quale il titolare di un marchio celebre concede ai terzi di utilizzare i marchi nell’ambito del settore diverso a quello nel quale ha assunto notorietà. Gode oggi di un ampio utilizzo, non era attuabile nel nostro ordinamento prima della riforma del 1992. Possono essere oggetto del contratto il brand merchandising 16, che hanno per oggetto la popolarità e riconoscibilità pubblica, le opere dell’ingegno, il character merchandising, oppure i caratteri di personalità il personalità merchandising. 1.7 Cancellazione del Marchio L’ipotesi in cui si può verificare l’estinzione del marchio sono la nullità , la decadenza del marchio e l’estinzione del marchio. Parlando di nullità, si verifica ogni volta che la registrazione del marchio era stata effettuata in assenza di una caratteristica essenziale e nelle ipotesi previste dall’art. 25 del c.p.i. il quale fornisce un elenco tassativo dei casi un cui il marchio è nullo, quindi si espongono una serie di ipotesi che sono le uniche in 16 V.E. Capuzzo voce merchandising l’italia rappresenta l’eccellenza, settori denominati come le 4 A, abbigliamento, arredamento, agroalimentari e automobili. Nasce il 12 Febbraio a Firenze nel 1951, quando Giorgini ebbe l’idea di inviare alcuni rappresentanti di grandi magazzini americani per far vedere alcuni esempi di moda umana, mostrando loro una grande sfilata di stilisti italiani. Questo grande evento risultò un gran successo, ed è così che la moda Italiana prese il sopravvento, che in quel periodo era sconosciuta, così ci fu il miracolo italiano, in quel periodo le industrie manifatturiere superarono il 6% del pil Nazionale. Nel tempo i prodotti italiani avevano guadagnato la fama anche all’estero con un grande vantaggio commerciale, proprio perché i prodotti italiani venivano riconosciuti proprio per la loro qualità, la cura nei dettagli, l’eleganza. L’Italia viene riconosciuta come leader, la sua unicità ha principalmente un’origine che è la cultura. Infatti dal punto di vista storico e artistico l’Italia è il paese con la più alta presenza di siti dell’umanità dell’UNESCO. Ad oggi il bello ha sempre influenzato il lavoro ed è proprio per questo che oggi tutto il mondo ce lo riconosce, per la nostra produzione industriale e artigianale. 2.2 Il quadro normativo internazionale delle merci Per un’analisi del piano normativo del made in italy dobbiamo fare una distinzione tra normativa internazionale, comunitaria e nazionale. L’italia sul piano internazionale ha aderito all’Accordo di Madrid 1981, dove sancisce l’obbligo di indicare con precisione da dove viene il prodotto e le caratteristiche del paese o della fabbricazione di produzione. Il DPR n. 656/1958, per tale obbligo, per il nostro ordinamento si è limitato ad introdurre solo il fermo amministrativo delle merci nel quale ci sia un sospetto o una falsa indicazione di provenienza. 2.2.1 Il codice doganale comunitario Nel 2016 il codice Doganale Comunitario è stato sostituito dal nuovo Codice dell’unione (CDU), tra tutti questi aggiornamenti, sono state introdotte delle modifiche alle norme delle merci che regolano l’origine e il valore, in particolare quel che riguarda la materia del made in italy, determinato origine non preferenziale. Ogni merce che viene prodotta nel mondo, ha la necessità di una individuazione della sua origine, che è molto importante per l’applicazione delle norme relative ai dazi. I dazi però sono solo una delle tante politiche commerciali, infatti si possono classificare in; dazi antidumping; dazi compensativi; restrizioni quantitative; predisposizioni delle statistiche commerciali e le misure di salvaguardia. Il nuovo codice prevede la nascita di norme relative al controllo del “made in”, il marchio del made in non ha una rilevanza a livello giudiziario ma è molto importante perché orienta i consumatori nella scelta dei prodotti; alcuni in alcuni contesti danno la sensazione o la sicurezza di maggiore qualità e controllo, per questo non è corretto e non legale collocare un marchio di origine falso. La provenienza di un prodotto no deve essere confusa con la sua origine, infatti quest’ultima è il luogo o paese in cui il prodotto viene fabbricato, la provenienza invece è il luogo da il quale il prodotto viene spedito e spesso le due cose non coincidono quindi per individuare il “made in” bisogna utilizzare alcuni criteri contenuti nel regolamento UE n.952/2013 che è entrato in vigore il 1° Maggio 201619. 2.2.2 Il marchio di origine La denominazione di origine, così come le indicazioni di provenienza, sono segni geografici che esprimono un legame tra il prodotto che contraddistinguono e il territorio del quale il prodotto proveniente, entrambi sono diritti di proprietà intellettuale disti e separati ma cumulabili. Sono espressamente tutelate dal nostro ordinamento, art. 29 C.P.I, sono protette le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine che identificano un paese, una regione o una località, queste vengo adottate per determinare un prodotto che ne è originario le cui qualità, reputazione o caratteristiche sono dovute esclusivamente o essenzialmente all’ambiente geografico d’origine, comprensivo dei fattori naturali, umani e di tradizione. 2.2.3 Denominazione di origine e indicazioni geografiche protette Il marchio di origine non va confuso con la denominazione di origine protetta DOP, con l’ IGP e con gli altri indicatori di provenienza, riconosciute come forme di tutela nell’ambito della proprietà industriale. In origine la tutela era organizzata a livello nazionale, da parte di diversi Paesi, di proteggere le proprie produzioni tipiche negli scambi internazionali, che portò alla negoziazione di convezioni che garantissero alle stesse una tutela reciproca fra gli stati aderenti. La convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale del 1884 include le denominazioni d’origine e le 19 https://eur-lex.europa.eu/ censurato ai sensi dell’allora art. 30, ore 28, del trattato CEE due provvedimenti normativi irlandesi, che imponevano per determinate categorie di prodotti, l’obbligo di indicare sugli stessi il paese d’origine ovvero il termine Foreign. Questi articoli erano articoli di gioielleria importati che avevano caratteristiche che facessero pensare che gli stessi fossero dei souvenir d’Irlanda ( ad esempio un personaggio irlandese, un paesaggio, un leviero, una tavola rotonda, un trifoglio. Quindi la corte ha affermato il seguente principio; La commissione rileva che per l’acquirente non è necessario sapere se un prodotto abbia o meno un’origine precisa a meno che non comporti una effettiva qualità, particolari materie prime di base o un determinato procedimento di fabbricazione. Nella causa n.207/83 commissione Regno Unito, con sentenza del 25 Aprile 1985, il quale art. 2 enuncia il divieto della vendita al dettaglio di quattro tipologie di prodotti, ovvero, tessuti di abbigliamento, elettrodomestici, calzature, coltellerie e posate, a meno che gli stessi non fossero marchiati o accompagnati da un’indicazione del paese d’origine. La corte quindi ha espresso le considerazioni, che non si può fare a meno di ammettere che le indicazioni o marchiatura d’origine mirano a consentire al consumatore di effettuare una distinzioni fra le merci nazionali e quelle importate e quindi danno loro la possibilità di fare valere gli eventuali pregiudizi contro i prodotti stranieri. In sintesi bisogna considerare che con il trattato un eventuale normativa nazionale di uno stato membro che imponga l’obbligo della marcatura di origine per le merci importate. Inoltre non c’è nulla che possa impedire l’apposizione volontaria del marchio di origine sia sulla produzione nazionali che sulle merce importate, come ad esempio il made in Italy o made in USA. 2.3 Situazione attuale del Made in Italy e nuove normative Nel 2003/2004 lo stato Italiano ha dato importanza penale alla distribuzione di merci con falsa indicazione di origine con una pena prevista di reclusione fino a 2 anni e un risarcimento fino a 20.000 euro. Sono ritenute penalmente punibili la falsa indicazione e la fallace indicazione. Si verifica la falsa indicazione, quando è collocato sul prodotto il marchio “made in Italy” senza che il prodotto abbia origine non preferenziale italiana. Mentre l’indicazione fallace è la stampa o il posizionamento di immagini che riconducono ad un determinato paese, e che inducono il consumatore a credere, su prodotti di origine diversa da quella segnalata dalle figure. Al contrario della falsa indicazione può suscitare qualche dubbio in campo di capire la regola. Quando l’origine estera è indicata risulta punibile solo se la fallace indicazione oscura fisicamente o simbolicamente l’etichetta che segnala l’origine. Nel caso in cui non sia indicato l’origine del prodotto sia quella indicata o raffigurata da segni o disegni sull’etichetta. Queste norme sono emanate a protezione del marchio “made in Italy” che rappresenta una garanzia di qualità e provenienza in tutto il mondo. L’applicazione del paese di origine non risulta obbligatoria nel caso in cui sull’etichetta venga esposto il nome e la sede dell’impresa produttrice e che importa la merce. 2.3.1 Il fermo in dogana del falso made in Italy, Accordo di Madrid Nel 1981, per via dell’intensificarsi dei rapporti commerciali internazionali si è sviluppata la necessità di tutelare i propri prodotti da comportamenti sleali da parte di terzi, è stato emesso quindi l’accordo di Madrid volto a disciplinare la registrazione dei marchi. Nel 1989 si è affiancato il protocollo di Madrid, che ha visto interagire un molteplice gruppo di stati che all’inizio per motivi economici non avevano partecipato, rifiutando l’adesione all’accordo. Sono stati istituiti importanti innovazioni, ovvero la possibilità per le organizzazioni intergovernative che hanno un proprio sistema regionale per i marchi per partecipare al sistema di registrazione internazionale. Questo è il caso dell’Unione Europea che ha partecipato al protocollo con Regolamento CE del consiglio n.1992/2003 del 27/10/2003. Il periodo di tempo in cui presentare rifiuti o obiezioni alla registrazione è di 18 mesi e non più di 12. Depositare il Marchio sulla base della semplice domanda di registrazione, in caso di annullamento del marchio internazionale entro 5 anni dalla registrazione, l’introduzione della lingua inglese come lingua ufficiale. L’articolo 14 del protocollo di Madrid ha istituito la volontà di un’organizzazione intergovernativa che ha reso operativa con regolamento n.1992/2003, l’adesione della comunità europea al protocollo di Madrid, al fine tale di facilitare ai richiedenti e ai consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine made in italy. Quindi brevemente non è possibile indicare un prodotto di origine Italiana, posizionare l’indicazione made in Italy dove l’attività o trasformazione non sia svolta in Italia o sia del tutto di nessuna importanza21. Inoltre la stessa legge ha previsto l’istituzione; il rafforzamento dell’attività di controllo nelle operazioni doganali; un fondo straordinario del made in italy con lo scopo di sostenere una campagna promozionale, ossia al supporto formativo alla diffusione; un unico sportello doganale nell’ufficio dell’agenzia doganale; valorizzare lo stile della produzione nazionale del commercio internazionale e della produzione italiana di qualità; un comitato anticontraffazione che è stato recepito dall’articolo 145 del codice della proprietà industriale, e infine un fondo per l’assistenza legale internazionale. 3.2 Gli strumenti di tutela nell’ordinamento Italiano Come abbiamo già detto in precedenza il made in italy è il brand più famoso al mondo, ma naturalmente possiamo e dobbiamo far riferimento alle legislazioni che lo tutelano. La legge si fa per evitare che situazioni dannose possano verificarsi o come in questo caso ripetersi. Ad esempio non esiste una legislazione simile che protegge il made in china. Anche se per differenziare possiamo dire che i due Made sono uguali per citazioni con accezione contraria. Troviamo il made in italy che per tutti è sinonimo di qualità, e dall’altro lato il made in china, che spesso viene utilizzato per etichettare in modo negativo un prodotto di bassa qualità o addirittura la copia di un originale. 21 La camera dei deputati, ha approvato una proposta di legge in data 30/05/2005, prevedeva l’adozione del marchio 100% Italia Iniziamo a vedere la normativa che tutela le produzioni made in italy. È molto importante fare chiarezza su alcune espressioni, cominciamo da origine e provenienza; l’origine di un prodotto non è altro che l’indicazione di un luogo in cui la materia prima è nata, è stata allevata, coltivata o pescata. Invece si intende diversamente per la provenienza che indica l’ultimo stabilimento nel quale il prodotto è stato manipolato e stoccato. Un esempio molto pratico, la carne bovina Irlandese ha provenienza Olandese se il Bovino è nato in Irlanda mentre la macellazione è avvenuta in Olanda. Le merci che sono importate dai paesi esteri si dividono in merci di origine doganale preferenziale e merci di origine doganale non preferenziale. Riguardo il primo si riferisce al prodotto che soddisfano precisi requisiti, importati da alcuni paesi e consiste nella concessione di benefici ovvero a una riduzione di dazi o le esenzioni. Alla base di tutto ciò c’è un accordo siglato dall’ Unione Europea con i vari paesi esteri cosiddetti Paesi associati attraverso il quale per lo scambio di determinati prodotti riconosciuti come originari di uno dei paesi contraenti viene riservato un trattamento preferenziale. L’origine preferenziale a differenza dell’origine non preferenziale comporta al riconoscimento di un trattato tarrifario agevolato da parte della comunità europea in relazione alle merci che sono o possono essere considerate originarie in alcuni paesi o aree geografiche22. Anche per quanto riguarda l’origine preferenziale sono previsti criteri di massima per individuerei prodotti interamente ottenuti in un Paese beneficiario e qualora alla produzione delle merci abbiano concorso più Paesi la normativa vigente prevede disposizioni specifiche che sostituiscono la regola dell’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale prevista per l’attribuzione dell’origine non preferenziale con una regola meno rigorosa. 22 La comunità europea stabilisce unilateralmente le regole per la concessione dell’origine preferenziale. L’origine non preferenziale determina la provenienza geografica dei prodotti alla quale in genere non è legata un’agevolazione tariffaria da parte della comunità Europea. 3.2.1 La Tutela tramite registrazione Brevetto Marchio chiamato così fino alla riforma del 1992, La registrazione non è altro che l’atto che conferisce al beneficiario il diritto esclusivo del marchio. La registrazione, rilasciata dall’ufficio Italiano brevetti e marchi, si ottiene tramite una difficile procedura che ha inizio con il deposito della domanda. La domanda di registrazione23 può essere depositata presso l’ufficio italiano brevetti marchi oppure presso le camere di commercio ai sensi dell’art. 18 comma 1, c.p.i chiunque ne abbia diritto ai sensi del presente codice può presentare una domanda di registrazione del marchio che spetta a una persona diversa da chi abbia depositato la domanda, tal persona può se ha la registrazione non sia stata ancora effettuata ed entro 3 mesi dal passaggio in giudicato della sentenza a sua scelta24. - assumere a proprio nome la domanda di registrazione rivestendo a tutti gli effetti la qualità del richiedente. - versare una nuova domanda di registrazione la cui data a partire dalla quale ha effetto nei limiti in cui il marchio contenuto in essa sia fondamentale, identico a quello della prima domanda. - ottenere il rigetto secondo quanto enuncia il terzo comma dell’articolo 25, se la registrazione sia stata effettuata a nome di persona diversa dell’avente diritto, questi possono a sua scelta; 23 G.B. Verbari procedimenti amministrativi in materia di modelli e marchi, Giuffrè Milano, 1969 24 Art. 18 comma II 2010 che con i suoi 130 articoli ha apportato incisive modifiche al codice della proprietà industriale, con l’obiettivo di rafforzare la competitività del made in Italy. In particolar modo il decreto ha introdotto all’interno dell’art. 128 c.p.i. la possibilità di esperire l’accertamento tecnico preventivo ai fini della composizione della lite, già disciplinato in via generale dall’art. 696 bis c.p.c in vigore dal 2006 e nell’art.120 c.p.i. ha aggiunto un comma 6 bis che offre la possibilità al ricorrente di richiedere l’accertamento tecnico preventivo ai fini della contraffazione anche in via cautelare. Quest’ultima figura era già nota nella prassi in quanto concessa ex art. 700 c.p.c. ex multis in materia di brevetti. 3.2.5 La tutela penale Come possiamo vedere vi sono anche delle sanzioni penali previste sia dal codice della proprietà industriale che dal codice penale. Riguardo le norme del codice penale sono gli articoli 473 e 474 contro la fede pubblica e gli articoli 514 e 517 contro i delitti dell’economia pubblica, l’industria e il commercio. L’art. 473 c.p. sancisce che viene punito con reclusione fino i 3 anni con una multa di euro 2.500 a 25.000, chiunque contraffa o altera i marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di questi marchi o segni contraffatti. L’articolo 474 c.p. punisce con reclusione fino a 4 anni e con una multa di 3.500 a 5000 chiunque introduce nel territorio dello stato, al fine di trarre profitto, prodotti industriali o chi mette in circolazione opere dell’ingegno con il fine di ingannare colui che li acquista riguardo la provenienza, la qualità e l’origine dell’opera o del prodotto. La cassazione Penale del 4 Febbraio 2013 n. 9389 la suprema corte precisa che la ratio è quella di punire anche chi mette in vendita a titolo gratuito imitazioni, ed è sufficiente un’imitazione limpida del marchio che necessariamente viene registrata perché risulta idonea a portare in inganno l’acquirente. 3.3. Dop e Igp Per poter rispondere alla necessità di tutelare la provenienza dei prodotti l’unione europea ha introdotto tramite diversi regolamenti delle discipline per poterli differenziare, quindi abbiamo il marchio Dop e l’ Igp ,denominazione di Origine protetta e indicazioni geografiche protette, tramite i quali l’unione europea si impegna costantemente a mantenere una maggiore tracciabilità e sicurezza sui prodotti stessi. Andiamo a vedere come si differenziano tra di loro, i prodotti DOP di caratterizzano per il fatto di essere frutto principalmente di fattori umani e naturali, che vengono interamente prodotti in delle zone geografiche delimitate; i prodotti IGP invece sono originari di un determinato luogo che si rende riconoscibile grazie alla reputazione o alla qualità e si richiede che almeno una delle fasi della produzione di tale prodotto sia svolta nella zona geografica delimitata, per cui l’IGP sono meno rigidi i requisiti perché l’intero processo produttivo non è necessario che vi è compreso25. Una DOP o IGP registrata sarà introdotta sulla registrazione del marchio successivamente. Qualora invece il marchio fosse registrato prima essa dovrà coesistere con la successiva DOP/IGP a meno che il marchio non sia un marchio celebre ed in quel caso potrà prevalere sulla DOP o IGP. Dop e Igp in breve parole non fanno parte dei diritti di proprietà intellettuale ma si tratta invece di strumenti in cui il loro scopo è quello di raggiungere altri tipi di obbiettivi tra cui 25 M.Mazzonetto, Marchio e indicazioni geografiche ad esempio la salvaguardia delle tradizioni produttive locali o la tutela degli interessi del consumatore. 3.4 Il fake “Parmesan” Parliamo dell’Italia Sounding, quando nel periodo di Natale il consorzio ha provveduto nell’intervento contro il Parmesan. Ovvero eliminare un prodotto illegale dagli scaffali, nel quale non conteneva effettivamente Parmigiano Reggiano ma un mix di anacardi, lievito, sale dell’Himalaya, aglio e olio di tartufo. Alle molteplici richieste da parte del consorzio dell’azienda in seguito ha eliminato qualsiasi elemento che riportava alla DOP. Veniva riportata sul barattolo un’etichetta nera con su scritto Grated Italian style Parmesans, il luogo indicato di provenienza sul dietro del barattolo è risultato un sospetto in quanto l’area d’origine veniva da molto lontano, prevista dalla legge DOP, hand made London, fatto a mano a Londra. Sono stati questi due elementi molto importanti che ha fatto si che il consorzio prendesse dei provvedimenti per individuare l’ennesimo caso di violazione e di intervenire per ritirare il prodotto, l’azienda inglese dopo questo intervento ha subito sostituto il nome del prodotto eliminando qualsiasi facente riferimento alla DOP. Il produttore che ha usato questo termine, ovvero una variante del termine Parmesan per creare appunto un gioco di parole Parmesans, ovvero senza Parmigiano. Questo ha creato grande confusione al consumatore. La corte della Giustizia Europea ha stabilito nel 2008 che il formaggio Parmigiano Reggiano Dop può essere solo alienato all’interno dell’UE. Però purtroppo le leggi che proteggono il Parmigiano Reggiano all’interno dell’ Unione Europea non hanno la stessa valenza in tutti i Paesi del mondo che molto spesso viene scambiato dal consumatore per l’autentico prodotto Dop. pratica deve ancora essere testata dalle imprese per poter essere giudicata oggettivamente. Per contraddistinguere i prodotti sul mercato bisogna far uso del logo, con il fine di attrarre il consumatore e la possibilità di far accedere al fondo di garanzia per le PMI ossia le piccole medie imprese, qualora volessero valorizzare il loro marchio con dei progetti e infine la possibilità di essere iscritte al registro dei marchi storici per usufruire del fondo per la tutela dei marchi storici per intervenire nei casi di cessazione della attività o chiusura del sito produttivo, con conseguenza di un licenziamento collettivo. Dobbiamo però ricordare che come sempre insieme a questi vantaggi ci troviamo sempre difronte a degli svantaggi che possono portare a frenare l’iscrizione al registro dei marchi storici avente una serie di obblighi . L’obbligo per il titolare o del licenziatario di informare il MISE qualora ci fosse una possibile cessione o chiusura, di comunicare tramite una relazione i motivi che hanno portato a non accogliere le proposte di acquisto ed infine la possibilità di incorrere a delle sanzioni amministrative pecuniarie dai 5.000.00 ai 50.000.00 qualora il titolare d’impresa o il licenziatario violassero gli obblighi informativi. Perciò al momento non è possibile affermare se ci troviamo di fronte a un vantaggio nell’usufruire di un logo se si parla di termini di aumento e di funzione attrattiva, infatti sembrerebbero pesare più sugli obblighi richiesti del marchio storico. Quindi facendo un’ultima analisi il bilancio tra vantaggi e svantaggi dipende solamente della situazione economica di ogni singola impresa. CONCLUS IONI In conclusione la definizione del marchio storico nazionale di interesse non è altro che un altro tassello per tutelare l’ampio sistema della proprietà industriale che insieme al restante delle norme hanno il compito di proteggere l’immenso patrimonio di creazioni e prodotti del nostro Paese. E ho cercato di dimostrare l’importanza del Made in Italy e di preservare con ogni mezzo il valore di questo Brand, il nostro famoso Made in Italy, e di definire come la legge sia sempre stata attiva a fare ciò, garantendo un sistema di tutela che opera a 360°. A questo punto sta alle imprese ed al singolo il compito di prendere coscienza delle proprie potenzialità e di sfruttare al meglio gli strumenti di legge per proteggere quel surplus che ci caratterizza. BIOGRAFIA  A. Fittante, Brand Industrial e Made in Italy, Milano 2017  A. Sirotti, Manuale pratico dei marchi e brevetti, Roma 2019  A. Vanzetti,Manuale di diritto Industriale, Milano 2005  Gian Franco Campobasso, diritto commerciale  G. Mugnani decadenza e nullità del marchio, 2019  M. Mazznetto, marchio e indicazione geografiche SITOGRAFIA  https://eur-lex.europa.eu/  https://leg16.camera.it/522? tema=92&Made+in+Italy+e+lotta+alla+contraffazione  https://www.ilsole24ore.com/art/tutti-marchi-food-italiano- diventati-stranieri-pernigotti-ACSEMSI  https://www.diritto.it/marchio-definizione-e-caratteristiche/  https://www.parmigianoreggiano.com/it/news/stop-al-fake- parmesan-a-genova-bloccate-bloccate-7500-confezioni- contenente-prodotto-contratto-in-d/  https://www.tutelamarchio.com/marchio-collettivo-e-marchio- di-certificazione-conversione/
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