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La Uber-Marionette e le sue ombre, l'altro attore di Edward Gordon Craig, Appunti di Scenografia

Riassunto del libro "La Uber-Marionette e le sue ombre" per l'esame di teoria e storia della scenografia con il prof. Franco Perrelli.

Tipologia: Appunti

2018/2019
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Caricato il 20/10/2019

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Scarica La Uber-Marionette e le sue ombre, l'altro attore di Edward Gordon Craig e più Appunti in PDF di Scenografia solo su Docsity! TEORIA E STORIA DELLA SCENOGRAFIA (PROF. PERRELLI) RIASSUNTO LA UBER-MARIONETTE E LE SUE OMBRE, L’ALTRO ATTORE DI EDWARD GORDON CRAIG Capitolo 1. Maschere teoriche Considerando l’opinione negativa di Edward Gordon Craig sull’attore, il suo pensiero riguardo alla Commedia dell’Arte può sembrare sorprendente. Egli dimostra inoltre un’attenzione particolare verso il fenomeno rinascimentale, soprattutto nei saggi pubblicati nella sua rivista nominata “The Mask”, pubblicata in lingua inglese con una periodicità variabile dal 1908 al 1929. Craig scrive gran parte degli articoli e assieme alla sua portavoce e collaboratrice Dorothy Nevile Lees, seleziona i contributi e traduce le fonti che vengono riprodotte. In un certo senso “The Mask” riporta le riflessioni e le provocazioni di Craig, tanto che i suoi testi più celebri sull’attore, come The Actor and the Uber-Marionette e The Artist of the Theatre of the Future, esordiscono nei primi numeri della rivista. Spesso Craig scrive articoli sotto lo pseudonimo di John Semar o John Balance, i quali sono i suoi alter ego, in altri casi invece interviene Dorothy Nevile Lees, senza discostarsi dal pensiero di Craig. Questa rivista aveva lo scopo di diffondere le sue idee, mettendo in atto anche una strategia di depistaggio (alter ego) che, a seconda dei casi, serve a nascondere argomenti di grande peso teorico sotto falso nome discutendo argomenti differenti, oppure vuole creare l’impressione che i pensieri espressi siano ampiamente condivisi, come accade quando uno dei suoi alter ego elogia o difende quanto detto da un altro dei suoi doppi. Si sostiene inoltre, che chi contribuisce alla rivista è ben selezionato, in modo che le opinioni espresse siano in linea con il pensiero di Craig. Ad alcuni storici hanno affidato interventi mirati a spiegare le caratteristiche di alcune forme teatrali meno frequentate, come il teatro giapponese, il teatro classico indiano, o la Commedia dell’Arte. I saggi e i materiali all’interno della rivista, quindi, sono di vario tipo. Sono pubblicati testi di comici tradotti dall’italiano o dal francese, alcuni canovacci e pagine scelte da trattati. Oltre a questo, si trovano anche saggi storici e di autori contemporanei, oltre a schede biografiche di comici compilate da Craig e Dorothy. Oltre a tutto questo materiale ci sono alcuni saggi teorico- critici con la firma o di Craig o dei suoi alter ego. Sicuramente un importante motivo del notevole numero di pagine dedicate alla Commedia dell’Arte in “The Mask” sta nell’atteggiamento di Craig nei confronti della storia del teatro. Un chiaro segno che secondo lui la Commedia dell’Arte abbia un ruolo più significativo e positivo di altre realtà all’interno del teatro occidentale è rintracciabile nei toni nostalgici con cui i comici e la loro pratica sono ritrattati negli articoli “storici” inseriti in questi fascicoli. Gli elogi e le rievocazioni nostalgiche delle diverse maschere approvate da Craig, qualora non le avesse scritte lui, permane questo tono elogiativo e positivo nella rivista. Eppure, ai comici dell’Improvvisa mancano due caratteristiche fondamentali che Craig attribuisce al suo interprete ideale, cioè l’immunità dall’egocentrismo e il legame con la sfera metafisica. Il Goldoni ritratto nella rivista ad esempio, è un uomo di lettere, che ama il teatro ma non ne apprezza la teatralità, quanto la testualità. Il paragone che fa con Molière, che Craig tratteggia non come drammaturgo ma come attore che scrive solo a posteriori i testi che recita, vede l’autore in netta contrapposizione, tanto che Craig elimina l’appellativo che gli è stato attribuito, ossia il “Molière italiano”; Goldoni invece, è sì il creatore della drammaturgia comica italiana, però è dichiaratamente un letterato. Sembra quindi emergere un’ipotesi diversa sul motivo fondamentale che sta alla base della celebrazione craighiana della Commedia dell’Arte, legato più che alla teoria sull’attore, alla sua concezione del teatro quale arte autonoma. Uno dei pensieri fondamentali di Craig è che il teatro deve emanciparsi dalla dipendenza delle altre discipline, in primo luogo dalla letteratura. Nella sua concezione infatti, il teatro non deve usare le altre arti ma solo le materie prime, come la parola, il colore, il suono e così via. Quindi questa attenzione che Craig dedica all’Improvvisa va oltre lo studio storico, infatti il suo intento è quello di provare che un’arte scenica autonoma non solo è possibile, ma trova un’esemplificazione nella forma occidentale di maggior successo che si possa ricordare. Però per quanto possa essere un esempio, la Commedia dell’Arte non è un modello da imitare per Craig: primo perché ritiene fondamentale conoscere la storia del teatro, in modo da superarli pur mostrando rispetto per quanto hanno ottenuto; secondo, alla Commedia dell’Arte manca una visione unitaria in cui tutti i coefficienti, incluso l’attore, si sottomettano alla volontà del regista. Quindi non gli interessa la tecnica specifica dei comici, a cui infatti la rivista non dedica molto spazio. Vi è però il riassunto delle istruzioni di Luigi Riccoboni agli attori tratte da Dell’arte rappresentativa ad opera di Dorothy, con lo pseudonimo Pierre Ramés; si tratta però di un’opera il cui tipo di recitazione a cui l’attore si riferisce non è affatto quella tradizionale dei comici dell’arte e interessa a Craig più per la parte sullo studio e sulla lingua e sulla paziente preparazione dell’attore drammatico. Questi sono elementi molto cari a Craig, che si ritroveranno poi nel 1930 nella descrizione alla tecnica di Henry Irving, anche se si riferisce ad un tipo di interprete totalmente diverso. Nella concezione di Craig, lo spirito indipendente e travolgente della Commedia dell’Arte, la sua creatività e la sua teatralità sono caratteristiche essenziali di qualsiasi espressione scenica si voglia definire artistica. Questo pensiero sembra essere confermato dalla scelta di pubblicare un estratto da Dell’arte rappresentativa premeditata e all’improvviso di Andrea Perrucci. Craig seleziona alcuni brani del XIV capitolo dedicata alla commedia all’improvviso. Questa scelta desta interesse per due motivi: per il fatto che dello scritto non viene riportata una sezione dedicata alla tecnica recitativa, ma piuttosto la parte intitolata Del modo di rappresentare il soggetto, selezionandone le parti relative al ruolo del corago e alla concertazione dello spettacolo; inoltre viene scelto un testo in cui il ruolo del concertatore è concepito in senso “registico” di quanto siano soliti attenderci nella pratica della Commedia dell’Arte, a tal punto che a lui spettano anche compiti che sembrano contrastare in parte con la pratica dell’improvvisazione. La celebrazione della Commedia dell’Arte, attraverso gli articoli della rivista, sembra così una maschera che il teorico adotta per ribadire la sua concezione dell’arte teatrale. Non sorprende che quindi venga impiegata per riaffermare l’importanza dell’autonomia della scena e della pratica registica, ma anche per ribadire un altro principio estetico craighiano, ossia l’antirealismo. È anche noto che l’inartisticità del realismo è un altro grande tema dei saggi craighiani, che va di pari passo con l’attacco al teatro imitativo, sia che si parli di recitazione sia che si parli della globalità dell’allestimento. Anche se in questo caso l’ha scritto Dorothy, il suo pensiero è in linea con quello di Craig. È importante però mettere in considerazione un elemento: si è segnalato che Craig non presta attenzione alla tecnica dell’improvvisazione; questo non toglie però che la usi per ribadire un concetto fondamentale per la sua teoria dell’attore e come stimolo per quest’ ultimo a intraprendere il percorso che lo potrà condurre a diventare un artista, categoria alla quale, secondo il teorico, l’attore deve percorrere un cammino di ricerca per imparare a creare. Attraverso questa tecnica quindi, il comico dell’arte aveva già raggiunto lo stadio conclusivo del processo che l’attore contemporaneo deve ancora iniziare. evidenziata attraverso gli arredi della sua camera. In una stanza povera, i pochi oggetti che lei possiede sono rivelatori della personalità della donna: uno specchio, piumini per la cipria, un rossetto, una copia di “Vogue”, a riflettere la sua unica preoccupazione, l’aspetto fisico. Qualsiasi connotazione spirituale o intellettuale è estranea a Juliet (“uno scaffale senza libri”). Però a volte gli oggetti di scena forniscono commenti più “attivi” all’interno dello spettacolo, trasformandosi in esseri animati e andando oltre la loro funzione rafforzando la tensione fra testualità classica e quella usata nel teatro di figura. I fiori in particolare, punteggiano periodicamente le parole e le azioni di Romeo e Juliet, come ad esempio, nel dialogo di apertura, i quali chiosano le parole di Juliet, sottolineando in maniera grottesca l’atteggiamento tiepido, insensibile e superficiale di fronte all’amore di Romeo. Anche il suono ha un ruolo molto importante nello spettacolo: la sua funzione è di rinforzare i commenti verbali e non verbali all’interno del dramma, come nella seconda scena, in cui un cane e i fiori reagiscono eloquentemente alle parole di Romeo e Juliet. Il suono e alcune soluzioni spettacolari sono usati anche in maniera ironicamente melodrammatica per rafforzare o creare una specifica atmosfera, come nella terza scena, dove mentre Romeo dichiara ancora una volta il suo amore a Juliet, scoppia una tempesta con tuoni e fulmini. Per quanto riguarda invece la categoria estetica del grottesco, è un punto di riferimento necessario per diverse ragioni. Non solo si tratta di un elemento caratteristico dei drammi shakespeariani, ma trova la sua giustificazione anche nell’uso delle marionette, che nel primo Novecento vengono concepite come interpreti grottesche, soprattutto dagli artisti teatrali tedeschi e queste allusioni alle teorie di origine germanica, potrebbe essere uno dei motivi per cui Shakespeare parla in pseudo-tedesco nello spettacolo. La scelta di includere le streghe all’interno dello spettacolo e attribuire loro la responsabilità di aver riscritto la tragedia originale, accentua la qualità grottesca della pièce, effetto attribuibile anche agli altri personaggi minori, cioè Shakespeare, Bacon e Reinhardt. Il ruolo di Shakespeare in questo caso, funge da osservatore e da voce critica, anche se i suoi tratti comici lo avvicinano più al tipo di fool che subisce le angherie degli altri personaggi piuttosto che alla tipologia cinica. Bacon invece contribuisce in maniera minore a riguardo, dato che la sua presenza nel dramma serve solo ad alludere la sua teoria secondo la quale, Shakespeare sarebbe stato Sir Francis Bacon. La qualità grottesca di Reinhardt è più consistente e molto legata all’atteggiamento personale del teorico inglese nei confronti del modello a cui il personaggio si ispira. Se i personaggi minori presentano caratteristiche grottesche, ciò accade in misura anche maggiore nel caso dei protagonisti. Nei dialoghi tra Romeo e Juliet, il giovane funziona da “spalla” comica dell’amata. La qualità grottesca della loro relazione viene rafforzata dai tratti individuali dei due protagonisti. Juliet in quanto marionetta, è incarnata in un tipo di figura concettualmente nobile. Nonostante ciò, la sua natura è contraddetta sia dal corpo incompleto, che nutre vampirizzando il fidanzato durante il dramma, ma anche dalla superficialità delle sue battute. Mentre gli elementi naturali sembrano annunciare una tragedia, Romeo cerca di conquistare Juliet, rinunciando alle tradizionali dichiarazioni amorose e raccontandole della medaglia ottenuta, in modo poco shakespeariano. L’inutile tentativo di tornare alla tradizione, è sottolineato dalla controscena di Shakespeare: infatti dopo essere svenuto durante la conversazione, “reagisce” alle parole tradizionali di Romeo iniziando a riprendersi, per poi perdere di nuovo i sensi di fronte alla reazione “moderna” di Juliet. E quando Romeo muore, la sua figura mutila rispecchia quella iniziale di Juliet e il decadimento che egli ha subito rivela la sua portata nel momento in cui, dopo la morte, la donna gli apre il petto ed estrae il cuore. A questo punto si svela che il processo di degenerazione ha condotto Romeo a rinnegare la propria natura di innamorato che muore per l’amata: il nome inciso sul cuore è infatti Rosaline. Se per Juliet è segno di inaffidabilità, in realtà è il marchio della sconfitta: dopo che la passione utopica di Romeo è andata in frantumi, egli muore in modo poco tradizionale, cercando rifugio nel ricordo del primo amore. 2. L’incantesimo Blue Sky, pubblicato nel 1921 in “The English Review”, è incentrato sul tentativo di due mascalzoni, Sly-Boots e Muggins, di rubare il segreto per fare il cielo blu al mago Looney e sugli stratagemmi che lui e il suo assistente, Blind Boy adottano per impedirlo. La pièce si apre con Sly-Boots e Muggins, che spiano da una finestra il salotto della casa del mago e progettano una truffa ai suoi danni. Dopo che i due si sono dati appuntamento alla pompa dell’acqua del villaggio, Muggins se ne va e Sly-Boots, vedendo il mago in casa, decide di entrare. Cerca di farsi rivelare il segreto per fare il cielo blu. Looney acconsente e inizia a spiegare la procedura, ma ad un certo punto Sly-Boots fa finta di non essere interessato alla cosa e sta per uscire dalla casa, quando arriva Blind Boy, il ragazzo cieco. Dopo uno scambio di battute con quest’ultimo, Sly-Boots se ne va rubando una polvere magica. Il mago e il suo assistente intanto, si mettono a fare il cielo blu, senza curarsi di lui. La scena si chiude con il Basilisco (Cockatrice) che entra nella casa. La seconda scena si svolge alla pompa per l’acqua del villaggio, dove si incontrano Muggins e Sly- Boots. Quest’ultimo dice all’amico che ha ottenuto quello che voleva e prova la polvere; la inghiotte e inizia ad avere le allucinazioni. La scena poi si sposta di nuovo davanti alla casa del mago dove Muggins, convinto che Sly-Boots abbia avuto successo, dice al mago che vuole comprare il composto per fare il cielo blu. Il mago gli dice però che l’amico ha sbagliato sostanza e, che avendola inghiottita, rischia la vita. Quando Muggins lo minaccia di chiamare la polizia, il mago lo convince a desistere offrendogli un’altra polvere magica. Dopo che Muggins è uscito di casa però, il mago gli rivela di avergli dato l’antidoto per il suo amico; Muggins quindi reagisce cercando di rivoltare il villaggio contro di lui, ma Looney e Blind Boy iniziano a suonare l’Ouverture del Flauto Magico, ammaliando la folla. La pièce si conclude con un breve epilogo pronunciato da una marionetta. Il primo elemento che si può notare all’inizio dello spettacolo è il sottotitolo della farsa, dove c’è scritto: ”Un interludio dal Drama for Fools di Tom Fool. A cura di Gordon Craig”. Una nota a piè di pagina poi, spiega che l’autore del dramma, Tom Fool, è morto l’anno precedente, avendo scritto quasi per intero il corpus dei drammi per marionette previsto. La farsa comincia subito sotto l’egida del gioco di specchi. Tom Fool è l’alter ego di Craig e lui si diverte a confondere il lettore, annunciandone la morte. L’intricato gioco craighiano continua all’interno dell’elenco dei personaggi. I nomi rinviano chiaramente alle personalità o alle caratteristiche principali delle figure a cui si riferiscono, come ci si attende da un dramma per marionette, ma allo stesso tempo porta a una serie di significati: - Looney, o l’Idiota Magico - Don Johnny Bernard Bull, alias Sly-Boots (furbastro) - Don Taffy Muggins, alias Swagsman (scippatore) - The Cockatrice (Basilisco) - The Blind Boy (il ragazzo cieco) Il Basilisco è inserito in Blue Sky in maniera slegata alla trama; si tratta di una figura ricorrente nel drama for Fools, con la quale si allude al teatro giapponese, come spiega Craig con tono ironico. In questo contesto sono importanti le due coppie di personaggi principali, cioè Looney e Blind Boy e Sly-Boots e Muggins. Il nome del mago, Looney, rinvia ad una costellazione di follia e idiozia che richiama il nome dell’autore fittizio, cioè Tom Fool, dove Fool non significa “sciocco”, ma rimanda al buffone di corte del dramma elisabettiano e giacominiano che sotto la maschera della follia poteva permettersi di dare voce e verità scomode altrimenti impronunciabili. Looney, l’alter ego di Tom Fool, esprime concetti pieni di significato mascherandoli sotto le sembianze di un discorso senza senso. Il suo assistente, Blind Boy, è completamente cieco, ma non si tratta di una semplice cecità, ma è quella condizione che tradizionalmente rinvia alla capacità visionaria del veggente. La coppia che tenta il furto ai danni di Looney, porta dei nomi altrettanto significanti: da una parte Don Johnny Bernard Bull è un riferimento a John Bull, (tipico borghese britannico, pragmatico e poco raffinato), ma ad un secondo sguardo l’allusione potrebbe essere riferita a George Bernard Shaw, tramite il titolo di alcuni suoi testi, come John Bull’s Other Island; il personaggio di Blue Sky è un George Bernard Shaw versione grottesca, estremamente materialistico e con intenzioni poco pulite. Il suo amico Don Taffy Muggins invece è il suo compare. Le implicazioni permeano tutta la vicenda e assumono un significato che può fungere da chiave metodologica per la lettura dei testi teorici craighiani. In questo caso, bisogna prendere alcuni passi del testo. Nella farsa Looney è un mago i cui incantesimi si realizzano attraverso un processo che si potrebbe definire alchemico, messo in atto mediante un articolato rituale. Il procedimento è una metafora al procedimento di creazione teatrale. La scelta del cielo blu come effetto (luministico, scenografico), rimanda a una creazione dell’opera d’arte teatrale secondo Craig. Quello che Looney sta facendo è insegnare a creare un’opera teatrale al truffatore, apparentemente interessato a imparare. Ma il mago non è un ingenuo e prende le dovute precauzioni, perché la sua magia non è per tutti. Per cui porta Sly-Boots in un processo che diventa sempre più bizzarro, a mano a mano che le istruzioni procedono. Nella farsa il rapporto tra apprendista e maestro diventa esoterico: per accedere alla magia bisogna essere degli eletti. Solo un sincero adepto può comprendere il significato delle parole del mago e quindi procedere lungo la strada da lui tracciata. Non è un caso quindi che l’assistente del mago sia Blind Boy, il cui difetto fisico cela una profonda capacità di percezione. Blind Boy e il mago fanno affermazioni incomprensibili per Sly-Boots, perché utilizzano un linguaggio cifrato che per lui non è accessibile, evitando in maniera palese di chiarire la meccanica materiale utile a creare il cielo blu. Il testo rivela che le tattiche di sviamento fanno parte delle dichiarazioni di Craig, soprattutto quando sembra fare affermazioni eclatanti e quando confonde le acque, quindi bisogna stare attenti perché è probabile che Craig stia depistando. Questo è rilevante soprattutto per l’interpretazione dei suoi scritti, come la Uber-Marionette. In Blue Sky, similmente a quanto accade con Romeo and Juliet, contiene numerosi riferimenti meta teatrali, incontrano per la prima volta quando l’attrice chiederà a Craig di collaborare come scenografo a una produzione del Rosmersholm ibseniano. Questo incontro avvenuto due mesi prima dello spettacolo è conosciuto grazie all’autobiografia di Isadora Duncan, che fornisce diverse informazioni a riguardo. Secondo il suo racconto, Craig convince la Duse ad adattarsi alle sue idee, determinando così lo stile dell’allestimento pur non essendone il regista. Una volta visti i risultati, la Duse ne rimane entusiasta, a tal punto da dichiarare l’intenzione di dedicare il resto della carriera a “far conoscere al mondo la sua opera”. Questo rapporto tra i due però durò poco; pochi mesi dopo infatti la scenografia creata da Craig fu mutilata dai tecnici durante la tournée. Quando Craig raggiunge la Duse a Nizza vede il danno arrecato al suo lavoro e, nonostante la Duse fosse dalla sua parte licenziando addirittura i tecnici, il rapporto tra i due si concluse. Qualche anno dopo, nel 1907, Craig lascia una lettera al Washington Post dedicata ad Eleonora Duse, dove non si sofferma sull’incidente, piuttosto la esorta a diventare la forza propulsiva di quella che si potrebbe definire una rivoluzione nell’arte del teatro. Nella lettura craighiana dell’affermazione dell’attrice (tutti gli attori e le attrici devono morire di peste), la morte dell’intera professione consentirebbe a una diversa tipologia di interprete di emergere, cioè individui dotati di “spirito”, dediti all’arte e privi di egocentrismo. Queste sono caratteristiche significative, perché connotano anche la Uber-Marionette. È interessante anche il tipo di morte che secondo lui gli attori devono affrontare e che esorta la Duse ad abbracciare. La soluzione non consiste secondo lui nel semplice sterminio dell’attore, più che altro somiglia al processo del bruco che si trasforma in una farfalla. L’attrice quindi dovrebbe uccidere quotidianamente il suo vecchio io, in modo da poter rinascere al medesimo tempo come artista. Tre mesi dopo, nel saggio sotto forma di lettera alla Duse pubblicato in “The Mask”, Craig rispiega il suo invito, anche se in toni meno adulatori. La morte che il teorico invitava alla Duse ad abbracciare nel 1907, si chiarisce qui: l’artista dovrebbe “uccidere”, eliminare qualsiasi componente accidentale, ogni traccia di debolezza umana, qualsiasi elemento distragga o sminuisca l’ideale per raggiungere la perfezione, che dovrebbe essere il solo obbiettivo. L’intenzione di Craig quindi non è di criticare la Duse, ma semplicemente di spingerla ad evolversi. Benchè non sia ancora un’artista nei termini in cui la intende Craig, ha il potenziale per poterla diventare. Capitolo 4. L’incidente divino 1. Arte e biografia Isadora Duncan e Craig intrecciano una relazione che dura alcuni anni, a partire, secondo le annotazioni di Craig, dal 1904. Il loro rapporto privato condiziona i contenuti delle pagine, che vicendevolmente si dedicano nelle memorie e nell’epistolario (quest’ultimo costituito praticamente solo dalle lettere di Isadora). Se in più occasioni egli allude ad uno statuto elevato della danzatrice, non le riserva mai un saggio intero, come ha fatto ad esempio con Eleonora Duse, tantomeno una biografia come ha fatto con Irving. A lei dedica solo un intervento radiofonico trasmesso dalla BBC negli anni Cinquanta e qualche annotazione nell’autobiografia. Vi sono poi brevi riferimenti a lei in “The Mask”. Tra i suoi scritti, la fonte principale sarebbero i documenti d’archivio che ne registrano le memorie tra la metà degli anni Trenta e la fine degli anni Quaranta, dove le considerazioni di natura estetica si fondono con le riflessioni personali. Nel periodo tra il 1904 e il 1907, durante il quale si sviluppa una relazione sentimentale tra i due, Craig assume la veste di impresario per la Duncan, mentre lei cerca di promuovere delle collaborazioni tra lui e altri professionisti del teatro, continuando nei suoi tentativi anche dopo la separazione. Qua però sorge un elemento interessante. È noto che Craig contribuisce alla realizzazione di vari allestimenti, tanto che dopo il 1903, anno in cui lascia la Gran Bretagna, partecipa ad appena cinque spettacoli e in due di queste occasioni, quelle di maggior successo, hanno Isadora Duncan come promotrice. Il primo è la produzione di Rosmersholm, inscenata da Eleonora Duse; la seconda occasione in cui la danzatrice funge da “catalizzatore” è l’allestimento di Hamlet al Teatro d’Arte di Mosca. In quel periodo la Duncan promuove in maniera decisa a Craig nei colloqui con Stanislavskij, insistendo perché il russo lo contatti direttamente. Per quanto concerne Romesholm, non solo inizialmente l’esito dello spettacolo lo vede entusiasta, ma l’allestimento gli offre anche l’opportunità di osservare da vicino un’attrice che ispirerà parte della sua riflessione teorica sul performer ideale 2. Oltre la danza Nel periodo che va dal 1904 al 1908, la sintonia tra i due sembra molto forte. Proprio in questi anni Craig mette a fuoco i propri pensieri sull’attore, formula la teoria della Uber-Marionette e lavora al progetto per lo Uber-Marionette International Theatre. Attraverso queste letture, si può notare come la figura di Isadora possa inserirsi nel suo discorso sul performer. Il termine “artista” che egli attribuisce alla Duncan, è già un indizio significativo. Nel 1908 ad esempio, Craig scriverà che Eleonora Duse non è tale, perché è approssimativa e si accontenta. Poco dopo asserirà che l’attore, troppo condizionato dalla sua umanità, non può esserlo. Nel 1905 invece afferma che la Duncan lo è (artista) e mantiene la sua opinione anche dopo aver pubblicato The Actor and the Uber-Marionette. La Duncan viene quindi descritta come artista di temperamento dotata di una mente eccezionale. Spesso nelle annotazioni viene marcata la grande intelligenza, a rimarcare come l’approccio della coreografa alla sua disciplina secondo lui non sia di tipo emotivo. Secondo lui, Isadora è capace di dare forma visibile e viva allo spirito ellenico, inteso come spirito universale, componente che consente di accostarla alla Uber-Marionette, cioè essere connesso da fili invisibili alla sfera metafisica di cui si fa veicolo e che non ne informa le creazioni. Isadora Duncan è l’incarnazione dell’”arte impeccabile”, che per la prima volta Craig vede realizzarsi a teatro, perfetta a tal punto che la scena irredenta deve guardare a lei per trovare la via che conduce agli antichi splendori. Nello stesso anno in cui abbozza questa lettera, il teorico pubblica The Art of the Theatre. Nel panorama poco edificante della contemporaneità, irrompe la figura della danzatrice americana, che si mostra come visione abbagliante. 3. Un modello per la Uber-Marionette I documenti quindi sembrano indicare che agli occhi del regista la Duncan trascenda i limiti dell’arte coreutica fin dal primissimo periodo in cui i due si frequentano. Inoltre, è il periodo in cui Craig deve ancora dare forma alla teoria della Uber-Marionette, senza aver ancora sviluppato il progetto della Uber-Marionette International Theatre e la stesura del The Actor and the Uber- Marionette. Questa contingenza quindi suggerisce delle riflessioni interessanti per quanto riguarda la relazione tra i due. La Duncan non è solo un’ispirazione per lui, ma è il modello a partire dal quale lui inizia a dare forma alla teoria della Uber-Marionette. Nella lettera che la Duncan scrive a Craig nel 1907, si intrecciano emozioni personali alla situazione professionale, e non si tratta tuttavia solo di parole dettate dal sentimento amoroso. La Duncan infatti si trova in un momento difficile: da tempo è colpita da una patologia che la fa stare male in maniera ricorrente, alternando periodi acuti e fasi di ripresa e che giunge addirittura a costringerla a letto e a sospendere per diverso tempo gli spettacoli. La lettera venne scritta il giorno dopo la sua prima esibizione che affronta, ancora debole, dopo la pausa professionale. L’analogia tra la Duncan e il performer ideale per Craig in questo caso diventa ancora più stringente e si considera che la brevissima descrizione della serata da parte di lei, restituisce l’immagine di un’artista che sulla scena si distacca dalla propria situazione materiale, il dolore fisico, e diventa quasi una sonnambula, perdendo il proprio io al punto da rendersi puro simbolo. 4. L’incontro impossibile Quindi se la Duncan è il modello da cui egli trae le caratteristiche del suo performer ideale, la teoria di Craig sull’attore perde la connotazione utopica che a lungo l’ha accompagnata per avere tratti di realizzabilità. In questo modo sorgono però due domande: se lei è l’artista perfetta, perché lui non pubblica una descrizione della metodologia e della prassi della danzatrice e la segnala quale esempio da seguire, e perché non integra la teoria della Uber-Marionette con un saggio su Isadora Duncan? Inoltre, se lei è il modello della Uber-Marionette, perché Craig non collabora mai con lei, se non per questioni di carattere organizzativo? Un primo impedimento sarebbe il loro rapporto personale, intenso e tormentato. Un saggio teorico necessita di una certa misura di distacco. La descrizione che i documenti offrono del loro rapporto, mostrano un coinvolgimento emotivo e sensibile di entrambi nei primi anni, e poi un successivo affastellamento di recriminazioni da parte di Craig. Probabilmente non è un caso che decise di scrivere un libro su di lei solo dopo la sua morte. Nonostante questo, però, anche in altre occasioni Craig si è trovato in difficoltà ad entrare nei dettagli dell’arte duncaniana. Nella lettera a Shaw del 1905, ad esempio, non riesce a spiegare l’effetto che la danzatrice ottiene, limitandosi a sostenere che l’interlocutore dovrebbe vederla per comprenderne l’efficacia. In assenza di performer che possano reggere al confronto con lei, Craig cerca l’aiuto delle marionette, alludendo a come le sue black figures nascano proprio dall’esigenza di trovare compagni di scena per la Duncan e che non vengano annichiliti dalla sua presenza. Craig quindi si mette al lavoro per il progetto già ad Heildeberg, dove vengono scritte due bozze di contratto. La Duncan dovrebbe impegnarsi per un numero di esibizioni annue tra le cento e le centocinquanta, Craig per centoquaranta, e la coppia dovrebbe essere accompagnata da molti performers e coristi, oltre che da vari tecnici. Entrambi sarebbero pagati separatamente, insieme a tutte le spese di produzione e il resto del personale a carico della finanziatrice. Un aspetto molto interessante è che gli spettacoli pensati per questo progetto sono destinati ad essere allestiti in teatri itineranti. Questa scelta di ricorrere a costruzioni portatili è significativa per due aspetti: innanzitutto, sembra indicare la volontà implicita di segnare una separazione tra la scena del tempo e le creazioni della coppia, sia come tipologia di spazi, sia come modo di fare teatro. Se lo spettacolo contemporaneo non è arte, allora le performances del duo Duncan- Craig devono svolgersi in luoghi che non siano associati ad esso, tanto che per contratto, la struttura mobile non deve essere eretta in sale che sono già destinate alla messinscena. Questo progetto si lega al progetto per lo Uber-Marionette International Theatre. Nonostante il regista vada a Firenze e inizi a lavorare intensamente al progetto, il piano non va in porto. I motivi sono principalmente finanziari; stabilire in che misura ciascuno dei due artisti sia responsabile del fallimento non è semplice. L’accusa che varia è che la coreografa non ha procurato i soldi necessari, come promesso. Questo però non è importante, e forse ad essere decisivo sul fallimento del progetto è un altro fattore, che Craig mette in evidenza tra il 1942 e il 1943, in un momento in cui accantona l’amarezza della sua amante. In poche parole, Craig afferma che entrambi avevano progetti diversi in mente, lei la danza, lui il teatro e semplicemente non riuscivano ad organizzarsi. Capitolo 5. La fusione ideale 1. Non un teatro di marionette molto simile a quello impiegato per definire la Uber-Marionette, ossia che deve diventare uno strumento in grado di dare forma e comunicare simboli perfetti. La differenza tra i due è ovviamente, la presenza di una sfera emotiva; le passioni sono materiali grezzi che devono essere raffinati, neutralizzati e trasformati in simboli distaccati. Questo processo raggiunge la perfezione quando la fonte che fornisce la materia prima viene reperita all’esterno e non più all’interno dell’attore, quindi i suoi sentimenti non sono più chiamati in causa. L’ultimo passo è la “scomparsa” dell’attore, evento che sembrerebbe implicarne la distruzione. Ma nel numero del 1908 di “The Mask”, Craig dichiara che l’attore “com’è oggi” scomparirà per “fondersi con qualcos’altro”, una volta che avrà percorso il cammino da lui illustrato. Fondere non significa però eliminare. Consiste in un percorso lungo dove l’attore si allontana dall’impersonazione per giungere alla recitazione simbolica, lasciando gradualmente alle spalle l’emozione e giungendo quindi al distacco che caratterizza l’artista durante il processo creativo. L’attore quindi si trova ad affrontare temibile e la scalata sarà lunga. Craig però non vuole dare indizi pratici, ma vuole spronare l’interprete umano ad elevarsi al di sopra della pratica degradata a cui è incatenato, cercando la via in modo autonomo. Nella lettera alla Duse del 1907, scrive :”per diventare un artista, l’attore deve ricercare la morte”. La vita espressa dall’individualità e dalla passione è inartistica e sterile, è il vapore e il fumo della mortalità. Mentre la morte rappresenta uno stato in cui si esclude, si pone fine a quel tipo di esistenza e si sostituisce con una forma vitale più ricca. Chi ha familiarità con il teatro della morte di Tadeusz Kantor, riesce a capire in parte cosa intende Craig. Una delle affermazioni più note di Craig conferma questa interpretazione: “l’attore deve andarsene e al suo posto arriverà la figura inanimata; possiamo chiamarla Uber-Marionette finché non si è guadagnata un nome migliore”. Non dice quindi che il performer perfetto non è umano, ma che è privo di vita animale, cioè che è una creatura della morte, una condizione ideale che secondo lui, anche l’attore in carne ed ossa ha il potenziale per raggiungere (Duse). Le tesi di The Actor and the Uber-Marionette continuano ad essere valide, suggerendo all’attore occidentale un proprio percorso da intraprendere. Negli scritti di Craig però, manca una definizione concreta e dettagliata della Uber-Marionette e per una buona ragione. Alcuni critici hanno cercato di fornire una “soluzione” pratica a questo enigma posto dal suo performer ideale, come se, quando lavora alla sua teoria, egli cercasse una soluzione tecnica operativa all’imperfezione dell’attore. Ma come segnala Lorenzo Mango, il discorso craighiano sulla Uber- Marionette si sviluppa su un piano ontologico, non pratico. Ecco perché quando in The Actor and the Uber-Marionette l’attore si lamenta che il pittore non gli fornisce un percorso alternativo che gli consenta di fare della sua professione un’arte, l’alter ego di Craig risponde “No no, non sta a me darvelo. Dovete trovarlo voi”. Le uniche caratteristiche quindi ben definite della Uber-Marionette sono quelle che Craig segnala ripetutamente nei saggi per definire l’essenza divina: una natura che l’attore può acquisire unendosi idealmente con i sacri idoli che Craig cerca di evocare tramite i suoi esperimenti nello Uber-Marionette International Theatre.
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