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La Questione della Lingua: L'Italiano e il Fiorentino, Schemi e mappe concettuali di Critica Letteraria

Linguistica italianaStoria della lingua italianaFilologia italiana

Sulla variazione diacronica dell'italiano, con particolare riferimento al ruolo del fiorentino nel periodo del trecento. Il dibattito sulla unificazione del rapporto tra l'italiano e il fiorentino durante la celebre 'questione della lingua'. Il testo illustra come il fiorentino del trecento si diffuse in tutti gli ambiti e come prevalsero le diverse teorie sulla lingua letteraria volgare, tra cui quella di pietro bembo. Inoltre, viene discusso il ruolo del purismo nella cultura italiana e il problema dell'unificazione linguistica del nuovo stato dopo l'unità d'italia.

Cosa imparerai

  • Come si diffuse il fiorentino del Trecento in Italia?
  • Che teorie sulla lingua letteraria volgare prevalsero durante la 'Questione della lingua'?
  • Come influenzò il purismo la cultura italiana dei secoli XVI-XIX?

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 19/01/2022

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Scarica La Questione della Lingua: L'Italiano e il Fiorentino e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Critica Letteraria solo su Docsity! La variazione diacronica L‘Unità d'Italia L’italiano delle origini : il fiorentino L’affermazione del fiorentino 300 La base dell'italiano moderno è nel Fiorentino del Trecento che si era diffuso , per via letteraria e il nell'uso scritto, grazie alle opere di Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio. Il problema dell’unificazione del rapporto tra l'italiano e il fiorentino è stato dibattuto nel corso della celebre "Questione della lingua". Solo nel '500 il Toscano si imporrà definitivamente sui dialetti come lingua scritta e ciò va ricercato all'interno della cosidetta "Questione della lingua". All'inizio del '500, appannatosi l'entusiasmo per il latino, in Italia si sviluppò un acceso dibattito intorno ai modelli della lingua letteraria volgare. Prevalse la tesi del veneziano Pietro Bembo ("Prose della volgar lingua", del 1525) che prevedeva l'adozione della lingua degli autori del Trecento ovvero Petrarca, Boccaccio e Dante. La prospettiva bembiana non era tuttavia solo linguistica. Dall’Unità ma anche estetica, dal momento che le opere di Petrarca e Boccaccio venivano additate pure come modelli stilistici e retorici. Bembo trasferiva così il concetto umanistico di "imitare i classici" dalla letteratura greca-latina a oggi: l’italiano standard contemporaneoquello della letteratura volgare. 1. L‘UNITÀ D'ITALIA E IL PROBLEMA DELL’UNIFICAZIONE LINGUISTICA A partire dal sec. XVI il fiorentino del Trecento si diffuse in tutti gli ambiti: letterario,religioso, amministrativo, giudiziario, scientifico. A causa della frammentazione politica che ha da sempre contraddistinto la storia della Penisola, si può pensare che solo élites ristrette e il gruppo limitato dei Toscani, gli abitanti di Roma e di zone dell’Italia mediana in cui si parlano varietà del toscano, abbia nei secoli XVI-XIX parlato l’italiano. Il numero di italofoni subito dopo l’Unità d’Italia (1861) era estremamente ridotto: 2.200.000, pari al 9,5% della popolazione, per Arrigo Castellani (1982) – addirittura 630.000, pari al 2,5%, per Tullio De Mauro (1963). Al di fuori delle zone citate, l’italiano rimase a lungo una lingua prevalentemente scritta, usata nella cultura e nella scienza e nelle cancellerie, nell’amministrazione e nella giustizia. Il purismo rimase un elemento costitutivo della cultura italiana dei secoli XVI-XIX, ma fu osteggiato da molti intellettuali. Tra questi è da ricordare Alessandro Manzoni, che nel suo celebre romanzo I promessi sposi (1827; 1840) adottò come lingua la parlata coeva della classe colta della città di Firenze. Dopo l'Unità d'Italia si pose il problema dell’unificazione linguistica del nuovo Stato, Manzoni Propone l’adozione del fiorentino vivo come lingua da divulgare attraverso l'insegnamento scolastico. Contro la soluzione manzoniana intervenne nel 1873 Graziadio Isaia Ascoli, il fondatore della linguistica scientifica in Italia, che, dopo aver fatto notare che il fiorentino moderno presentava varie innovazioni rispetto alla lingua letteraria basata sul fiorentino trecentesco, e che dunque le due varietà apparivano irrimediabilmente differenziate, affermò che l’unificazione linguistica italiana non si sarebbe raggiunta attraverso l’adozione di una lingua- modello, ma sarebbe stata un effetto dello sviluppo sociale e culturale della nazione. «Al modello centralistico di Manzoni (che si era ispirato alla funzione di Parigi e di Roma antica) veniva contrapposto un modello policentrico, e la lingua non era considerata una premessa, bensì una conseguenza dello sviluppo politico-sociale» 2. DALL’UNITÀ A OGGI: L’ITALIANO STANDARD CONTEMPORANEO Dopo l’Unità d’Italia l’uso orale dell’italiano si è diffuso in tutta la Penisola. Una prima espansione della lingua nazionale fu favorita, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, dalla creazione della scuola primaria gratuita (1859) e obbligatoria (1877), dallo sviluppo industriale (nel Nord-Ovest) e dal connesso urbanesimo, ecc… La Grande guerra (1915-1918) mise per la prima volta a contatto grandi masse di cittadini maschi dialettofoni; anche le evacuazioni dalle zone di confine colpite dal conflitto portarono a contatto intere famiglie con abitanti di zone e dialetti diversi. Il regime fascista (1922-1943) attuò una forte politica di repressione e assimilazione delle minoranze alloglotte, tedesche e slave, mentre adottò misure abbastanza blande contro i dialetti. Alla fine del secondo conflitto mondiale, gli italofoni erano ancora una minoranza rispetto ai dialettofoni. Sono stati i profondi mutamenti economici e sociali cominciati del secondo dopoguerra (anni Cinquanta e soprattutto Sessanta) che fecero regredire la situazione di dialettofonia imperante. Il rapido passaggio all’italiano di molti parlanti dialetto in anni recenti e recentissimi ha determinato la formazione di vari tipi di italiano regionale soprattutto per la fonetica e il lessico. Come nei secoli precedenti, la «grammatica» si fondava su un corpus condiviso di testi di riferimento (opere letterarie, grammatiche, dizionari) e su un insieme di regole normative, che indicavano con nettezza che cosa fosse esatto e che cosa non lo fosse. La diffusione dell’uso orale della lingua soprattutto nel secondo dopoguerra, ha fatto sì che nel parlato dell’uso medio e anche nella lingua scritta di media formalità fossero accolti vari fenomeni caratteristici dell’oralità. A partire soprattutto dagli anni Settanta del Novecento, costrutti e forme che non facevano parte della norma tradizionale hanno cominciato a non essere più percepiti come “scorretti” o come tipici dei registri bassi della lingua, penetrando un po’ alla volta nello standard contemporaneo.Altri intellettuali del periodo (Niccolò Machiavelli) proponevano come modello linguistico il Fiorentino moderno (del secolo XVI). Altri ancora (Baldesar Castiglione,Gian Giorgio Trissino) suggerivano di attenersi alla lingua in uso presso importanti centri culturali italiani (es. la corte papale): è la cosidetta "tesi cortigiana". Rispetto a queste tesi, la soluzione del Bembo prevalse perché aveva il vantaggio di indicare dei modelli di grande prestigio (Petrarca, Boccaccio) e per questo si inseriva meglio di ogni altra nel classicismo del tempo. La tesi del Bembo venne adottata da Lionardo Salviati che fu il principale ispiratore del "Vocabolario degli Accademici della Crusca", il primo grande vocabolario italiano pubblicato nel 1612. Il modello di Salviati non era però il Fiorentino dei classici, ma il Fiorentino del
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