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LA VARIAZIONE LINGUISTICA, Appunti di Linguistica

LA VARIAZIONE LINGUISTICA (PARTE DELL'ESAME DI LINGUISTICA ITALIANA)

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 15/01/2020

Ginevra_99
Ginevra_99 🇮🇹

4.8

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6 documenti

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Scarica LA VARIAZIONE LINGUISTICA e più Appunti in PDF di Linguistica solo su Docsity! LA VARIAZIONE LINGUISTICA La lingua non è mai un insieme uniforme, ma prevede sempre delle variazioni. Le potenzialità infinite di una lingua non sono in possesso di tutti i parlanti, che avranno accesso ad una parte più o meno ampia di quelle grandi potenzialità a seconda del grado d’istruzione e della classe sociale. I parametri di variazione fondamentali della lingua sono 5: 1. Variazione diacronica, la lingua varia nel tempo; 2. Variazione diatopica, la lingua varia attraverso lo spazio; 3. Variazione diastratica, la lingua varia attraverso gli strati sociali in cui il fattore fondamentale è il grado d’istruzione; 4. Variazione diafasica in cui varia di contesto in contesto, cioè a seconda della situazione e del ruolo che uno ha, adotta soluzioni linguistiche diverse; 5. Variazione diamesica cioè varia in rapporto al mezzo fisico. Non c’è una separazione di questi parametri, ma sono intrecciati tra loro. I tre parametri che marcano la produzione orale: 1. Provenienza regionale-DIATOPICO 2. Livello d’istruzione-DIASTRATICO 3. Contesto in cui mi trovo-DIAFASICO È vera una cosa per ciò che riguarda la variazione diatopica, cioè che i tratti marcati sono più accentuati quando ci troviamo di fronte a parlanti meno colti, di età più avanzata, emergono nelle situazioni quotidiane e informali. Per quanto riguarda i fatti diastratici, molti tratti della lingua parlata rifletto quelli della lingua popolare, quindi vi è intersezione tra le variazioni diastratiche più basse e diafasiche più basse. Variazione diatopica: è la variazione su base geografica ed è particolarmente accentuata per quelle lingue che hanno una grande estensione, come l’inglese. La peculiarità dell’italiano è che pur essendo lingua di un territorio così limitato, presenta comunque una differenziazione diatopica notevole. Ci sono ragioni storiche, da epoca preromana, e quando la lingua italiana è diventata anche una realtà parlata, ha risentito della frammentazione dialettale. Tale variazione rimanda al concetto di italiano regionale, come italiano che varia di area in area. Esso è il nostro italiano parlato, che sembra resistere ancora nonostante i tempi moderni, quelli di una scolarizzazione di livello e più diffusa, tempi di ricchezza di scambi. Gli stranieri nel loro apprendere la lingua, rivelano un influsso che ricevono dalla parlata tipica dell’area in cui vivono. Parlando di italiano regionale ci si riferisce all’oralità e il nostro modo di parlare ci rende individuabili, come proveniente da una macro area. L’intonazione sono i fatti fonetici che risultano più evidenti in quanto più difficili da controllare anche da persone colte. Un accento regionale particolarmente marcato può emergere di più in persone di livello più basso. Se la comunicazione pubblicitaria si avvale di pronunce marcate diatopicamente, significa che non viene concepita in maniera negativa. Se entrano in campo tratti marcati di tipo morfologico, allora ci può essere un segnale di carattere diastratico. Il rapporto tra italiano regionale e dialetto è ambiguo perché se è vero che tutti riveliamo una marca diatopica, non è vero che tutti abbiamo una competenza attiva del dialetto. Classificazione degli italiani regionali: - Varietà settentrionali (a livello dei dialetti sottostanti vi sono differenze enormi); - Area centrale in cui dobbiamo isolare l’area toscana; - Area meridionale; - Area meridionale estrema Per quanto riguarda i caratteri dell’italiano regionale, le differenze sono in tutti i campi e più evidenti a livello fonetico. Rispetto alla morfologia si esercita un grande autocontrollo per chi ha competenze linguistiche. Per i fatti intonativi, non ha vinto la varietà toscana-fiorentina. La varietà toscana è valutata positivamente solo in Toscana, non ha ripercussioni in altro zone. La varietà romana ha attraversato un periodo di grande prestigio con l’epoca del neorealismo. Un maggiore prestigio ha probabilmente l’area settentrionale. In ogni caso non c’è un modello riconosciuto come degno di essere imitato. Per quanto riguarda i fatti fonetici reali, l’italiano prevede 7 vocali con “e” ed “o” aperte e chiuse, però nella realtà parlata, anche da parte delle persone colte, non c’è questo rispetto nei confronti della grammatica. Il Nord tende a pronunciare in posizione intervocalica la “s” sonora, mentre a Sud è sorda. C’è la tendenza a rafforzare la pronuncia di certi suoni come debbole, maggica… si tende anche a sonorizzare consonanti (occlusive sorde) come gende, vengo con de. I sardi tendono a raddoppiare come partitto, doppo… il raddoppiamento sintattico è il fenomeno per cui in certi contesti si tende a rafforzare la consonante iniziale di una parola. Avviene dopo parole che recano l’accento sull’ultima sillaba e dopo determinati monosillabi come forme verbali o congiunzioni. In area centro meridionale dopo il verbo avere (ho ffame, ho vvisto, è llunga), nei casi di univerbazione (siccome, davvero, sennò, cosicchè). Dal punto di vista etimologico è da spiegarsi come un fenomeno di assimilazione, cioè una consonante si rendere simile ad un’altra (factum-fatto), ad esempio dire “vado accasa”, “vado collui”, “vieni comme”. Per quanto riguarda i fatti morfologici si esercita un grande autocontrollo, entrano in campo i fattori diastratici. In area centro settentrionale si espande il “te” come soggetto. C’è la tendenza alla risalita dei pronomi proclitici come “la voglio vedere” tende ad espandersi, “non ce la possiamo fare”, “non me la fa salvare”. Sul piano sintattico vediamo l’accusativo preposizionale, cioè la tendenza di area centro meridionale a introdurre il complemento oggetto se animato dalla preposizione “a” (es. senti a me, saluta a tua madre). C’è questo impiego per distinguere meglio il ruolo di soggetto da quello di complemento oggetto. Con determinati verbi e in determinati contesti sintattici è un fenomeno trasversale non solo diffuso nel meridione. Entra anche nelle varietà non colloquiali e di più alto grado formale. La dislocazione a sinistra è il fenomeno per cui noi anticipiamo un costituente che dovrebbe essere dopo il complemento oggetto (es. la televisione non la guardo mai, dovrebbe essere non guardo mai la televisione di sera). Enunciati come “a me non mi convince, a me mi preoccupa, a me mi spaventa” il discorso sta nel fatto che il verbo “spaventare” è transitivo e non ha bisogno di “a”. Scompare il partitivo al sud (compro del pane non si dice molto, ma compro il pane), uso dell’articolo di “il Piero e la Maria” (area centro settentrionale) mentre al Sud l’articolo non si usa. Si tende all’uso dell’aggettivo con valenza avverbiale che è più di tipo meridionale ma che si sta espandendo (es. vincere facile-vincere facilmente, mangiare sano- mangiare sanamente). Per quando riguarda il lessico abbiamo la sostituzione di stare al posto di essere e di tenere al posto di avere. Al posto di molto circola assai al sud, mentre al centro un bel po’. In Toscana riconosciamo la pronuncia aspirata delle consonanti occlusivi, le s sono sonore o sorde a seconda dell’uso grammaticale. Al livello morfologico è in espansione il “te” al posto del “tu”, i tre dimostrativi, uso di noi (es. noi si va). Anche le persone colte tendono a livellare (livellamento analogico sulla base del congiuntivo) alla terza persona indic.pres. nella forma della prima (cambiano, vendono che a seconda della coniugazione cambiano desinenza ma i toscani tendono a dire vendano, sentano). Variazione diastratica: modo diverso di parlare in rapporto a molti fattori. La parola “diastratica” fa riferimento allo strato sociale che è definito da vari fattori come il reddito, il grado di istruzione, l’occupazione. Qui il parametro fondamentale è l’istruzione. Benché si siano fatti passi avanti per l’accesso all’istruzione, rimane sempre una grande differenza dal punto di vista diastratico, neanche nelle nuove generazioni. Tuttavia accanto al fattore scolarizzazione è determinante la rete sociale, i tipi di legami sociali, la famiglia di provenienza. Il fattore diastratico è condizionante anche nei confronti del fattore diatopico, perché più è basso il livello di competenza linguistica e più emergono fatti diatopici, e del fattore diafasico cioè di situazione in situazione io dovrei scegliere il registro giusto, ma se il mio grado di competenza linguistica è molto basso non saprò muovermi adeguatamente. È condizionante anche per la collocazione sociale del parlante, i comportamenti linguistici degli individui sono sottoposti ad una valutazione sociale anche se non ne abbiamo consapevolezza, ad esempio un notaio commette errori di ortografia, il nostro giudizio è condizionato. Dalla prospettiva del parlante la lingua è uno strumento per definire noi stessi. Le persone che rivelano di essere poco scolarizzate godono di un giudizio basso. lingua, a casa della pressione subita dalla lingua parlata e porta nel contempo ad una società più omogenea sul piano sociale e culturale. Molti tratti del neo standard sono vecchi di secoli, molti mutamenti non riguardano il sistema ma la norma, cioè molti tratti del neo standard non sono vere e proprie innovazioni ma sono termini nuovi che sono di risalita, cambiano status; la terza sottolinea il fatto che si tratti della varietà che indica la direzione verso cui si muove la lingua. Per quanto riguarda il sub standard allude ai settori bassi della dimensione diafasica e diastratica. Nel comportamento linguistico si tende ad individuare tre tendenze: - Introdurre regolarità, mentre lo standard presenta molti programmi irregolari - Analogia (una forma è sentita come vincente ed è capace di attirare a se altre forme (es. polvra perché i parlanti poco dotti riconoscono il femminile singolare in A) - Ridurre i paradigmi L’articolo determinativo ha un paradigma non facile, si tende ad esempio a dire “i gnocchi”. La lingua colloquiale assorbe tratti diatopici e diastratici, anche per le persone colte (es. vadi al posto di vada). Il sub standard non ha prestigio, la quantità di tratti sub standard presenti viene assunta e valutata come un indicatore della propria estrazione sociale. Il concetto di norma Sono un insieme di regole che riguardano tutti i livelli della lingua e viene accettato da una comunità in un certo periodo. Il concetto di norma è complementare rispetto a quello di standard. La norma si distingue in due tipi, può essere prescrittiva/esplicita proposta dalla grammatiche, oppure implicita/descrittiva che individua gli usi linguistici verso cui i parlanti convergono. La norma linguistica può modificarsi nel corso del tempo, insieme al concetto di accettabilità. Sub standard, neo standard e standard sono anelli di una catena, sono fasi in continua evoluzione. IL PASSIVO Nel latino le forme del passivo sono sintetiche (es. laudor) e in italiano si è arrivati ad un passivo formato in maniera analitica (es. sono lodato). Il passivo può circolare con o senza indicazione del complemento d’agente. Può circolare senza: - Quando l’agente è sconosciuto (es. sono state uccise due persone), ma nel parlato sarebbe “hanno ucciso” a testimonianza che il passivo è poco presente nella lingua parlata. - Quando non si sa o non si vuol dire (es. le tasse sono state aumentate). - Quando è considerato irrilevante perché è possibile identificarlo in base alle informazioni fornite dal contesto (es. del passivo tratta Sobrero, sono indicati tre costrutti + i sindacati criticano la posizione del governo, è considerata…) Nella costruzione passiva si può ridurre la valenza verbale, nella valenza attiva certi verbi hanno bisogno di indicare determinati argomenti, al passivo c’è una riduzione, non hanno bisogno di tutti quegli argomenti (es. i giovani devono rispettare gli anziani-gli anziani devono essere rispettati). Sono tre i tipi di costruzione: - Essere + participio (è lodato) - Venire + participio (viene detto) che consente di dar conto della valenza dinamica - Andare + participio con valore deontico, veicola prescrittività. Circola con tre tempi verbali, presente, imperfetto e futuro (es. i diritti vanno rispettati, la biblioteca andava riorganizzata, la biblioteca andrà riorganizzata). Nell’italiano contemporaneo si nota la tendenza a piegare verso l’uso passivo certi verbi che sono intransitivi (es. abusare, derogare). L’ORDINE DEI COSTITUENTI DELLA LINGUA ITALIANA Il latino consentiva una grande libertà per quanto riguarda l’ordine dei costituenti (il nominativo poteva essere all’inizio, alla fine o in mezzo ma fungeva comunque da soggetto). Dopo il crollo del sistema dei casi la posizione dei costituenti acquista un ruolo fondamentale per individuare la funzione sintattica, cioè soggetto e oggetto si esprimono mediante la loro posizione prima o dopo il verbo. Si arriva quindi ad un ordine di costituenti che costituiscono la normale frase dichiarativa, con ordine fisso (indipendentemente se il soggetto sia animano o no): SVO (es. Maria ama Giovanni, Maria legge un libro. Quando abbiamo un verbo transitivo è SVO (es. l’arbitro ha concesso un rigore), ma se il verbo è intransitivo la O equivale ad un complemento indiretto e non oggetto. Se accanto al complemento oggetto figura anche il complemento indiretto arriviamo al tipo SVOI (es. Giorgio ha regalato un libro a Laura). L’ordine si modifica in molti casi, ad esempio quando un costituente è “pesante” cioè corredato di aggiunte (es. Giorgio ha regalato a Laura il libro che lei da tempo desiderava, il libro è l’oggetto ma è pesante perché corredato dell’aggiunto della frase relativa). Il costituente pesante tende ad occupare la posizione finale. Nei testi dell’italiano antico (soprattutto in poesia) abbiamo l’oggetto preverbale: SOV (es. spesso il male di vivere ho incontrato). Nel caso dei verbi in accusativi, cioè verbi intransitivi che richiedono come ausiliare il verbo essere (es. arrivare, morire, cadere, sparire, scoppiare), dimostrano di avere qualcosa in comune con i verbi transitivi e il soggetto è molto spesso posposto al verbo (es. è caduto un ramo): VS. Le costruzioni marcate sono quelle in cui i costituenti non occupano le posizioni appena dette. Occupano posizioni diverse in virtù dell’importanza dal punto di vista informativo. La struttura informativa è quella che considera i costituenti non per ciò che riguarda il loro ruolo sintattico, ma dal punto di vista del messaggio che vogliono trasmettere (es. Giorgio ha comperato il giornale-il giornale l’ha comprato Giorgio-l ’ha comprato Giorgio il giornale-è Giorgio che ha comprato il giornale; sono frasi che hanno una diversa prospettiva comunicativa e quindi non sono interscambiabili). Un enunciato può essere ben organizzato e coeso sul piano sintattico, ma può non avere un efficacia informativa (il parlato bada di più alla struttura informativa). L’italiano tende a costruire da sinistra a destra, mettendo prima l’elemento dato e dopo l’elemento nuovo. Il tema è l’elemento a proposito del quale si dice qualcosa, il rema è ciò che si dice riguardo al tema. L’elemento dato, cioè il tema, ha due tipologie; intanto è quel costituente che è già stato introdotto linguisticamente in cui l’articolo ha molta importanza, poiché quando introduco l’argomento nuovo si usa l’articolo indeterminativo, quando nella frase seguente riprendo i dati uso l’articolo determinativo; Il dato è anche ciò che non figura nell’enunciato, ma che il parlante suppone presente nella mente del suo interlocutore. Una frase può anche essere tutta nuova (es. mi si è rotta la macchina), ma se c’è una parte data e una nuova, il dato precede sempre il nuovo. Es. Giorgio ha regalato un anello a Laura. Cosa mi racconti? Che cosa ha fatto Giorgio? Do come dato un elemento, cioè Giorgio. Che cosa ha regalato Giorgio? A chi ha regalato un anello Giorgio? In tutti questi casi la nostra risposta è pertinente, ovviamente nel nostro parlato l’enunciato conserva il materiale che fa avanzare la comunicazione, quindi ci può essere l’omissione di quell’informazione data. Che cosa ha regalato Giorgio a Laura? La risposta non è pertinente perché io vado in cerca di un elemento nuovo, che è l’anello, che è nella nostra frase in una posizione sbagliata (si può correggere attraverso una diversa intonazione). COSTRUZIONI MARCATE Sono quelle in cui avviene uno spostamento di costituenti per rispondere a particolari scopi informativi. Le DISLOCAZIONI sono di due tipi: - A sinistra, antepone in prima posizione un costituente che nel normale ordine dovrebbe esser post verbale (es. accusativo preposizionale, complemento oggetto). Vi sono molti esempi perché è una costruzione molto presente nel parlato a tutti i livelli diafasici e diastratici. Es. la televisione non la guardo mai: il complemento oggetto viene anticipato per poi essere ripreso da un pronome anaforico. Questo tipo di costruzione va a rimettere in posizione il costituente che rientra nel dato. La dislocazione a sinistra è stata censurata dalla grammatica ed è accettata solo a livello neo standard. Scatta la proposizione “a” anche quando il verbo è transitivo (es. a noi ci preoccupa molto). - A destra, ad esempio “lo prendi un caffè?” non c’è un vero e proprio spostamento di costituente perché il complemento oggetto rimane post verbale poiché è anticipato da un pronome detto cataforico. I costituenti possono essere di vario genere: non li mangio i pasticcini, ci vado domani dal dottore. L’elemento dislocato è dato, ad esempio “la barba gliela fai tu?” qui il rema è “la barba” e rimane tale anche se cambio con la dislocazione a destra “gliela fai tu la barba?”. Queste due sono strategie comunicative che hanno la finalità di mettere in rilievo determinate informazioni. La TOPICALIZZAZIONE è detta anche focalizzazione e si va a sottolineare in maniera enfatica un costituente. Il costituente viene messo all’inizio e spesso sono risposte a precedenti enunciati in cui si corregge qualcosa, ci si contrappone a qualcosa che viene detto. Es ha comprato le fette biscottate per la colazione? I biscotti ho comprato. Per la festa dobbiamo invitare anche Carlo. Luca dobbiamo invitare. Vengono marcati come elementi nuovi e in contrasto. Rispetto alla dislocazione a sinistra ci sono 3 differenze: - Non c’è la ripresa pronominale; - Il movimento del costituente dalla sua posizione post verbale a quella preverbale non serve a tematizzarlo, ma a marcarlo come nuove, in contrasto, cioè rematizzarlo; - A livello di intonazione il costituente è più enfatizzato. La FRASE SCISSA è divisa in due parti: una frase principale e una subordinata. È il tipo “è Giorgio che mi ha prestato il libro” (ruolo di soggetto). La principale ha il verbo essere e il costituente messo in rilievo e poi c’è la subordinata introdotta dal che. Dopo il verbo essere si può trovare qualsiasi costituente (è di sera che sono stanza, è da voi che aspetto una risposta). Spesso figura nella forma negativa, ad esempio “non è a tua sorella che puoi dare sempre le colpe”. Per quanto riguarda il “che” può apparire come relativo, ma siccome rimane fermo in frasi scisse, è un subordinatore generico che introduce una subordinata. Sono molto presenti questi costrutti, tanto che li abbiamo anche con funzioni non marcate. Es. è un anno che non lo vedo. La frase scissa circola senza avere una funzione marcata e si modifica la struttura sintattica perdendo il “da” (è da un anno che non lo vedo). FRASI PSEUDOSCISSE Sono frasi costituite da due parti, ma l’ordine è invertito (es. chi mi ha prestato i soldi è stato il tuo vicino). ANACOLUTO Indica una frattura sintattica con un cambio di progetto, ad esempio in prima posizione vi è un costituente che sembra il soggetto ma non lo è: tema sospeso. Es. Luca ne parlano tutti male. Nel parlato il caso in cui è più frequente l’anacoluto è quando introduciamo l’io soggetto “io l’impressione che ho…”, “il fratello, la sua idea, sarebbe stata di partire quel giorno”. C’E’ PRESENTATIVO È quello che introduce un sintagma nominale e ad esso fa seguito una frase relativa. Es. c’è mio fratello che non gli va mai niente bene. Il c’è con valenza semantica piena è quando dico “c’è un gatto nel giardino”. Non ha valenza semantica piena il c’è presentativo, quindi potrebbe essere annullato. Le costruzioni marcate servono come costrutti che collocano il dato in prima posizione. La dislocazione a sinistra serve a mettere in prima posizione un costituente che rientra nel dato e che risponde al principio del “prima il dato e poi il nuovo”. Quando il dato non coincide con il soggetto, pieghiamo l’organizzazione sintattica e mettiamo in prima posizione - Verbi d’opinione: pensare, ritenere, credere (es. penso che hai ragione), la norma prevede il congiuntivo perché non siamo nella realtà oggettiva ma nella supposizione. - Verbi di volontà: desiderio, ordine, divieto (es. non voglio che prendi questa responsabilità). - Interrogative indirette (es. non so se l’originale l’ha tenuto lui). - Subordinate che presentano un contenuto falso (es. non dico che l’italiano sia una lingua difficile, ma certamente è complessa; lo aiuto non perché me lo abbia chiesto, ma perché capisco). - Le relative restrittive ammettono anche il congiuntivo (es. cerco un partito che possa convincere gli elettori), l’indeterminatezza richiede il modo congiuntivo. Nel parlato c’è una tendenza a slittare verso l’indicativo. - Dopo il superlativo relativo (es. l’uomo più semplice che c’è; il premio più ricco che puoi vincere in Italia), nell’italiano parlato anche il “non è che” è molto diffuso. - “Possibile” viene usato con l’indicativo piuttosto che con il congiuntivo - Il “dire” informativo è un verbo che regge l’indicativo (es. gli insegnanti dicono che i ragazzi non hanno voglia di studiare), però ci sono dei contesti in cui il dire affermativo può reggere il congiuntivo, ad esempio con espressioni impersonali (es. si dice che i soldati siano già partiti). In certi contesti quindi il dire si avvicina ai verbi d’opinione che gli permettono di affiancarsi il congiuntivo. C’è un terzo caso, cioè quando assume un valore simile ai verbi di volontà (es. ho detto al cameriere che mi portasse un caffè, anche se la lingua parlata va verso l’infinito: ho detto al cameriere di portarmi un caffè). - Ci sono verbi e costrutti con polivalenza semantica e sintattica, reggono indicativo o congiuntivo a seconda dello specifico valore che assumono. La funzione del congiuntivo è quella di fare assumere al verbo una certa valenza semantica specifica (es. ha significato diverso dire: gli faccio un regalo perché mi aiuta / gli faccio un regalo perché mi aiuti). Uno degli elementi che svolge un ruolo decisivo nella distribuzione dei due modi nella subordinata, è la presenza e la portata della negazione nella reggente. Anche nel caso delle completive ci può essere una portata diversa nella negazione presente nella reggente, essa comporta la selezione dell’uno e dell’altro dei modi (es. Giorgio dice che Maria è perfetta, Giorgio non dice che Maria è perfetta, Giorgio non dice che Maria sia perfetta: nel primo caso dice che Giorgio non ha fatto quell’affermazione, il secondo caso la portata è ampia e mi dice che Giorgio non è del parere che Maria sia perfetta). Es. Giorgio sapeva che Maria era già partita, Giorgio non sapeva che Maria era già/fosse già partita. Il parlante ha un grado di conoscenza, ma Giorgio no, quindi ci può parimenti essere il congiuntivo o l’indicativo a seconda di quale grade si voglia mettere più in evidenza). Il passaggio delle subordinate, nel parlato è molto frequente, tollerato, ma rimane marcato a livello diatopico (l’area meridionale è quella che meno pratica il congiuntivo), diastratico (i colti lo usano maggiormente), diafasico (il passaggio è più frequente nel parlato), diamesico (nello scritto è meno frequente). ELEMENTI DI DEBOLEZZA DEL CONGIUNTIVO Il ruolo del congiuntivo è spesso ridondante, cioè non trasmette spesso un significato diverso rispetto all’indicativo (es. mi chiede se ci sia andato da solo-mi chiedo se c’è andato da solo). Si nota la tendenza all’uso dell’indicativo con congiunzione come sebbene, qualora, benchè… Un secondo elemento di debolezza è da ricercarsi sul piano morfologico, molti verbi hanno forme irregolari che non sono disponibili per tutti dal punto di vista sociolinguistico, ci sono poi identità di forme senza un quadro morfologico chiaro (che io parlassi che tu parlassi, che io parli, che tu parli…). Quando nel parlato c’è la tendenza ad usare poco il congiuntivo, dobbiamo tenere conto di un fatto, cioè il parlato tende ad una sintassi additiva, alla coordinazione e ala paratassi, non ha una presenza straordinaria di subordinate e costrutti ipotattici che di per se richiederebbero il congiuntivo. L’ITALIANO GIOVANILE È una varietà che si colloca in fase diastratica e diafasica. L’età gioca un ruolo duplice perché il fattore demografico dell’età può farci pensare subito alla variazione diastratica, ma influisce anche sulla variazione diafasica perché l’età gioca un ruolo anche sul piano culturale. Questo linguaggio sarà prevalentemente usato in conversazioni informali. Le funzioni sono identitarie, di autoaffermazione, di riconoscimento in un gruppo. È un lessico che si evolve e cambia, una caratteristica è l’usura rapida. Caratteristiche: - Tendenza ad accorciare la parole - Usi figurati - Suffissazioni - Enfasi - Internazionalismi Ci sono anche rapporti di osmosi rispetto alla lingua comune, parole della lingua giovanile posso entrare nella lingua comune (sballo, sfigato). L’italiano contemporaneo fa registrare tendenze volitive, alcuni tratti vengono dal basso, sono fondamentalmente cambiamenti di stato, ma vi sono fatti che volgono dall’alto, da testi scritti e usi colti. L’ORGANIZZAZIONE SINTATTICA DEL PERIODO C’è una notevole varietà nell’organizzazione sintattica del periodo, ma c’è un processo di snellimento legato alle tendenze del parlato. Vi è la tendenza al periodo monoproposizionale, che si significa una riduzione delle congiunzioni. STILE NOMINALE Gli enunciati nominali sono le frasi prive di verbo. Una frase che ha senso compiuto ma senza verbo finito (es. a quando le nozze?, per favore un momento di attenzione!). Molto presente nei titoli di giornali poiché risponde alle esigenze di brevità e incisività. Una caratteristica importante dell’italiano scritto è il rapporto tra nomi e verbi, c’è una tendenza nella lingua burocratica, giuridica etc. a trasferire sostantivi ed aggettivi le funzioni che prima erano svolte dai verbi. Lo stile nominale è un potenziamento del ruolo svolto da sostantivo o aggettivo e il depotenziamento del ruolo svolto dal verbo, si preferisce spostare il carico semantico dal verbo al nome (es. la durata del permesso di soggiorno è di 5 anni: il carico si sposta, avrei potuto dire “il permesso di soggiorno dura 5 anni). A volte intere proposizioni subordinate si contraggono in sintagma nominale (es. 3 di scheda). Questa forma ha caratteristiche di brevità e concisione rispetto alla frase verbale. Questo processo agisce all’interno della singola frase, trasformando le subordinate completive. Ciò ha conseguenze sull’organizzazione sintattica, si concentrano i sintagmi, si riducono il numero delle subordinate, ma la complessità del periodo rimane. Agire sul piano macro-sintattico riducendo le subordinate, non comporta una semplificazione, anzi il testo può risultare pesante, carico e difficile. Un’altra caratteristica è l’atemporalità, poiché solitamente è il verbo finito che specifica questa funzione. SINTASSI FRANTA Modalità di rinnovamento sintattico che consiste nel staccare le subordinate, attraverso il punto fermo, dalla reggente. Abbiamo enunciati monoproposizionali, semplici. Maestro di questa sintassi è Ilvo Diamanti (scheda). Si diffonde la tendenza alla riduzione con uso e diffusione di sigle e acronimi. Le sigle erano già presenti nel mondo latino ed oggi interessano tutti i settori. Per quanto riguarda la grafia, una volta questi acronimi venivano scritti con il punto, a volte tutte le lettere in maiuscolo, a volte solo la prima. La pronuncia per la maggior parte delle sigle è consolidata, tuttavia ci sono casi in cui è oscillante (es. AIDS che ha due pronunce). Ci sono casi in cui seguiamo la pronuncia d’origine (es. FBI), altri come USB e HIV che italianizziamo. SUFFISSO SUPERLATIVO: si applica oggi anche a nomi (paurissima) o a participi. Il “piuttosto che” ha assunto una nuova valenza, usato come “o” ma secondo la norma deve anteporre due concetti opposti tra loro (es. piuttosto che perdere tempo, inizia a studiare (1 caso); oggi mi riempie di dolci piuttosto che gioielli (2)). Anche “assolutamente” che di per se è neutro, che rafforza l’elemento a cui si unisce, ma oggi viene usato con valore a piacere (ad esempio da solo non ha valore).
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