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La variazione linguistica, Appunti di Linguistica

LINGUISTICA ITALIANA

Tipologia: Appunti

2013/2014

Caricato il 30/11/2014

lili11
lili11 🇮🇹

4.5

(53)

25 documenti

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Scarica La variazione linguistica e più Appunti in PDF di Linguistica solo su Docsity! LA VARIAZIONE LINGUISTICA Questo documento non sostituisce gli appunti delle lezioni, ma propone un veloce schema utile al ripasso delle nozioni approfondite durante il corso. - Il cambiamento dell’italiano contemporaneo: da lingua letteraria e cristallizzata a lingua viva, soggetta a cambiamenti e variazioni. - I poli di variazione si identificano su alcuni assi fondamentali: la provenienza geografica del parlante, il canale di comunicazione impiegato, l’estrazione sociale del parlante, la scelta del registro. Ciascun asse possiede un numero non definibile di realizzazioni, ed è dunque chiamato continuum linguistico. La variazione fondamentale rispetto all’italiano standard, norma astratta e pressoché irraggiungibile, è chiamata italiano neostandard o dell’uso medio. Alle due varietà corrispondono, conseguentemente, la vecchia grammatica prescrittiva e la nuova grammatica descrittiva e di ambizione scientifica. Diatopia. A partire dal De vulgari eloquentia è noto a tutti i parlanti italiani che l’ambito italoromanzo è profondamente segnato dalla variazione diatopica. Dall’iniziale frammentazione dei volgari il panorama si modificò con la creazione delle lingue di koinè, artificiose, di matrice cancelleresca, nelle quali risultavano soppressi gli elementi più locali in favore di un’espressione comprensibile in un ampio raggio attorno alla corte. Con l’adozione del fiorentino quale base della lingua nazionale, le altre varietà locali risultarono meno importanti dal punto di vista sociale, e quindi si posero come polo sociolinguistico inferiore, destinato a usi familiari e non ufficiale. Tale differenza è detta diglossia. Tuttavia, molto raramente i parlanti riescono a esprimersi in una lingua priva di connotazioni periferiche: resta forte l’influsso dell’italiano regionale, una varietà che risente degli usi tipici di una particolare area geografica. I dialetti settentrionali (a Nord dell’isoglossa La Spezia-Rimini) si distinguono in gallo-italici e veneti, distinti soprattutto per il trattamento delle vocali (i dialetti veneti sono più conservativi rispetto al vocalismo: mantengono le finali e molte intertoniche). Al Nord si pronunciano molte vocali turbate, caratteristiche delle lingue galloromanze (per esempio, nei lomb. föra, lüna); solo le vocali accentate (toniche) resistono alla riduzione del corpo di parola, mentre le atone sono soggette a fenomeni di cancellazione (cadute, sincopi ecc.). Le vocali toniche e,o sono soggette a metafonesi per influsso della sola -i finale (accade soprattutto per il plurale, e allora la metafonesi assume valore morfologico in quanto unico elemento distintivo del numero). Le consonanti si indeboliscono se intense, e le occlusive intervocaliche sonorizzano, arrivando anche al dileguo. Per la morfologia, è frequente l’uso del passato prossimo; non si usa l’articolo con il possessivo, mentre compare davanti ai nomi propri di persona. I dialetti mediani (compresi tra le isoglosse La Spezia-Rimini e Roma-Ancona) mantengono, caratteristicamente, tracce del neutro latino (lu ferru ‘spada’ e lo ferro ‘ferro’) e, come i dialetti meridionali, mostrano l’assimilazione progressiva (monno, piommo). In Toscana l’indebolimento delle occlusive intervocaliche prende la forma della gorgia (una spirantizzazione). Molti fenomeni del fiorentino, passati all’italiano, interessano il vocalismo tonico (dittongazione spontanea, anafonesi), altri sono rimasti legati all’area geografica (sistema a tre dimostrativi con codesto, prima persona plurale impersonale noi si va). I dialetti meridionali (a Sud della non molto lineare isoglossa Roma-Ancona) presentano massicciamente il fenomeno del raddoppiamento fonosintattico (un tipo di assimilazione regressiva tra parole vicine), attestato anche in area mediana, e dell’assimilazione progressiva. Le vocali toniche e,o sono soggette a metafonesi, vale a dire a innalzamento del suono, per influsso della vocale alta finale (-i per il numero plurale, -u per il genere maschile). Per la morfologia, è usato sempre il passato remoto; si fa uso dell’accusativo preposizionale (ho visto a tuo padre). I dialetti meridionali estremi (Salento, Calabria meridionale, Sicilia) hanno un vocalismo tonico ridotto a cinque elementi (mancano le vocali medio-alte), hanno r- iniziale intensa, i gruppi tr e dr retroflessi, l cacuminale (bedda ‘bella’), il verbo posto in fine di frase. Non vanno poi dimenticate le minoranze linguistiche storiche, tutelate dalla legge 482 del 1999. Esse sono in rapporto di bilinguismo con l’italiano, poiché assumono un ruolo ufficiale entro limitati ambiti territoriali. Alcune di esse pertengono all’ambito italoromanzo: si tratta del sardo - la minoranza più parlata - del friulano e del ladino, tre codici morfologicamente piuttosto distanti dagli altri dialetti italiani. Altre lingue sono romanze: francese, provenzale e franco-provenzale ai confini occidentali, catalano ad Alghero (antica piazzaforte aragonese). Altre, infine, appartengono ad altre famiglie linguistiche: germanica (il bavaro-tirolese in Alto Adige), slava (sloveno al confine orientale, croato a macchie lungo la penisola), albanese (in varie aree meridionali), greca (grico e grecanico in Salento e in Calabria). Diamesia. La variazione basata sul canale espressivo riguarda le differenze essenziali tra oralità e scrittura, ma è fatta anche di varietà intermedie. È una delle variazioni più importanti e concerne soprattutto la maggiore o minore possibilità di pianificazione del discorso, in base alle attese del destinatario della comunicazione. Nell’oralità restano, di eventuali cambi di progetto sintattico, gli anacoluti e i temi sospesi, e possono esservi sovrapposizioni di turni. I parlanti possono fare uso di mezzi cinesici (gestualità), prossemici (distanza), paralinguistici o soprasegmentali (volume, tono, velocità); inoltre, di segnali discorsivi quali esclamazioni (eh, mah) di mitigatori (diciamo, praticamente, mi sembra, tipo, tra virgolette), di demarcativi (prima, poi, in altre parole), di fàtici (guarda, vero?, figurati, rendo l’idea?). La sintassi è frammentaria, di solito giustappositiva: prevale comunque la paratassi. Nel parlato perdono terreno il trapassato remoto, il condizionale, il futuro anteriore, ed è raro il passivo. Si usano il presente narrativo e il presente pro futuro. Il futuro assume valore modale, dubitativo (chi sarà alla porta?), l’imperfetto può essere controfattuale (facciamo che io ero il ladro e tu la guardia). Si usa molto l’enfasi (un sacco, strabello), il lessico può essere impreciso o confidenziale (quello del computer, il coso per accendere il gas, attimino, firmetta). Nello scritto c’è maggiore attenzione per la coesione e il testo è scandito in parti. La cura lessicale è spesso ispirata alla variatio. Nella variante deteriore dell’italiano burocratico sono impiegate forme desuete e volutamente opache: addì, obliterare, suddetto. Soprattutto nella varietà giornalistica si impiega uno stile nominale, caratterizzato dall’uso frequente di elativi e figure sintassi è elaborata e si avvale della subordinazione. I termini sono variati, le ripetizioni sono poco numerose e il lessico è appropriato (con possibile uso di forestierismi, aggettivi ricercati e figure retoriche preziose che possono rendere la comunicazione anche poco comprensibile). Diversamente, lo stile basso si caratterizza per l’eloquio a velocità sostenuta, con diffuse semplificazioni (‘sto caldo, veniam presto), assimilazioni (arimmetica), fusioni (presempio). La pronuncia è caratterizzata regionalmente e si avvale del tono di voce e della gestualità. Spesso si usano modi impliciti e si fa riferimento al contesto (deissi), mentre si usano pochi connettivi e banali (dunque, allora), frasi brevi, lessico ripetitivo, nomi generici o abbreviati (prof, bici), espressioni colloquiali con focus sull’io (mi sono imbarcato in un progetto, ne ho rimorchiata un’altra ecc.). Ovviamente, la diafasia è in stretto rapporto con la diastratia: un parlante che si colloca più alto in diastratia potrà variare il proprio registro espressivo molto più facilmente rispetto a chi possiede una gamma poco ampia di stili. I sottocodici sono riferiti a settori professionali e lavorativi, o scientifici, e possiedono un lessico proprio. Si distinguono le lingue settoriali, relative a settori professionali che si avvalgono di parole della lingua comune, ma risemantizzate: la moda (collezione), la politica (rimpasto, interrogazione), lo sport (rigore, ala), e le lingue speciali, che sono costituite di tecnicismi veri e propri (come la linguistica: isoglossa, allofono, soprasegmentale, ecc.). Il lessico delle lingue speciali è monosemico e privo di sinonimi, per portare al massimo grado la corrispondenza biunivoca tra fenomeno e termine: tali lingue sono precise, denotative. Ricorrono a prefissoidi e suffissoidi, cioè morfemi che sono etimologicamente parole di senso compiuto (fono ‘suono’), o che comunque hanno valore semantico (in medicina -ite indica ‘infiammazione’); fanno uso di acronimi (DNA, SMS, AIDS) e di eponimi (teorema di Pitagora, legge di Bartsch, macchina di Watt). La mancanza di sinonimi rende lecito l’uso di ripetizioni, e le necessità espositive portano a una stilizzazione del periodo verso lo stile nominale, anche tramite l’uso di locuzioni preposizionali (a base di). Solitamente si usa la III persona singolare (si nota che, si verifica che). L’uso di tecnicismi in testi non tecnici (come quelli giornalistici, o i verbali di polizia) ha portato alla definizione dei tecnicismi collaterali, cioè non legati alla necessità della lingua, bensì alla situazione descritta o narrata: il proiettile ha attinto la vittima alla mano; accusava vivo dolore. Una varietà deteriore come l’italiano burocratico si serve invece di termini desueti (all’uopo, vieppiù) per opacizzare la comunicazione (Calvino lo definì “antilingua”). Oggi però è in atto, da parte dei linguisti e in particolare di Michele Cortelazzo, uno sforzo di sensibilizzazione e di riscrittura per ridurre l’estensione dei testi, limitare i riferimenti alla legislazione vigente, riunire le informazioni in paragrafi coerenti eliminando le ridondanze, eliminare commenti e digressioni, usare elenchi, ridurre strutture ipotattiche, incisi, forme implicite e impersonali (nelle ore antimeridiane, procedere alla consegna, obliterare il titolo di viaggio ecc.). Altra varietà diafasica è l’italiano colloquiale (nome calcato da colloquial English), una sorta di superregistro che va dal substandard fino a situazioni informali. Comprende parole e locuzioni, o fraseologia, che i dizionari etichettano come volg., fam., pop., gerg., scherz., reg.: macchina ‘automobile’, scappare ‘fuggire’, montare su ‘salire’, rabbia ‘ira’, e ancora attaccare una malattia, beccare, cagnara, prendersi una cotta, fare senza, fregare, sbafare, sfottere, e molti usi di doppio clitico: farcela, filarsela, fregarsene, mettercela tutta, oppure impersonali di III persona plurale (hanno messo a posto la strada), dimostrativi (‘sto libro, mi ha fatto una testa così), superlativi di nomi (un ragazzo a postissimo). Italiano standard e neostandard. L’identificazione della varietà dell’italiano neostandard ha rappresentato un punto di svolta decisivo per la linguistica italiana e per l’insegnamento dell’italiano. Esso è una varietà parlata, ma anche scritta, in testi di media o bassa formalità. Le sue caratteristiche non sono nuove ma sono in crescente espansione nell’uso linguistico. L’italiano standard non comprende alcun parlante nativo: è infatti necessario un preciso addestramento (esercizi di dizione) per possederne le qualità fonetiche neutre. Lo standard è dunque quasi esclusivamente scritto, e ha rappresentato il polo stabile della lingua, soggetto ai soli cambiamenti minimi indispensabili, per lessico e sintassi, dovuti a scoperte, invenzioni. Sulla base dei precetti cinquecenteschi, poesia e prosa hanno a lungo vantato forme diverse: core/cuore, deggio/devo, volea/voleva. Tale polimorfismo (che si estendeva ad altre forme: lacrima/lagrima, offrì/offerse, ecc.) fu limitato e riordinato da Manzoni nella “quarantana” dei Promessi sposi, tanto che i residui odierni sono molto pochi (tra/fra, ci/vi, visto/veduto). La svolta nel linguaggio poetico arriverà invece con Pascoli e d’Annunzio. La norma grammaticale applicata alla scuola originò l’italiano scolastico, una varietà deteriore insegnata tramite correzioni prescrittive, soprattutto di stampo ortografico, ma anche lessicale, per fraintendimento della chiarezza nella situazione comunicativa. L’italiano standard non è più letterario, ma comunque resta normativo: le deviazioni sono giudicate negativamente dalla comunità dei parlanti, e dunque il privilegio di cui esso gode è extralinguistico, sociale. Nel 1985 Francesco Sabatini identificò la variante dell’uso medio attraverso 35 tratti caratterizzanti, ridotti poi a 14 fondamentali: lui, lei, loro soggetti; gli per ‘a lei, a loro’; partitivo in con degli amici; doppio pronome in a me mi piace, e inoltre le dislocazioni a destra e a sinistra del tema in ambito sintattico; l’uso del che polivalente, soprattutto temporale (dal giorno che ti ho vista); l’uso del per cui nelle consecutive (non c’è tempo, per cui ne parliamo domani); il pronome interrogativo cosa?; l’uso a inizio di frase di e, ma, allora, comunque; la riduzione dell’uso del congiuntivo; la concordanza ad sensum (ci saranno state un centinaio di persone); il soggetto postverbale (non ci sono soldi); i verbi pronominali (voglio mangiarmi un gelato); la frase scissa; il ci attualizzante (non c’ho un euro). Questi tratti non dipendono dalla variazione diatopica, e penetrano anche nella lingua scritta. Sono invece in via di estinzione la prostesi di i- (in istrada), le preposizioni pel, col e simili, e calano vi, codesto, Ella e Loro allocutivi, le eufoniche ad, ed, od, quale come aggettivo interrogativo (sostituito da che: a che squadra tieni?). Gaetano Berruto, chiarendo nel 1987 che tali fenomeni erano ormai scarsamente considerati erronei dalla comunità dei parlanti, li indicò come tipici del nuovo standard di riferimento, e ribattezzò appunto con l’etichetta di neostandard questa varietà, aggiungendo alcune notazioni, dalle quali si nota la riduzione del divario diamesico (cioè tra scrittura e oralità). L’imperfetto è in espansione, e si presta a varie modalità d’uso: fantastico (potevamo uscire, poi magari pioveva), ipotetico (se me lo dicevi, non andavo), potenziale (doveva essere qui dieci minuti fa), ludico (facciamo che io ero la guardia e tu il ladro), di cortesia (volevo un chilo di mele), epistemico (ordinavamo di sicuro il pesce, ma c’era solo il vitello). Si contraggono gli usi del futuro, sostituito dal presente anche per indicare azioni lontane nel tempo (tra due anni vado in pensione), e resta il futuro epistemico (come tutti saprete, domani è festa; quell’attrice sarà sulla quarantina). Il congiuntivo si riduce, ma solo in alcune costruzioni: mi pare che stai meglio, e nelle ipotetiche (se venivi, ti divertivi): altri usi sono marcati negativamente in diastratia, e dunque giudicati come non grammaticali dai parlanti (italiano popolare). Si usano le forme interrogative com’è che e come mai al posto di perché; molti riempitivi come quello che è, viene a essere, a livello di, di tipo, ecc., e molti verbi con il clitico -ci: averci, starci, crederci, entrarci, contarci, capirci. Il che polivalente assume valore causale (muoviti che fa freddo), temporale (mi sono svegliato che era tardi), finale (dai che ce la fai), consecutivo (vai avanti tu che sai la strada), e può essere anche usato con un clitico (è un problema che non se ne esce). Assai importante è la presenza di sovvertimenti del normale ordine sintattico Soggetto-Verbo- Oggetto, con spostamento in posizione enfatica del tema (elemento noto) o del rema (elemento nuovo). Le tematizzazioni sono la dislocazione a sinistra (il giornale, lo compra Marco) e il tema sospeso, o nominativo assoluto (il traffico, oggi non c’era nessuno per strada), oppure la forma dell’anacoluto (chi pecora si fa, il lupo lo mangia). Per evidenziare invece il rema, appiamo la dislocazione a destra (lo compra Marco, il giornale), la topicalizzazione contrastiva (il giornale compra Marco, non il pane!), la frase scissa, mutuata probabilmente dal francese (è lui che mi ha picchiato) e infine il c’è presentativo (c’è il presidente che la cerca al telefono). In queste due ultime costruzioni si creano relative non indispensabili (note appunto come pseudorelative). Norma e uso. La difficoltà nel dominare lo standard origina variazioni e un proprio idioletto, fatto anche di tic linguistici, usi preferiti, lessico più frequente, ecc. Ma sono consentiti usi (e abusi) senza regola oppure esiste un metro di giudizio? C’è una norma, o più di una? Che cosa deve essere considerato errore? La scuola è stata deputata all’insegnamento di un modello linguistico, attraverso i classici e vetusti esercizi di analisi grammaticale e analisi logica, oppure con pensierini e poi temi. Ma le rigide catalogazioni e l’apprendimento non attivo hanno scarso valore per la competenza linguistica; inoltre, il repertorio dell’analisi tradizionale non ha base scientifica, ma è stato costruito nei secoli attraverso successive stratificazioni compiute dai grammatici. Luca Serianni nota comunque che, malgrado la presenza di variazioni, prevale l’elemento unificante, la varietà dell’italiano comune: quello dei parlanti colti, in circostanze non troppo informali. Tale varietà si oppone all’italiano letterario ed è descritta da Serianni nella Grammatica italiana (1988, 20002), contenente un glossario e la soluzione a dubbi linguistici (oggi tale ruolo è svolto dal foglio periodico pubblicato dall’Accademia della Crusca). Altra grammatica di riferimento è la Grande Grammatica Italiana di Consultazione, realizzata da Renzi-Salvi- Cardinaletti negli anni 1988-95 in tre volumi, secondo i principi della grammatica generativa. La natura prescrittiva dell’italiano è dovuta a motivazioni storiche: esso non nasce come frutto del consenso dei parlanti, bensì come scelta basata sull’esempio dei letterati (separazione della “farina” dalla “crusca”). La scuola, di conseguenza, si è tradizionalmente battuta contro la variabilità, il parlato, l’italiano regionale, il dialetto, difendendo il conformismo linguistico attraverso correzioni anche superflue (ora posso dormire tranquilla -> tranquillamente), abituando gli allievi all’eufemismo e alla perifrasi, contro la parola schietta.
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