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La visione della vita nella poesia di Sandro Penna, Tesi di laurea di Letteratura Italiana

In Penna “vedere” la vita significa “amare” la vita. L’occhio poetico, infatti, conduce a scorgere ciò che esiste oltre la superficie; è una visione innocente e genuina, che riesce a liberare la vita di ciò che l’opprime e la scolora, per rivelarne solo l’autenticità. Penna identifica il poeta “puro”; coglie i dettagli, le incrinature e i rilievi della vita, e li trasforma, attraverso l’arte poetica, in sfumature di luce e di colore.

Tipologia: Tesi di laurea

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Scarica La visione della vita nella poesia di Sandro Penna e più Tesi di laurea in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! 1 Ai miei genitori 2 Amare è l’eterna innocenza, e l’unica innocenza, non pensare... (Fernando Pessoa) 5 componimenti scritti tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’50, riuniti nella raccolta Poesie. Non mancano, in definitiva, i giudizi e le ricerche approfondite di alcuni studiosi dell’opera, che rappresentano un notevole contributo alla conoscenza dell’universo poetico dell’autore . 6 Capitolo 1 Sandro Penna: l’essere – poeta. 1.1 La vicenda del poeta nella storia del suo tempo. In questa sede si tenta di inquadrare la figura del poeta perugino dall’iniziale ambito sociale e letterario della Roma dagli anni ’30, anni che precedono di poco il suo esordio poetico, fino al termine della sua carriera, quando sceglie di “ibernarsi” nella sua modesta dimora; Roma lo ospiterà fino alla fine e a questa città il poeta si legherà indissolubilmente, dopo aver creato forti legami di amicizia con le maggiori personalità del tempo. In effetti, il periodo in questione rappresenta forse uno dei momenti più fecondi della cultura italiana di tutti i tempi, marcato dagli eventi bellici mondiali. Lungi dal voler inserire il nostro poeta in una delle correnti letterarie che ha animato il XX secolo, «perché la sua cultura sembra innata, lo fa vivere al di là e al di qua della comunità storica, e quindi anche della tradizione poetica», come ha affermato A. Berardinelli1, le diverse antologie di letteratura italiana e diversi studiosi hanno ascritto il nome di Sandro Penna tra gli esponenti di quella linea che è stata definita negli anni ’50 “antinovecentista”, al fianco di Bertolucci e di Caproni, ispirata all’impressionismo o al realismo e che trova nella figura di Umberto Saba il suo capostipite. Tale filone è stato definito in 1 , A. Berardinelli, Penna o l’altrove, in «Linea d’ombra», maggio 1992, poi in id. La poesia verso la prosa, Torino, Bollati Boringhieri, 1994, pp. 147 – 155. 7 opposizione alla tradizione dominante dell’epoca, detta “novecentista” e che include l’Ermetismo, il culto della poesia pura, le tendenze simboliste e il soggettivismo. Diversamente da quanti sono consapevoli della propria estraneità alla poetica novecentista, come Saba2 che rivendica la propria originalità, Pavese che ha assunto il realismo in chiave polemica, e Noventa attraverso l’uso del dialetto, contro il linguaggio iperletterario di alcune riviste ermetiche, Penna è lontano da qualsiasi intento critico e ha sempre sostenuto fin dall’inizio la mancanza di qualsiasi velleitarismo letterario. In una lettera al suo amico Acruto Vitali, datata 13 febbraio 1928, scrive: […] non sono come credevi, lontano dalla poesia, e mai lo potrò più essere, poiché in me la passione è allo stato puro, ne è imbevuta tutta la mia anima, e non mira alla, ahimè comune, mania letteraria.3 e in un appunto ritrovato fra le sue carte del 1928 : […] amo soprattutto i poeti che non hanno voluto fare del loro nome una parola universale, amo i poeti che nessuno di noi conosce. Fra gli altri, fra i celebri, amo chi più si è avvicinato alla rinuncia dell’arte: e solo ha commesso il tradimento verso gli uomini di scrivere ugualmente … 4 2 Cfr. U. Saba, Storia e Cronistoria del Canzoniere, Mondadori, Milano, 1948. 3 S. Penna, Confuso sogno, (a c. di Elio Pecora), Garzanti, Milano, 1980, p. 151. 4 Ivi, p. 142. 10 sua originalità consiste nel modo in cui ha saputo conciliare classicismo e modernismo, nell’ambito di una poesia “metafisica” e nel recupero dell’ allegorismo dantesco. Proprio il grande poeta, che Penna avrà l’occasione di conoscere in un suo viaggio a Firenze, si adopera con interesse per la pubblicazione di un primo fascicoletto di poesie penniane che sarebbe uscito nel ’35; nasce, tra i due, una reciproca stima e Penna confida molto nelle capacità critiche del suo collega. Esistono tra i due poeti, così diversi («uno metafisico, l’altro fisico»)10, non tanto delle affinità o delle analogie, quanto delle reciproche influenze e anzi, Cesare Garboli11 ha fatto nascere il sospetto che nei Mottetti Montale si sia “servito” di qualche immagine in stile penniano che si lega al motivo del desiderio. Il legame tra i due poeti si spegne di fronte all’impossibilità di pubblicare le prime poesie di Penna, troppo scabrose per la censura. Manca, invece, la fiducia verso le riviste e i primi critici (ermetici), i quali hanno già inserito Penna tra “i leggiadri e gli anomali”: per questo il poeta si sente incompreso, teme che si parli di lui per il solo aspetto sensuale e per la sua vena erotica. Il timore negli anni a venire diventerà un fatto vero il quale lo accompagnerà per tutta la vita, anche se, in Stranezze, dichiarerà12: 10 C. Garboli, Penna, Montale e il desiderio, Mondadori, Milano, 1996, p. 27. 11 Ibidem. 12 Tutte le citazioni delle poesie di Penna si faranno seguendo la più recente e definitiva edizione; Poesie, Garzanti, Gli elefanti, Milano, 1989. Esclusa dal volume è la raccolta di poesie giovanili Confuso Sogno op. cit. Infine, si fa riferimento ai racconti inclusi in: Un po’ di febbre, Garzanti, Milano, 1994. 11 «Poeta esclusivo d’amore» m’hanno chiamato. E forse era vero. Ma il vento qui sull’erba ed i rumori non sono anch’essi amore? Sotto nuvole calde non sono ancora i suoni di un amore che arde e più non si allontana?13 . Intanto, Penna inizia a frequentare le prime gallerie d’arte e per primi conosce Mafai e l’intenditore d’arte, Enzo Dalla Chiesa. Annota qualche bilancio: In ogni momento della mia vita trascorsa avrei voluto trarne storia, poesia, qualcosa di reale che rimanesse. E invece non mi troverò, nelle migliori delle ipotesi, che nudo di fronte al sole che mi asciugherà per farmi nuovo.14 Sono gli anni dei suoi vagabondaggi senza tempo, visita Trieste, Genova, Venezia, Milano, Napoli e la Ciociaria. Rimane affascinato da ogni luogo, vive momenti di incanto e di tristezza, e ne fa motivo di poesia. Infine, Roma, di cui scrive ad un amico, gli appare «un paradiso sulla terra», ma anche «la più angosciosa delle città».15 13 S. Penna, Poesie, Garzanti, Milano, 1977, p. 344. 14 E. Pecora, Una cheta follia, Frassinelli, Milano, 1984, p. 146. 15 Ivi, p. 157. 12 La stagione del «nuovo realismo»16 ha avuto inizio con la pubblicazione degli Indifferenti (1929) di Alberto Moravia, sarà contrastata dal “realismo magico” di Bontempelli (oltre che della scrittrice Anna Maria Ortese, che condivide con Penna la scelta della povertà come rivolta contro il mondo) e dalle influenze proustiane degli scrittori di «Solaria», rivista letteraria più in voga. Nel clima sinistro della guerra, il “nuovo realismo” si risolverà nella più radicale corrente del «Neorealismo», mossa dalla denuncia delle ingiustizie sociali, la quale diventerà portavoce delle esigenze del popolo attraverso le sue manifestazioni artistiche per perseguire l’obiettivo di una “nuova cultura” che avrebbe inciso sulla società. Protagonisti del Neorealismo sono Pratolini, Pavese, i Malavoglia di Verga, Vittorini, Italo Calvino e il primo Beppe Fenoglio, ma la nuova corrente darà i suoi frutti migliori nel cinema di Rossellini, di Visconti e di De Sica. Penna si avvicina alla poetica neorealista per l’attenzione di questa verso le cose umili; i personaggi delle poesie dell’autore sono uomini del popolo, i luoghi spesso marginali o affollati (osterie, officine, sale buie dei cinematografi, piazze, ecc.). Manca, a differenza dei neorealisti, l’auspicio in un cambiamento sociale e culturale che sarebbe dovuto avvenire attraverso la letteratura e il cinema. In uno dei suoi saggi, Cesare Garboli ha dichiarato: 16 Cfr. R. Luperini, P. Cataldi, L. Marchiani, La scrittura e l’interpretazione. Storia e antologia della letteratura italiana nel quadro della civiltà europea. Dall’Ermetismo al Postmoderno (dal 1925 ai giorni nostri), vol. 6, tomo I, 2008. 15 unisce un’immensa stima reciproca, la passione per la poesia, l’amore per i ragazzi e il destino di “condannati”. Penna così racconta: Lui, che allora abitava a Monteverde, veniva giù in bicicletta la mattina presto, tutti i giorni, saliva le scale di corsa con la bicicletta sulle spalle e fino alla sera tardi insieme, sempre insieme. Ci separavamo giusto il tempo di dormire. Facevamo una vita divertente, spensierata.22 In compagnia della Morante e, a volte, di Bertolucci, i due amici-poeti vagano per le strade delle borgate romane, alla ricerca di qualche ragazzo da ammirare. Il “gossip” era il loro passatempo preferito, non discorrono mai di letteratura, sapendo che Penna non è adatto a questo tipo di cose. Pasolini, spinto dalla sua energica ammirazione verso il poeta perugino, sarebbe diventato il suo primo sostenitore, il poliedrico scrittore ha scritto pagine memorabili su Penna, sovvertendo le letture che in precedenza ne hanno riconosciuto solo il candore e la semplicità23, attraverso la costatazione che la sua poesia nasce da un dolore e da un trauma, che il poeta ha sensibilmente vissuto nella realtà storica del suo tempo. Una simpatia, quella di Pasolini, che, secondo Alfonso Berardinelli, si sarebbe convertita in “inquietudine” nei confronti della sua completa diversità, nel cercare ad ogni costo, nella poesia penniana, cenni di una lotta contro i moralisti, di cui Penna non 22 Ivi, p. 137. 23 Il riferimento è ai suoi primi critici: Luciano Anceschi e Sergio Solmi. 16 si è mai curato. A maggior ragione giacché per Penna «l’omosessualità è un privilegio»24, il privilegio di vivere nella giovinezza dei fanciulli, proprio perché essa rappresenta «questo perenne amare i sensi e non pentirsi» (Forse la giovinezza è solo questo v.2)25. Quei “ragazzi di vita” che appartengono al popolo, diventano nella poesia di Penna divini, angelici, epifanici, sono forse gli stessi che gli hanno portato via il suo più grande ammiratore. Nel ’57 è assegnato a entrambi il Premio «Viareggio»; a Penna per la raccolta Poesie e a Pasolini per Le Ceneri di Gramsci. Ciò ha scatenato un acuto dibattito tra la stampa, i giudici e la critica; non sono mancati commenti irrisori e oltraggiosi soprattutto verso Penna, per cui quel premio sarebbe una “vergogna” di fronte all’ Italia intera. A sua difesa sono intervenuti Antonio Debenedetti e Giuseppe Ungaretti che, a differenza degli altri giudici, hanno assegnato il premio alla sua poesia e non alla figura di Sandro Penna, “pederasta”. Pasolini, invece, rifiuta il premio, con il suo tipico estro da ribelle, non potendo accettare che il premio, secondo lui, immeritato, sia stato concesso anche ad Alberto Mondadori (per i versi di Quasi una vicenda). Il legame con Elsa Morante è “infrangibile”, escono spesso insieme: per le cene da Pallotta a Ponte Milvio, per le gite al lago di Bracciano, per il gelato al Gianicolo, ecc. Elsa è la sua confidente e lui il suo “maestro”, tanto da trasformare alcune poesie di Penna in racconti, compresi nello Scialle Andaluso. Con Dario Bellezza il rapporto non è facile, anzi tempestoso e pieno di contraddizioni, forse 24 La citazione è di Andrè Gide, Penna se ne servirà per spiegare cos’è per lui l’ omosessualità. Cfr. E. Giannelli, op. cit., p. 32. 25 S. Penna, op. cit. p. 239. 17 ostacolato dalle dicerie di Elsa che lo “odia”; Dario non nega mai la sua ammirazione verso il poeta, ma ha avuto giudizi sempre diversi riguardo alla sua poesia perché, afferma: «quando la conoscenza del poeta si aggiunge a quella della sua poesia, la prospettiva cambia…»26. È la fine degli anni ’60, Penna incontra gli intellettuali del cosiddetto Palazzo Letterario, grazie alla sua amicizia con Pasolini e la Morante, senza mai frequentarli, nutre verso loro solo sporadiche simpatie. Nel corso della sua vita Penna ha avuto diversi estimatori, che apprezzano la sua poesia perché nasce da un istinto primordiale, senza lunghe meditazioni, scritte tutte d’un fiato. Tra questi, oltre ai lettori, soprattutto scrittori, critici, letterati e artisti, come lui. Ed è forse questo uno dei più grandi riconoscimenti che un poeta possa mai ricevere, l’essere amato da chi, nella storia della letteratura, è stato “più grande” di lui, perché dichiara in una intervista Dario Bellezza: Sai cosa aveva Penna, che molti di noi non hanno? Una felicità assoluta nell’affascinare la gente. Lui, se lo conoscevi, riusciva ad affascinarti: che è un dono rarissimo. […] Questo non depone mica della grandezza di Penna, ma è un tratto dell’uomo. 27 26 D. Bellezza, Penna e Pasolini, in «Nuovi Argomenti», n. 51-52, 1976. 27 G. De Santi, Penna, Il Castoro, Firenze, 1982, p. 9. 20 nostalgia, nella noia, nella riflessione di quel cosmo che non ha ancora sperimentato. La sete di conoscenza non gli permette più di rimanere prigioniero delle mura domestiche, sente viva in lui la necessità di evadere e di conoscere, con l’occhio di osservatore attento a scorgerne anche i più lievi mutamenti, l’incanto della natura e le esistenze del popolo, senza mai liberarsi da quelle angosce e dai quei tormenti sempre più assillanti. I suoi versi si schiudono all’improvviso, senza contemplazioni, perché il giovane scrittore presta orecchio alle parole di D’Annunzio: «I versi sono nell’aria, bisognerebbe solo cercarli. [...] I poeti veri non devono avere coscienza, non devono mettersi a tavolino e dire “scrivo una poesia”.»32 Ecco che sull’orlo di un giornale, ritrova, dopo un tempo indecifrabile, i versi di La vita… è ricordarsi di un risveglio,33 una delle sue prime poesie. Scritta al buio, «perché era estate e se accendevi la luce entravano le zanzare» (racconta in un’intervista)34. Le ha dato il titolo «Sensazioni», nell’urgenza di afferrare quell’emozione fuggevole che il sogno gli ha regalato. Eppure, nemmeno la visione di una natura amica e inviolata in cui cercare un rifugio, in quella sempre più urgente ricerca di un attimo di serenità, di liberazione dalle pene, se a un tratto scrive: 32 A cosa servono i poeti?, Youtube video, ‘3:32, postato da dinieghista, 08/07/2012. http://www.youtube.com/watch?v=TqFHE1Wej_M. Il video è tratto dal film di montaggio In Cerca della Poesia. Tracce e indizi. (dalla serie Alfabeto Italiano, Cineteca Rai), regia di G. Bertolucci, Italia, 1999. 33 Essa apre la prima raccolta di poesie pubblicata nel 1939 con il titolo Poesie, presso l’editore Parenti. 34 A cosa servono i poeti?, cit. 21 «ma effimero é alle cave ansie il sole che ami» (Falsa Primavera vv. 7-8)35 in cui il quel “cave” dà il senso della profondità e della lacerazione e l’aggettivo “effimero” è indice della rassegnazione del poeta di fronte al proprio dolore, che si risolve in disperazione, in una totale mancanza di fiducia in se stesso e nelle proprie azioni. La natura anzi, instaura un rapporto simpatetico con il poeta; la poesia Mi avevano lasciato solo, così dice: Mi guardavano muti meravigliati i nudi pioppi: soffrivano della mia pena: pena di non saper chiaramente… (vv.4-8)36 La sua personalità rimane per sempre segnata da uno stato di perenne incertezza: se, da un lato, la sua sensibilità non concede un minuto di pace alla sua anima, dall’altro, il giovane Sandro Penna è costantemente alla ricerca di quello stato di «ebbrezza» che è «la vera finalità di ogni anima ricca»37, una forza vitale che avrebbe condotto il poeta a superare qualsiasi ostacolo, anche sentimentale. Una tensione dello spirito che lo 35 S. Penna, op. cit., p. 21. 36 Ivi, p. 4. 37 S. Penna in E. Pecora, Una cheta follia, cit. p. 75. 22 avrebbe portato a cogliere gli attimi fuggevoli, gli oggetti, le azioni, troppo spesso taciuti dalla morale o semplicemente ignorati dall’uomo “normale”, che ora si facevano motivo di poesia. Gli orinatoi, con i loro odori, l’onanismo, gli atti celati dal buio delle platee nei cinema, la folla dei sobborghi, i cimiteri e l’eros dei fanciulli, ecc. Tutto questo viene rivelato nel suo bisogno di brevità, Penna predilige una forma chiusa, a tratti epigrammatica, che ha fatto pensare al «Pantùm indonesiano»38, per far esplodere il concentrato di emozione che sottende ad essa e agli «hai-kai» giapponesi a struttura fissa39. Ciò ci fa presumere la conoscenza, da parte dell’autore, di una certa cultura orientale, ma anche greca e persiana, in cui è vivo il mondo delle piccole cose che celano l’infinità del cosmo: una sapienza assorbita dallo stesso Penna. Natalia Ginzburg, nella Prefazione al Viaggiatore Insonne, scrive: Non chiese mai la felicità, ma di essa solo briciole e centesimi, avendo la facoltà di contemplare, nelle briciole e nei centesimi, l’infinità dell’universo e il senso della vita umana e da simile sua facoltà, pervenne a noi […] il dono della sua poesia.40 Un aspetto ribadito anche da Pasolini, che coglie nei suoi versi il particolare naturalistico visto unicamente «in funzione 38 P. V. Mengaldo, in Poeti Italiani del Novecento, Mondadori, Milano, 1978, p. 735. 39 G. Finzi, in Poesia in Italia, Mursia, Milano, 1979, pp. 103-4. 40 N. Ginzburg, Prefazione a Viaggiatore insonne, cit., p. 10. 25 E non lo dice il nuovo sole.47 Qui si rivela l’ “eterna vita”, che è la vita di tutti, la vita di sempre, prima e dopo la liberazione dalla pena, «pena di non saper chiaramente…» , di non riuscire a raggiungere la verità delle cose. Lo assale un dubbio, alla vista di un operaio che lavora nella sua officina: il poeta si chiede, quindi, qual è la vita vera, se quella spirituale del poeta o quella “comune” dell’operaio. Esiste tra il poeta e i protagonisti della vita, dei suoi testi, un rapporto di assoluta parità. Egli non è povero, ma predica la miseria, perché nutre verso gli umili lavoratori un sentimento di amore «evangelico», lo definisce Dario Bellezza, con una suprema umanità dello spirito di chi sa condividere «l’odore casto e gentile della povertà».48 In una poesia scrive: Eccoli gli operai nel prato verde a mangiare: non sono forse belli? Corrono le automobili d’intorno, passan le genti piene di giornali. ma gli operai non sono forse belli?49 47 S. Penna, op. cit., p. 38. 48 Ultimo verso della poesia Ero per la città, fra le viuzze, in S. Penna, op. cit., p. 52. 49 S. Penna, op. cit., p. 46. 26 Le automobili e i giornali sono i simboli della classe borghese, dalla quale Penna si è sempre tenuto lontano, ne è testimone la sua incapacità ad adattarsi alle norme del lavoro e alle regole sociali. Penna si sente liberato da certe costrizioni, le «aride parole» svaniscono di fronte ad un’illuminazione, cattura uno scorcio di vita che gli appare un dono divino: Esco dal mio lavoro tutto pieno di aride parole. Ma al cancello hanno posto gli dèi per la mia gioia un fanciullo che gioca con la noia.50 (in Poesie, p.37) Essendo vissuto nell’era dell’imperialismo e della conseguente alienazione, che ha ridotto gli uomini a mezzi, Penna riesce ad estraniarsi da questa, a trovare in se stesso la strada che lo porta a nutrire solo rapporti autentici con il popolo, necessari alla sua vita. Come afferma Massimo Raffaeli, Penna ha volontariamente rifiutato la «megastoria»51, quella del fascismo e della borghesia, per dedicarsi alle storie della gente e della loro “eterna vita”. Emerge l’aspetto “popolare” della sua poesia, incurante dei traumi, delle denunce, delle tragedie che il mondo sta vivendo in pieno regime fascista, tanto da far “urlare” Pasolini, in uno dei 50 S. Penna, op. cit., p. 37. 51 M. Raffaeli, Sei nella voce di un treno lontano nella notte, in «Il Manifesto», 30 dic. 1980. 27 saggi52 dedicati alla raccolta di prose penniane, Un po’ di febbre (1973): «Che paese meraviglioso era l’Italia durante il periodo fascista e subito dopo!». Penna lascia che il fascismo gli passi accanto senza sfiorarlo, nulla gli importa al di fuori dell’esistenza del popolo, quel popolo che continua imperterrito a condurre la propria esistenza. Si fa strada nei suoi testi un sobrio realismo senza intenti poichè Penna non nutre propositi di cambiamenti. La poetessa Amelia Rosselli in un articolo pubblicato nel 1970, celebra Penna come «il più socialista e popolare dei nostri poeti»53, per la sua capacità sul piano stilistico, di unire rime alterne e baciate, a frasi da vecchie antologie, a “solari immagini e invenzioni”, così da diventare assolutamente semplice e leggibile, e i suoi lettori hanno colto appieno questa particolarità. Se, da un lato, Pasolini ha scovato nei suoi versi elementi che hanno fatto pensare ad una prospettiva pre–neorealista, dall’altro la Rosselli evidenzia come, nei versi penniani, manca quella tensione rivoluzionaria tipica della stagione neorealista e scrive:«La sua poesia si salva per questa aperta e veritiera non pretesa di essere altro da quello che nel fondo è»,54 ovvero una poesia d’amore. La validità di questa riflessione è testimoniata dallo stesso Penna: La semplice poesia forse discende 52 P. P. Pasolini, Sandro Penna: «Un po’ di febbre», in «Il tempo», 1973. Poi in Scritti Corsari, Milano, Garzanti, 1975, p. 143. 53 A. Rosselli, Sandro Penna, in «L’Unità», 1970; poi con il titolo Per Sandro Penna, in «Nuovi Argomenti» n. 20, 1970. 54 Ibidem. 30 Tra la vita e la poesia esiste un rapporto “osmotico”, di reciproca influenza e di scambio di elementi, la poesia di Penna è quella di un trasparente seppur complesso amore per la vita. Non a caso, il suo “canzoniere” inizia con la Poesia La vita... è ricordarsi di un risveglio, termina con un’ altra, in cui centrale è il verso «Un lieve sogno la vita...», contenuta in Stranezze, la raccolta della consapevolezza, in cui si è ormai affievolito il concetto rimbaudiano di “deragliamento dei sensi”. Ciò testimonia la struttura ciclica della raccolta penniana, che ricorda l’eterno ripetersi degli eventi e dei fenomeni, di cui si è parlato in precedenza. È il tempo in cui è sfiorita l’amata giovinezza, che vive ancora attraverso l’immagine idealizzata di sé, come di un fanciullo che passeggia per le strade: L’amore di sé stessi non è forse un sogno vissuto ad occhi aperti per le strade?62 La sua poesia resta sempre costantemente lacerata da infinite contraddizioni. Penna oscilla ancora tra malinconia e serenità, euforia e sofferenza, appagamento dei sensi e coscienza di una giovinezza ormai remota. La seconda sezione di Stranezze riporta questa poesia: Arso completamente dalla vita io vivo in essa felice e dissolto. 62 S. Penna, op. cit., p. 420. 31 La mia pena d’amore non ascolto più di quanto non curi la ferita.63 Ma il poeta non si ferma nemmeno di fronte alla certezza che la fine è alle porte, se ancora una volta invoca: «ricordati di me dio dell’amore», verso che termina l’ultima poesia di Stranezze, posto, altresì, a conclusione della raccolta di prose Un po’ di febbre. Nella sua invincibile tensione a trovare un motivo per amare, amare la vita s’intende, Penna rivendica ancora la funzione di osservatore attento, quella che Antonio Iacopetta chiama «ossessione scopica»64, permette al poeta di catturare ancora i fenomeni e le vicende del mondo e di trasformarli in poesia, nella ricerca costante di un attimo di felicità: Sempre affacciato a una finestra io sono, io della vita tanto innamorato. Unir parole ad uomini fu il dono breve e discreto che il cielo mi ha dato. 65 63 S. Penna, op. cit., p. 365. 64 A. Iacopetta, op. cit., p. 73. 65 S. Penna, op. cit., p. 373. 32 1. 3. Notizie biografiche e bibliografiche. Sandro Penna nasce a Perugia il 12 giugno 1906. L’adolescenza del giovane Sandro è minata dai numerosi litigi tra i genitori, con suo padre Armando, vive un rapporto privo di vitalità e per questo soffre molto. Nonostante ciò, non viene meno il suo aiuto nel “bazar” del padre, dove tra un libro di Rimbaud e un’annotazione sul suo “bianco taccuino”, riesce a vendere tre saponette al prezzo di una. In estate, la famiglia Penna è solita frequentare la meta marittima di Porto San Giorgio, durante una delle loro vacanze Sandro conosce Acruto Vitali, con cui manterrà un rapporto d’amicizia tenero e duraturo. L’amico coinvolge Sandro nelle sue letture: Proust, Verlaine, Cocteau e infine Rimbaud. Il poeta è così travolto da tali conoscenze, di tono “maledetto”, tanto da farsene influenzare nelle sue prime scelte poetiche. Vive nel capoluogo umbro fino all’età di 23 anni, quando, conseguito il diploma di ragioneria, decide di raggiungere la madre a Roma, dove la donna si è trasferita da tempo con la figlia minore Elda, a causa delle incomprensioni con il marito. È il 1929, Roma apre le porte al poeta perugino, per mettere a frutto i suoi progetti artistici e creare una rete intricata di rapporti sociali. Penna soffre di disturbi della psiche e nel ’32, inizia a frequentare il dottor Weiss, rinomato psicanalista del tempo. Proprio attraverso Weiss, Penna ha l’opportunità di incontrare Umberto Saba (anch’egli in cura), a cui recita una delle sue poesie che, in precedenza, il poeta perugino gli aveva inviato 35 delle poesie consta di ben quarantatre componimenti che il poeta ha escluso dalle precedenti opere, pur piacendogli 68. I rapporti con la madre si fanno sempre più tesi. Essendo anch’egli malato, Penna non ha la possibilità di darle un ultimo saluto, rifiutando di assisterla in ospedale. Spariva colei che aveva più amato e per la quale aveva più patito e desiderato, perciò finiva anche la più stretta prigionia, l’assillo più grave, la presenza più necessaria.69 Gli anni sessanta non sono tra i più rosei per il poeta. Alla sua fama crescente si contrappongono le deboli condizioni di salute e le gravi difficoltà economiche, tanto da indurre Natalia Ginzburg a convincere Garzanti a versargli un’esigua somma mensile e «Paese Sera» promuove una coletta a suo favore. Nel frattempo Garzanti pubblica il volume Tutte le poesie (1970), che racchiude le raccolte edite fino a quel momento e due altre sezioni: la prima, Giovanili ritrovate, scritte tra il ’27 e il ’36; la seconda, Altre, raggruppa versi risalenti agli anni ’36- ’57. L’opera gli vale il premio «Fiuggi». Nel ’73 viene pubblicata, presso lo stesso editore, l’unica raccolta di prose, Un po’ di febbre: brevi racconti scritti tra il ’39 e il ’41 apparsi a quel tempo su rivista. Penna affida a Cesare Garboli un gruzzoletto di versi inediti, scritti tra il ’57 e il ’76. Esce così la raccolta garzantiana intitolata Stranezze. 68 Ivi, p. 198. 69 Ivi, pp. 201-202. 36 Negli ultimi tempi il poeta limita le sue uscite, che spesso avvengono di notte, a causa dell’insonnia. L’incontrollato uso di tranquillanti e sonniferi non gli procura alcun sollievo e nelle ore di veglia, intrattiene rapporti sul filo del telefono per raccontare le sue angosce agli amici più fidati. Passa le ore nello smisurato disordine della sua casa, attorniato da oggetti per lui preziosi e da quadri comprati e mai venduti70. Enzo Giannelli così afferma: Forse aveva torto Pasolini nell’aver trovato in Sandro Penna un santo? No. Anche i santi sono uomini tra gli uomini. Caso mai capitasse di incontrarne uno.71 Sandro Penna si spegne nella notte tra il 21 e il 22 gennaio 1977, nella sua casa in via Mole dei Fiorentini. 70 Nel film Umano non umano Penna è ripreso nella stanza di sua madre circondato da innumerevoli quadri di De Pisis, Carrà, Schifano e tanti altri, che testimoniano la sua attività di mercante d’arte e la sua attenzione verso le coeve correnti artistiche. Umano non umano, regia di Mario Schifano, Mount Street Film, Italia, 1971. 71 E. Giannelli, op. cit., p. 13. 37 Capitolo 2 Oltre “i fanciulli”: la realtà vista dagli occhi di un poeta. 2.1. Alla ricerca della totalità dell’universo. Nel corso del tempo il “canzoniere” penniano è stato tacciato di «monotematismo»72, avendo esso come tema portante quello erotico – amoroso, intorno al quale si sviluppa una rete intricata di temi, immagini e motivi, correlati l’uno con l’altro e che collaborano con il poeta nel chiarire la propria visione del mondo e dell’esistenza. Penna è stato definito «il polinesiano»73, il santo, il «Maestro di Zen»74, il barbone della poesia del ‘900, la cui missione è «unir parole a uomini», creare un legame tra il proprio universo interiore e il mondo esterno per far conoscere un intimo messaggio, il suo intenso “bisogno vitale” e lo fa attraverso la poesia. Ogni poesia di Sandro Penna cela il bisogno di unirsi alla totalità dell’ universo, di fondersi con la natura, raffigurata dalle entità cosmiche: il mare, la terra, il cielo e la luce, per raggiungere la liberazione della propria interiorità e porre fine, anche se per un attimo, ai suoi affanni. Pasolini nota, a tal proposito, che: «Ogni accenno naturalistico poi, per la stessa qualità dello stile, si configura come 72 A. Iacoppetta, Sandro Penna, cit., p. 35. 73 A. Giuliani, Sandro Penna: poesie, cit., p. 59. 74 E. Pecora, Postfazione a Confuso Sogno, cit., p. 144. 40 Il termine “vita” apre la prima poesia della raccolta e chiude l’ultima: Un altro mondo si dischiude, un sogno, nel verso «Un lieve sogno la vita...», che rivela la “circolarità” del canzoniere penniano, che si evince anche all’interno di uno stesso componimento; nella prima poesia, per esempio, viene ripetuto il verbo «ricordarsi» e l’avverbio «fuori». L’iterazione è, infatti, una delle strutture dominanti nell’apparato poetico penniano, essa indica una precisa visione dell’esistenza, in cui il poeta sceglie pochi elementi costitutivi per muoversi in uno spazio limitato, che oppone al mondo esterno. Essa è sinonimo di immutabilità tematica, ritorno ed eternità, e si lega al mito dell’Eterno Ritorno78; in questo il principio e la fine ritornano ininterrottamente e il poeta, consapevole di questo, sa che l’esistenza gli farà rivivere la gioia e la dolcezza, per un attimo annerite. L’iterazione riesce, così, a colmare quel “bisogno vitale” di cui si nutre l’animo del poeta e anzi, diventa legge di vita: Ma un tumulto di vita in me ripete antica vita. Più vivo di cosi non sarò mai.79 (La luna di settembre su la buia vv. 7-8-9) 78 Cfr. G. Di Fonzo, Sandro Penna. La luce e il silenzio, Ed. dell’Ateneo, Roma, 1981, p. 121. 79 S. Penna, op. cit. p. 87. 41 Nella prima poesia della raccolta, l’epifania finale, la visione del marinaio che rivela l’amore, fa sì che il poeta riesca ad attingere alla Totalità del cosmo. Allo stesso modo avviene nella seguente poesia che rappresenta, come lo stesso autore afferma, «la descrizione di un ragazzo al fiume»80. Qui è il “fanciullo divino” a figurare come emblema della comunione tra l’io e l’universo: Ecco il fanciullo acquatico e divino. Ecco il fanciullo gravido di luce. Più limpido del verso che lo dice. Dolce stagione di silenzio e sole è questa festa di parole in me.81 L’avverbio ripetuto nei primi due versi intensifica l’attimo fuggevole in cui avviene l’apparizione “divina”; come in un miracolo, il fanciullo nasce dalle acque del mare (luogo dell’origine di ogni cosa) immerso nella luce. L’immagine si spezza nel terzo verso, in cui chiarisce la funzione della poesia: custodire, attraverso la parola, almeno un frammento di quell’istantanea illuminazione. Ora, il poeta può godersi la sua «festa di parole». Infatti, solo il poeta riesce a “catturare”, attraverso la poesia, quell’istante, quel breve attimo di vita vera, 80 Umano non umano, regia di Mario Schifano, cit. 81 S. Penna, op. cit., p. 162. 42 in cui si verifica «la comunione perfetta fra tutte le cose»82. A proposito della poesia, l’autore afferma: So bene che troppo spesso non si vorrebbe scrivere nel momento in cui il senso è padrone di tutta la nostra persona, ma si dovrebbe fare per un dovere per un sacrificio che ci darà poi la sua ricompensa! 83. E se la poesia nasce per caso come «cala al viaggiatore [ ... ] la mano sulla spalla di un ragazzo», essa aiuterà il poeta a «lanciare la sua forza a perdersi nell’ infinito». In un appunto del 1930, riferendosi ad un verso di Verlaine: «La vie est là, paisible et calme» (la vita è lì, calma e tranquilla), l’autore conferma la “diversa” sensibilità che conduce i poeti verso la conoscenza della vita vera. Penna cosi dichiara: «siamo più intelligenti degli altri? Sì, e allora adoperiamoci a cercare la felicità, che se non esiste completa, esiste certamente in un certo modo.» 84 Ritornando alla poesia analizzata, l’anima del poeta viene travolta dalla “fisicità” dell’evento: il poeta riesce a cogliere l’immediatezza di certe visioni per materializzarla in parola, che, come dice il critico De Santi, «in luogo di narrare, coglie»85. Lo sguardo del poeta si perde, ora, nella “freschezza” del colore del mare, su cui il poeta dipinge quasi tutte le sue albe. Sia il mare «fresco di colore», o «mare sonoro», con la sua «chiara 82 S. Penna in E. Pecora, op. cit., p. 66. 83 S. Penna, Confuso sogno, cit., p . 142. 84 G. De Santi, op. cit., p. 29. 85 Ivi, p. 93. 45 contro, si assiste al “declassamento” delle entità cosmiche: il sole, la luna, il cielo, la terra, l’aria, ecc. Queste subiscono un abbassamento a livello umano, istaurano un rapporto con l’io- poeta, tanto da provare sentimenti e compiere azioni. Emblematica risulta la poesia È forse detto che l’amore umano, i cui ultimi tre versi recitano: Se la vallata è così chiara, il sole - ormai sul monte – con leggero amore vi scherza. Né si duole più la terra.93 Qui l’autore si serve dei verbi per attribuire alle entità dell’universo azioni e sentimenti umani, per conferire loro un carattere “terreno”. Altrove, pare che si istauri un legame empatico tra il poeta e gli elementi della natura, si legga per esempio, la poesia Abbandonarsi all’onda delle sensazioni.94 In questo contesto anche il dolore non è annullato, ma viene sublimato perché posto in connessione con gli attimi radiosi della vita. In questi casi, l’io del poeta esce dal chiuso del proprio isolamento per volgersi verso la Totalità del cosmo. Si ricordi come nella prima poesia, la « liberazione» improvvisa avviene alla vista del marinaio, che riporta lo sguardo del poeta verso la totalità del mare. Penna spiega, a chiare lettere, il processo che porta l’io alla liberazione in un frammento di racconto contenuto in Un po’ di febbre: 93 S. PENNA, op. cit., p. 15. 94 Ivi, p. 150. 46 Ma quando fui sulla grande sabbia, di fronte al grande solito mare, ogni malinconia sparì, o – meglio – perdette quel senso di ristretta angoscia. Fu la felice malinconia dell’amore. Il mare, il solito mare, con le più solite onde e intorno a me nessuno.95 2.2. “Penna o la poetica della luce”96 La vita si presenta agli occhi del poeta nelle forme e nelle sembianze di un’illuminazione improvvisa, che svela, nel suo chiarore, lo splendore della vita medesima. Il motivo dell’epifania è, senza dubbio, uno dei motivi più frequenti e dibattuti nella lirica e nella narrativa del Novecento, fu Joyce a darne per primo una chiara definizione: «un’improvvisa manifestazione spirituale»97 che conduce l’artista a raggiungere «il terzo, il supremo stadio della bellezza»98. L’epifania nasce da un oggetto comune, persino “banale”, dall’evento più insospettabile, da una percezione improvvisa che manifesta al poeta, l’essenza delle cose, la verità che sta oltre l’apparenza. Nella concezione del bello, San Tommaso D’Aquino indica tre stadi estetici delle cose, il cui ultimo e supremo è appunto la claritas. James Joyce ha chiarito, così, il concetto nel dialogo tra Stephen e Lynch: 95 S. Penna, Un po’ di febbre, cit., p. 65. 96 G. Di Fonzo, op. cit., p. 95. 97 J. Joyce, Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane, trad. di Cesare Pavese, Adelphi, Milano, 1976. 98 Ivi, p. 260. 47 L’istante in cui quella suprema qualità della bellezza, il limpido splendore dell’immagine estetica, viene luminosamente percepita dalla mente che l’interezza e l’armonia dell’immagine hanno arrestato e affascinato, quell’istante è la stasi luminosa e muta del piacere estetico...99 In base all’artista a cui si rivela, le epifanie acquistano sfumature diverse: se per Joyce sono «un’improvvisa manifestazione spirituale», diventano in Marcel Proust «intermittenze del cuore», che si manifestano attraverso una percezione (celebre in Proust è l’esempio del sapore della madeleine) fugace, la quale porta la memoria inconscia a rivivere una sensazione provata nella vita passata, come se vivesse un dejà vu. Per Virginia Woolf le epifanie sono «moment of beeing» e per Thomas Hardy diventano «moment of vision»100. Ma l’esperienza più vicina al nostro poeta è quella di Eugenio Montale, per cui le epifanie si identificano in Occasioni che preludono alla realizzazione vera e propria delle apparizioni liberatrici: «La vita che dà barlumi / è quella che sola tu scorgi» scriverà nella prima delle Occassioni101, rivolgendosi ad una donna. 99 Ibidem. 100 Un accurato studio sul motivo dell’epifania nella lirica e nella narrativa del Novecento è quello di Giorgio Melchiori, I Funamboli. Il manierismo nella letteratura inglese contemporanea, trad. it. di Ruggiero Bianchi, Torino, Einaudi, 1963. (The tightrope walkers. Studies of Mannerism in modern English literature, 1956). 101 E. Montale, Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1984, p. 111. 50 Qui, il passaggio dall’interno all’esterno è indicato dalla presenza di un cancello, la visione epifanica del fanciullo ridona al poeta la gioia perduta durante le sue ore di lavoro, un lavoro contraddistinto da «aride parole», incapaci cioè di esprimere il senso dell’esistenza. Un senso questo, restituito al poeta attraverso la vista di «un fanciullo che giuoca con la noia», poiché non ha ancora scoperto il sentimento del tempo, di ciò che ha inizio e fine, vivendo egli nel cuore dei suoi anni puerili. Anche l’occhio del poeta si rivela, in questo caso, “puerile”, perché vede il mondo con meraviglia e ne prova gioia, si stupisce alla vista di un bambino che si annoia, lì dove altri, “gli adulti”, chiuderebbero il cancello indifferenti. La poesia succitata si configura come dono “divino”: sia per l’immagine mistica del fanciullo – angelo e sia per la sua funzione missionaria di recupero della felicità perduta. Uno dei primi critici dell’autore, Umbro Apollonio, ha individuato come la lirica penniana abbia avuto origine da un’«occasione esterna» e che altrove esiste la riflessione a suggerire il dettato poetico. Così scrive: «due motivi appaiono chiari nella poesia di Penna: il fermare con istantanea dolcezza una visione e, di contro, il chiudere brevemente una considerazione sentimentale.»109. Simile parere è riscontrabile in Gualtiero De Santi che conferma come dal «groviglio dissonante dei sensi galleggia un barlume di riflessione»110, nella quale sopravvive con tenacia, e che porta la coscienza del 109 U. Apollonio, Candido prodigio di Penna, cit., p. 24. 110 G. De Santi, op. cit., p. 72. 51 poeta ad interrogarsi. Il punto di partenza, l’origine della poesia resta uno “stato” del quotidiano: qualcosa che «fa sentire la fuggevolezza illusoria della vita»111, la quale si ripete, negli atti e nei tempi, nel suo fluire sempre simile a se stesso: «Qui tra la gente solita, che muove / il passo verso le solite cose / anch’io mi muovo tra cose non nuove» (vv. 4-5-6), recitano i versi della poesia La rima facile, la vita difficile112. Nei versi successivi accade all’improvviso qualcosa di imprevisto, che desta i sensi del poeta: «Quando a un tratto uno sguardo che sa dove / del mio corpo dirigersi e non vuole / mi sveglia in un baleno – ed è già altrove.» (vv. 10-11-12). L’evento, lo sguardo posato su qualcosa o qualcuno rappresenta un fatto concreto che si distingue dallo scorrere perenne della vita, in quell’istante le sensazioni richiamano in vita qualcosa che la memoria della coscienza, quella interiore, aveva immagazzinato a discapito della memoria dell’intelligenza. «Invano io lo ricerco entro un antico universo che mi era un giorno amico», il lampo di luce resta inafferrabile, il poeta non riesce a preservare l’immagine nella sua memoria, ma il poeta non persiste nell’amarezza di averla perduta perché quell’istante ha riacceso in lui l’amore verso la vita inattesa. L’epifania lascia spazio alla riflessione e le sensazioni raggiungono la coscienza quasi per caso; ecco l’ultima strofe: Quando più non pensavo a questa cosa rintronò sotto il tunnel una gioiosa 111 Ivi, p. 69. 112 S. Penna, op. cit., p. 167. 52 voce che sovrastava ogni altra cosa. Era un saluto postumo e lontano postumo nel mio cuore, non lontano nel tunnel più di un breve tratto umano. Lo scrittore sceglie di descrivere il momento centrale dell’epifania, il prima e il dopo emergono solo in funzione di qualche risonanza esterna, ciò che conta è esprimere l’intensità dell’esistenza, la profondità del significato che il poeta raggiunge attraverso «un excursus oltre la mera immanenza sensibile»113. Le sue sono «pure e perfette registrazioni»114, per questo motivo predilige, in genere, la composizione breve: isola il momento centrale, puntando al massimo grado di essenzialità. Lo si nota nella poesia Sole senz’ombra su virili corpi, in cui il “declic”, lo scatto entro cui si brucia l’epifania si fissa in strutture strofiche concise, come l’epigramma. «Nella loro disappartenenza all’umano – afferma Garboli – queste epifanie sono ambivalenti: pronte a dare come a deludere, e a ritornare nel buio da cui provengono»115, infatti, durante un «sonno» reso «lucente» dal sole, si destano all’ improvviso i sensi, ma subito dopo svanisce, «ma il peccato non esiste più» termina il poeta. Si riscontrano numerose epifanie anche nei brevi racconti contenuti in Un po’ di febbre: «Tutto il libro è una sola, immensa epifania. Se questa è, come deve essere, un’espansione 113 P. P. Pasolini, op. cit., p. 434. 114 Ibidem. 115 C. Garboli, Penna Papers, Milano: Garzanti, 1984 (n. ed. 1996), p. 111. 55 della poesia Dall’origine: «non ala orma ombra nell’azzurro e verde»123. E poi, «il mare tutto fresco di colore», diventa «il mare è tutto azzurro», incontriamo nella poesia Autunno «gli alberi gialloverdi sotto il sole» e i «chiari verdi» nella lirica Sotto il cielo d’aprile la mia pace, che si ricalcano nella «verde noia» della primavera di Il Balcone. Si assiste ad un’antitesi: i colori chiari e vividi, tinte che rappresentano la gioia che il poeta prova alla vista di certe figure, oggetti o vedute naturali, e di contro, i colori tetri e scuri, che esprimono la cupezza e l’amarezza del poeta. Gli «altissimi monti» della lirica Mi avevano lasciato solo, si tingono di nero per condividere l’angoscia del poeta per la sua solitudine, lo stesso accade nella poesia Se son malato vago tra la folla, dove «l’umido grigiore invernale» rende il poeta «triste e solo». Ci sono casi particolari in cui si assiste ad antinomie coloristiche in perfetta simmetria: è il caso della poesia Le nere scale della mia taverna. Nella prima strofe «le nere scale» simboleggiano l’angoscia profonda del poeta, provata nel ricordo di un suo «firmamento remoto», durante il quale le scale sono state percorse da un ragazzo con i capelli caduti sui suoi occhi vivi. Mentre nella seconda strofa, nel tempo presente, quel firmamento è portato in vita dall’ immagine dei «bianchi marinai» mossi dalla brezza marina. Nella poesia Cimitero di campagna, invece, entriamo nel vivo di un climax di colori, in cui il nero sfuma verso il chiaro della visione, come avverte il critico De Santi124: si hanno dunque le 123 G. Nava, La lingua di Sandro Penna, in Paragone, 1991, p. 59. 124 G. De Santi, op. cit. p. 42. 56 «oscure fiaccole» e «in alto le stelle», e poi, «le solari gesta del giorno», per chiudersi nella lucente immagine dei «ridenti occhi» del fanciullo. La presenza di colori antitetici in Penna è spia della contraddizione tutta interiore del poeta: la sua vita oscilla tra gioia e angoscia, dolore ed euforia, sonno e risveglio, ansia e serenità. L’antinomia non si risolve nel prevalere di un sentimento sull’ altro, ma si tratta, come dice Cesare Garboli, di una «pendolarità di felicità e frustrazione»125. Un’antinomia che si sintetizza nell’espressione «dolore di luce», se questo è, in definitiva, il colore della sua «strana gioia di vivere». Quanto detto finora è possibile, nella poesia dell’autore, solo grazie al suo occhio clinico, al suo perspicace sguardo che sa cogliere la meraviglia e il mistero della vita. Visione significa, in Penna, “esercizio spirituale del contemplare”; il suo resta un atto naturale, spontaneo, che penetra le cose scovandone l’essenza. «Aver veduto fuori la luce incerta» dice nella sua prima poesia, e poi, «albe più dense di colore vidi» (in Città), «Solitario un fanciullo scorgo assorto» (in Porto con me la mia dolce pena) e ancora «io ti ho visto alla fronte un segno chiaro» (in Fanciullo non fuggire, non andare). Si potrebbero fare diversi e molteplici esempi in cui la parola chiave è vedere, scorgere, sguardo, ecc., tutti inerenti alla sfera visiva. Anche l’avverbio ecco suggerisce la posizione del poeta che sta guardando qualcosa che non gli è accanto, ma in prossimità, come nella poesia Eccoli gli operai sul prato verde, in cui il poeta contempla la visione degli operai intenti a cibarsi. Come 125 C. Garboli, Prefazione a Poesie, cit., p. VIII. 57 in quest’ultimo caso, anche altrove, l’occhio poetico si posa su cose semplici, personaggi umili, eventi comuni, i quali grazie alla sua abilità di guardare oltre la contingenza, assumono una valenza mitica, che supera le soglie del tempo e dello spazio. L’atto del guardare in Penna è un atto innocente perché privo di movenze intellettualistiche. Scrive, riferendosi al poeta, Gualtiero De Santi: «Non ricerca le connessioni, i moventi, i rapporti delle cose, lascia che gli oggetti possano sconfinare e penetrare dentro di lui»126. Prendiamo, ora, in considerazione la lirica IV della raccolta Una strana gioia di vivere127: Come è bello seguirti o giovine che ondeggi calmo nella città notturna. Se ti fermi in un angolo, lontano io resterò, lontano dalla tua pace, - o ardente solitudine mia. La precisione dei dettagli è resa grazie alla posizione dell’ autore, qui in atteggiamento di spettatore che coglie la realtà dinanzi ai suoi occhi, segue il ragazzo e infine si compiace della propria solitudine. La grazia si alterna al dolore, dolore di sentirsi «lontano», ma in seguito dichiara «lontano io resterò», decide di restare fermo perché consapevole che solo il 126 G. De Santi, op. cit., p. 45. 127 S. Penna, op. cit., p. 212. 60 Sorge sull’ultimo sudore il sole. Si assiste, qui, alla descrizione di un’alba, a cui partecipano il mare, il vento e il sole. Apre la poesia un «se» che si potrebbe definire “temporale”, poiché indica il momento che anticipa di poco l’alba, la quale giungerà, solo quando la notte “cederà” al suo richiamo. Si crea, così, l’atmosfera idonea all’alba che rappresenta la rinascita del giorno, il suo risveglio: dal grembo marino (ancora luogo della nascita di tutte le cose, come nella Cosmogonia) emergono, con i colori dell’alba, «uomini nudi e leggeri». Presupposto alla nascita è, ancora una volta, il silenzio. La seconda strofe si apre con un «ma» avversativo, che annuncia un cambio di scena (ricorda: «ma la campagna resta piena di tante cose vere»): alla stasi precedente, si oppone il soffio vitale del vento, che dona movimento alle cose; è, appunto, il vento a mettere in moto l’azione. La seconda strofe è costituita interamente da una similitudine che compara l’azione del vento, che sollecita il mare, all’ azione dei pescatori che muovono le barche verso il mare, in procinto di salpare per dare inizio a una nuova giornata di pesca. Le figure mitiche e leggiadre del secondo verso, acquistano corporeità e voce: il gerundio posto al centro del quarto verso, «gridando», si oppone al «silenzio» della prima strofe. Sintomatico risulta l’ultimo verso aperto da quel verbo poco prima incontrato, che annuncia l’arrivo del giorno («sorge...il sole») e si chiude su un immagine metonimica: «quell’ultimo sudore» rappresenta le 61 fatiche dei pescatori. Nell’ultimo verso si verifica, dunque, l’unione tra uomo e natura, tra sole e sudore, il momento in cui si verifica una nuova nascita: ora ha inizio la “storia”. Scrive Cesare Garboli: «Penna è un poeta immerso nella storia»132, la storia di cui parla Penna è quella delle vite “anonime”, degli eventi quotidiani e delle azioni sempre troppo simili a se stesse. Penna ricerca nello spettacolo della natura, così come nei rapporti umani, quella vita che per lui è vita vera, quella che sola gli basta. Si tratta di una naturale propensione verso le cose umili e quotidiane, che spesso si configurano come volti, rumori, sensazioni, non veri e propri rapporti sociali, come dimostra esplicitamente il verso: «com’era forte il rumore dell’alba! Fatto di cose più che di persone»133. Lo sguardo del poeta è ora proteso da una finestra, dal chiuso della propria stanza, a osservare il mondo esterno: ecco che scorge un operaio a controllare il suo motore (La finestra). Penna ritrae nei suoi componimenti non la storia, ma il quotidiano, la realtà sociale del mondo che lo circonda, i personaggi, del resto, appartengono ad esso: in Se son malato vago tra la folla, appare l’anziano mendicante che affianca il poeta nella sua solitudine, i commercianti, i ciclisti, i pescatori, gli operai e del resto, anche i tanto venerati fanciulli «appartengono al popolo, reso nel suo stupendo mondo metastorico»134, tutti, indistintamente, sono segni della vita. Della realtà quotidiana fanno parte anche spazi e luoghi interni: il treno, in particolare, 132 C. Garboli, op. cit., p. 32. 133 Poesia xxix di Una strana gioia di vivere, in S. Penna, op. cit., p. 221. 134 Dario Bellezza, Ricordo di Sandro Penna, in «Nuovi argomenti», n. 53-54, gennaio – giugno 1977. 62 è il luogo per eccellenza dei risvegli: «La vita... è ricordarsi di un risveglio / triste in un treno all’alba » e degli incontri, ma esso rappresenta soprattutto, il turbinio della vita, il suo incessante fluire: «un fanciullo correva dietro un treno / la vita – mi gridava – è senza freni».135 Il treno è anche il mezzo che permette al poeta, pronto per nuove avventure, di lasciarsi il passato alle spalle, come dimostra la poesia Fantasia per un inizio di primavera: «Solcano verdi prati / leggeri treni neri / e scordano, beati, / le stazioni di ieri» (vv.5-6-7-8), per ritrovare una nuova serenità se «ritorna un vago amore / alle cose vaganti»(vv.11- 12). Il “realismo” penniano trova l’ambiente idoneo nei luoghi aperti: il sobborgo, le strade, le piazze e, in particolare, le città, dove la storia è raccontata dalla «folla» indisciplinata, dall’«opaca moltitudine» e dalla «losca platea» che, posti in secondo piano, danno rilievo all’evento o alla figura contemplata. Ripercorrendo le liriche unite nella prima raccolta Poesie ci si accorge come ai paesaggi bucolici si accostano in antitesi i paesaggi urbani: la città, nelle sue forme di vie, sobborghi, strade, piazzette e prati verdi, rappresenta in Penna lo spazio dove ha luogo la cronaca quotidiana di umili personaggi, immaginati o concreti, che nel loro anonimato donano al poeta un motivo per fare poesia. La poesia Città136 descrive un paesaggio urbano, entro cui lo sguardo del poeta si stringe su figure reali, le cui fatiche destano nel poeta un sentimento nuovo: 135 S. Penna, op. cit., p. 126. 136 Ivi, p. 20. 65 questo concetto, in un insolito parallelismo, definendo quello di Penna: Un panorama svelto e cittadino, un panorama alla Chaplin per trovare figurato l’intreccio di solitudine, disperazione e felicità dell’uomo, nel mondo moderno, con la stessa intensità anonima con la quale ci è messo sotto gli occhi da Penna.139 139 C. Garboli, op. cit., p. 45; 66 Capitolo 3 3. La lirica penniana tra tradizione e innovazione. 3.1. Le influenze novecentesche. Come per ogni poeta degno di questo nome, anche Sandro Penna non si fa da sè. Svariate influenze italiane, europee e persino internazionali, in modo diretto o indiretto, sono presenti nella sua poetica e nel suo fare poesia. In particolare, nel primo periodo (1922 – 1929 circa), che ha visto la stesura di poesie oggi contenute nella sezione Giovanili Ritrovate, poste a conclusione del volume Confuso sogno140, le influenze, dalle quali, tendenzialmente, in seguito si distaccherà, sono molteplici: in primis, il simbolismo francese, partendo dal capostipite Charles Baudelaire, seguendo poi le scie di Stéphane Mallarmè, per giungere più tardi ai nomi di Verlaine e soprattutto, di Artur Rimbaud. In secundis, il romanticismo tedesco di Percy Bysshe Shelley e di Friederich Hölderlin. Le influenze che più hanno colpito il Nostro e che riemergono nel suo poetare, son legate al panorama letterario italiano e in particolare, del periodo a cavallo tra il XVII e il XIX secolo. Punto di riferimento dal quale non si prescinde è il tardo- romanticismo di Giacomo Leopardi, ma Penna è anche attratto da certe movenze crepuscolari e, principalmente, da quelle di Corrado Govoni. In maniera più profonda appaiono le influenze della poesia vitalistica di D’ Annunzio e, dal punto di vista 140 S. Penna, Confuso Sogno, a.c. di E. Pecora, Milano, Garzanti, 1980. 67 stilistico, di quella pascoliana, influenze che hanno lasciato le loro tracce in tutti – o quasi tutti – i poeti italiani del Novecento. Del tutto indipendenti sono gli influssi di Dino Campana, Eugenio Montale e Umberto Saba. Nel testo C’era nel mio cuore adolescente141 il poeta dichiara apertamente il suo allontanamento, già giovanile, - come dimostra la data di composizione, 1927 – dalla poesia baudelairiana e, più in generale, dalla poesia simbolista. Si separa, dunque, da nomi quali Wilde, Poe e lo stesso Baudelaire, apostrofandoli come «malefici assistenti / del mio cuore malato di nevrosi» (vv.10-11) e poi ancora, «magnifici tormentatori di chiusi uragani di passione» (vv.12-13), lasciandosi alle spalle le complicazioni interiori e gli intimi tormenti. Il nostro poeta, in questo momento, è preso da una chiara volontà di purezza. Congedando Baudelaire, amico del turbinio repentino dei suoi stati d’animo, nonché, dei suoi slanci poetici e letterari, torna con devozione a D’Annunzio, il suo amore letterario d’adolescente. A differenza di Baudelaire e della poetica simbolista, che si basa – come ha notato Gualtiero De Santi142 - sul contrasto inscindibile tra arte e vita, il poeta sceglie la strada di un approccio meno drammatico. Penna, per formazione professionale, carattere e indole, è portato fin dal principio della sua espressione poetica, a prediligere una vicinanza al pensiero di D’Annunzio: in cui il contrasto si tramuta in comunione, altrettanto inscindibile, tra arte e vita che ha reso 141 Ivi, pp. 117-18. 142 Cfr. G. De Santi, Penna, cit., p. 14. 70 conoscenza di me stesso forse», era il 1925.145 Sostanzialmente, Penna resta lontano dalle pretese rimbaudiane di offrire una specie di “nuova letteratura” (come dichiara Rimbaud nella famosa lettera a Paul Demeny146), e anzi, segue il solco della tradizione. Di lui resterà nella poesia penniana solo qualche flebile eco. Rispetto a quest’ultimo e allo stesso Verlaine, il paesaggio poetico di Penna viene popolato di elementi della vita quotidiana, quali: i sobborghi cittadini, i ragazzi, gli operai, il mare e le campagne. Proprio riguardo a Verlaine, Alfredo Giuliani ha riscontrato qualche vicinanza, come avviene nelle poesie Cimitero di campagna e Ero per la città, fra le viuzze, in cui appunto «innocenza, seduzione e profanazione sono rimescolate in una maniera molto vicina a Verlaine»147. Come per D’Annunzio, cosi per Verlaine, il poeta non dimenticherà mai la lezione di estetica, in particolar modo, per quanto riguarda la “musicalità” del verso. Il passaggio è breve: da una visione unicamente interiore – cara ai simbolisti – si passa, attraverso gli elementi succitati, ad una visione cosmica, quasi panteistica. Le influenze del romanticismo e del tardo-romanticismo, fino a Hölderlin, sono presenti nella poesia di Penna in modo del tutto trasversale. Penna, infatti, non trascriverà mai, né imiterà, come avviene anche con Rimbaud, i poeti romantici e in particolare, Shelley, il suo è un apprendimento e una trasfigurazione della loro arte poetica. Particolare risulta l’ascendente di Friederich Hölderlin, di cui il poeta perugino 145 Cfr. G. De Santi, op. cit., p. 53. 146 A. Rimbaud, Lettera al Veggente, in id. Opere, Einaudi, Torino, 1973. 147 A. Giuliani, La poesia di Sandro Penna, cit., p. 59. 71 condivide, da un lato, la celebrazione panteistica della natura, intesa come Uno–Tutto, in cui il poeta deve trovarsi come espressione della Totalità, carpita non dalla ragione, bensì dalla poesia intesa – dai romantici – come più alta forma di conoscenza. Dall’altro lato, Penna fa propria la “celebrazione” del dolore, concepito come dimensione cosmica della realtà. Il Nostro dichiara, in un appunto di diario, di sentirsi vicino all’«infelice istitutore», soprattutto per lo struggente male che si porta dentro. E chiarisce: «Ho sentito come lui la poesia, ma con piena coscienza l’ho accolta... Ahimè breve è stata per me l’epoca divina. Poi, Hölderlin è stato bruciato, io solamente appassito... L’intensità non si accorda alla durata...»148. In due poesie comprese nella sezione finale di Confuso Sogno, l’avvicinamento al più importante esponente della cultura tardo- romantica, ovvero, Giacomo Leopardi, non è del tutto casuale. Di Leopardi Penna condivide non tanto la sua mancata fiducia nel progresso e nella civiltà, che porta lo stesso poeta recanatese ad allontanarsi dalla poetica romantica, quanto piuttosto, la fiducia posta nella forza della natura primigenia e incorrotta, a cui Leopardi è legato soprattutto nella prima fase poetica, fase in cui a farla da padrona è proprio l’infanzia che si concretizza nella “forza” dei sentimenti. Allo stesso modo, Penna vede nell’infanzia l’età del «perenne amare i sensi e non pentirsi» e nella Natura l’espressione più autentica dei sentimenti dell’uomo. A questo proposito, rientrando nel clima del decadentismo, non sono da ignorare le influenze di D’Annunzio e dei crepuscolari, in particolare di Govoni. Penna 148 E. Pecora, Una cheta follia, cit., p. 115. 72 si affianca al crepuscolarismo per quanto concerne la prosaicità del verso e l’uso di elementi quotidiani nel lessico, per giungere, attraverso D’Annunzio al raggiungimento di una poesia più sintetica e pura. L’uso del linguaggio quasi prosaico è riscontrabile nella poesia di Penna come in quella di Saba, il loro legame è fondamentale da molti punti di vista, prima di tutto, per l’uso di una lingua chiara e diretta, in un secondo tempo a livello contenutistico: ciò che li lega è la condivisione - come ravvisa Debenedetti – di una poesia “relazionale”, una relazione che coinvolge l’io e il mondo, questo inteso come Natura e allo stesso tempo, come Storia. Le città, le campagne o i paesaggi marini sono presenti come parte integrante di un tutto, che rappresenta il nostro paese, prima e dopo il fascismo e in maniera oggettiva, rispetto all’intero cosmo. Ben noto è lo stretto legame tra i due poeti, un rapporto d’amicizia, di reciproca stima e di compartecipazione all’unanime orizzonte di passioni. Un legame, il loro, che Mengaldo ha definito «portante»149, presuppone la singolarità, dal punto di vista poetico, di alcuni motivi, cari a entrambi: immediata è la comunanza della figura del giovanetto, su cui si poggia lo sguardo dell’io poeta, come avviene nella poesia sabiana A mamma150 e da cui discendono sia la contrapposizione borghesi/operai, sia la relativa proliferazione di ambienti popolari, accolti come luoghi del desiderio e della “calda vita” in Saba prima e in Penna poi. Infine, al poeta triestino si riconducono due parole-tema della poesia penniana: 149 P. V. Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, cit., pp. 734-735. 150 La poesia figura nella sezione Poesie fiorentine 1905 – 1907, in U. Saba, Canzoniere (ed. critica a c. di G. Castellani), Milano, Fondazione A. & A. Mondadori, 1981. 75 Una poesia senza sviluppo intrinseco, una poesia che fu detto alessandrina proprio per quella riduzione a puro disegno, per questa rispondenza secca tra senso e significato.154 Si è giunti fino a definirla una poesia «impressionista»155, per la tendenza del poeta a esprimere la propria interiorità in immagini istantanee, che testimoniano la “quiddità” di quell’emozione. L’equivoco è stato quello di aver considerato l’ingenuità e l’immediatezza di Penna come spontaneo e inconsapevole, laddove, in realtà, si assiste ad un processo elaborato di «essenzializzazione e semplificazione della parola»156, La poesia di Sandro Penna oscilla tra adesione alla tradizione affermata e sperimentalismo, tra lessico aulico e disusato e un linguaggio corrente, ma anche colto, tra una lingua media, ma decorosa. Tutto è volto alla ricerca di una “essenzialità” scelta e ricercata. I primi tentativi poetici sono inclusi nella raccolta Confuso sogno e raccolgono le poesie scritte negli anni Venti157. Queste mostrano una lingua composta di forme auliche ed arcaismi, l’uso di uno schema metrico classicheggiante e qualche moderne suggestioni crepuscolari. Infatti, il crepuscolarismo sarà l’unica influenza coeva al giovanissimo poeta. 154 Ivi, p. 436. 155 Lo stesso Bigongiari parla di «impressionismo riflessivo», ivi, p. 434. 156 G. Di Fonzo, Sandro Penna. La luce e il silenzio, cit., p. 13. 157 Un significativo contributo a riguardo delle influenze letterarie sui primi tentativi poetici penniani è quello di Antonio Girardi, Il giovane Penna, in «Studi Novecenteschi», VIII, n. 21, giugno 1981. 76 Non mancano, però, riferimenti e suggestioni della poetica futurista, attraverso l’uso del verso libero, e il riflesso di un sensuale naturalismo dannunziano, a cui si accosta per metro e sintassi, oltre che per l’ uso di figure iterative e per l’adozione dell’epigramma. D’altronde, quella di D’Annunzio sarà un’esperienza da cui il poeta perugino non si allontanerà mai. Anche le letture di Rimbaud hanno influito sulla formazione stilistica del giovane poeta, attraverso l’acquisizione di alcuni elementi della grammatica simbolista: le serie nominali e le apposizioni analogiche, ne fa fede la lirica Notte! Libertà! e una divina / sigaretta fra le labbra158. Sorprende in Confuso Sogno l’adozione precoce di forme epigrammatiche che portano a ipotizzare le influenze dei Madrigali di D’Annunzio o la conoscenza degli epigrammi greci e latini. Giungiamo ora a ripercorrere a grandi linee, come hanno operato, a livello stilistico, le influenze Novecentesche sulle prime “vere” raccolte penniane. Senza dubbio, risultano operanti le lezioni di D’Annunzio e di Pascoli, a questo, come afferma Pasolini, attraverso «una lingua [...] sostanzialmente abbassata di livello»159. In effetti, Penna si inserisce nel panorama del ‘900, per la tendenza al rifiuto dell’eloquenza e all’abbassamento del tono aulico. Ciò coincide, come dichiara Mengaldo160, con la crisi del poeta-vate e della conseguente interiorizzazione del poetare. Si ricerca, dunque, una forma lirica che sia più dimessa e sobria, per questo viene recuperato Giovanni Pascoli, per le sue sperimentazioni “pregrammaticali”, 158 S. Penna, Confuso Sogno, cit., p. 122. 159 P.P.Pasolini, op. cit., p. 444. 160 P.V. Mengaldo, La tradizione del ‘900, Feltrinelli, Milano, 1975. 77 onomatopeiche e fono simboliste, e “post-grammaticali”, tecniche, gergali e dialettali. Lo stesso critico Mengaldo, ha ribadito, a proposito di Penna, la formazione di una lingua che fonde in se stessa l’aulico e il quotidiano, fino a risultare così omogenea da parlare del «monolinguismo lirico più rigoroso del Novecento»161: un linguaggio volutamente equilibrato, in un impasto di voci popolari («calzoncini», «orinatoio») e termini elevati («ei», «garzone», «indi»), tutti indistintamente ad un livello mediano della lingua. Attraverso le prime, Penna vuole conferire alle proprie liriche un tono confidenziale, mentre le voci letterarie e auliche servono a dare un’ impronta di assolutezza e atemporalità. Penna recupera la dimensione fisica del segno che avviene attraverso stilemi codificati: la sintassi paratattica che pausa il verso e l’uso delle iterazioni, esse rappresentano in Penna una delle strutture dominanti dotata di un elevato significato, il fenomeno della ripetizione – già affrontato in questo lavoro - si può classificare in base alle figure retoriche più diffuse162, nell’insieme, queste creano continui rimandi interni alle poesie, le immagini non risultano così isolate e concluse: come avviene per il verso «Altissimo e confuso, il paradiso» (Era l’alba sui colli e gli animali), ripreso nella poesia Ero per la città, fra le viuzze, nella forma “ironizzata” «il paradiso altissimo e confuso, che ci porta / a bere la cicuta...». Il rimando di Penna alle novità del panorama lirico novecentesco avviene attraverso l’adozione della forma breve dell’epigramma e infine, attraverso la fitta 161 Poeti Italiani del Novecento, a.c. di P.V. Mengaldo, Mondadori, Milano, 1978, p. 736. 162 uno studio specifico sul fenomeno delle iterazioni è quello di Giulio Di Fonzo, contenuto nell’opera già citata Sandro Penna. La luce e il silenzio, pp. 37-49. 80 giovane mezzadro del ritorno della sua signora. La poesia, dotata del meccanismo eufemistico, dimostra che Penna si serve dell’idillio per i caratteri di nitidezza e dati sensoriali, i quali contribuiscono ad esprimere il massimo grado dello stato euforico. La novità consiste nel fare convivere una forma della maniera tradizionale greca con un contenuto assolutamente novecentesco. Il poeta si accosta al carattere sperimentale della poesia pascoliana per diversi altri motivi: lo stile nominale, che per certi versi si accosta agli usi ungarettiani e, più in generale, ermetici. L’assenza del verbo, o il suo uso al modo infinito permette di trasportare la lirica su un livello indefinito e atemporale e non solo, la sintassi nominale presuppone l’assenza di un azione, che rende l’effetto di immediatezza e immutabilità, condizioni queste, idonee alla contemplazione delle immagini, che nella loro sola presenza bastano ad esprimere lo splendore del momento. Si prenda in considerazione la poesia Scuola168: «negli azzurri mattini / le file svelte e nere / dei collegiali. Chini / sui libri poi. Bandiere / di nostalgia campestre / gli alberi alle finestre.», qui, lo stile nominale è portato alle estreme conseguenze. Dal punto di vista lessicale, abbiamo già accennato come il poeta sappia affiancare due opposti registri: quello alto, con voci auliche e desuete, ma anche letterarie e colte, si incontra per esempio, in una delle inedite ’38 – ’55, l’espressione «ria malinconia», nella poesia Fantasia per un inizio di primavera si incontra il termine «dimentico» in funzione aggettivale, e poi 168 Ivi, p. 25. 81 ancora, la collocazione posposta del pronome indefinito in «Muovonsi come fregi», infine l’uso poetico della preposizione «a», come nel caso di «ti ho visto alla fronte un segno chiaro». A questi usi, si accosta quello del registro basso: termini usuali e dimessi presi dal linguaggio corrente, un lessico quindi, comune, giornaliero e crepuscolare. Un aspetto significativo del lessico e, in particolare, del suo uso è rappresentato dall’accostamento dei termini in opposizione. Le espressioni ossimoriche, infatti, in Penna non rappresentano solo una figura retorica, ma simboleggiano un modo di guardare l’esistenza e rispecchiano una natura profondamente divisa. Si guardi alle «oscure fiaccole» della poesia Cimitero di Campagna, alle «nuvole di marmo» e, alla «dolce pena» della quarta contenuta nelle Poesie Inedite. E qui riecheggia il senso di un’espressione che rappresenta l’atteggiamento del poeta nei confronti della vita: quella «strana gioia di vivere», per cui Penna si serve del dolore come forma di conoscenza per raggiungere la gioia della vita, è come ammettere che la felicità non esisterebbe senza il suo contrario. A dire il vero, l’intero corpus penniano è fitto di lessemi e vocaboli antitetici fra loro: ombra e luce, triste e lieto, pioggia e sole, confuso e chiaro, vuoto e colmo, falso e vero, se ne possono trovare davvero di molteplici. Anche l’uso dell’aggettivo non si distacca molto da quello precedente; singolare risulta l’immagine apparentemente inconciliabile di «ragazzaccio bellissimo» in Interno, in cui si accostano un dispregiativo e un superlativo assoluto, che 82 richiama «l’angelismo demonico del fanciullo di strada»169. In Penna anche l’aggettivo ha una non banale importanza, ricorrono espressioni con più di due aggettivi, in cui si completano e si correggono a vicenda, per rendere l’immagine il più fedele possibile alla realtà – più precisamente – alla realtà vista dall’ occhio poetico. Alcuni esempi si riscontrano in «notte fonda / e lieve e vellutata», «il paradiso altissimo e confuso» , fino alle immagini più intense e brucianti: «un bicchiere di latte / dalle tue dolci sporche nuove mani» e infine, nella espressione, non priva di densità «nell’alto arido eremo salmastri / venti a ridarmi dolore di luce», in cui non solo l’aggettivazione ma anche la valenza fonica – come abbiamo visto – concorrono a donare al verso una voluta ambiguità. La stessa funzione ha la punteggiatura. Un caso singolare risultano i punti sospensivi, di cui Anceschi ne aveva rilevato «un certo abuso»,170 non esprimono l’incapacità di non dire, bensì «dire e poetare l’ineffabile anche attraverso il non detto. Se al centro della poesia è il dolore per non poter afferrare le cose amate, la sospensione dilata il valore di quell’inconosciuto», spiega De Santi.171 Ambiguità, ineffabile, sono termini questo che “cozzano” certo con la troppo decantata ricerca di “decoro formale”, trasparenza e semplicità, perseguiti attraverso il ricorso a forme poetiche classiche, l’uso della sintassi paratattica, scarnita a volte fino all’osso, la presenza di composizioni perfettamente simmetriche, come nel caso di La vita... è ricordarsi, e attraverso l’uso dell’iterazione, che 169 G. Di Fonzo, op. cit., p. 84. 170 L. Anceschi, op. cit., p. 64. 171 De Santi, op. cit. p. 85. 85 Conclusioni Si è diverse volte affermato come Penna fosse fuori dalla realtà o, più precisamente fuori dalla storia, nella fuga da un modo di vita sentito pratico e “utilitaristico”. Eppure la sua poesia è intrisa di storia, a cui il poeta ritorna tra le righe, in virtù di un messaggio che si delinea antagonistico rispetto alla società e liberatorio rispetto all’intera umanità. La poesia si fa, così, proiezione dei bisogni dell’uomo che la realtà ha cancellato – o meglio – disatteso, ora, la poesia ricrea tali bisogni nel linguaggio utopico dell’inconscio. In questo modo la letteratura è intesa da Sandro Penna come spazio della liberazione, di realizzazione della totalità umana, nell’unione tra conscio e inconscio. Per questo il poeta ricerca una lingua che ricrea forme armoniche e limpidezza del verso, che motivano la poesia penniana rispetto alle esperienze ermetiche e montaliana. Penna, nel suo essere lungimirante, lascia ai posteri, «se posteri ci saranno» - come afferma lo stesso – una poesia che è espressione di un bisogno vitale, propositivo e assolutamente, affermativo. Questo si unisce alla piena consapevolezza da parte dell’autore di una possibile emancipazione umana, concepita come arma critica nei confronti della società, che si realizza nella comunione tra individuo e natura, e che si configura come speranza per le future generazione. 86 Bibliografia generale. 87 Opere di Sandro Penna Poesie, Firenze, Parenti, 1939. Appunti, Milano, Meridiana, 1950. Arrivo al mare, Roma, De Luca, 1955. Una strana gioia di vivere, Milano, Scheiwiller, 1956. Poesie, Milano, Garzanti, 1957. Croce e delizia, Milano, Longanesi, 1958. Tutte le poesie, Milano, Garzanti, 1970 (dal 1989 edito come Poesie con prefazione di Cesare Garboli). Un po’ di febbre, Milano, Garzanti, 1973. Poesie, Milano, Garzanti, 1973. L’ombra e la luce, Milano, Scheiwiller, 1975. Stranezze, Milano, Garzanti, 1976. Il viaggiatore insonne, a.c. di Natalia Ginzburg e Giovanni Raboni, Genova, Edizione S. Marco dei Giustiniani, 1977. (50 copie recano una acquaforte di Renzo Vespignani). 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