Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

La Vita di Vittorio Alfieri - riassunto, Appunti di Letteratura Italiana

Riassunto del libro "Vita" di Vittorio Alfieri, autore di testi teatrali italiani

Tipologia: Appunti

2019/2020
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 29/08/2020

isabella-caforio
isabella-caforio 🇮🇹

4.3

(35)

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica La Vita di Vittorio Alfieri - riassunto e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! INTRODUZIONE Alfieri spiega le ragioni per la scrittura dell'opera. Dichiara di non voler addurre scuse di falsa modestia, e che ogni biografia è scritta per amor proprio, qualità della quale sono forniti tutti gli uomini ed in particolare poeti ed artisti in generale. Vi sono però alcuni elementi di captatio benevolantiae, come, per esempio, quando vengono nominati i "pochi estimatori della sua opera". Alfieri dice di scrivere per loro in quanto sa che le sue opere verranno comunque prima o poi precedute da una biografia, di cui preferisce essere direttamente l'autore. Inoltre ammette che potrebbe omettere degli eventi, ma assicura che non scriverà falsità, cosa che invece potrebbe accadere se l'autore della sua biografia fosse uno scrittore al soldo degli editori. INTRODUZIONE ALLA VITA DI ALFIERI La biografia sarà organizzata in cinque parti, corrispondenti alle cinque fasi della vita: infanzia, adolescenza, giovinezza, età adulta, vecchiaia (quest’ultima non verrà mai realizzata). Al momento della stesura dell'introduzione, Alfieri dichiara di essere occupato nella scrittura della quarta sezione, e di aver notato di scrivere meno di getto di quanto accadesse nelle opere precedenti. Si scusa quindi con i lettori nel caso in cui trovino che si sta dilungando troppo e chiede loro di punire questo suo errore non leggendo, eventualmente, l'ultima parte, che trattando la vecchiaia dovrebbe essere quella a carattere più riflessivo. Altra particolarità della biografia è che parlerà esclusivamente del suo protagonista, nominando le persone intorno a lui solo in eventualità positive: scopo della biografia è, infatti, lo studio di un uomo, e l'autobiografia è perciò il caso più lodevole di biografia perché l'autore non può conoscere nessuno meglio di se stesso. L'introduzione è chiusa da una dichiarazione stilistica: la scrittura sarà semplice in quanto l'argomento è personale ed istintivo, al contrario di altre opere. VITA SCRITTA DA ESSO: EPOCA PRIMA-PUERIZIA - CAPITOLO PRIMO Alfieri racconta brevemente della sua famiglia: suo padre, nobile astigiano, Antonio Alfieri, e la madre, nobile di origine francese (barbara), Monica Maillard di Tournon. La madre aveva avuto figli da un primo marito ed era rimasta vedova, il padre non aveva mai lavorato (essendo appunto nobile) ed è già in età avanzata quando si sposa: anche per questo Vittorio resta orfano mentre è ancora dalla balia a Ronciglione. La madre si sposa la terza volta, con Giacinto Alfieri, un cadetto, matrimonio del quale Alfieri è felice, anche se vorrebbe restare più vicino alla madre ora anziana. Alfieri riflette sulla fortuna di essere nato da genitori nobili (perché così può conoscere davvero, e dunque criticare, la nobiltà), agiati (perché così può servire solo la verità e non avere padroni) e onesti (perché così non deve vergognarsi di essere nobile). Alfieri dichiara inoltre di avere quarantuno anni mentre scrive la biografia. Alfieri spiega le ragioni per la scrittura dell'opera. Dichiara di non voler addurre scuse di falsa modestia, e che ogni biografia è scritta per amor proprio, qualità della quale sono forniti tutti gli uomini ed in particolare poeti ed artisti in generale. Vi sono però alcuni elementi di captatio benevolantiae, come, per esempio, quando vengono nominati i "pochi estimatori della sua opera". Alfieri dice di scrivere per loro in quanto sa che le sue opere verranno comunque prima o poi precedute da una biografia, di cui preferisce essere direttamente l'autore. Inoltre ammette che potrebbe omettere degli eventi, ma assicura che non scriverà falsità, cosa che invece potrebbe accadere se l'autore della sua biografia fosse uno scrittore al soldo degli editori. La biografia sarà organizzata in cinque parti, corrispondenti alle cinque fasi della vita: infanzia, adolescenza, giovinezza, età adulta, vecchiaia (quest'ultima non verrà mai realizzata). Al momento della stesura dell'introduzione, Alfieri dichiara di essere occupato nella scrittura della quarta sezione, e di aver notato di scrivere meno di getto di quanto accadesse nelle opere precedenti. Si scusa quindi con i lettori nel caso in cui trovino che si sta dilungando troppo e chiede loro di punire questo suo errore non leggendo, eventualmente, l'ultima parte, che trattando la vecchiaia dovrebbe essere quella a carattere più riflessivo. Altra particolarità della biografia è che parlerà esclusivamente del suo protagonista, nominando le persone intorno a lui solo in eventualità positive: scopo della biografia è, infatti, lo studio di un uomo, e l'autobiografia è perciò il caso più lodevole di biografia perché l autore non può conoscere nessuno meglio di se stesso. L'introduzione è chiusa da una dichiarazione stilistica: la scrittura sarà semplice in quanto l'argomento è personale ed istintivo, al contrario di altre opere. EPOCA PRIMA-PUERIZIA CAPITOLO PRIMO Alfieri racconta brevemente della sua famiglia: suo padre, nobile astigiano, Antonio Alfieri, e la madre, nobile di origine francese (barbara), Monica Maillard di Tournon. La madre aveva avuto figli da un primo marito ed era rimasta vedova, il padre non aveva mai lavorato (essendo appunto nobile) ed è già in età avanzata quando si sposa: anche per questo Vittorio resta orfano mentre è ancora dalla balia a Ronciglione. La madre si sposa 1 la terza volta, con Giacinto Alfieri, un cadetto, matrimonio del quale Alfieri è felice, anche se vorrebbe restare più vicino alla madre ora anziana. Alfieri riflette sulla fortuna di essere nato da genitori nobili (perché così può conoscere davvero, e dunque criticare, la nobiltà), agiati (perché così può servire solo la verità e non avere padroni) e onesti (perché così non deve vergognarsi di essere nobile). Alfieri dichiara inoltre di avere quarantuno anni mentre scrive la biografia. CAPITOLO SECONDO Alfieri inizia con un ricordo alla Proust, scritto, dice lui stesso, proprio per far vedere come funzionano i ricordi: uno zio che gli dà dei confetti e di cui lui si ricorda solo le scarpe squadrate. Proprio la vista di scarpe simili a quella dello zio fa tornare in mente a Vittorio il sapore dei confetti. Il secondo ricordo della prima infanzia è legato a una forte malattia che lo ha fatto quasi morire. Vi è poi la riflessione sulla sorella Giulia, la sorella prediletta, con la quale Alfieri vive in casa del patrigno. Uno dei ricordi più brutti dell'infanzia e quindi la separazione da Giulia, che viene mandata a studiare in un convento astigiano. C'è anche una digressione sul fatto che la separazione da tutte le persone amate, siano esse amici, parenti, o amanti, dà sempre lo stesso tipo di sofferenza in quanto l'amore parte sempre alla stessa maniera. Al contrario Alfieri riceve la sua istruzione in casa, da un sacerdote, Don Ivaldi, che lui stesso giudicherà poi piuttosto ignorante. L'autore riconosce addirittura che i suoi stessi genitori non sono persone colte, in quanto secondo loro "un nobile non deve diventare dottore". Alfieri riconosce però di aver sempre avuto una tendenza verso lo studio e l'introspezione. CAPITOLO TERZO Alfieri descrive alcuni piccoli avvenimenti che però sono decisivi per la formazione del suo carattere. Il primo è il fatto che a poco a poco si dimentica della sorella Giulia, in quanto la vede sempre meno spesso. Al contrario visita spesso la vicina chiesa del Carmine e in lui nasce un affetto per i novizi, giovani frati che sono in fondo gli unici coetanei che vede. Si tratta di infatuazione platonica e puerile: Alfieri apre il suo vocabolario e sostituisce alla voce frati la voce padri, in quanto ha sempre sentito parlare bene dei padri e spesso male dei frati. Un altro avvenimento è una sorta di tentativo di suicidio. Alfieri va in giardino e comincia a mangiare erba sperando di trovarvi della cicuta, ma ammette lui stesso di formazione. Per spiegare ciò, racconta che era riuscito a riottenere i tre tomi dell'opera di Ariosto, ma che non avendo ricevuto un'istruzione sufficiente riusciva ancora. Vi è poi una critica alla tecnica narrativa dell'Ariosto, che lascia spesso storie in sospeso per riprendere con i capitoli più avanti. Secondo Alfieri, questa tecnica non accende l'interesse del lettore ma spezza la sua suspense impedendogli poi di ritrovarla. Vi è poi la descrizione degli altri libri letti nella gioventù: non Tasso, che lui pensa avrebbe amato molto di più, bensì alcune storie dell'Eneide, alcune opere di Goldoni, e altri brevi testi. Alfieri descrive poi il suo fisico 5 durante gli anni della scuola: era un ragazzino emaciato, magro, tanto che i compagni lo chiamano carogna fradicia. Ad un certo punto un compagno prepotente si fa fare i compiti da lui ripagandolo con dei giocattoli, ma minacciando di picchiarlo se si fosse rifiutato. Alfieri inizialmente accetta, poi si stufa e invece di denunciare il compagno esegue il componimento, ma lo scrive male. Da questo Alfieri ricava un insegnamento importante, cioè che molte volte i rapporti umani sono governati dalla paura reciproca. Il capitolo si chiude con la descrizione della scuola di geometria e filosofia, quella che si fa l'esterno dell'Accademia, all'università. Come nei casi precedenti, anche questo è totalmente inutile e Alfieri racconta di aver anche spesso dormito durante le lezioni. Viene raccontato anche di una spada che lo zio avrebbe dovuto regalare da Alfieri, ma che non gli viene data perché ancora una volta si rifiuta di chiedere qualcosa al parente. CAPITOLO QUINTO Prosegue il metodo dei capitoli precedenti, ovvero Alfieri racconta tanti piccoli avvenimenti della sua giovinezza. A questo punto ha tredici anni, e racconta che la sorella Giulia viene finalmente portata via dal convento di Asti e trasferita in un convento di Torino. La decisione viene presa perché la ragazza si era invaghita di un coetaneo mentre era nell'astigiano; con la lontananza gli Alfieri sperano di farglielo dimenticare come infatti succede. Alfieri racconta comunque di aver consolato molte volte la sorella durante le sue pene d'amore. Vi è poi la descrizione delle prime esperienze di Alfieri con il teatro comico e con la poesia. A portare Vittorio a vedere un'opera comica per la prima volta è il cugino di suo padre, lo zio architetto, che gli fa vedere un'opera al teatro Carignano. Nel frattempo Alfieri sta finalmente crescendo, il suo fisico è più forte e quando ha quattordici anni può passare l'estate a Cuneo con lo zio. Ricorda molto bene il viaggio e il fatto di essersi vergognato per il fatto di aver viaggiato con un calesse lento e non velocemente come da Torino ad Asti nel primo viaggio della sua vita. C'è anche il racconto della prima poesia scritta da lui in onore di una dama di cui suo zio era invaghito, e che affascinava anche lui; lo zio però ha condannato questo fatto poetico e lui stesso spiega che fino ai venticinque anni non avrebbe mai più scritto versi. Riconosce inoltre che la scuola gli ha spiegato sì i versi latini, ma non la poesia italiana, tanto che il componimento è un miscuglio tra Ariosto e Metastasio. Vi è poi il racconto dell'ultimo anno di scuola, nel quale studia fisica (con Beccaria) ed epica, ma ancora una volta non viene tratto grosso giovamento dalle ore scolastiche. CAPITOLO SESTO Lo zio viene nominato viceré della Sardegna e lascia il ragazzo con un nuovo tutore. In questo modo Alfieri ha più libertà economica, anche perché non è più sotto la guida del servitore Andrea, che sfruttava la sua posizione per sottrargli dei soldi. Vi è poi il racconto degli ultimi anni di studi, che sono dedicati alla preparazione alla professione di avvocato. Nello stesso periodo Alfieri si ammala nuovamente di un problema alla testa, ed è costretto a portare una parrucca. Per adattarsi agli scherni che riceve per la sua capigliatura impara che reagire prima di essere attaccati è una delle cose migliori. Segue la descrizione delle sue lezioni di musica e ballo. Nella musica ha un certo talento, ma non riesce bene come vorrebbe; al contrario, è scarso tanto nella scherma quanto nel ballo. La sua non propensione per la danza è procurata anche dal fatto di avere il maestro francese, nazionalità che gli è sempre stata avversa, tanto aver scritto in età più avanzata il Misogallo. Spiega lui stesso alcune delle motivazioni che lo hanno portato a detestare cosi francesi: il primo è un incontro con la duchessa di Parma mentre era ancora ad Asti, e poi proprio l'incontro con questo suo maestro di danza. Lo stesso autore riconosce come spesso sia la prima impressione verso una persona o una popolazione a impedirci poi di ragionare razionalmente anche quando si incontrano persone diverse provenienti presenza dello stesso paese. CAPITOLO SETTIMO Muore anche lo zio di Alfieri, quello che era diventato viceré a Cagliari e che era suo tutore economico. Avendo l'autore ormai quattordici anni diventa padrone delle sue ricchezze, e ha solo un curatore patrimoniale. Essendo così giovane e disponendo di così grande fortuna Alfieri si dedica all'ozio. Innanzitutto dichiara di non voler più studiare da avvocato e viene trasferito nel Primo Appartamento, ovvero la parte dell'Accademia dove vi sono soprattutto ragazzi francesi inglesi che si dedicano solo minimamente allo studio. Chiede inoltre di poter essere indirizzato alla Cavallerizza ed imparare anche andare a cavallo; trascorre così molte delle giornate con alcuni compagni tra cavalcate e altre attività poco formative, Racconta di spendere moltissimo denaro in abbigliamento e altre spese, ma di averne nel contempo tratto giovamento a livello di sviluppo fisico, in quanto finalmente riesce a crescere in statura e a riconquistare i capelli. Nel frattempo ha perso anche l'infido servitore Andrea; tuttavia, l'autore ne conserva un buon ricordo, soprattutto perché l'uomo era molto pronto a obbedire i suoi ordini, anche per questo lui stesso lo era andato a trovarlo a lungo, anche dopo che Andrea aveva trovato un altro padrone. CAPITOLO OTTAVO Vicino ai quindici anni Alfieri comincia a trovare pesante il fatto di essere sempre seguito da un servitore, e chiede più volte al direttore dell'Istituto di poter uscire da solo come fanno i suoi compagni. Vedendosi negare la sua autorizzazione, prova più volte a uscire da sola senza permesso, e ogni volta viene messo in castigo. Il castigo più lungo dura tre mesi, durante i quali lui si rifiuta sia di chiedere scusa, sia di chiedere il permesso di uscire, e addirittura di mangiare con gli altri, riducendosi a non lavarsi a vivere vicino caminetto cucinandosi qualcosa che gli viene portato dagli amici, ai quali però non dice parola. CAPITOLO NONO La sorella Giulia si sposa con il conte Giacinto di Cumiana. Dopo le nozze Alfieri riacquistata libertà rispetto ai compagni di accademia, un maggiore controllo delle sue finanze che anche il suo primo cavallo. In poco tempo arriva possedere otto cavalli, nonché una carrozza e svariati capi di abbigliamento lussuosi. Racconta però di essere sempre stato restio al vantarsi con gli amici del pomeriggio, quelli con cui va a cavalcare, che sono meno benestanti di lui. Detesta soverchiare chi già dall'inizio è minore di lui, mentre al contrario è forte il senso di competitività verso chi ritiene suo pari o superiore. CAPITOLO DECIMO Alfieri vive suo primo innamoramento, verso la cognata di alcuni suoi amici. La subordinazione militare (cui è destinato in quanto figlio primogenito di una famiglia aristocratica), però, non fa per lui: decide quindi di intraprendere un primo viaggio a Roma e Napoli. Ha solo diciassette anni, e fino allora il viaggio più lungo che ha fatto è stato fino a Genova pochi mesi prima. Per questo, per poter partire deve riuscire a ingannare suo cognato, il marito della sorella, presso la quale vive. Intraprende perciò il viaggio con tre amici dell'Accademia, un inglese, un belga, in olandese. Con la partenza verso questo viaggio si conclude la sezione dedicata all'adolescenza, che Alfieri riconosce come totalmente inutile in quanto dedicato in maggioranza all' ozio e all'ignoranza. EPOCA TERZA-GIOVINEZZA CAPITOLO PRIMO Alfieri parla del suo primo viaggio in Italia con due amici. Con loro ci sono anche tre servitori, un aio (precettore) e anche Francesco Elia, un anziano ed esperto servitore del suo defunto zio. La prima tappa del viaggio è Milano, che ad Alfieri non piace in quanto molto più disordinata di Torino. Alla biblioteca ambrosiana gli viene dato anche un manoscritto di Petrarca, che però Alfieri riconosce di non aver punto apprezzato. Le 8 carrozze e i cavalli proseguono poi tra Parma e Mantova, due città che vengono visitate solo di sfuggita. La prima lunga tappa è Firenze; Alfieri si vergogna perché, nonostante sia nella patria del toscano, preferisce imparare l'inglese, e inoltre continua a voler utilizzare la ridicola u alla francese di Torino. Il viaggio prosegue poi con brevi tappe a Lucca, Pisa, e Livorno: quest'ultima è la città che più piace all'autore, sia per la somiglianza con Torino, sia per il mare che per lui sempre un elemento affascinante. Vi è poi un lungo soggiorno a Roma, città di cui Alfieri apprezza molto poco, ad eccezione di alcuni elementi architettonici, forse per l'influenza dello zio architetto. L'autore rammenta come lo stupore dei suoi amici stranieri verso le meraviglie dell'Italia sia molto maggiori del suo. Solo dopo i lunghi soggiorni all'estero ha saputo poi valorizzare l'Italia e gli italiani, e anche capito l'entusiasmo degli stranieri per ciò che vedevano sulla penisola. CAPITOLO SECONDO Il viaggio prosegue verso Napoli. Nel tragitto Francesco Elia si rompe un braccio, e acquista ancora più ammirazione da parte di Alfieri in quanto riesce a risolvere da solo e prontamente anche questa situazione. A Napoli Alfieri si trova a disagio come in tutti gli altri luoghi in cui si è trovato in precedenza: egli riconosce infatti di ammirare di più il percorso fatto verso una meta e il fatto di essere lontano da casa rispetto a quanto visita. In questo momento Alfieri ha diciotto anni, e ancora non sa davvero cosa fare della sua vita; durante la visita alla corte napoletana gli viene consigliato di diventare un diplomatico; l'idea lo lusinga, ma non si mette mai veramente a tentare quella carriera. Allo stesso modo, non cerca nessun legame né amichevole, né amoroso, in quanto capisce che il suo solo interesse in quel momento è esplorare e rimanere il più possibile lontano da casa. C'è poi la riflessione sul carattere personale: l'autore riconosce di essere una persona che non fa il male di proposito, ed anche molto volenterosa, ma di avere sempre un disagio legato al fatto di non avere né un amore né uno scopo nella vita. Il capitolo si conclude con la partenza del solo Alfieri verso Venezia con Francesco Elia, mentre il suo precettore e gli amici restano a Napoli per tutto carnevale. CAPITOLO TERZO Deve proseguire da solo il suo viaggio verso Venezia. Racconta di aver ottenuto dalla re sabaudo il permesso di proseguire i suoi viaggi ancora per un anno, esplorando così l'intera Europa. Va infatti ricordato che in quel periodo i nobili del regno di Sardegna dovevano chiedere al re il permesso per ogni loro spostamento che li allontanasse dai doveri di corte o dell'esercito. Sulla strada da Napoli a Venezia Alfieri si ferma nuovamente a Roma, ma ammette ancora una volta di non saper sfruttare interamente la bellezza della 9 città, limitandosi a visitare il minimo indispensabile. Inoltre, grazie a un nobile (il conte di Rivara) riesce a incontrare il Papa Leone XIII. Questo incontro è il pretesto per ricordare ancora una volta la Storia Ecclesiastica, opera francese la cui lettura è stata secondo l'autore la casa della sua avversione verso il clero. La decisione di intraprendere il viaggio in Europa viene però macchiata dalla notizia avuta dal curatore del fatto che per il viaggio avrà solo 1500 denari. l'Olanda piace sommamente all'autore. Ultima tappa, la Svezia, altro 12 Stato ideale in quanto eccessivo nel suo essere nordico (ricordiamo ancora una volta come Alfieri ripeta spesso di preferire sempre gli eccessi ai valori moderati). Parallelamente l'autore descrive anche le letture fatte: Montaigne, ancora Plutarco, nonché alcuni autori italiani tra cui l'Aretino. Egli infatti durante i suoi viaggi incontra più volte alcuni personaggi italiani e si sforza quindi anche di parlare il dialetto toscano. In Svezia, inoltre, si diletta molto con le corse con le slitte, ma fa sempre attenzione a non trovare né affetti, né amore. CAPITOLO NONO Ancora viaggio attraverso l'Europa. Alfieri descrive minuziosamente l'attraversamento delle isole svedesi alla volta della Finlandia, non risparmiandosi un commento metaletterario sul poco interesse che questa descrizione susciterà nei lettori. Il viaggio prosegue poi fino a San Pietroburgo, allora capitale russa; Alfieri si rifiuta di incontrare la zarina Caterina II, da tutti riconosciuta come filosofa e monarca illuminata, ma che per lui è solo un enorme esempio di tirannide in quanto ha fatto uccidere il marito Pietro III in una congiura e non ha liberato il suo popolo dalla schiavitù. Inoltre Alfieri prova un grande disprezzo verso i russi, che per lui sono un popolo asiatico mascherato da europeo. C'è anche un parallelo con il regno di Prussia, regno per lui eccessivamente militarizzato Il cui sovrano ha infatti rapporti di grande amicizia con la zarina Caterina. Nel tornare verso sud Alfieri è costretto a ripassare in Germania, paese che per lui non ha alcuna attrattiva. Il transito presso un fronte di battaglia gli permette di riflettere anche sull'assurdità di alcuni regimi europei. Il viaggio riprende poi verso settentrione, visto che Alfieri va a visitare l'amico portoghese Acuña in Olanda, senza però poter vedere la sua amante ormai trasferitasi a Parigi. Prima di recarsi in Inghilterra Alfieri compie un'altra breve deviazione in Belgio, dove la visita al principato di Liegi, controllato da un vescovo, è il pretesto per ribadire ancora una volta la sua avversione per la vita clericale quanto per quella militare. CAPITOLO DECIMO Descrizione delle disavventure amorose di Alfieri a Londra. Nella capitale inglese l'autore ritrova il principe di Masserano, ambasciatore del regno di Napoli, e suo amico. Inizia inoltre un legame amoroso con Penelope, una nobildonna inglese sposata che lo prende come suo amante, con cui si incontra in segreto mentre il marito è fuori di casa. Quando lei si sposta nelle campagne inglesi per la villeggiatura estiva di sette mesi il marito riceve notizia di una visita alla moglie, e la seconda volta la fa seguire. Pochi giorni dopo Alfieri fa una gita a cavallo con l'amico principe di Masserano e si ferisce il braccio, fortunatamente il sinistro. Il fatto di avere il braccio destro funzionante lo salva poche sere dopo, quando il 13 marito di Penelope lo trova nel teatro italiano e lo sfida a duello. L'uomo è però d'indole britannica, quindi si accontenta di ferirlo, e Alfieri dal canto suo non è in grado di fargli ulteriormente male con la spada. Poco dopo Alfieri si reca presso una parente di Penelope che li aveva protetti e lì la sua amante gli racconta di aver cercato di avvisarlo, senza però riuscirvi. La faccenda si risolve con il marito di Penelope che le chiede il divorzio e l'autore, pronto a diventare il nuovo compagno della donna, che si rifugia presso un altro amico, il marchese Caracciolo. CAPITOLO UNDICESIMO L'illusione amorosa dell'autore si spegne presto. L'amante dice più volte ad Alfieri di essere sicura che lui non la sposerà, ma di saperne solo lei il motivo. Pochi giorni dopo, infatti, confessa all'autore di aver avuto un'altra relazione, con uno dei palafrenieri del marito. Si scopre quindi che anche il marito era a conoscenza della relazione tra la moglie e il suo servitore, ma dato che questi aveva confessato spontaneamente lo aveva perdonato prendendosela invece con l'autore. Alfieri pensa che Penelope sia stata altrettanto spontanea nella sua confessione a lui, ma viene ancora una volta deluso: la donna gli ha parlato solo perché sapeva che la vicenda era ormai nota alla stampa e Alfieri l'avrebbe comunque letta sui giornali. Il processo di divorzio viene disputato a nome dell'autore come causa della separazione tra i due coniugi: tocca quindi a lui pagare un risarcimento al marito tradito. Nonostante la disprezzi, Alfieri non riesce a staccarsi da Penelope, e compie con lei un breve viaggio in Francia. A un certo punto finalmente il ribrezzo verso la donna fedifraga supera l'attrazione, e Alfieri riesce a allontanarsi da lei proseguendo da solo il viaggio verso Londra. CAPITOLO DODICESIMO Visto che a Londra sono troppi ricordi della disavventura con Penelope, Alfieri ritorna in Olanda a trovare ancora una volta l'amico Acuña, per poi proseguire il viaggio per Parigi (che ancora una volta non gli piace) e poi fino in Spagna. Nella penisola iberica Alfieri adotta un metodo singolare di viaggio, ovvero acquista due cavalli e prosegue al galoppo fino a Madrid e poi a Barcellona per altre città, sempre accompagnato dal fido Elia. Ancora una volta evita il più possibile gli incontri con altri essere umani, siano essi nobili persone del popolo. In Madrid in particolare evita l'incontro sia con il re che con l'ambasciatore del regno di Sardegna, essendo egli una persona che aveva già incontrato in Inghilterra durante sul primo viaggio e con il quale non c'era stata la minima simpatia. Durante il viaggio Spagna avviene un episodio singolare: Alfieri ha fatto amicizia con un giovane orologiaio spagnolo, e una sera lo invita a cena. Dopo il pasto si fa pettinare dal servo Elia, 14 ma un errore di quest'ultimo fa scattare l'ira di Alfieri che ferisce il servitore. L'incidente, per quanto grave, si risolve in quanto Elia non cerca vendetta. Alfieri racconta però che il servo conservò per anni i fazzoletti insanguinati in modo da ricordare il smacco subito. Alfieri fa dunque una riflessione sul fatto di non aver mai pensato di poterlo trattare come suo inferiore, ma di aver sempre apprezzato coloro che, per quanto suoi sottoposti, si fossero difesi a loro volta se picchiati, in quanto l'autore ha sempre preferito lo scontro da uomo a uomo. Proseguendo il suo viaggio Alfieri visita Lisbona, città per lui tanto bella da distante quanto squallida e orribile una volta visitata. Viaggiando a ritroso dalla Spagna in direzione dell'Italia, a Cadice Alfieri si ammala nuovamente. Si fa visitare in Francia, a Montpellier, ma contrariamente al consiglio dei medici decide poi di proseguire fino a Torino, dove passa tutta l'estate a curarsi. In tutto il capitolo vi sono anche riferimenti alla futura attività di scrittore dell'autore. Innanzitutto a Parigi Alfieri avrebbe l'occasione di incontrare Jean-Jacques Rousseau, persona che egli odia e ammira contemporaneamente, ma più per il suo comportamento che per le sue opere. L' incontro non avviene per volere dell'autore, che però acquista sempre a Parigi una serie di volumi contenenti le opere dei più importanti poeti italiani. La lettura di queste opere, che lui mai prima aveva affrontato, è il pretesto per fornire ai lettori l'elenco di coloro che, secondo lui, sono i maggiori poeti italiani di tutti i tempi: Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Tasso e Machiavelli (come si può ben vedere nessuno è coevo o vicino cronologicamente ad Alfieri). Inoltre, durante il viaggio a cavallo per la Spagna egli ammette che, se avesse avuto più capacità di scrittura, avrebbe cominciato sicuramente lì il suo poetare. Vi è poi un attivissimo paragone tra le speculazioni di chi soffre di malattie psichiche e i poeti: secondo Alfieri l'unica differenza è che i secondi mettere per iscritto le loro farneticazioni, rendendole poesia. A Lisbona, infine, c'è l'incontro con l'abate di Caluso, letterato e definito "un Montaigne vivente" con il quale Alfieri stringe una sincera amicizia. È grazie a lui che l'autore sente per la prima volta quel desiderio di scrivere che soddisferà però solo molti anni più avanti. CAPITOLO TREDICESIMO Alfieri racconta dei sei mesi trascorsi a Torino, abitando in una casa in piazza San Carlo. Crea una sorta di società tra amici intimi, in cui vi sono giovani dell'alta società di diversa intelligenza. Nessuno, comunque, che permetta ad Alfieri di eccellere in qualcuna delle attività della compagnia; la più diffusa è la scrittura di storielle divertenti, che vengono depositate anonime in una cassetta e poi lette per diletto. Alfieri racconta quindi di aver notato quanto talento possiede nella scrittura delle storie di satira: scrive infatti, per 15 esempio, un racconto legato a un ipotetico giorno del giudizio, in cui riesce a fare il verso a tutte le principali personalità della città. Il genere della satira, però, non è di suo gradimento, In quanto riconosce che per la sua riuscita è molto più importante lo spirito incattivito del lettore (e il suo desiderio di fasi beffe di ricchi e potenti) rispetto alle capacità dello scrittore. Il capitolo si conclude con la descrizione di un'altra breve liaison amorosa dell'autore, che è stato per alcuni mesi legato sentimentalmente a una donna di quasi dieci anni più grande di lui. Egli non la ama, ma subisce la forte attrazione che la donna prova per lui. CAPITOLO QUATTORDICESIMO Alfieri racconta degli eccessi a cui lo ha portato l'insano amore/odio per quella donna (il cui nome è Gabriella Falletti di Villafalletto). Innanzitutto ha patito una pesante malattia, con sintomi come convulsioni e un vomito continuo. Sfiora la morte e deve perfino fare testamento. Una volta ripresosi, ritorna a fare il cavalier servente della stessa dama, sebbene la cosa continui a stressarlo. Anche la donna si ammala, e nel periodo trascorso al suo capezzale l'autore si mette, per noia, a scrivere un breve dialogo tra un Photino, una donna di nome Lachesi (come una delle Parche), e Cleopatra. Si tratta di una bozza piuttosto scarsa in qualità e in ortografia, che Alfieri non esita però a mettere come appendice alla sua biografia come testimonianza dell'inizio della sua attività letteraria. Preso dallo sconforto per lo stress procuratogli dalla donna, Vittorio decide un certo punto di fuggire prima per Milano e poi in direzione di Roma, ma giunto solo a Novara si pente e scrive alla sua dama per chiedere scusa. L'inghippo si risolve con Alfieri che resta fuori alcune settimane e poi torna con il pretesto di una nuova malattia, senza essere ancora riuscito a liberarsi da questa amante che lo rende infelice. CAPITOLO QUINDICESIMO Alfieri racconta della follia compiuta per liberarsi finalmente dell'amore per questa donna più vecchia di lui. Si taglia i capelli rossi, manda la coda a un caro amico, e dato che come nobile non può presentarsi in pubblico con i capelli così tagliati resta in casa per alcuni mesi. A questo periodo di clausura forzata che corrisponde l'inizio della sua attività come drammaturgo. Alfieri prime scrivi un sonetto, che invia (insieme alla Cleopatra scritta in casa Falletto) per giudizio a un amico, Padre Paciaudi, il quale critica non tanto l'opera, quanto l'italiano usato dall'autore, ancora poco avvezzo a usare questa lingua. Affida inoltre invia i suoi scritti anche un caro amico, il conte Agostino Tana, che come Paciuadi gli invia delle simpatiche annotazioni e correzioni. Siamo nel 1775: Alfieri scrive una nuova tragedia del titolo Cleopatra (in oltre 1600 versi, la più lunga tra le sue tragedie) che viene 16 rappresentata al teatro Carignano di Torino in due repliche e diventa così la prima opera dell'autore. Egli fa seguire a questa tragedia un'altra scenetta in cui vi sono degli autori e poeti che si beffano della sua stessa opera. Per lui si tratta del segno di come la sua attività di scrittore iniziata come drammaturgo e commediografo contemporaneamente. Alla fine di questa terza sezione della biografia sono riportati alcuni stralci di queste opere giovanili, e anche alcune delle lettere dei suoi primi maestri e correttori; essi però sono state modificate dall'Alfieri per essere inserite nell'opera. Si legge chiaramente come i versi siano acerbi, le rime ancora abbozzate, gli accenti mal distribuiti: è lo stesso autore a criticarsi in alcune note aggiunte poi a margine, non senza falsa modestia probabilmente. Questa sezione si chiude qui involontarie leggendo l'omonima opera di Voltaire. L'evento importante in questo capitolo è un soggiorno a Firenze, durante il quale fa conoscenza con quella che diventerà la donna della sua vita: Luisa Stolberg, maritata con il conte d'Albany: il marito è pretendente giacobino al trono d'Inghilterra, ma questo non impedisce ad Alfieri di innamorarsi della donna e di iniziare con lei una relazione. La donna, infatti, affascina Alfieri perché egli sente che il suo amore per lei non lo distoglie dalla carriera letteraria, ma anzi lo sprona. Alfieri inoltre in questo capitolo compie un lungo flash forward: rivela infatti che anche mentre sta scrivendo queste sue memorie la donna è al suo fianco, ancora innamorata di lui, e che quindi l'amore tra i due si è risolto per il meglio. CAPITOLO SESTO Racconto dell'anno 1778. Alfieri si ritrova a questo punto in una situazione difficile: vorrebbe restare a Firenze con la contessa d'Albany, ma essendo vassallo del re di Savoia è costretto a chiedere continuamente permesso sia per scrivere le sue opere, sia per soggiornare all'estero. La soluzione è tanto facile quanto drastica: Alfieri rinuncia a tutte le sue proprietà e le dona alla contessa Giulia e a suo cognato, il conte di Cumiana. Si tratta di un procedimento molto lungo, dal quale Alfieri esce solo con una piccola rendita annuale. Vende inoltre tutto ciò che possiede a Torino, ricavandone un piccolo capitale che investe in Francia. Quando sta vendendo i suoi averi teme per alcuni giorni che il fido Elia, cui è stata affidata la vendita, lo abbia tradito fuggendo col denaro, ma così ovviamente non è. Per completare la sua liberazione Alfieri la rinuncia inoltre agli abiti militari che ammette sempre portato più per vanità che per fedeltà al re di Savoia. La sua vita dopo la rinuncia alle ricchezze è certamente meno lussuosa, ma Alfieri è pienamente convinto della sua scelta. In questo anno dedicato soprattutto alle faccende amministrative Alfieri riesce a malapena a dedicarsi al lavoro di drammaturgo e di poeta: questo è anche per il fastidio derivato dal fatto che Luisa, la sua compagna prese e parla solo francese. Alfieri sa che in questo modo non riuscirà a migliorare il suo italiano e le sue opere, ma la donna 20 ancora una volta compie un gesto di grande amore e impara per lui l'italiano. Per Alfieri il fatto di essere cresciuto e vissuto in un ambiente poliglotta può essere visto in due modi: da una parte dà merito di essere comunque riuscito a elaborare opere degne di nota; dall'altro, se queste opere verranno criticate sarà un'ottima giustificazione. CAPITOLO SETTIMO Alfieri si trova finalmente lontano da preoccupazioni di tipo economico e sentimentale, e si dedica quindi alla scrittura quasi a tempo pieno, alla stesura di poemi e soprattutto di tragedie (tra cui la Congiura dei Pazzi e poi il Don Garzia) a cui alterna momenti in cui si dedica alla poesia per omaggiare la sua donna. Trova anche il tempo di elaborare un altro testo di tipo riflessivo, Del Principe e delle Lettere. In questo stesso periodo relazione con Luisa viene resa difficile dal fatto che la donna è ancora sposata, e quindi costretta a vivere comunque con il marito. Alfieri può vederla solo in alcune occasioni, perciò si dedica molto anche alla scrittura: stende varie opere e ne versifica altre, tra cui la Maria Stuarda. In questo periodo, però, il suo animo e consolato della presenza presso di lui di alcuni amici, tra cui Gori e soprattutto l'abate di Caluso, che come lui decide di trasferirsi a Firenze per poterti dedicare meglio ai suoi interessi e non a quelli della sua famiglia. CAPITOLO OTTAVO La storia di Luisa si complica ulteriormente: il marito infatti in un impeto di ira prova persino ad ucciderla, e questa potrebbe essere una grande occasione per giustificare la separazione della donna dal conte. Le regole del tempo a proposito, però, sono alquanto complicate: Luisa deve quindi chiudersi in convento, prima a Firenze e poi successivamente a Roma presso il cognato. Alfieri nel frattempo non può fare altro che attendere, sopportare ovviamente scrivere. Decide quindi di intraprendere dei nuovi viaggi: prima da Gori, a Siena, poi di muoversi verso Napoli. La scelta di Napoli non è casuale, ma dettata dal fatto che per raggiungere la città bisogna necessariamente passare per Roma. A Roma egli può fare una breve visita alla sua amata, che però è sempre tenuta in convento. Alfieri fa tutto il possibile per cercare di accelerare la sua liberazione. Prosegue poi fino a Napoli, città nella quale si dedica ancora una volta solo al mestiere di letterato. Le sue rendite sono infatti sufficienti perché non debba avere più preoccupazioni di tipo economico. CAPITOLO NONO Questo capitolo è dedicato interamente al lavoro letterario. Alfieri infatti si dedica in questo periodo non tanto all'amata, che è lontana da lui, ma allo scrivere. In breve tempo si trova con un totale di quattordici tragedie, anche se nelle intenzioni iniziali voleva scriverne 21 dodici. Le ultime due opere a entrare a far parte del suo corredo sono la Merope e il Saul. Il Saul ha ispirazione biblica: Alfieri spiega infatti che se avessi dovuto seguire il suo istinto avrebbe scritto almeno altre due opere di tema biblico per il momento si limita a sistemare ciò che ha già preparato. Le sue opere vengono elaborate in più punti, ma Alfieri ribadisce più volte che una volta date alla stampa raramente ha poi imposto grosse correzioni successive. Racconta poi di come fa per capire se le sue opere vengono apprezzate o no; la sua tecnica e infatti di riunire una quindicina di persone, che possano in quanto a varietà riprodurre il vero pubblico di un teatro. Si tratta poi di recitare l'opera davanti a queste persone e di osservarne i movimenti sulla sedia. Dal sedere del pubblico si capisce infatti molto meglio di quanto non possono dire le bocche, che spesso danno lodi false e pretestuose. Il sedere al contrario è sincero, in quanto da esso si può vedere se lo spettatore è interessato all'opera, spaventato o emozionato nei momenti giusti, e si capisce quindi quando l'opera ha raggiunto il suo scopo. CAPITOLO DECIMO Alfieri racconta di come riesce finalmente a mettere in scena una delle sue opere. Si tratta di una recita fatta da un gruppo di nobili di appassionati di teatro, con i quali l'autore mette sul palco l'Antigone, interpretandone lui stesso una parte. L'opera per quanto piccola ha grande successo e Alfieri decide quindi di mandarne in stampa quattro in totale, tra cui l'Antigone e il Filippo. Nello stesso periodo Alfieri incontra il Papa: l'avversione dell'autore per il clero è già nota, ma in quel momento Alfieri si riduce addirittura promettere al Papa di dedicargli la prossima delle sue tragedie. Egli infatti potrebbe ingraziarsi il sommo pontefice e farne un suo difensore nella questione legata al divorzio della moglie, ma il Papa non può accettare opere di nessun autore e Luisa è comunque costretta a restare ancora presso il cognato. La situazione si sta facendo molto difficile in quanto la presenza di Alfieri vicino alla donna è ormai risaputa da tutti e mette in cattiva luce la famiglia d'Albany. Alfieri ancora una volta prende una decisione prima che siano gli altri a farlo per lui, e pur di non essere bandito da Roma lascia di sua sponte la città. Per ingannare il tempo compie dunque un viaggio nel nord della penisola. Visita ancora una volta il Gori a Siena e l'abate di Caluso a Vercelli, limitandosi a una brevissima incursione a Torino presso la sorella. Il suo viaggio prosegue poi portandolo a vedere dalle altre le tombe del Petrarca e di Dante, nonché a visitare due letterati suoi contemporanei, ovvero il Parini a Milano e a Padova il Cesarotti, famoso per aver tradotto in italiano l'Ossian. Questo viaggio di Alfieri si conclude a Venezia. CAPITOLO UNDICESIMO Alfieri decide di tornare in Toscana, passando questa volta da Modena e Pistoia. Lungo il tragitto scrive alcuni epigrammi, riconoscendo però che si tratta di un genere poco adatto alla lingua italiana. Si ferma poi a Firenze, per far giudicare le opere da lui pubblicate agli accademici, ma si accorge che essi non sanno dargli un giudizio concreto pur criticando i suoi scritti. Fa poi visita al Gori, e decide di pubblicare altre tragedie, per un totale di sei. Questa volta è Alfieri in persona ad occuparsi della revisione e della discussione con i censori, impicci di cui per la prima edizione si era occupato l'amico. Lo stress causato dal lavoro e dalla discussione con i revisori gli causa anche un ennesimo periodo di malattia. Nel frattempo l'autore riceve la critica positiva del Calzabigi (che invita i drammaturghi a farsi pittori), che cita anche nella Vita dicendo che aveva avuto anche la tentazione di farne la prefazione delle sue opere. Alfieri decide poi di trascorrere l'inverno in Francia e Inghilterra, perché tanto non può rivedere Luisa. CAPITOLO DODICESIMO Alfieri in Inghilterra acquista svariati cavalli, dedicandosi invece all'ozio per quanto riguarda la scrittura. Alla fine ne porta quattordici in Toscana, passando le Alpi e soggiornando alcune settimane a Torino. In questo capitolo ribadisce ancora una volta la sua avversione per i francesi e per la letteratura francese. CAPITOLO TREDICESIMO A Torino Alfieri rivede alcuni dei suoi amici di gioventù; non tutti però lo accolgono amichevolmente, più che altro per invidia. Inoltre deve fare visita al re (che lui anche da apolide rispetta) e al ministro, che gli offre di ritornare in Piemonte e fare carriera politico diplomatica. Alfieri rifiuta, convinto ancora di continuare a scrivere. La stessa convinzione gli resta dopo aver assistito al Carignano ad una brutta versione della sua Virginia. È il pretesto per una dura critica all'Italia e all'assenza di un vero movimento teatrale nazionale: mancano bravi attori, autori competenti e un pubblico attento. Per questo, Alfieri sa che non potrà mai ottenere la vera gloria, ma continuerà a scrivere. L'autore riparte, fa visita alla madre ad Asti e poi torna a Siena dall'amico Gori. Nel frattempo ha finalmente notizie dell'amata, che libera da Roma si sta recando alle terme di Baden. CAPITOLO QUATTORDICESIMO Alfieri riceve in Toscana i cavalli acquistati in Inghilterra. Prosegue con la scrittura del poemetto Etruria Vendicata e riparte poi alla volta della Germania per rivedere Luisa. L'incontro con l'amata è il pretesto per scrivere tre nuove tragedie, nonostante Alfieri avesse deciso di non occuparsi più di tali opere. Vi è anche qui un flash forward in quanto Alfieri anticipa che è l'ultima volta che ha salutato l'amico Gori. Ritrovata l'amata a Baden, 23 i due vengono raggiunti dalla notizia della morte del Gori, che Alfieri può affrontare più serenamente proprio perché c'è Luisa al suo fianco. Tornato in Toscana dopo l'ennesima dura separazione dalla sua donna decide di non restare più a Siena (dove era proprio Gori ad ospitarlo) bensì di trasferirsi a Pisa per l'inverno 1784-1785. CAPITOLO QUINDICESIMO Solo a Pisa, Alfieri decide di scrivere per distrarsi dall'assenza dell'amata; Luisa infatti si trova a pochi chilometri da lui, a Bologna (stando a Bologna infatti la donna non contravviene all'obbligo di rimanere nello Stato Pontificio, ma almeno rimane lontana dal cognato a Roma). Inizialmente l'autore prova a operare una correzione dei versi di Sallustio, ma si tratta di un lavoro troppo certosino per sfogare il suo stress, perciò decide di andare avanti con la scrittura de Del Principe e Delle Lettere. Nello stesso periodo vengono date in stampa altre tragedie, e si arriva così al terzo volume; AIfieri chiede a questo proposito una critica al Cesarotti, che critica in parte lo stile dell'autore astigiano. L'ultimo paragrafo è dedicato alla tradizionale festa pisana del Ponte, alla quale Alfieri partecipa ottenendo grande ammirazione per i sui cavalli: è il pretesto per far notare ancora una volta come in Italia sia più facile avere gloria per le proprie ricchezze che per ciò che si è scritto. poi Alfieri si entusiasma per il greco e l'attività intellettuale lo stimola a scrivere. Arriva così a 17 satire, che mette in stampa assieme a molte rime. CAPITOLO VENTISEIESIMO Alfieri si dedica a scrivere due versioni dell'Alceste. La prima è così classicheggiante che l'autore la legge riuscendo in parte a farla passare per una traduzione dell'originale greco. Vi è poi una nota politica: Alfieri infatti viene richiamato dall'ambasciatore francese in Piemonte, che vorrebbe farlo asservire al regno napoleonico in cambio della restituzione dei suoi libri. Alfieri riporta in allegato gli scambi di lettere con questo ambasciatore e ricorda ancora una volta di non aver ceduto al tiranno, preferendo perdere la sua grande biblioteca. CAPITOLO VENTISETTESIMO Alfieri prosegue delle sue giornate di studi. Ha ormai creato una vera e propria routine settimanale, distribuita tra studio dei classici greci e della Bibbia. Si dedica anche alla traduzione e soprattutto ad una approfondita lettura delle opere di Pindaro. Inoltre mette alla stampa le sue opere: il Misogallo, le rime ancora una volta riordinate, l'Abele. Nel frattempo i francesi sono scesi in Toscana che hanno già conquistato Lucca; prima che arrivino a Firenze nel marzo del 1799, Alfieri la compagna fuggono in una villa in campagna. CAPITOLO VENTOTTESIMO Alfieri e la compagna restano lontani da Firenze fintanto che viene occupata dai francesi. Alfieri fa anche visita a Carlo Alberto IV, re di Savoia allontanato da Torino: egli infatti gli è rimasto affezionato pur avendo perso la cittadinanza sabauda. Nello stesso periodo Alfieri ha una gran brutta sorpresa: i manoscritti che aveva lasciato stanno per essere stampati senza il suo nome, nonostante i vari appelli da lui fatti per rientrarne in possesso. CAPITOLO VENTINOVESIMO Alla seconda invasione di Firenze da parte dei francesi Alfieri si trova in città, ma essendo straniero riesce ad evitare di dover ospitare dei soldati in casa sua. Il comandante francese, però, essendo un appassionato di lettere prova incontrarlo: Alfieri preferisce passare per misantropo e non vederlo affatto. Nel frattempo l'autore scopre di essere stato nominato mezzo internazionale, sapete delle scienze di Torino; rifiuta però anche questa nomina, e si mette a progettare sei commedie, che stende nei mesi successivi. CAPITOLO TRENTESIMO Nuovi problemi di salute per Alfieri (sempre la gotta), che si affretta a terminare le ultime commedie in modo da potersi dedicare poi solo allo studio del greco e del latino, così come la sua compagna studia il tedesco e l'inglese. Nel frattempo riceve la visita dell'abate di Caluso, che si complimenta con lui per gli ultimi lavori, e apprende la notizia che il suo unico nipote maschio è venuto a mancare, lasciando senza un erede maschio; nonostante Alfieri abbia ceduto tutti i suoi possedimenti alla sorella Giulia, ciò lo lascia deluso in un moto d'orgoglio aristocratico. CAPITOLO TRENTUNESIMO Alfieri capisce che giunto a 55 anni non ha molto tempo a disposizione. Non ha più voglia di seguire la messa in stampa delle sue ultime opere, e preferisce perciò lasciare solo degli ordinati manoscritti. Sceglie inoltre di tenere la Vecchiaia di Cicerone come opera da tradurre se supererà i sessant'anni. Sappiamo però che ciò non avverrà mai. Alfieri inoltre si scusa per aver a volte raccontato degli episodi troppo frettolosamente, ma si giustifica spiegando che ciò è accaduto perché era sempre molto occupato nelle altre opere letterarie. LETTERA DELL'ABATE DI CALUSO La lettera viene messa in fondo all'opera per completarla con il racconto della morte dell'autore. Caluso scrive alla contessa D'Albany e allega un racconto della rapida morte di Alfieri, che in pochi giorni perde conoscenza e viene stremato probabilmente dalla gotta. Segue ovviamente la lode all'autore del quale restano fortunatamente le opere, e viene 28 citato Canova, che sta già preparando il monumento funebre per la chiesa di Santa Croce a Firenze.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved