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La vita e l'opera di Giovanni Pascoli, Appunti di Italiano

La vita e l'opera di Giovanni Pascoli, poeta, professore universitario e critico letterario italiano. Si parla della sua famiglia, del trauma della morte improvvisa del padre e dei lutti familiari che hanno segnato profondamente il carattere del poeta. Si descrive il suo percorso di studi, la carriera di insegnante e professore universitario, la sua residenza stabile a Castelvecchio e il matrimonio della sorella Ida. Inoltre, si fa riferimento alla sua presunta patologia sessuale e alla sua relazione con Giosuè Carducci.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 13/12/2022

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Scarica La vita e l'opera di Giovanni Pascoli e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! GIOVANNI PASCOLI Giovanni Pascoli è una figura centrale della cultura italiana tra la fine dell’800 e i primi anni del 900. Fu poeta di grande successo, professore universitario, autore di saggi e critico letterario. La sua poesia unisce la raffigurazione del mondo naturale e contadino e una grande carica umanitaria. LA VITA Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855. La sua famiglia è di estrazione piccolo-borghese e gode di una buona situazione economica, il padre era amministratore della tenuta agricola La Torre dei principi Torlonia. Il 10 agosto 1867, quando Giovanni aveva dodici anni, il padre fu assassinato con una fucilata, sul proprio calesse, mentre tornava a casa da Cesena. Le ragioni del delitto, forse di natura politica o forse dovute a contrasti di lavoro, non furono mai chiarite ed i responsabili rimasero ignoti, nonostante la famiglia avesse forti sospetti sull'identità dell'assassino, come traspare evidentemente nella poesia La cavalla storna: il probabile mandante fu infatti un delinquente, Pietro Cacciaguerra (al quale Pascoli fa riferimento, senza nominarlo, nella lirica Tra San Mauro e Savignano), possidente ed esperto fattore da bestiame, che divenne successivamente agente per conto del principe, coadiuvando l'amministratore Achille Petri, subentrato a Ruggero Pascoli dopo il delitto. I due sicari, i cui nomi correvano di bocca in bocca in paese, furono Luigi Pagliarani detto Bigéca (fervente repubblicano) e Michele Dellarocca, probabilmente fomentati dal presunto mandante. Sempre da Pascoli venne scritta una poesia in ricordo della notte dell'assassinio del padre, X agosto, la notte di San Lorenzo, la stessa notte in cui morì il padre. La morte del padre è il trauma più importante (trauma della morte improvvisa) A seguito dell’avvenimento la famiglia deve andarsene dalla tenuta ed affrontare conseguenti difficoltà economiche. Dopo quello del padre altri lutti famigliari funestano la vita di Pascoli: la madre per un attacco cardiaco, un fratello e una sorella per tifo, suo fratello Luigi per meningite, secondo alcune ricerche, però, la morte di Giacomo non fu naturale bensì dovuta ad avvelenamento da parte di ignoti che minacciarono lui e i suoi fratelli Raffaele e Giovanni di non continuare le indagini sulla morte del padre. Tali lutti ne segnano profondamente il carattere, riservato ed a volte insicuro e spingono il poeta a stringere un legame sempre più stretto con le sorelle Ida e Maria. Infatti, le due sorelle andarono a studiare nel collegio del convento delle monache agostiniane a Sogliano al Rubicone, dove rimasero dieci anni: nel 1882, uscite dal convento, Ida e Maria chiesero aiuto al fratello Giovanni, chiedendogli di vivere con lui. Nella biografia scritta dalla sorella Maria, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, il futuro poeta è presentato come un ragazzo solido e vivace, il cui carattere non era stato alterato dalle disgrazie; per anni, infatti, le sue reazioni parvero essere volitive e tenaci, nell'impegno a terminare il liceo e a cercare i mezzi per proseguire gli studi universitari, nonché nel puntiglio, sempre frustrato, nel ricercare e perseguire l'assassino del padre. Questo desiderio di giustizia non sfocerà mai nella vendetta, e Pascoli si pronuncerà sempre contro la pena di morte e contro l'ergastolo per motivi principalmente umanitari. P: Si pensa che Giovanni Pascoli fosse affetto da una patologia: ovvero la Sessuofobia; infatti, quest’ultimo si è fidanzato con sua cugina, con la quale si voleva sposare. Nel 1871 Pascoli abbandona il collegio di Urbino per trasferirsi a Rimini, dove frequenta il liceo classico Giulio Cesare. Grazie a una borsa di studio si iscrive in seguito all’Università di Bologna, dove frequenta, tra gli altri, i corsi di Giosuè Carducci, il quale aveva influenze sia del positivismo che del neoclassicismo. [Giosuè Carducci era ateo, ma era un ateismo reazionario, in quanto non si sopportava la figura del papa-re. Carducci è uno sfegatato monarchico, che fa cenni e poesia alla regina Margherita. C’è da dire però che Carducci vede il positivo anche e soprattutto nei suoi aspetti negativi, come per esempio la nascita della macchina a vapore. In poetica è un riformista (matematico della poesia). È stato molto toccato nel personale, a causa della morte del bambino piccolo di tre anni, al quale dedica una poesia meravigliosa; quindi, Giovanni Pascoli diventa una sorta di ragione di vita. Quest’ultimo non si decideva di andare in pensione, perché stava aspettando che Giovanni pascoli salisse in graduatoria per poter prendere il suo posto. È stato anche il professore di Gabriele D’annunzio. Quest’ultimo vinse il premio nobel per la letteratura] Nel 1882 intraprende la carriera di insegnante di greco e latino e nei licei si Matera e Massa, Il 22 settembre 1882 Pascoli era stato iniziato alla massoneria, presso la loggia "Rizzoli" di Bologna. Il testamento massonico autografo del Pascoli, a forma di triangolo (il triangolo è un simbolo massonico), è stato rinvenuto nel 2002. Nel 1895 divenne professore universitario, e nonostante la sua professione lo spinga a lavorare in più città, come Bologna, Messina, Pisa, Pascoli non si radica mai in alcuna di esse, preoccupandosi sempre di garantirsi una "via di fuga" verso il proprio mondo di origine, quello agreste. Proprio per questo nel 1895 si trasferisce con la sorella Maria a Castelvecchio, in una casa che divenne la sua residenza stabile quando poté acquistarla (impegnando anche alcune medaglie d'oro vinte al concorso di poesia latina di Amsterdam). Dopo il matrimonio della sorella Ida con il romagnolo Salvatore Berti, matrimonio che il poeta aveva contemplato e seguito sin dal 1891, Pascoli vivrà in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida (la ragazza ha tradito il “Nido” che i tre avevano provato a ricostruire) nei suoi confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito, vivendo la cosa come una profonda ferita dopo i dieci anni di sacrifici e dedizione alle sorelle, a causa delle quali il poeta aveva di fatto più volte rinunciato all'amore. Molti particolari della vita personale, successivamente emersi dalle lettere private, furono taciuti dalla celebre biografia scritta dalla sorella Maria, poiché giudicati da lei sconvenienti o non conosciuti. Il fidanzamento di Pascoli con la cugina Imelde Morri di Rimini, all'indomani delle nozze di Ida e organizzato all'insaputa di Mariù, dimostra il reale intento del poeta, ma di fronte alla disperazione di Mariù, che non avrebbe mai accettato il matrimonio, né l'ingerenza di un'altra donna in casa sua, Pascoli rinuncerà al proposito di vita coniugale. Si può affermare che la vita moderna della città non entrò mai, neppure come antitesi, come contrapposizione polemica, nella poesia pascoliana: egli, in un certo senso, non uscì mai dai confini del cosiddetto «nido», il suo mondo reale e metaforico che costituì, in tutta la sua produzione letteraria, l'unico grande tema, una specie di microcosmo da lui definito «tutto il mondo» eppure chiuso su sé stesso, come se il poeta avesse bisogno di difenderlo da un minaccioso disordine esterno, peraltro sempre innominato e oscuro, privo di riferimenti e di identità, come lo era stato l'assassino di suo padre. punto di vista di larghi strati della popolazione italiana e inoltre ribadiva la fede in alcuni valori elementari ma fondamentali, come la proprietà, la devozione, la famiglia. Questo porta ad una vera e propria sintonia tra Pascoli e il pubblico rappresentata dal fatto che per anni, grazie ai suoi temi apparentemente tenui e all’insistenza su figure infantili, sia stato il poeta maggiormente trattato nella scuola elementare. Questa immagine di Pascoli fu accolta anche dalla critica, che ha sempre parlato di un poeta delle piccole cose, del fanciullino cantore della bontà, facendo ciò, però, ha fornito un’immagine riduttiva, avendo rimosso gli aspetti più “inquietanti” ma anche più validi della sua poetica. Infatti, c’è anche un Pascoli inquieto e tormentato perfettamente aderente al Decadentismo europeo. È un Pascoli che tratta di un inquietante dimensione del reale, caricando gli oggetti più comuni di sensi allusivi e simbolici, che proietta nella poesia le sue ossessioni profonde che portano alla luce le zone oscure e torbide della psiche, una sensualità morbosa e la consapevolezza dell’urgere di forze profonde e sconosciute. Pascoli è, dunque, anche un poeta dell’irrazionale e può essere ritenuto lo scrittore italiano più autenticamente decadente. I due Pascoli hanno una radice in comune: la celebrazione del nido, delle piccole cose, della fraternità umana non sono altro che una rassicurante difesa nei confronti di forze minacciose. In un discorso del 1900, la sagra, Pascoli ci dimostra come avesse ben chiari i processi contemporanei della concentrazione monopolistica e il pericolo dell’instaurazione di regimi totalitari. Egli quindi a volte si richiude nel cantuccio, nel nido, per esorcizzare e neutralizzare le cose oscure che sente nella sua anima, le sue paure e le sue angosce. Altre volte, invece, lascia affiorare questi “mostri” e li affronta. LE SOLUZIONI FORMALI ● SINTASSI: la coordinazione prevale sulla subordinazione, in questo modo la struttura sintattica si frantuma in brevi frasi allineate senza rapporti gerarchici. Inoltre spesso le frasi mancano del soggetto o del verbo o hanno uno stile nominale (successione di semplici sostantivi e aggettivi). Questa frantumazione rivela il rifiuto di una sistemazione logica dell’esperienza, va a tradurre la visione fanciullina che mira a rendere il mistero. ● LESSICO: Pascoli mescola codici linguistici diversi, così come vuole abolire la lotta tra le classi sociali, vuole abolire la lotta tra le classi di oggetti e di parole. Utilizza termini aulici, gergali, appartenenti alla botanica, quotidiani o stranieri. ● ASPETTI FONICI: Presenza di forme “pregrammaticali” ovvero espressioni che non rimandano ad un significato concettuale ma imitano l’oggetto. Sono in prevalenza forme onomatopeiche. Queste indicano l’esigenza di penetrare direttamente nell’essenza segreta dell’oggetto evitando le mediazioni logiche del pensiero. I suoni usati da Pascoli hanno un valore fonosimbolico, in quanto assumono un significato per sé stessi. ● METRICA: Pascoli utilizza i versi più consueti della poesia italiana, ma sperimenta cadenze ritmiche inedite, cambiando spesso gli accenti. Il verso, inoltre, è frantumato al suo interno, interrotto da numerose pause. La frantumazione del discorso è accentuata dagli enjambents. ● FIGURE RETORICHE; Pascoli utilizza il linguaggio analogico accostando due realtà remote costringendo a voli dell’immaginazione. Utilizza spesso la sinestesia. LE RACCOLTE POETICHE La maggior parte dei componimenti pascoliani è comparsa prima su periodici e riviste, poi sono stati raccolti in una serie di volumi pubblicati tra il 1891 e il 1911. Nel corso degli anni novanti egli lavora contemporaneamente a vari generi poetici, affronta temi diversi con soluzioni formali varie. Queste poesie confluiranno in queste raccolte: Myricae, Poemetti, Canti di Castelvecchio, Poemi conviviali, Odi e Inni. La distribuzione nelle varie raccolte non obbedisce all’ordine cronologico ma a ragioni formali di natura stilistica e metrica. Infatti, la poesia di Pascoli è sostanzialmente sincronica, infatti non sono presenti delle svolte radicali che possono far parlare di fasi diverse e distinte nella sua poetica. La prima raccolta fu Myricae e la prima edizione è del 1892 ed aveva solo 22 poesie dedicate alle nozze di amici. La seconda edizione del 1892 contava di 72 componimenti. Solo dalla quarta del 1897 inizia ad assumere la sua fisionomia in cui i testi salivano a 116. La finale fu la quinta edizione del 1900 con 156 componimenti. Il titolo è una citazione virgiliana, tratta dall’inizio della quarta bucolica, in cui proclama l’intenzione di innalzare il tono del suo conto. Pascoli invece assume le piante proprio come simbolo delle piccole cose che egli vuole porre al centro della poesia. Troviamo componimenti molto brevi, come quadretti di vita campestre, ritratti con gusto impressionistico con rapide notazioni che colgono un particolare. Questi oggetti si caricano di sensi misteriosi e suggestivi ed alludono ad una realtà inafferrabile. Spesso queste atmosfere evocano l’idea della morte ed uno dei temi più presenti nella raccolta è proprio il ritorno dei morti familiari PS: Si nasce da un naturalismo carducciano, ma lo sviluppo dei due poeti è differente: Pascoli sfocerà nel simbolismo, invece D’annunzio sfocerà nel panismo. Ennio può essere considerato il fondatore dell’onomatopea Pascoli e D’Annunzio Pascoli e D’Annunzio sono i rappresentanti più significativi del Decadentismo italiano, ma presentano notevoli differenze nel carattere, nello stile di vita, nel rapporto con la società letteraria. Pascoli, riservato e schivo, bisognoso di protezione, si fece portatore di un’ideologia fondata sui valori della famiglia, della casa, del lavoro; D’Annunzio, estroverso e mondano, amò far parlare di sé, dare scandalo, si compiacque del bel gesto, del bel motto, e si propose quale figura pubblica in cui la borghesia italiana potesse proiettare i propri desideri di affermazione o di trasgressione. Allo stesso modo, anche le due poetiche appaiono radicalmente diverse. Sebbene entrambi tentino, raccogliendo le istanze simboliste, di superare il linguaggio mimetico (l’arte o il procedimento di imitare, di rappresentare attraverso l’imitazione della realtà.), gli esiti risultano opposti e complementari. Il «fanciullino» di Pascoli è un invito alla regressione della sensibilità verso zone di infantile pudore, in cui il linguaggio torni a essere tramite per intuizioni profonde, pre-logiche, simboliche di verità nascoste alla razionalità. Al contrario il «superuomo», che D’Annunzio traduce dal pensiero di Nietzsche in fare poetico, non si ripiega nel linguaggio ma attraverso di esso agisce sul reale con l’intento di mutarlo. Forte di un’enorme ricchezza lessicale, il poeta crea una nuova realtà, come a voler piegare il mondo alla propria visione, nel tentativo di fondere l’individuo con la totalità dell’esistente. Queste differenze riemergono nel diverso appropriarsi del ruolo di vate: Pascoli cantò le glorie patrie ponendosi sulla linea di un nazionalismo per nulla esasperato, come estensione dei legami di sangue dalla famiglia alla nazione, dal nido privato al nido comune (l’Italia); D’Annunzio si sentì chiamato a esortare la patria a tornare a essere la potenza egemonica di un tempo. Pascoli e il Simbolismo europeo La fuga dalla storia e dalla realtà contemporanea accomuna Pascoli ai simbolisti francesi (Baudelaire, Verlaine, Rimbaud) e agli altri rappresentanti del Decadentismo europeo (Wilde, Huysmans): per i primi l’ansia di evasione si esprime nella ricerca di mondi esotici, per i secondi nella ricerca di piaceri raffinati, per Pascoli nel ripiegamento intimistico, nel vagheggiamento della vita rurale e delle umili cose, in una poesia intesa come fuga nell’infanzia, in quel tempo della sua vita che precede l’uccisione del padre e che egli identifica con il luogo della felicità incontaminata. POETICA DEL FANCIULLINO Il titolo Fanciullino deriva da un passo del Fedone di Platone: Cebes Tebano, pensando alla morte di Socrate che stava per bere la cicuta, si mette a piangere. Socrate lo rimprovera per quel pianto e Cebes si scusa dicendo che non è lui che piange ma il fanciullino che è in lui. Il punto di partenza della riflessione del Pascoli è l’idea della presenza della morte nella vita dell’uomo. L’unica consolazione è la poesia che permette di partecipare alla vita. Secondo Pascoli, in ogni uomo c’è un fanciullo, capace di commuoversi e di sperimentare ogni giorno emozioni e sensazioni nuove. Spesso tale fanciullino è soffocato e ignorato dal mondo esterno, degli adulti, ma se si risveglia fa sognare a occhi aperti, fa scoprire il lato attraente e misterioso di ogni cosa, fa volare con la fantasia in mondi meravigliosi. Proprio come nel tempo dell'infanzia, tale fanciullino ha conservato la facoltà di parlare con gli alberi, i fiori, gli animali, e in qualsiasi momento si può tornare ad ascoltare la voce. Se tutto nella storia si dissolve la poesia è in grado di percepire la vita segreta delle cose e in un certo senso riportarle alla vita. Il poeta ha quindi il compito di sottrarre quanto più può alla morte e la poesia è un dono sacro. Il poeta è quel fanciullino presente in un cantuccio dell’anima di ognuno di noi. Un fanciullino che rimane piccolo anche quando noi cresciamo e arrugginiamo la voce, anche quando nell’età più matura siamo occupati a litigare e a perorare la causa della nostra vita e meno siamo disposti a badare a quell’angolo d’anima. Esso arriva alla verità non attraverso il ragionamento ma in modo intuitivo ed irrazionale, guardando tutte le cose con stupore, come fosse la prima volta. Anche la poesia deve essere spontanea e intuitiva, come intuitivo è appunto il modo di conoscere e di giudicare dei fanciulli. Se il poeta-fanciullo arriva alla verità in maniera irrazionale, per lampi intuitivi, la poesia allora deve affidarsi all’intatto potere analogico e suggestivo dei suoi occhi, non ancora inquinati da alcuno schema mentale, culturale o storico. Gli occhi del fanciullo scoprono nelle cose le somiglianze e le relazioni più ingegnose; *rimpiccioliscono per poter vedere, ingrandiscono per poter ammirare, giungendo, immediatamente e intuitivamente, quasi per suggestione, al cuore delle cose e al mistero che palpita segreto in ogni aspetto della vita. La poesia non è invenzione, ma scoperta, perché essa sta nelle cose che ci circondano, anzi in un particolare di quelle cose che solo il poeta sa vedere. Poesia è trovare nelle cose il loro sorriso e la loro lacrima, e ciò si fa da due occhi infantili che guardano semplicemente e serenamente tra l’oscuro tumulto dell'anima. Se la poesia è nelle cose stesse, nel particolare poetico, allora anche i motivi della poesia non necessariamente devono essere grandiosi ed illustri o avere il fascino dell’antico e dell’esotico, quel fascino che tanto ammalia i poeti del secondo Ottocento francese. Per il poeta, come per il fanciullo, sono belle e degne di canto anche le piccole cose, umili, quotidiane, familiari, le piante più consuete e modeste, i piccoli animali, gli eventi del mondo naturale e campestre. La poesia di Giovanni Pascoli canta le minime nappine, color gridellino, della pimpinella, sul greppo; canta l’umile fatica delle lavandare e il loro stornellare, la famiglia raccolta attorno alla tavola, i frulli d’uccelli, lo stormire dei cipressi, il lontano cantare di campane, il tuono,
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