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La vita e le opere di Aristotele, Sintesi del corso di Storia Della Filosofia

La vita di Aristotele, dalla sua formazione nella scuola di Platone fino alla fondazione del Liceo, e le sue opere, divise in scritti acroamatici ed essoterici. Inoltre, viene contestualizzato il periodo storico in cui visse Aristotele, caratterizzato dalla crisi della pòlis e dalla conquista macedone. Viene anche fatto un confronto con Platone, evidenziando le differenze nella concezione della filosofia e del suo scopo. una panoramica generale sulla figura di Aristotele e sul suo contributo alla filosofia.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 30/03/2023

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Scarica La vita e le opere di Aristotele e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Filosofia solo su Docsity! 1 ARISTOTELE Aristotele nacque a Stagira nel 384 a.C e, a soli 17 anni, diventa discepolo di Platone entrando nella sua scuola dove vi rimase fino alla morte del suo maestro avvenuta nel 347 a.C. Quindi, praticamente Aristotele rimase nella scuola di Platone per ben 20 anni, un periodo di tempo molto lungo per imparare la filosofia del suo maestro e anche per realizzare la sua personale teoria filosofica che, in parte, si discosta dalla filosofia del suo maestro tant’è che, qualcuno ha addirittura puntato il dito contro Aristotele ritenendolo ingrato nei confronti del suo maestro. In realtà. Aristotele, pur facendo una sua personale filosofia rimase sempre molto legato al suo maestro a cui era molto grato. A dimostrazione di ciò c’è un pezzo dell’Etica Nicomachea in cui Aristotele dice: “l’amicizia e la verità sono entrambe care, ma è cosa santa onorare di più la verità”. Come abbiamo visto, Aristotele rimase nella scuola di Platone fino alla sua morte. Dopo la sua morte, lasciò la scuola per trasferirsi ad Asso e costituire, insieme ad altri due scolari di Platone una piccola comunità platonica dove iniziò ad insegnare e a scrivere le sue opere di biologia. Fu in quell’epoca che Platone si sposò con la sorella di Ermia, uno dei due scolari con il quale creò la sua comunità. Nel 342 a.C. fu assunto dal re di Macedonia per educare suo figlio Alessandro, sul quale ebbe una grandissima influenza. Al futuro conquistatore Alessandro, Aristotele insegnò che la cultura greca era superiore a tutte le altre e, per questo, grazie ad una forte unità politica, sarebbe stato possibile conquistare il mondo. Le cose non andarono come sparava Aristotele perché Alessandro, salito al potere, decise di far assumere al suo governo le forme di un principato orientale. Per questo, Aristotele tornò ad Atene dopo ben 13 anni al suo servizio. Egli però mantenne comunque un ottimo rapporto con il re macedone e grazie a questa importante amicizia ebbe l’opportunità di avere a disposizione molti strumenti per le sue ricerche filosofiche. Aristotele fondò il LICEO, si hai sentito bene. la parola liceo arriva proprio dalla scuola che fondò Aristotele che era costituita da un edificio, da un giardino e da una passeggiata dove il filosofo e i suoi scolari potevano tenere lezioni, fare ricerche e riflettere sulla loro filosofia. Purtroppo, però, nel 323 a.C, Alessandro morì e questa morte portò ad una forte insurrezione del partito nazionalista ateniese contro il dominio dei macedoni. Aristotele era in pericolo perché tutti sapevano dell’amicizia con il re appena morto e scappò da Atene. Aristotele morì un anno dopo nel 322 a.C. per una malattia allo stomaco. Adesso che abbiamo conosciuto meglio la vita di Aristotele, cerchiamo di contestualizzare meglio Aristotele nella sua epoca anche perché, se è vero che non passano tanti anni da Platone (come vedi in questa slide), è vero però che la situazione sociale e politica è completamente diversa. Nell’epoca di Aristotele, assistiamo ad una crisi della pòlis, già presente durante Platone, che però ora sembra ormai irreversibile soprattutto in virtù della conquista da 2 parte della potenza macedone con Alessandro. La libertà nelle pòlis viene meno e i cittadini non vengono più coinvolti nella vita politica e, di rimando, perdono ogni interesse e passione nei confronti della politica dalla quale si allontanano. Gli interessi dei greci si spostano verso altro lontano dalla politica, verso l’etica e la conoscenza, due capisaldi dell’età ellenistica che vedremo successivamente. OPERE: Iniziamo a dividere gli scritti di Aristotele che ci sono pervenuti in: 1. scritti acroamatici o esoterici che sono gli scritti scolastici che Aristotele compose come aiuto nell’insegnamento, come appunti per le sue lezioni. Questi scritti comprendono diverse tematiche: logica, metafisica, fisica, storia naturale, matematica, psicologia, etica, politica, economia, poetica, retorica. 2. scritti essoterici che sono scritti in forma dialogica e destinati al pubblico dove Aristotele fornisce in modo più approfondito le sue teorie grazie anche all’utilizzo di miti che, anche lui, come Platone utilizza per spiegare in modo chiaro ed esaustivo la sua filosofia. Purtroppo, però, degli scritti essoterici sono rimasti soltanto dei frammenti seppur importanti. Di questi dialoghi, Aristotele riprese la forma letteraria utilizzata dal maestro scrivendo un suo Simposio, un Politico, un Sofista, un Menessene; poi scrisse il Grillo o Della Retorica che corrisponde al Gorgia, il Protrettico (corrispondente all’Eutidemo) che è un’esortazione alla filosofia. infatti, in questo scritto dice: “O si deve filosofare o non si deve: ma per decidere di non filosofare è pur sempre necessario filosofare: dunque in ogni caso filosofare è necessario”, poi scrisse l’Eudemo o Dell’anima (corrispondente al Fedone) e anche un piccolo trattato chiamato Delle idee). CONFRONTO CON PLATONE: Innanzitutto, dobbiamo dire che entrambi sono appartenuta all’età classica ma, contrariamente a Platone, Aristotele era già proiettato verso l’epoca successiva, quella ellenistica. In più, abbiamo visto nella puntata sulla vita di Aristotele, che lui visse in un periodo socio politico molto difficile per i greci caratterizzato dalla dominazione dei macedoni e dalla perdita di interesse politico da parte dei greci assoggettati ai macedoni. Queste importanti differenze portarono i due filosofi ad avere una concezione diversa della filosofia, del suo scopo e della sua struttura. Abbiamo visto che Platone crede fermamente nello scopo politico della filosofia tant’è che concepisce il filosofo come l’eletto che deve portare conoscenza ed educazione a tutti gli ignoranti schiavi incatenati dentro la caverna. Ti ricordi il mito della caverna? Ecco, se Platone attribuiva alla filosofia un ruolo politico molto importante, in Aristotele invece non riscontriamo questa esigenza anche perché, come abbiamo detto, i greci con la dominazione macedone avevano perso interesse nei confronti della politica riversando le proprie riflessioni su altri argomenti quali l’etica e la conoscenza. Aristotele, quindi, vede la filosofia avulsa dalla realtà, come conoscenza slegata dalla realtà, che si 5 anche esse il possibile con un metodo non dimostrativo e hanno come scopo la produzione di opere o la manipolazione di oggetti. LA METAFISICA Aristotele non utilizzò mai la parola metafisica, questo termine fu utilizzato per la prima volta nel I secolo D.C da Andronico di Rodi per posizionare i libri di Aristotele che seguivano quelli di fisica infatti il termine meta-fisica significa dopo la fisica. Negli anni è stata attribuita la parola metafisica per quegli scritti che si occupano di quella che il filosofo chiama Filosofia Prima quella filosofia che va ad indagare la profondità del reale, le cause ultime del reale, che studia tutto ciò che c’è al di fuori di ciò che percepiamo con i nostri sensi e di ciò che possiamo dimostrare attraverso la fisica. Aristotele ha sempre utilizzato il termine filosofia prima invece di chiamarla metafisica. Aristotele definisce ben quattro definizioni di metafisica: 1. innanzitutto la metafisica “studia le cause e i principi primi”; 2. inoltre, la metafisica “studia l’essere in quanto essere”; 3. poi, la metafisica “studia la sostanza”; 4. ed, infine, la metafisica “studia Dio e la sostanza immobile”. Sicuramente, tra i quattro significati, quello sul quale Aristotele si concentrò maggiormente fu il secondo ossia che la metafisica studia l’essere in quanto essere. Soffermiamoci proprio su questo significato. Rifletti su questa definizione e cerca di capire qual è il significato che il filosofo vuole dare a questa definizione. La metafisica studia l’essere in quanto essere. Questo significa che la metafisica va oltre il particolare della realtà ma guarda la realtà nel suo insieme, nel generale, quindi guarda tutto il pezzo del puzzle. Infatti, prendiamo sempre l’esempio del puzzle è a mio parere molto calzante. La realtà è fatta di tanti pezzi, che come dicevamo nella scorsa puntata, sono le varie scienze (teoretiche, pratiche e poietiche) ed è come se in ogni pezzo di questo puzzle che vedi nella slide ci sia scritto la parola “essere”. C’è il pezzo della matematica che è una scienza teoretica e che ha come oggetto di studio la quantità, poi c’è il pezzo del puzzle della fisica che studia invece il movimento e via dicendo. La metafisica non studia il singolo pezzo dell’essere ma studia tutto il puzzle, ossia l’essere totale, fondamentale e comune a tutti gli altri esseri. Soffermiamoci proprio sulle parole “fondamentale” e “comune”. “fondamentale” perché il puzzle completo è essenziale per dare una ragion d’essere a tutti i pezzi del puzzle. Se io adesso ti regalo un solo pezzo di un puzzle tu cosa te ne fai? Nulla perché il puzzle completo di tutti i puzzle è fondamentale per dare un senso a tutti i pezzi del puzzle. Ora veniamo alla parola “comune”. Comune perché ogni pezzo del puzzle ha in comune la totalità che è tutto il puzzle completo. Senza la totalità non avrebbero alcun senso. È per questo che la metafisica, che ripeto è tutto il puzzle completo, è denominata da Aristotele “filosofia prima”, mentre le altre scienze sono considerate “filosofie seconde”. Quindi, dal punto di vista di Aristotele, l’essere in quanto essere 6 ingloba al suo interno tutto quanto e, quindi, anche cose che non hanno nulla in comune come un albero e un uomo fanno comunque parte della stessa macrocategoria che è l’essere in quanto tale. In questo senso, Aristotele si discosta molto da Platone e da tutti gli altri filosofi del passato perché è stato il primo a ritenere che ci sia una scienza che studia l’essere in quanto tale e che conferisce alla filosofia la massima universalità rispetto all’indagine sull’essere proprio perché la filosofia è alla base di ogni ricerca dell’essere. Tutto parte dalla filosofia ed è imprescindibile da essa. Ecco cosa hai imparato in questa videolezione: 1. La “filosofia prima”, successivamente denominata metafisica, è quella filosofia che va ad indagare le profondità del reale, le cause ultime del reale, che studia tutto ciò che c’è al di fuori di ciò che percepiamo con i nostri sensi e di ciò che possiamo dimostrare attraverso la fisica. 2. Aristotele dà ben quattro definizioni di metafisica: innanzitutto la metafisica “studia le cause e i principi primi”; inoltre, la metafisica “studia l’essere in quanto essere”; 3. poi, la metafisica “studia la sostanza”; ed, infine, la metafisica “studia Dio e la sostanza immobile”. 4. La metafisica non studia il singolo pezzo dell’essere ma studia tutto il puzzle, ossia l’essere totale, fondamentale e comune a tutti gli altri esseri. 5. Aristotele si discosta molto da Platone e da tutti gli altri filosofi del passato perché è stato il primo a ritenere che ci sia una scienza che studia l’essere in quanto tale e che conferisce alla filosofia la massima universalità. ESSERE L’essere, per il filosofo non è univoco e non è equivoco ma è polivoco. Iniziamo con l’essere che non è per Aristotele univoco. Per univoco si intende che l’essere è sempre uguale in tutte le sue occorrenze, ossia in tutte le volte in cui l’essere è. Facciamo un esempio utilizzando questa frase “Questa matita non è gialla”. Se l’essere fosse univoco, io negherei non solo che la matita è gialla ma negherei anche l’esistenza della matita. Perché con il verbo essere inserito in questa frase, io indicherei in modo univoco l’esistenza complessiva di tutta la frase e quindi, se utilizzo la negazione “non” allora negherò tutta la frase perché negherò non solo l’attributo (giallo in questo caso) ma anche l’esistenza del soggetto. C’è un filosofo che abbiamo già incontrato che ritiene che l’essere sia univoco ed è Parmenide che ritiene che si può definire essere solo ciò che è mentre tutto il resto non può definirsi tale. Per Aristotele questa posizione è assurda e, quindi, per lui l’essere non è univoco ossia non è uguale in tutte le sue occorrenze. Inoltre, l’essere non è equivoco perchè, come suggerisce la parola, non è interpretabile ogni volta in modo diverso a seconda del contesto perché questo genererebbe il caos. Ossia, nell’interpretazione dell’essere come qualcosa di univoco tu hai un solo pezzo attraverso cui interpretare il mondo, nella visione equivoca abbiamo infiniti pezzi e noi esseri umani non riusciremmo più a comunicare proprio perché le interpretazioni dell’essere sono infinite. Quindi da un lato abbiamo una 7 visione restrittiva, dall’altro una visione troppo dispersiva. Quindi, secondo Aristotele, l’essere è polivoco perché, come sostiene lo stesso filosofo, “si dice in molti sensi”. Mi spiego meglio. Aristotele vuole trovare un compromesso tra le due visioni che abbiamo visto prima, sostenendo che l’essere deve essere concepito in parte in modo univoco e in parte in modo diverso a seconda del contesto. E per chiarire il suo punto di vista, facciamo un esempio con tre frasi. “La mela è un alimento sano” “Luca è sano” “Il colorito di Luca è sano” Nella prima frase il verbo essere intendo un rapporto causale tra la mela e la salute correlandole insieme e dicendo che la mela ha un effetto benefico sulla nostra salute. Nella seconda frase, invece, il verbo essere è un rapporto di possesso perché si intende che Luca ha una buona salute. Infine, nella terza frase, il verbo essere indica una proprietà di Luca (ossia il fatto di godere di buona salute) attraverso una sua caratteristica fisica (ossia il fatto di avere un colorito sano). In queste tre frasi abbiamo quindi tre significati diversi del verbo essere anche se, però, sono comunque affini perché in tutte le frasi il verbo essere collega un soggetto a un predicato che ne specifica la sua esistenza e le sue qualità. Ecco cosa hai imparato in questa videolezione: 1. la metafisica “studia l’essere in quanto essere” e abbiamo visto la metafisica ha come oggetto di studio l’essere 2. l’essere non è per Aristotele univoco. Per univoco si intende che l’essere è sempre uguale in tutte le sue occorrenze ossia in tutte le volte in cui l’essere è. 3. l’essere non è equivoco perchè, come suggerisce la parola, non è interpretabile ogni volta in modo diverso a seconda del contesto perché questo genererebbe il caos. 4. secondo Aristotele, l’essere è polivoco perché, come sostiene lo stesso filosofo, “si dice in molti sensi”. 5. l’essere deve essere concepito in parte in modo univoco e in parte in modo diverso a seconda del contesto. ESSERE COME CATEGORIE Gli aspetti supremi dell’essere che Aristotele ha raccolto in una apposita “tavola” sono 4: 1. l’essere come accidente 2. l’essere come categorie (o “essere per sé”) 3. l’essere come vero 4. l’essere come atto e potenza. In questa video lezione ci soffermiamo sull’essere come categorie mentre nelle prossime puntate vedremo gli altri aspetti supremi dell’essere. Le categorie dell’essere sono per il filosofo sono quelle caratteristiche fondamentali e strutturali dell’essere che lo rendono tale e che non può fare a meno di avere. Le categorie sono 8: 1. la sostanza 2. la qualità 3. la quantità 4. la relazione 5. l’agire 6. il subire 7. il dove (il luogo) 8. il quando (il tempo) In aggiunta a queste otto categorie, alcune volte Aristotele ne aggiunge altre due che sono l’avere e il giacere. L’avere indica uno stato (come, per esempio, “io porto i pantaloni”), il giacere indica lo stare in una certa situazione (ad esempio “io sto seduto"). Dobbiamo a questo punto distinguere due punti di vista: quello ontologico e quello logico. Dal punto di vista ontologico, le categorie sono quelle caratteristiche fondamentali e supreme dell’essere. Fondamentali perché non possono essere altrimenti. E supreme 10 uomo, una persona specifica che è un soggetto logico di predicati. Per esempio, un predicato può essere “quell’uomo è alto” oppure “quell’uomo lavora” e via dicendo. Per delineare meglio l’individualità della sostanza, Aristotele utilizza il termine tòde ti, ossia “questo qui”. Nell’esempio precedente, questo qui è un uomo. Ma anche un albero può essere questo qui così come anche un animale. Tutte le cose del mondo che hanno una propria autonomia e sono dotati di caratteristiche categoriali (qualità, quantità, ecc.) sono sostanze. E ogni sostanza forma quello che viene chiamato “sinolo”, ossia un’unione indissolubile di due elementi: la forma da un lato e la materia, dall’altro. Chiariamo subito che per forma il filosofo in intende la forma esterna delle cose, di come appaiono in apparenza. Per forma, Aristotele intende la sua natura, la sua struttura che la rende quello che è. Per noi uomini, la forma è la nostra specie, la specie alla quale apparteniamo. Per materia, invece, il filosofo ciò di cui una cosa è fatta, il suo quid. Se io ho un tavolo di legno, la materia del tavolo è il legno. Da un lato, quindi, abbiamo la forma che è un elemento attivo e determinante del sinolo, dall’altro, invece, abbiamo la materia che è un elemento passivo e determinato. È determinato dalla forma stessa, perché viene strutturato da essa. Quindi, la forma è l’essenza della sostanza, il cuore della sostanza. Tant’è che Aristotele chiama sostanza non solo il sinolo che abbiamo detto essere l’unione tra forma e materia, ma anche solo la forma stessa perché è l’essenza della sostanza. ESSENZA E ACCIDENTE Noi abbiamo visto le categorie finora. Adesso vediamo l’essere come accidente. L’accidente è una qualità che una cosa può avere o non avere. A prescindere dal fatto che quella cosa abbia o non abbia quella qualità, essa non cessa di essere quella determinata cosa o sostanza. Ad esempio, tu non puoi cessare di essere uomo ma puoi avere delle qualità che puoi avere o non avere come per esempio essere pallido, colorito, felice, triste, ecc. in questo senso, quindi, l’accidente è una caratteristica casuale o fortuita della sostanza ed è quindi da distinguere con la forma che è, invece, l’essenza della sostanza (ossia l’uomo dell’esempio precedente). Oltre a questo tipo di accidente, Aristotele parla anche di accidente non-casuale (anche detto accidente “eterno” o accidente “per sé”) che è una qualità della cosa che, anche se non appartiene alla sostanza di una cosa, è strettamente correlata con questa e origina necessariamente dalla sua definizione. Ecco un esempio per capirci. Prendiamo la definizione di triangolo. Il triangolo è un poligono con tre lati e tre angoli. Il fatto che un triangolo abbia un angolo retto non fa parte della definizione di triangolo ma è un accidente non- casuale perché alcuni tipi di triangolo hanno un angolo retto. Contrariamente agli accidenti casuali, gli accidenti non-casuali fanno parte della scienza perché sono, per l’appunto, non-casuali. LE QUATTRO CAUSE DELLE COSE 11 All’inizio del nostro percorso sulla filosofia, proprio nella prima puntata, ti ho detto che per Aristotele la filosofia nasce dalla meraviglia di fronte all’essere, dal meravigliarsi delle cose sia in senso positivo sia in senso negativo. Quindi, anche la conoscenza e la scienza nascono dalla meraviglia di fronte all’essere e, sia la conoscenza che la scienza, si occupano di delineare quelle che sono le cause delle cose, il perché delle cose. E Aristotele si rese conto che questo “perché delle cose” era diverso, ci sono cause diverse e il filosofo delineò quattro cause: la causa materiale, la causa formale, la causa efficiente e la causa finale. Vediamole insieme. La causa materiale si occupa della materia che, abbiamo visto nella scorsa puntata, essere ciò di cui una cosa è costituita e che è nella cosa. avevamo fatto l’esempio del tavolo di legno. Il legno è la materia con la quale è fatto il tavolo. La causa formale, invece, si occupa della forma che abbiamo visto essere l’essenza di una cosa. Per l’uomo la forma è la natura razionale dell’uomo. La nostra specie è caratterizzata da questo. La causa efficiente è la causa che può dare inizio o ad un cambiamento o alla quiete. In altre parole, la causa efficiente è la causa che origina qualcosa. Ad esempio, la causa efficiente di una decisione presa è il soggetto che ha preso quella decisione. Oppure, la causa efficiente di un figlio sono i genitori perché è grazie al padre e alla madre che il figlio è originato. La causa finale è l’obiettivo di una cosa. Prendendo un bambino, la causa finale del bambino è quello di diventare grande, di diventare adulto. È quella la sua causa finale, il suo scopo. Adesso che abbiamo conosciuto le quattro cause, dobbiamo però distinguere tra processi naturali e processi artificiali. Nei processi naturali, come la crescita di una pianta, la causa formale, efficiente e finale sono una cosa sola. Ad esempio, la pianta è forma, causa efficiente e scopo della trasformazione del seme perché la pianta origina dal seme e ha come scopo quello di trasformarsi e prendere la forma di pianta. Allo stesso modo, anche l’uomo è forma, causa efficiente e fine del bambino. Lo abbiamo visto prima. Nei processi artificiali, invece, le quattro cause possono essere distinte tra di loro come nel caso di una statua che è la forma, fatta da un artista (che è causa efficiente) con il bronzo (materia), per uno scopo (che è la causa finale). Una cosa però è certa, a prescindere che si parli di processi naturali o artificiali. Le quattro cause, alla fine, sono specificazioni della sostanza in quanto sostanza che abbiamo detto essere l’essenza dell’essere. La sostanza è, infatti, la vera causa dell’essere. Ecco cosa hai imparato in questa video lezione: 1. la conoscenza e la scienza nascono dalla meraviglia di fronte all’essere e si occupano di delineare quelle che sono le cause delle cose, il perché delle cose. 2. Aristotele si rese conto che questo “perché delle cose” era diverso e il filosofo delineò quattro cause 3. La causa materiale si occupa della materia che è ciò di cui una cosa è costituita. La causa formale, invece, si occupa della forma che è l’essenza di una cosa. 4. La causa efficiente è la causa che 12 origina qualcosa. La causa finale è l’obiettivo di una cosa. 5. Le quattro cause sono specificazioni della sostanza perché la sostanza è l’essenza dell’essere. CRITICA ALLE IDEE PLATONICHE Tra le quattro cause delineate da Aristotele, sicuramente Platone si è focalizzato sulla causa formale che abbiamo detto essere l’essenza di una cosa, ossia le tanto amate idee che stanno nell’iperuranio. Te le ricordi? Aristotele critica la teoria di Platone perché si chiede come possano le idee, che sono fuori dal mondo delle cose, ad essere la causa delle cose stesse. Se queste stanno nell’iperuranio come fanno ad essere la causa delle cose che, invece, stanno nel mondo delle cose? Secondo Aristotele, invece, la causa delle cose, l’essenza delle cose va ricercata dentro la cosa stessa, nella sua forma che abbiamo detto essere l’essenza della sostanza. Invece che andare a ricercare paradigmi trascendenti delle cose che stanno nell’iperuranio, Aristotele cala tutto nel mondo reale, nella forma ossia nella struttura immanente di ogni cosa. Questa forte critica nei confronti della filosofia platonica, sancì il distacco di Aristotele dal suo maestro. Ma non finirono qui le critiche di Aristotele nei confronti della filosofia di Platone. Un’altra critica importante parte dalla concezione platonica secondo cui ad ogni concetto corrisponde la sua idea. Secondo Aristotele, questo è inaccettabile perché vorrebbe dire avere un’infinità di idee perché quel singolo concetto può essere legato a tanti altri concetti insieme e quindi ci vorrebbe l’idea del singolo concetto, l’idea del concetto A legato al concetto B, l’idea del concetto A col concetto e col concetto C e via dicendo all’infinito. Per Aristotele, le idee complicano invece che semplificare e sono degli inutili doppioni. Ed infine, secondo Aristotele, siccome le idee concepite da Platone sono immobili, queste non riescono a spiegare il movimento delle cose sensibili. Ecco cosa hai imparato in questa lezione: 1. Anche altri filosofi del passato si erano occupati delle cause delle cose ma, secondo Aristotele, lo avevano fatto in modo parziale. 2. La critica più aspra, Aristotele la fece proprio al suo maestro Platone e in questa puntata scopriremo perché. 3. Aristotele critica la teoria di Platone perché si chiede come possano le idee, che sono fuori dal mondo delle cose, ad essere la causa delle cose stesse. 4. Secondo Aristotele, invece, la causa delle cose, l’essenza delle cose va ricercata dentro la cosa stessa, nella sua forma che abbiamo detto essere l’essenza della sostanza. 5. Questa forte critica nei confronti della filosofia platonica, sancì il distacco di Aristotele dal suo maestro. LA DOTTRINA DEL DIVENIRE Cause connesse alla dottrina del divenire. Se ti ricordi, il problema del divenire lo avevano già ampiamente approfondito diversi filosofi prima di Aristotele. Eraclito era colui che riteneva l’esistenza del divenire anche perché tutto scorre (panta rei per l’appunto) e tutto è in divenire. Invece, Parmenide sosteneva che il divenire fosse una 15 Dio è pensiero di pensiero e la vita divina è la più felice di tutte. È importante, però, sottolineare che le varie teorizzazioni su Dio rimangono un po’ nebulose in Aristotele e si sono prestate a diverse interpretazioni nel corso dei secoli. Tra le varie incertezze sulla concezione divina di Aristotele c’è quella legata al monoteismo o al politeismo perché nella Fisica lui sostiene che Dio sia il motore del primo cielo ma esistono anche altri cieli e quindi, questo darebbe spazio ad un pensiero politeista ossia alla presenza di più di un Dio. Questa cosa rimane comunque poco chiara e ci sono due scuole principali di pensiero: quella che sostiene la visione politeista di Aristotele (in linea con la concezione religiosa dei greci del tempo) e quella che sostiene una forma di monoteismo che si concretizza veramente nella religione ebraica e successivamente con l’avvento del cristianesimo. LA LOGICA La logica ha come oggetto la forma comune di tutte le scienze per forma comune si intende le varie modalità di ragionamento che utilizzano le scienze, ossia come le scienze procedono per dimostrare le proprie tesi. Parliamo di logica in questa puntata anche se, è bene dire che Aristotele non usò mai questo termine, come nel caso della metafisica. Egli utilizzò piuttosto il termine “analitica” per indicare ciò che noi oggi definiamo logica. La parola logica è probabilmente di derivazione stoica e deriva dal pensiero espresso nei lògoi che sono appunto i discorsi. Per “analitica”, Aristotele intendeva quell’insieme di ragionamenti che utilizzano le scienze per poter giungere alle proprie tesi. Quindi, la logica studia le forme del pensiero mentre la metafisica, che abbiamo visto ampiamente nelle precedenti puntate, studia la realtà. Tra queste due c’è un rapporto necessario ma comunque la metafisica ha la “precedenza” rispetto alla logica. Ma focalizziamoci sulla logica che studia appunto le forme del pensiero. Queste forme del pensiero si articolano attraverso i cosiddetti “concetti” che sono gli oggetti del nostro discorso. Questi concetti si inseriscono all’interno di una scala gerarchica in base alla maggiore o minore universalità e vengono classificati in base al genere e alla specie. La specie è il contenuto di un concetto più universale mentre il genere è il contenente di un concetto meno universale. La specie è un concetto che contiene più caratteristiche ma può essere riferito ad un minor numero di individui. Invece, il genere ha un minor numero di caratteristiche ma può riferirsi a un maggior numero di individui. Un esempio è il concetto geometrico del quadrilatero che è specie rispetto a quello del poligono e genere rispetto a quello del quadrato. Abbiamo quindi, la comprensione e l’estensione. L’estensione è il numero di individui a cui quel concetto fa riferimento mentre la comprensione è l’insieme delle caratteristiche di un concetto. Quindi, scendendo dalla scala gerarchica, in alto troviamo il genere e in basso la specie. Se si percorresse la scala dall’alto verso il basso, vedremmo un graduale aumento della comprensione e una diminuzione dell’estensione fino ad arrivare al concetto di una 16 specie, denominata da Aristotele “specie infima” che ha la massima comprensione e la minima estensione possibile. questo è l’individuo che è la “sostanza prima” che è da distinguere dalle “sostanze seconde”. La sostanza prima è la sostanza nel vero senso della parola ed è l’unica sostanza che esiste primariamente e che, senza di essa, le sostanze seconde non potrebbero esistere. Al contrario, percorrendo la scala dal basso verso l’alto, ossia dalla specie al genere, si vede progressivamente un aumento dell’estensione e una diminuzione della comprensione, fino ad arrivare ai “generi sommi” che, secondo Aristotele, sono le dieci categorie che abbiamo già visto e che ti ripropongo in questa slide. Queste categorie, che hanno la massima estensione e la minima comprensione, sono i modi in cui l’essere si manifesta nelle proposizioni. Proposizioni di cui parleremo nella prossima puntata. LE PROPOSIZIONI Per Aristotele rientrano nella logica solo gli Enunciati Apofantici ossia quelle asserzioni dichiarative, mentre non rientrano nella logica le esclamazioni i comandi e le preghiere. Questo perché gli enunciati apofantici sono gli unici che possono essere dichiarati o veri o falsi mentre gli altri no, prendiamo per esempio un’esclamazione o un comando non possono essere dichiarati o veri o falsi mentre le affermazioni dichiarano qualcosa che può essere vera o falso. Questi enunciati apofantici si identificano con le proposizioni, che a loro volta sono le espressioni verbale dei giudizi. Le proposizioni sono atti mentali che ci consentono di unire o separare determinati concetti attraverso la struttura base soggetto-predicato. Innanzitutto Aristotele divide le proposizioni in varie tipologie, dal punto di vista della qualità le suddivide in: affermative (se affermo attribuisco quella cosa a qualcos’altro es Luca è pallido) e negative (se nego significa che separo quella cosa da qualcos’altro es Luca non è pallido). Dal punto di vista della quantità le proposizioni vengono divise in Universali (quando il soggetto è universale es Tutti gli uomini sono simpatici) e Particolari (quando quella caratteristica non è attribuita a tutti ma solo a qualcuno es alcuni uomini sono simpatici). Queste tipologie costituiscono la sillogistica aristotelica. In aggiunte a queste tipologie c’è la tipologia singolare che si riferisce ad un soggetto specifico es luca è simpatico in questo caso si sta parlando di una persona specifica. Ora ci soffermeremo sul Quadrato degli Opposti. A E 17 I O La lettera A indica la proposizione universale affermativa Tutti gli uomini sono simpatici questo perché deriva dalla parola latina adfirmo che inizia con la lettera A, mentre la parola latina Nego ha come prima vocale la E che sta ad indicare la proposizione universale negativa nessun uomo è simpatico. Poi abbiamo la lettera I che è la seconda vocale della parola Adfirmo che significa affermare, la lettera I si riferisce alla proposizione particolare affermativa, in ultimo abbiamo la lettera O che è la seconda vocale della parola Nego, e quindi sarà la proposizione particolare negativa. A Adfirmat, negat E, sed universaliter ambae. I firmat, negat O, sed particulariter ambae. Ora le frecce la freccia orizzontale che lega l’universale affermativa a quella negativa è detta contraria, perché sono quantitativamente identiche universali. Lo stesso vale per le sub contrarie sono quantitativamente identiche ma qualitativamente diverse. Ora le frecce oblique che vengono chiamate contraddittorie poichè sono sia qualitativamente che quantitativamente diverse. Il loro rapporto di verità e falsità. Le proposizioni contrarie non possono essere entrambe vere ma possono essere entrambe false, le proposizioni sub contrarie possono essere entrambe vere ma non entrambe false. Le contraddittorie si escludono a vicenda quindi non sono né vere né false. Le subalterne invece sono qualitativamente identiche ma quantitativamente diverse. Sono dipendenti dall’universale si inferisce il particolare, il particolare è un sottoinsieme dell’universale. Aristotele distingue le modalità delle proposizioni, ossia il modo in cui viene attribuito un predicato ad un soggetto. Ci sono 3 tipologie: 1. L’asserzione (A è B), 2. La possibilità ( ossia A è possibile che sia B), 3. La necessità (A è necessario che sia B). Ma cos’è vero e cosa falso per Aristotele? Il semplice concetto preso isolatamente senza un predicato non è né vero né falso, infatti se io prendo il concetto di uomo e il concetto simpatico non sono né veri né falsi perché sono svincolati da un contesto che è composto da una combinazione di concetti. Quini il vero e falso nasce soltanto da una proposizione e da un giudizio. Da ciò nascono i due assiomi: 1. La verità sta nel pensiero o nel discorso e non nell’essere o nella cosa. 2. La misura della verità è l’essere o la cosa non il pensiero o il discorso. Esiste uno stretto legame tra il linguaggio il pensiero e l’essere. Il linguaggio è una convenzione perché è costituita da un insieme di parole che sono state convenzionalmente scelte dagli individui di una comunità per veicolare il nostro pensiero e quindi anche l’essere. Il linguaggio è convenzionale rispetto le parole che lo 20 ad una conclusione. Queste premesse sono deboli perché sono solo probabili e non certe, come invece avviene con le scienze. E allora perché mettere in atto ragionamenti dialettici? A cosa possono servire se il loro ragionamento è debole? Secondo Aristotele, i ragionamenti dialettici servono per fare esercizio sul ragionamento, oltre che per i discorsi politici e forensi. LA RETORICA: La retorica appartiene al mondo del probabile esattamente come la dialettica perché non è scientifica. C’è però da dire che la retorica, a differenza della dialettica, tratta anche argomenti al di fuori del razionale. Infatti, molti dei discorsi della retorica vanno al di fuori dell’ambito razionale occupandosi, per esempio, anche di sentimenti visto che la retorica non può non tenere conto degli uditori ossia di coloro che ascoltano il discorso e che sono quelli che vanno convinti del discorso stesso. Infatti, la retorica viene utilizzata per produrre discorsi persuasivi ossia che siano in grado di convincere una o più persone di una determinata cosa e per questo motivo il discorso deve essere necessariamente ritarato sulla base di chi lo ascolta, ossia dell’uditore o degli uditori. La retorica viene utilizzata prevalentemente in ambito forense (ossia dagli avvocati) e in ambito politico. Nella sua teoria sulla retorica, Aristotele si trova al centro tra i sofisti che, avevamo detto, usare la retorica come persuasione pura, e Platone che invece voleva usare la retorica avulsa dall’inganno e dalle parole vuote. Ecco Aristotele vuole abbandonare come Platone le parole vuote e ingannatrici ma, allo stesso tempo, pone l’accento sulla natura debole dei discorsi retorici che, come abbiamo visto poco fa, non sono scientifici e stanno nell’ambito del probabile e non del certo. LA FISICA: In questa videolezione ti darò giusto alcune concezioni aristoteliche sulla fisica senza soffermarmi troppo. Sulla concezione del movimento mi sono già soffermata nella lezione sulla teoria del divenire e ti invito anche a vedere la lezione su Dio che è il motore immobile di tutto. Iniziamo. Per Aristotele, esistono 4 elementi chiamati “corpi semplici”: acqua, aria, terra e fuoco. Ogni elemento ha nell’universo un suo proprio “luogo naturale” che viene determinato dal loro peso. Al centro del mondo troviamo la Terra che è l’elemento più pesante e poi, attorno alla Terra, ci sono gli altri elementi che in base al peso decrescente sono: acqua, aria e fuoco. Il fuoco è quindi la sfera più lontana dove sopra c’è la prima sfera celeste che è la luna. Secondo Aristotele, il mondo è perfetto perché possiede tutte e tre le dimensioni possibili ossia altezza, larghezza e profondità. Ti ricordi che il numero tre era considerato il numero perfetto per i pitagorici. Ecco, Aristotele riprende questa idea così come riprende dai pitagorici il concetto di finito e infinito. Per il filosofo, il mondo è perfetto perché è finito ossia è compiuto. Come sostenevano anche i pitagorici, infatti, l’infinito è qualcosa di incompiuto, di incompleto mentre al mondo non manca nulla. In realtà, secondo 21 Aristotele nessuna realtà fisica è infinita. Inoltre, per il filosofo non esiste altro mondo oltre il nostro. Veniamo ora alla sua concezione di spazio e di tempo. Per il filosofo, lo spazio è l’insieme dei luoghi propri dei corpi, è come un recipiente immobile che contiene i corpi. Lo spazio senza i corpi non esisterebbe ed è per questo che Aristotele sostiene che non esista lo spazio vuoto, ossia lo spazio senza un corpo che lo ospita. Infine, l’universo è il recipiente massimo che comprende tutto. Il tempo, invece, viene concepito da Aristotele come “il numero del movimento secondo il prima o il poi” (Fisica, IV, 11, 219b,, 1). Abbiamo detto che il luogo non esiste senza i corpi. Allo stesso modo, il tempo non può esistere senza le cose che cambiano. In effetti, il tempo implica un mutamento, un cambiamento dal prima al poi. Il tempo è quindi la misura del divenire. LA PSICOLOGIA E LA GNOSEOLOGIA Secondo Aristotele, la psicologia fa parte della fisica. Questo perché la psicologia studia l’anima, studia la psiche come dicevano i greci del tempo e la psiche è oggetto della fisica perché è forma “incorporata” nella materia, ossia dentro il nostro corpo. L’anima è quindi una sostanza calata nella materia che è, come la definisce il filosofo, “l’atto finale primo di un corpo che la vita in potenza” (Sull’anima, II, 312°, 27ss.). Ti ricordi della divisione tra potenza e atto. Ti ricordi l’esempio dell’uovo che è potenza e del pulcino che è atto. Ecco, il corpo è vita in potenza e diventa vita in atto solo grazie all’anima. È per questo che l’anima è l’atto finale perché è la realizzazione del corpo. Quindi, l’anima ha bisogno di un corpo per operare e, allo stesso tempo, il corpo ha bisogno dell’anima per poter diventare vita in atto. Quindi, si assiste ad una connessione tra anima e corpo in Aristotele, contrariamente ai pitagorici che invece ritenevano che l’anima fosse una sostanza a sé. Secondo il filosofo la psicologia ha tre funzioni principali: 1. la prima è quella vegetativa perché l’anima nutre e si riproduce e questa è la caratteristica di tutti gli esseri viventi, a partire dalle piante; 2. la seconda funzione è quella sensitiva che invece è tipica degli animali e dell’uomo che sono sensibili e in movimento 3. la terza funzione è presente solo nell’uomo ed è quella intellettiva. All’interno della funzione intellettiva, che consente all’essere umano di conoscere le cose esiste l’intelletto passivo e l’intelletto attivo. L’intelletto passivo è la capacità dell’uomo di cogliere le forme intellegibili che sono in potenza dentro le cose. Quindi l’intelletto passivo è come se riuscisse a vedere l’uovo ma non riuscisse a vedere l’atto dell’uovo ossia il pulcino. L’intelletto attivo, invece, è la capacità di trasformare in atto le verità o i concetti universali che sono sia nelle cose sia nell’intelletto passivo. Ossia è la capacità di vedere l’atto ossia il pulcino a partire dalla potenza che è l’uovo. L’intelletto attivo, al contrario di quello passivo, non muore mai ed è quindi eterno. Invece, l’intelletto passivo si corrompe e quindi non è eterno. Rimane, però, un problema aperto legato al fatto che Aristotele non si interroga se 22 questo intelletto attivo sia di pertinenza dell’uomo o di Dio o di entrambi. Aristotele non si pone questo quesito e saranno filosofi successivi a discuterne, specialmente nella scolastica araba e cristiana e durante il Rinascimento. LA FELICITA’ Secondo Aristotele, la felicità è il bene sommo al quale ogni individuo aspira e tutti gli altri beni dipendono dalla felicità. Quando un uomo è felice secondo il filosofo? È felice quando la persona adempie ai suoi compiti, alle attività che gli competono. E in questo Aristotele si avvicina molto al suo maestro Platone. Il compito dell’uomo non è quello di vegetare, quello lo fanno le piante. Vegetare significa sopravvivere e basta senza uno scopo, senza un fine, senza una meta. E non è nemmeno la vita dei sensi che l’uomo ha in comune con gli animali. Il compito dell’uomo è quello di vivere secondo ragione, di usare la ragione e l’intelletto che sono la massima espressione dell’essere umano e che ci contraddistingue dalle altre specie animali. Ecco che l’uomo potrà essere felice solo se utilizza la ragione e in questo consiste la virtù umana. Quindi la ricerca della felicità è una ricerca sulla virtù e passa anche attraverso il piacere che accompagna l’uomo nelle sue attività. Per Aristotele, i beni esteriori come la ricchezza, la bellezza e la potenza, sono solo degli aiuti per essere felici ma non determinano la felicità. Sicuramente sono un grande aiuto ma non sono quelli che decretano la felicità di una persona. Tu cosa ne pensi? Secondo te, Aristotele ha ragione? Beni come la ricchezza, la bellezza e la potenza non fanno la felicità? Ritorniamo alla nostra virtù. Secondo il filosofo, la virtù così come la malvagità sono delle scelte che ogni essere umano fa con la ragione e quindi decide deliberatamente di essere virtuoso oppure malvagio. Ogni persona ha quindi i mezzi per poter scegliere liberamente della propria vita tramite la ragione. Infatti, Aristotele usa la parola libero per indicare chi ha in sé il principio delle proprie azioni ed è quindi, come dice lui, “principio di se stesso”. Quindi: 1. la felicità è il bene sommo al quale ogni individuo aspira e tutti gli altri beni dipendono dalla felicità 2. L’uomo è felice quando adempie ai suoi compiti, alle attività che gli competono. 3. l’uomo potrà essere felice solo se utilizza la ragione e in questo consiste la virtù umana 4. i beni esteriori come la ricchezza, la bellezza e la potenza, sono solo degli aiuti per essere felici ma non determinano la felicità 5. la virtù così come la malvagità sono delle scelte che ogni essere umano fa con la ragione e quindi decide deliberatamente di essere virtuoso oppure malvagio. LE DUE VIRTU’ ETICHE E DIANOETICHE Nella precedente puntata abbiamo visto che l’uomo è felice se utilizza la ragione. Ma oltre alla ragione esiste anche una parte dell’anima che è dedicata al piacere e che può essere dominata dalla ragione. Secondo Aristotele esistono due tipi di virtù: le virtù etiche, che sono il dominio della ragione sugli impulsi irrazionali, e le virtù dianoetiche che consistono nell’esercizio proprio della ragione. Abbiamo detto che le virtù etiche 25 Secondo Aristotele, la vita sociale e quindi anche quella politica sono necessarie per l’essere umano che, come abbiamo già detto in diverse puntate è un essere sociale che ha bisogno degli altri per poter sopravvivere. Pensa ad un bambino piccolo, come potrebbe sopravvivere da solo. Ma la stessa cosa vale per noi adulti perché abbiamo bisogno di lavorare all’interno di una società. Ma la politica è necessaria non soltanto perché ci consente la sopravvivenza, ma anche perché ci consente di essere virtuoso proprio attraverso il rispetto delle leggi dello Stato. E quindi, in ultimo, essere felici proprio perché si è virtuosi. Ti ricordi che nella videolezione sulle virtù abbiamo proprio parlato della giustizia? Nel caso vai a rivederti quella puntata. Quindi, la vita sociale e politica è fondamentale tant’è che il filosofo sostiene: “chi non può entrare a far parte di una comunità, chi non ha bisogno di nulla, bastando a se stesso, non è parte di una città, ma è una belva o un dio”. (Politica, I, 2, 1253°, 27-30) Quindi, la costituzione di uno Stato è necessaria sia alla sopravvivenza sia per la felicità dell’essere umano. Ed è proprio per questo che la comunità politica non può essere costituita da schiavi o da animali perché non possono partecipare non essendo liberi di scegliere, non potendo esercitare la ragione che abbiamo detto essere il modo in cui un uomo raggiunge la felicità. Esattamente come il suo maestro Platone, anche Aristotele distingue tre tipi di Stato: la monarchia (che è il governo di uno solo); l’aristocrazia (che è il governo dei migliori), e la politìa (che è l’attuale democrazia ossia il governo del popolo). Poi, però, ci sono anche delle forme patologiche che nascono quando l’interesse non è più della collettività: è il caso della tirannide (il governo di un monarca despota, un tiranno); l’oligarchia (che è il governo dei ricchi); la democrazia (in questo caso Aristotele intendeva la demagogia ossia un governo che tiene in conto solo gli interessi dei poveri. Secondo Aristotele, la formula migliore è sicuramente l’attuale democrazia perché questa dà voce alla classe media. Il filosofo delinea anche le condizioni di un buon governo che sono: 1. innanzitutto il governo deve provvedere alla prosperità del suo popolo e alla sua felicità attraverso una vita virtuosa. 2. inoltre, all’interno dello Stato ci deve essere un numero di cittadini adeguato, non troppi e neanche troppo pochi 3. i cittadini devono poi essere intelligenti e coraggiosi 4. inoltre lo Stato deve essere suddiviso nelle tre classi sociali che aveva già delineato Platone: produttori, guerrieri, governanti 5. contrariamente a Platone, però, Aristotele non condivide l’idea della comunanza delle proprietà e delle donne in coerenza con ciò che ha scritto sull’amicizia e su cui appunto ti rimando al video dedicato 6. un’altra cosa importante è che nello Stato devo comandare gli anziani 7. ed infine, lo Stato è garante dell’educazione dei cittadini che deve essere uguale per tutti e con lo scopo non solo di preparare alla vita militare ma anche alla vita virtuosa e pacifica. ESTETICA E POETICA 26 Secondo Aristotele, è bello ciò che adempie al suo scopo, che coincide con la sua forma. Ti ricordi che in una videolezione dedicata abbiamo parlato della forma e della materia. La materia è ciò di cui è costituta una cosa, e la forma è l’essenza della cosa. Abbiamo anche fatto l’esempio dell’uovo che è materia che diventa forma nel pulcino. Secondo il filosofo, il bello avviene quando la materia diventa forma. Per esempio, la bellezza nell’essere umano è il raggiungimento dell’età adulto, l’essere diventato adulto è sua forma. Aristotele delinea delle caratteristiche del bello: 1. il bello non è una somma di elementi ma è un insieme organico e strutturato in modo armonico. È un intero di tante parti, messe insieme in modo armonico. 2. il bello presenta due caratteristiche fondamentali: l’ordine e la misura. L’ordine nel senso che il bello è costituito da un insieme strutturato e armonico. La misura, invece, indica la distribuzione armoniosa delle sue parti. Bisogna però ora fare una distinzione tra il bello artistico e il bello non artistico, ossia qualcosa che troviamo in natura. In riferimento al bello non artistico, e quindi, naturale, Aristotele sottolinea che ci sono delle cose che sono belle sin dal primo sguardo e altre che in apparenza sembrano disarmoniche o addirittura brutte. In apparenza perché noi le vediamo così perché non stiamo usando l’intelletto ma solo i nostri sensi. Se usassimo la ragione, allora riusciremmo a scoprire la finalità di quella cosa e quindi la bellezza di quella cosa anche se in apparenza è ripugnante. Per quanto riguarda il bello artistico, Aristotele sostiene che l’arte sia un’imitazione di qualcosa attraverso un mezzo che, nel caso della pittura sono i colori e le forme, nel caso del canto è la voce e nel caso della poesia è prima la scrittura e poi la voce che legge la poesia. Aristotele non vuole però svilire l’importanza dell’arte perché, proprio perché è imitazione, rappresenta l’essenza delle cose e quindi non è soltanto apparenza ma è un modo per conoscere la realtà che è oggetto di sapere. In modo particolare, il filosofo sottolinea l’importanza della tragedia che è: “imitazione di un’azione seria e compiuta in se stessa, che abbia una certa ampiezza, un linguaggio ornato in proporzione diversa a seconda delle diverse parti, si svolga a mezzo di personaggi che agiscano sulla scena, e non che narrino, e infine produca, mediante casi di pietà o di terrore, la purificazione di tali passioni”. (Poetica, 6, 1449b 20) La tragedia ha una funzione catartica perché consente l’educazione e la formazione dell’uomo attraverso la riflessione sulla propria vita e la purificazione da tutte quelle passioni o quei comportamenti negativi.
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