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L'arte del dopoguerra, Appunti di Storia dell'arte contemporanea

In questa prima parte del capitolo 7 del libro L'arte moderna 1770-1970, di Giulio Carlo Argan - integrato con gli appunti delle lezioni - troverete riferimenti alla situazione storica e sociale del dopoguerra. in particolare si farà riferimento all'urbanistica ed all'architettura del periodo post bellico, alla ricerca visiva protratta dagli artisti per giungere poi all'arte Informale, tendenza anche conosciuta come Espressionismo Astratto. Da qui si sviluppano digressioni ed approfondimenti sui principali artisti: Pollock, Dubuffet e Burri...

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 27/06/2024

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Scarica L'arte del dopoguerra e più Appunti in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! CRISI DELL’ARTE -CAPITOLO 7- Dopo la II Guerra Mondiale, l'Europa cessa di essere il centro della cultura artistica. Il nuovo fulcro è New York attorno a cui si formano altri focolai. L'arte degli Stati Uniti raggiunge contemporaneamente una posizione di autonomia ed egemonia. Rimane il rapporto con la sfera europea che tuttavia ha carattere propri, inconfondibili: il primo è la mancanza di ogni inibizione nei confronti di tutte le tradizioni. L’esclusività con cui, nella seconda metà delle XIX secolo, la visione complessiva del mondo dell'uomo moderno accettò di venire a determinata dalle scienze positive significò un allontanamento dei problemi che sono decisivi per un’umanità autentica. Così fu inevitabile la crisi delle scienze europee, cioè del sistema culturale fondato sulla razionalità e consapevolezza del suo limite e sulla naturale complementarietà dell'immaginazione o della fantasia rispetto alla logica. La cultura americana ignora questa proporzionalità di base: la scienza non è un'attività in contrasto con una cultura fondamentalmente umanistica e non ha limiti al suo progresso. Il problema semmai, non nasce prima ma dopo: soltanto dopo ci si può chiedere a che cosa serva o che cosa significhi la creazione dell'artista. Tra la seconda metà del XIX e la prima metà del XX secolo gli americani si sono facilmente appropriati della cultura europea nonché dell’arte che però non implicava, come da noi, il problema storico, cioè del rapporto tra il nostro presente e quel passato. Infine l'arte è la non inibizione in un mondo dove l'inflessibile “regolarità” della vita sociale, tutta impegnata nello sforzo produttivo e nell'accumulo capitalistico, crea una condizione generale di inibizione e di nevrosi. Si spiegano così le action painting e l'arte pop che la società americana accetta allegramente come la propria controparte. La grande novità americana nella cultura artistica mondiale è dunque l'eliminazione di una categoria “arte” e la sostituzione della questione circa la funzionalità e la finalità dell'arte in un sistema culturale con la questione circa l'essere specifico o la pura e semplice esistenza della cosa artistica; inoltre si rinuncia alle categorie tecniche tradizionali ed all'impiego di qualsiasi tecnica capace di demistificare l'arte per inserirla nel circuito della comunicazione di massa. È interessante notare che le relazioni artistico-culturali tra Europa e America si fanno più intense con la larga apertura degli Stati Uniti agli artisti che arrivano dall’Europa, attratti dal fascino di quel paese giovane e progressivo, o agli immigrati dalla Germania per sfuggire alla persecuzione tedesca. Il contatto in quest'ultima fase avviene soprattutto sul terreno del Surrealismo e questo spiega il definitivo distacco dell'arte americana dalle tradizioni accademiche. Un movimento di rivolta radicale contro il mito dell’arte come espressione di spiritualità profonda si era già avuta negli Stati Uniti fin dal 1915 con la sistematica dissacrazione di Duchamp, che insieme con Man Ray ed il fotografo Stieglitz, aveva dato vita ad un movimento di contestazione radicale di ogni visualità o figuratività; movimento che nel 1917 confluirà nel movimento dadaista europeo. La difficoltà del rapporto tra arte e società dopo la II Guerra Mondiale si è aggravato al punto da far ritenere inevitabile, imminente, forse già avvenuta la “morte” dell'arte. C’è antitesi tra consumo e valore: in tutta la sua storia l'arte è un valore di cui si fruisce, ma che non viene consumato. Un'arte che si consumi fruendone sarà qualcosa di totalmente diverso da tutta l'arte del passato. Dicendo che l'arte è morta inoltre si pensa alla sua razionalizzazione, al suo sacrificarsi come arte pur di concorrere al formarsi di una civiltà assolutamente razionale. Ciò che storicamente conosciamo come arte è un insieme di cose prodotte da tecniche differenziate, ma aventi tra loro affinità per cui costituiscono un sistema: il sistema che inquadra l'esperienza estetica della realtà. In tutta la storia della civiltà l'esperienza estetica costituisce una componente necessaria dell'esperienza globale. È accaduto che alcune di quelle tecniche finissero. Finirà con esse ciò che si chiama l’esperienza estetica? Intendendo per fenomeno estetico l'immagine, la risposta non può essere che negativa. Ma il mondo è stato, come oggi, avido e prodigo di immagini. L'apparato tecnologico-organizzativo dell’economia industriale non limita bensì potenzia la funzione dell’immagine. Senza l'informazione mediante l'immagine non vi sarà cultura di massa e la cultura di una società industriale non può essere che cultura di massa. Gli operatori estetici si trovano oggi davanti a un dilemma: la ricerca estetica non può servire alla distruzione lenta del consumo, non almeno senza cessare di essere quello che è sempre stata, ricerca del valore, arte. La crisi rientra nel quadro della crisi, più vasta e grave, del rapporto tra cultura e potere. È dunque indispensabile studiare gli sviluppi nella ricerca estetica in relazione alle situazioni concrete. Nell’Unione Sovietica, dopo la fine dell’avanguardia rivoluzionaria, la ricerca estetica si è fermata: il cosiddetto “Realismo socialista” non può neppure considerarsi come un movimento regressivo o reazionario, è mera propaganda politica. Indubbiamente diversa è la situazione nei paesi dell'oriente europeo. Movimenti di avanguardia si sono energicamente contrapposti al tentativo degli accademici di farsi forte del favore del potere politico. Nei paesi capitalisti, a economia altamente competitiva, si ha il fenomeno a cui si è già accennato: la ricerca di un coefficiente di qualità estetica nella conformazione, presentazione e confezione dei prodotti, larga utilizzazione dei fattori estetici per la diffusione dei prodotti e l'incremento del consumo. La progettazione estetico-industriale è accuratissima: appoggiata su metodiche analisi di mercato e precisi accertamenti psicologici e sociologici. Se le grandi industrie non possono più fare a meno dei ricercatori e degli operatori estetici, sussistono tuttavia due piani ben distinti: quello degli artisti inseriti nel sistema tecnologico-industriale e quello degli artisti che non rinunciano al ruolo dell'intellettuale. razionalismo e come alibi nei confronti delle finalità politico-sociali dell’urbanistica. Determina cioè quello che potremmo chiamare il boom tecnologico dell’architettura contemporanea. La stessa questione economica finisce per avere una scarsa importanza: il consumo edilizio è un consumo da incrementare alla stregua degli altri. Si arriva così a proposte contrarie al programma razionalista della dissoluzione del fatto architettonico nell’urbanistico: si progettano edifici enormi, che dovrebbero avere non soltanto la capienza, ma l'organizzazione interna di piccole città. Laboratori di ricerca dell’università della Pennsylvania, 1957-61 È stato lo stesso Le Corbusier a darne il primo modello nelle Unità d'abitazione di Marsiglia e di Nantes. All’immagine urbana del razionalismo col suo spazio rigidamente suddiviso in multipli e sottomultipli secondo una gerarchia di funzioni, succede l'immagine indubbiamente più umana di Lynn, nella quale contano soprattutto i siti con i quali gli abitanti hanno una specie di dimestichezza, un attaccamento affettivo o anche soltanto consuetudinario. All'architettura rigida e volumetrica succede, sia pure soltanto sul piano sperimentale, un'architettura morbida, come le strutture gonfiabili, simili a immense tende di nomadi del tedesco Otto Frei. La ricerca metodologica qualificata va così sempre più distaccandosi dalle considerazioni dei problemi reali dell’esistenza. Cattedrale di Santa Maria, Kenzo Tange, 1962-65, Tokyo Opera House, Jorn Ultzon, 1956, Sidney Casa Johnson, P. Johnson, 1949 La ricerca visiva Nel campo della visione, meno direttamente connesso con la pressione condizionante del potere tecnologico, la resistenza all'assorbimento è maggiore; anche più sensibile però alla crisi dei valori tradizionali ed alla trasformazione delle tecniche di rappresentazione in tecniche di ricerca. Il primo passo in questo senso è fatto da Moholy-Nagy. Composizione Q XX, 1923 Il tema della sua ricerca è enunciato dal titolo di un suo libro: Vision in motion. Il fenomeno estetico integrato all'esistenza non si dà nella singola immagine, che tende sempre a irrigidirsi in forma, ma in una sequenza di immagini. L'immagine non è il risultato, ma la materia è un oggetto della ricerca: perciò Moholy si serve volentieri di immagini ready made e utilizza spesso il fotomontaggio. Poiché non c'è visione senza luce, l'analisi dell'immagine In quest'opera del ‘23 è evidente il riferimento a Malévich: più precisamente, Moholy-Nagy parte dalla formula spaziale del predecessore come un matematico comincia la propria analisi partendo dai risultati delle precedenti ricerche. Per il primo lo spazio è asimmetrico, ma esattamente misurabile; la misura non è una rappresentazione, ma un'espressione mediante certi simboli o segni. Moholy-Nagy espone il problema del concettualismo astratto alla situazione storica di fatto. Sa che lo spazio è una struttura della coscienza; si manifesta in tutto ciò che si fa coscientemente e si deve fare coscientemente tutto ciò che si fa. In quest'opera Moholy verifica la formula spaziale e visiva su due materiali tipicamente industriali che spesso vengono associati tra loro: metallo e vernice a smalto. Assume come mezzo della sperimentazione i simboli cartesiani dello spazio matematico: le coordinate. Lo scopo della ricerca è raggiungere l'identità di spazio matematico e spazio fisico, cioè stabilire la misura della luminosità dello spazio. La lastra nera assorbe e riflette la luce. Le orizzontali e verticali chiare, passando davanti e dietro al disco rosso definiscono piani paralleli, antistanti al fondo e il disco è, come forma e colore, l'antitesi del quadrato nero del fondo. Così Moholy dimostra che tra spazio matematico e spazio percettivo può esserci identità e che la percezione è un processo del pensiero come il calcolo matematico. diventa analisi della luce in movimento: movimento e luce sono quindi le due componenti fondamentali dell'immagine. Il nodo della problematica di Moholy è infine il processo motorio della percezione, l'elemento motion che si collega necessariamente all'elemento vision. Quello che era il dinamismo di Duchamp e dei futuristi, che presupponeva un’azione di forze, si traduce così in “cinetismo”, come spontanea associazione e successione di immagini nel campo psicologico-ottico. Naturalmente l'analisi dei processi percettivi e della loro fondamentale soggettività implica la scoperta del fatto che la percezione è pensiero autonomo e autosufficiente, precisamente quello che viene definito pensiero visivo. L'immaginazione è pensiero integrale, liberato dalle censure logiche del razionalismo. La ricerca di Moholy è stata proseguita e sviluppata anche sul piano teorico ed in rapporto all'architettura e al disegno industriale dallo svizzero Max Bill a cui si deve pure il tentato ripristino della rigorosa didattica progettuale della Bauhaus. Il concetto di arte concreta che fin dal 1935 Bill ha contrapposto a quello di astrazione, implica la radicale, teorica confutazione dell’arte come rappresentazione: come ricerca operativa l'arte si determina necessariamente in un oggetto, ma questo si qualifica come strumento dimostrativo e didattico, nonché come modello di oggetto il cui funzionamento razionale si compie nell'atto stesso del suo essere percepito. Anche Albers ha insegnato nella Bauhaus ed ha proseguito la sua attività di maestro negli Stati Uniti. Il problema che impegna tutta la sua attività di pittore non è il movimento, ma la densità o la profondità dello spazio, inteso però come campo percettivo. Muove da un’ipotesi spaziale a priori, il quadrato, assunto come forma simbolica dello spazio. Non si tratta tuttavia di una simbologia cosmica, relativa alla metafisica dello spazio: il quadrato per Albers è forma simbolica. Il simbolo non ha un carattere sostanziale ma funzionale: è bensì l'espressione di un mito che si forma nella psiche umana e quindi serve al pensiero, ma il pensiero stesso col suo processo, lo verifica e, verificandolo, lo “demitizza”. Tutti i dipinti di Albers presentano il medesimo schema: quadrati inscritti l'uno nell'altro e campiti con stesure cromatiche uniformi, tra le cui implicite quantità di luce si stabilisce una relazione che è nello stesso tempo metrica e tonale, razionale e percettiva. Si ha così un processo all’interno dell’immagine immobile. Il processo di dosaggio e ragguaglio delle quantità e qualità coloristiche si qualifica come un processo razionale all’interno della forma simbolica, che cessa di essere tale in quanto viene verificata: si tratta dunque di un processo più psicologico che astrattamente matematico e lo prova lo sviluppo imprevedibile che la geometria di Albers ha avuto nella spazialità espansiva e sicuramente cromatica di uno dei maggiori maestri dell'informale americano, Rothko. 19/03/2024 POETICHE NELLA MATERIA L’INFORMALE -seminario Anna Calise- Siamo nel secondo dopoguerra, quando una serie di personaggi, disincantati dalla realtà dell’epoca, tra USA (W. De KOONING, A. GORKY, J. POLLOCK e MARK ROTHKO) ed Europa (in Italia troviamo L. FONTANA e A. BURRI, in Francia con J. FAUTRIER e J. DUBUFFET) si dedicano alla nascita ed allo sviluppo di una nuova poetica dedita a trovare una nuova dimensione primitiva ed originaria, quasi infantile che li allontani dalla crudeltà umana che aveva pervaso il mondo dell’epoca. Il termine “informale” viene coniato nel 1952 da M. TAPIE: è una corrente artistica che esclude la rappresentazione di una forma definita e oggettiva; esalta nell’opera l’importanza della materia e del gesto considerandola come un blocco di realtà a sé e sganciata da ogni esperienza artistica anteriore. L’INFORMALE negli USA (o ESPRESSIONISMO ASTRATTO) -seminario Anna Calise- Vede al centro del suo lavoro l’artista che all’interno della propria pratica trova una risposta identitaria. Siamo in un periodo in cui il centro culturale e artistico muta, si sposta da Parigi agli USA in quanto numerose personalità ricercano supporto e rifugio nel paese dei sogni. Qui però le caratteristiche artistiche conservatesi fino ad allora perdono solidità a causa del nuovo ambiente; gli artisti, anche grazie a questo fenomeno, riescono a mantenere un punto di rottura con la società, da cui si alienano. Vediamo quali sono i portavoce del movimento artistico in USA. Cultura europea e cultura americana (Argan) Il flusso dell’emigrazione intellettuale verso l’America si ingrossa quando, scoppiata la guerra, i nazisti invadono quasi tutta l'Europa. l'America diventa la depositaria dei valori dell’intelligenza e della cultura. La tensione ideologica e polemica, che opponeva l'arte moderna al conservatorismo europeo, non ha o non sembra più avere ragione di esistere nel quadro del modernismo e del progressismo americano. Le tendenze non figurative, essendo più immuni da contenuti e caratteri nazionali, sono naturalmente le più seguite. Uno dei loro pionieri è Davis, perfino gli schemi geometrici dell’Astrattismo europeo assumono nel colorismo intenso della sua pittura, l'intensità di fenomeni osservati per la prima volta. Le figure chiave di questo periodo sono Gorky e De Kooning. L'opera di Gorky è parsa a molti critici europei scarsamente originale. Gorky in fondo è stato un grande traduttore che ha reso intellegibile in America la migliore letteratura pittorica europea. Non era americano, ma un turco emigrato nel 1915 per cui l’America è un’esperienza aspra, ma vitale; un ambiente strano in cui deve inserirsi, è appunto la condizione del vero americano. Nulla di strano dunque nel fatto che Gorky abbia dovuto reinventare un sistema di segni che, sebbene sia morfologicamente simile a quella della pittura europea e ne discenda, ha una diversa carica significativa. Non essendo più connesso al dualismo di soggetto ed oggetto non corrisponde all'atteggiamento di chi si pone davanti alla realtà per conoscerla, ma alla concitazione interna di chi la prende di petto ed ingaggia una dura lotta contro l'ambiente ignoto o avverso per fare spazio alla propria vita. Si delinea così la figura dell'artista americano: uomo d'azione in una società di attivisti che vuol essere un puro e disinteressato agire, un agire come esistere, un modo di esistenza autentica tutto diverso da quello che la società americana ha eletto come proprio ed esemplare modo di vita. ARSHILE GORKY -seminario Anna Calise- La sua arte risente di numerosissime influenze da parte dell’arte europea, si può infatti definire come il miglior traduttore delle migliori stagioni pittoriche europee in USA. Secondo Argan l’artista sarebbe stato in grado di “reinventare un sistema di segni simile a quello della pittura europea ma con una diversa carica significativa. Gorky prende di petto la realtà ed ingaggia una dura lotta contro l’ambiente ignoto o avverso per fare spazio alla propria vita”. Notturno, 1954 Era un artista armeno che ha vissuto i primi 15 anni vita nella sua terra d’origine, si trova poi costretto a migrare, giungendo in America dove studia arte a NY alla Grand Central Art School. Giardino a Sochi, A. Gorky, 1941 L' artista, per il solo fatto di essere tale, è all'opposizione: fa parte di una minoranza intellettuale che non ha, o non ha ancora, una vera qualificazione ideologica. Nella pittura americana, che con Pollock si chiamerà action painting, il segno ha la vitalità intensa e tenace del germe che si genera spontaneamente in un’acqua putrida, stagnante, e l'acqua putrida è il passato che, non organizzandosi razionalmente in prospettiva storica, scade nel caos dell'inconscio. Il passato che non si fa storia e pesa come un complesso di colpa è la controparte occulta del modernismo attivistico dell’estroversa società americana. L'arte in America ha le sue diverse correnti, ma tutte hanno in comune l'infrazione delle censure, il coraggio dell’eccessivo e del paradossale. L'arte è il luogo dove si rigenera e purifica il pragmatismo alienante della vita quotidiana: è anch’essa pragmatismo e attivismo, ma positivo o creativo. Accanto a Gorky, De Kooning sperimenta su sé stesso la carica e la direzione dell’impulso motorio del fare la pittura. Olandese, emigrato nel 1926, ha una formazione espressionista di cui tuttavia elimina i contenuti polemici e i temi figurativi poiché li ritiene dispersivi e limitanti. Crea così un Espressionismo astratto che non colpisce più la realtà del mondo svelando le contraddizioni, ma esplode in profondità: esprime l'angoscia della condizione umana, dell'essere nel mondo. Il gesto espressionista del dipingere è per De Kooning un gesto dirompente che disintegra la realtà. Al razionalismo matematico di Albers si contrappone, come altra componente fondamentale della cultura artistica americana, l'interpretazione di Gorky dell'irrazionalismo surrealista. La metamorfosi che Gorki si propone di realizzare con la pittura è il passaggio dal non significante dell’esistenza al significante della vita. Considera compiuto il trapasso quando dal caos dei segni senza significato si passa a un contesto segnico significativo di spazio e tempo. Le linee, i colori, ritrovano un andamento narrativo: il quadro è come un racconto che si ode, ma senza discernere il significato delle parole e tuttavia deducendo il senso dal ritmo e dalle inflessioni della voce che lo racconta. La pittura di Gorky è dunque un tentativo di un linguaggio ad un tempo poetico e visivo, i cui segni vengono inventati e prendono il significato nel momento stesso in cui il pennello li traccia sulla tela. nero che oscura la superficie bianca della tela è una proiezione dell’inconscio, una macchina di colpa sul chiaro della coscienza. Cast, G. Mathieau, 1964 Con quello che potremmo chiamare l’Impressionismo astratto di Rothko confluisce nella pittura americana l'altro grande componente della cultura europea: il fattore dominante nella sua formazione, dopo un primo accostamento al Surrealismo di Masson e Mirò, è Matisse. Les chevaliers, A. Masson, 1927 I surrealisti negano la forma perché ha una struttura intellettuale e scelgono l'immagine perché traduce l'incongruità, la casualità dell’inconscio. Masson, il più introspettivo dei pittori surrealisti, va al di là della testualità dell'immagine, indaga i motivi, i moti profondi dell'essere da cui misteriosamente si genera. Per lui le immagini rimangono allegorie. La scrittura automatica del Surrealismo per Masson non è una poetica dell’immagine, ma del segno. Il segno non è né linea né colore: altrimenti avrebbe già un significato intrinseco che comprometterebbe la sua necessaria neutralità. Il segno di Masson è un quid che, emanando dall'interiorità dell'artista, impressiona uno schermo. La tela uno schermo sensibile che intercetta un impulso e reagisce. Anche il francese Mathieu è un cultore della calligrafia orientale: il principio fondamentale della sua poetica è che il segno precede il significato. Tuttavia, il segno non è ambiguo, non soltanto segna ma si esibisce come struttura completa, oggettuale. La pittura per lui è pura manifestazione dell'essere: deve prodursi nel mondo, farsi in cospetto di tutti. Mathieu è stato il primo a concepire l'operazione pittorica come spettacolo. Con l'esibizione spettacolare del suo fare si propone di vincere il complesso di inferiorità dell'essere vivente nei confronti dell'apparato meccanico. Batte la macchina in velocità e precisione facendo quello che nessuna macchina può fare, cioè rivelando il dinamismo coordinato della mente e della mano. Lo spazio e il tempo del mondo, oggi determinati dalle macchine, hanno i loro segni: l'esistenza individuale consiste nel distinguere i segni del proprio spazio e del proprio tempo da quelli delle macchine. Sono apparentemente gli stessi: il “vitalismo” irrazionale di Mathieu non rifiuta la morfologia geometrica, la differenza è tutta nella qualità, nella carica di cui i segni sono investiti. E nel fatto che la sorgente di energia è un movente e non un motore. Come De Kooning dall'immaginazione espressionista, così Rothko elimina dall’immagine impressionista la figurazione. Rimane lo spazio, uno spazio non teorico, ma empirico, che si percepisce come sostanza coloristico-luminosa espansa e vibrante. Quello di Rothko è calmo, cadenzato, uniforme come il gesto dell'artigiano che tinteggia una parete. L'azione non è progettata: si compie attraverso un graduale accumularsi e raffinarsi dell’esperienza nel corso del fare. Un quadro di Rothko non è una superficie, è un ambiente e cerca spontaneamente l'architettura, non il nome di un’astratta sintesi delle arti, ma per una sorta di affinità elettiva. Il suo scopo è infatti di avvolgere, ambientare lo spettatore, aprire uno spazio alla sua immaginazione. Partendo dal gesto del pittore di appartamenti per giungere al sublime dello spazio dimostra che il piccolo artigiano del passato può evolvere in artista, mentre l'operaio qualificato della grande industria può diventare al più tecnico dirigente. MARK ROTHKO -seminario Anna Calise- La sua arte si caratterizza per la presenza di larghi riquadri rettangolari colorati come accade in Four darks in red, 1958 Artista russo migrato in USA, studia arte a Yale. Conosce una serie di personaggi che rappresenteranno dei punti di riferimento per lui tra cui Peggy Guggenheim. Le zone grigie e gialle appaiono come essudate dalla tela bianca, scalfita dal percorso del segno. Questo è come un filo conduttore di una corrente discontinua. La materia della pittura è una realtà viva ed organica con cui l'artista viene alle prese. Non c'è più o meno “caso” nella pittura che in qualsiasi altra azione umana. Questi dipinti vengono realizzati attraverso un’azione graduale, effettuata stratificando il colore, a differenza di altri espressionisti astratti, troviamo rigore e controllo. Il discorso che si fa a riguardo delle sue opere è quello inerente alle EMOZIONI ASSOLUTE in quanto le opere di Rothko sono in grado di creare grande turbamento, pianti… una sorta di misticismo nell’osservatore, Rothko riesce a stimolare dal profondo le principali emozioni umane. Giallo su viola, 1956 Terra e verde, 1955 Cappella Rothko, Houston, 1965 Luogo che voleva essere il collegamento più perfetto con un misticismo quasi religioso; è un luogo di confronto, identificato quasi come un luogo di culto. Rosso e blu su rosso, 1959 La pittura di Rothko sembra tutto l'opposto: scompare ogni traccia di figurazione ed immagine, il segno viene riassorbito nella distesa calma del colore. Eppure anche Rothko non è un contemplativo ed anche la sua azione non è progettata. I suoi quadri vogliono essere soltanto pareti colorate, ma nessuno prima di lui si è mai chiesto che cosa sia una parete nella psicologia del profondo. La parete non è soltanto una superficie solida di mattoni intonacati, è anche un colore. Con il cileno Matta la pittura ridiventa racconto, ma il racconto nasce dalla vitalità intrinseca dei segni e si sviluppa nel dinamismo dell’azione pittorica. Questi diventano piccoli esseri mostruosi e “agiscono” sulla tela una loro pantomima fantascientifica e grottesca, il cui senso profondo è la critica. Il dibattito artistico in Europa Dopo la II Guerra Mondiale si è tentato di ricomporre un’unità culturale europea. Sul piano delle idee, la crisi dell'arte come componente del sistema culturale europeo ha avuto tre fasi: 1. il recupero critico dei grandi temi della cultura artistica della prima metà del secolo con l'intento di collegarli alla prospettiva ideologica del marxismo 2. una forte influenza delle filosofie della crisi, specialmente dell’esistenzialismo di Sartre 3. il riconoscimento dell'egemonia culturale americana e l'inserimento dell'operazione estetica nella teoria e nella tecnologia dell'informazione e della cultura di massa Tra il 1945 e il 1950 Pablo Picasso prende la guida della giovane arte europea, il suo passato è inattaccabile, il suo orientamento politico esplicito come la sua volontà di intervento, la sua opera recente è tutta ideologicamente impegnata. In sostanza gli artisti dell’immediato dopoguerra si propongono di riesaminare criticamente i movimenti artistici della prima metà del secolo per individuare e Sentieri ondulati, 1947 L’action painting scarica una tensione che si è accumulata nell’artista. È azione non progettata in una società dove tutto è progettato, è reazione violenta dell’artista intellettuale contro l'artista tecnico. Pollock, che non si serve della pittura per esprimere concetti e giudizi, è un attivista di segno contrario. Il suo furore professionale lo costringe ad adoperare gli strumenti del suo mestiere in modo contrario a tutte le regole. I suoi colori sono quelli che fabbrica l'industria, ma che lui riscatta dalla mediocrità dell’impegno pratico, li tratta come materie vive ed autonome, ciascuna delle quali ha il proprio modo d’essere. Il margine di casualità però è minimo: è il pittore che sceglie i colori, le quantità, i gesti, non progetta il quadro, ma prevede una modalità di comportamento. Le situazioni visive che dovrà fronteggiare saranno sempre nuove: tutto sta nel tenere il ritmo della composizione. Naturalmente la tecnica di Pollock deve molto alla tecnica automatica del Surrealismo, alla vitalità intrinseca ed autonoma di cui Gorky aveva investito il segno. Tutta l'esistenza fisica e psichica dell’artista che viene coinvolta nel ritmo dell'azione. Nei suoi grovigli arrovellati di segni riesce a imprigionare tutto ciò che nella realtà è un movimento. Non c'è una chiave di lettura, un messaggio da decifrare: nulla delle esperienze della pittura può essere riportato e utilizzato nell’ordine sociale come nulla nell’ordine sociale può passare nella pittura. Sono due esistenze diverse tra cui bisogna scegliere. rimettere in valore quanto c'era di concreto nelle loro velleità rivoluzionarie. Oggetto principale del riesame, il Cubismo: la scomposizione cubista rimane la grande scoperta del secolo, ma deve essere dirompente e non analitica, riflettere nello schianto della forma l'immagine che si fa del reale la coscienza lacerata, contraddittoria dell'uomo del nostro tempo. Inteso come linguaggio il Cubismo diventa un modo di presa diretta della realtà, ne afferra e potenzia gli elementi più emotivi e drammatici. In questa direzione si muovono francesi e italiani che sono i rappresentanti di un Astrattismo lirico in cui l'assenza di relatività all'oggetto intensifica gli accenti espressivi. Incendio alle 5 Terre, R. Birolfi, 1955-56 Un movimento analogo si ha in Germania, ma partendo dalle posizioni della Brucke e del Blaue Reiter. La tendenza non-figurativa, che tuttavia non esclude l'emotività ancora naturalistica del colore, riflette il carattere essenzialmente linguistico della ricerca: si vuole ad ogni costo riaprire e generalizzare un discorso, escogitare i mezzi di comunicazione diretta, al di fuori di ogni pregiudiziale storica. Esteve, Poliakoff, Singier si sforzano di sensibilizzare, di dare alla schematizzazione geometria dello spazio una presa sulla realtà sensibile. Composizione, S. Poliakoff, 1956 Portando la ricerca più a fondo, De Stael constata con sgomento che nessuna idea a priori dello spazio o della forma sopprime il problema della realtà, che si riapre angoscioso al di là del sistema dato, come problema di un altro da sé, irriducibile, che inibisce all'artista la coscienza sicura e totale del proprio essere. Il fronte degli intellettuali progressivi si spezza, il dibattito sull’arte si radicalizza nell'opposizione tra Realismo e Formalismo. Il Realismo socialista ha prodotto ovunque una pletora di opere inutilmente celebrative o propagandistiche. Anche in un artista di talento, moralmente e politicamente impegnato come Guttuso, assume aspetti drammatici. Se l'arte non può non essere politica e la politica si concreta nella lotta di classe, l’azione politica dell’intellettuale deve svilupparsi secondo la strategia del partito che conduce la lotta: l'artista rinuncia alla propria autonomia di ricerca e di espressione perché ha già realizzato la propria libertà morale con la scelta ideologica. L'opposta tesi del puro Formalismo ha la sua più tipica espressione nel gruppo italiano Forma Uno formato dai pittori Dorazio e Perilli e dallo scultore Consagra. Non si rinuncia all'impegno ideologico, anzi si ribadisce la necessità dell'intervento nella situazione sociale in fase di trasformazione, ma si afferma che l'arte deve concorrere alla trasformazione delle strutture sociali. La fase successiva non segna la conciliazione, ma il simultaneo superamento delle istanze. È da notare che il dualismo contenuto-forma rientrava ancora nel dibattito, tipicamente europeo di marxismo e idealismo, e che la tendenza al superamento della forma, o l’Informale, è anche la tendenza a superare la concezione del problema dell'arte come problema della cultura europea e a trovare un terreno d'accordo con le correnti avanzate americane. Il rapporto arte-società appare ormai pressoché impossibile e le poetiche dette dell'Informale sono indubbiamente poetiche dell'incomunicabilità. Non è una libera scelta; è la condizione di necessità in cui l'arte viene a trovarsi in una società che svaluta la forma e non riconosce più nel linguaggio il modo essenziale della comunicazione tra gli uomini. Non si inquadra più in un’estetica, in una filosofia; il concetto stesso di poetica, prevalendo su quello di teoria, indica che la sola giustificazione dell’arte è ormai un’intenzione operativa. L’artista esiste perché fa. L’Informale è una situazione di crisi e precisamente della crisi dell'arte come “scienza europea”. Si spiega così l'apparente affinità, cui però si accompagna una profonda differenza, che lega le tendenze informali europee all'Espressionismo astratto od action painting americana. L'ultima lucidissima, irriducibile definizione dell’arte come forma l'aveva data Mondrian la cui chiarezza conoscitiva avrebbe dovuto riflettersi e rifrangersi in tutti i prodotti dell'agire umano, diventare il segno della razionalità fondamentale dell'esistenza. Il primo che salta al di là del mito razionalistico e Hartung, alla formula razionalistica di Mondrian contrappone, con la stessa lucidità, l'atto che realizza una volontà politica. Nasce così la poetica del gesto: deciso, rapido, esatto, senza possibilità di ripensamenti. Se per Mondrian l'agire dipendeva dal conoscere, per Hartung il conoscere dipende dall'agire. Ma il gesto che crea lo spazio è anche un gesto negativo, che cancella ogni precedente nozione della realtà: il segno tracciato dal gesto attraversa nero e deciso il campo della tela. Nasce con lui quella che potremmo chiamare l'iconografia, o semantica della negazione del mondo. L'iconografia del no diventa uno dei motivi fondamentali e ricorrenti. Plurimo n° 1, le mani addosso, E. Vedova, 1962 Il problema della materia era sorto nel momento in cui la forma artistica aveva cessato di essere rappresentazione della realtà per darsi come realtà autonoma, in sé con il collage cubista e con il Costruttivismo russo. Nell'ambito delle politiche esistenziali, o dell'Informale, il problema viene posto in tutt’altri termini: la materia ha un'estensione e una durata, ma non ha ancora o non ha più una struttura spaziale e temporale. La sua disponibilità è illimitata, manipolandola l'artista stabilisce con essa un rapporto di continuità esistenziale, di immedesimazione. È vero che non ha né può assumere un significato definito, cioè farsi oggetto, ma proprio perché è e rimane problematica, l'artista identifica in essa la propria problematicità, l'incertezza circa il proprio essere. L’INFORMALE IN FRANCIA -seminario Anna Calise- L’informale in Francia viene definita anche Tachism, da tache = macchia, in quanto corrente di pittura astratta caratterizzata dal libero impiego, nella stesura dei colori, di macchie, chiazze cromatiche; in contrapposizione all’astrattismo geometrico. Vediamo ora alcuni dei maggiori esponenti del movimento. L'immagine di Vedova, sembra più simile a quella di Still che a quella di Mondrian. Risulta infatti un insieme di macchie colorate senza alcuno schema d'ordine, ma si nota subito che l'immagine spaziale è agitata, sconvolta, drammatica. Non può contenersi in un unico piano di proiezione, lo spazio del quadro infatti si frantuma in tanti piani, anche materialmente distinti. Vedova infatti abbandona la superficie del quadro: i suoi plurimi sono composti di piani variamente orientati e muovibili, sono lo spazio ristretto animato entro il quale l'artista compenso l’oppressione del limite con la dirompente violenza del colore. Non è uno spazio che si forma, come nei pittori d'azione americani, ma uno spazio che esplode. Vedova non dissimula il proprio movente ideologico politico: di fronte ad un succedersi di eventi politici che offendono mortificano la coscienza, reagisce denunciando la rovina dei grandi valori della natura e della storia e dimostrando come soltanto nella rivolta morale si possa recuperare la condizione naturale e storica della libertà. Nonostante l'apparente analogia con la pittura d'azione americana, la sua pittura presuppone una cultura tipicamente europea e ne riflette drammaticamente la crisi storica. J. FAUTRIER -seminario Anna Calise- Si ricollega alle ultime frange della tradizione impressionista. Constatata che la materia pittorica è una sostanza sensibile o impressionabile, che delle sensazioni assorbe e fa proprie l'estensione e la durata. Tutto ciò che si vive diventa materia: la materia è memoria. Un frammento di realtà che realizza tragicamente la nostra esistenza frammentaria. Vediamo dapprima un ciclo drammatico legato al trauma della guerra: frequentava infatti un circolo intellettuale legato alla Resistenza francese, viene arrestato ma nel 1943 riesce a fuggire alla Gestapo. Ha un amico che può accoglierlo e nasconderlo in un ospedale psichiatrico ed in quel lasso di tempo percepisce comunque, e subisce passivamente gli orrori commessi al di fuori del suo nascondiglio, all’esterno della struttura infatti i prigionieri subivano torture e venivano effettuate esecuzioni. Lui può solo immaginare ed imprimere tramite la sua pittura, ciò che vuole dimenticare ma al contempo è inevitabilmente ricondotto a ricordare. Teste di ostaggi, 1942-44 Dubuffet, che opera negli stessi anni e nello stesso ambiente, è uno spirito critico, spregiudicato fino al cinismo. Per lui il linguaggio è anch’esso materia e come tale duttile, plastico, impressionabile, suscettibile di tramutarsi e Nasce a Parigi, riceve un’istruzione canonica per poi spostarsi a Londra. Attinge sicuramente alla tradizione dell’Impressionismo ma fa in modo che attraverso la materia si possano intrattenere emozioni e sensazioni più fugaci. corrompersi. La sua ricerca è perciò tutta linguistica, ma lo scopo è distruggere il mito dell’immunità, della spiritualità, dell’incorruttibilità del linguaggio. La pittura non rappresenta, non esprime, non comunica: è esistenza allo stato brado, la sua energia è caotica e inconcludente, ma straordinariamente varia e vivace. Per Dubuffet la stoltezza sta nel mitizzare l'arte, nel metterla per forza il rapporto con le cosiddette “attività superiori” o addirittura sublimi. Nella prospettiva scettica di Dubuffet, infine, la tanto celebrata cultura europea non è che è un fenomeno nella sterminata fenomenologia dell'antropologia culturale. J. DUBUFFET -seminario Anna Calise- L’arte di Dubuffet è definita anche “art brut”, in quanto non si tratta di un’arte elaborata e sofisticata ma punta ad una ricerca continua inerente a riferimenti innocenti ed infantili volti a sfuggire dal dolore e dalla distruzione della guerra. Affluence, 1961 Mirobolus macadam et c.ie, 1946 Grande paesaggio nero, 1946 Anche lui nasce a Parigi, riceve un’istruzione canonica per poi abbandonare gli studi. Ha diversi interessi e sperimenta in autonomia numerosissimi linguaggi. Olio su tavola e poi scavato per la realizzazione di graffiti come manifestazione artistica più spontanea, alla ricerca di un ritorno alle origini; ritorna il tentativo di approdare ad una visione infantile, diversa e originaria proprio per sopperire ad una sfiducia verso la realtà dell’epoca. Sacco B, 1953 Le tele di sacco di Burri non sono la cosa rappresentata. La materia è data in proprio e deve rimanere materia: solo in un secondo momento, nell'adattamento che l'osservatore fa dell'opera, la materia consentirà a retrocedere e prendere il suo ruolo predisposto nell'ordine inflessibile dell'opera, come spazialità scaglionata, come colore e fonte di luce. La materia diventa spazio e dunque l'antitesi della materia, senza cessare di essere tale. Analizzando l’operazione artistica si ha: 1) l'individuazione di una classe di materie o cose interessanti 2) l’incollaggio della materia su una superficie data 3) l’intervento in vari modi per mettere a punto il rapporto. Sacco e supporto sono due strati di materie diverse costrette a forza a stare insieme, incollate. Tra i due strati si determinano contrasti di forza: il sacco appare ora teso ora increspato, antiche lacerazioni si riaprono e allargano, al di là degli strappi appare ed emerge il fondo con il suo impasto forte, i suoi colori pesanti. Nei legni, nelle lamiere, nelle plastiche il processo è diverso, non ci sono due strati distinti, la superficie della materia viene lavorata direttamente col fuoco: anche qui tuttavia c'è sempre un evento che altera la superficie ed il suo rapporto con gli strati più interni, quasi viscerali, della materia. I materiali sono sempre di scarto, con una loro storia: non ne sappiamo nulla e non ci interessa saperne nulla, ma quel passato vissuto le ha logorate in certi punti più e in altri meno, ha determinato zone di maggiore o minore, diversa resistenza. Si è discusso delle possibili motivazioni simboliche delle materie e dei segni di Burri: ma tutto ciò che si può dire con certezza è che le materie sono materie diventate sensibili ed i segni alludono a sofferenze, offese, torture patite e di cui, nell'evento attuato, si rinnova il dolore. Non c'è una simbologia, se ci fosse la materia passerebbe in secondo piano rispetto al simbolo, assumerebbe una funzione secondaria di tramite. È invece importante notare che la superficie, anche se talvolta costretta a flettersi o gonfiarsi, si dà sempre come un piano totalmente esposto alla luce. Non c'è traccia di profondità, di spinta inconscia: tutto avviene in chiaro, al livello della coscienza. Ma come il cosciente si identifica col presente dell’evento, così si identifica con la realtà della materia. È stato più volte osservato che nei quadri così esplicitamente materici di Burri si può sempre leggere una nitida trama spaziale, viene individuata e messa a nudo proprio con il tormento che si infligge alla materia e nella materia, finalmente, si placa. Allora è chiaro che l'idea dominante di Burri è che quanto più ci si immedesima con la materia, e con il suo patire, tanto più si prende coscienza. In altre parole, soltanto nel tormento dell’esistere si prende coscienza della assolutezza e dell'immunità dell'essere. C'è il momento tragico dell’alienazione ma la coscienza stessa dell’alienazione ne riscatta la passività e l'inerzia. Rosso plastica 3, 1961 Nero n9, 1986-88 Grande Cretto, 1984-89 Sta di fatto che coscienza e materia sono date contestualmente, immedesimate l'una nell'altra, e non si possono distinguere, questo è il tragico che si fa ancora più straziante con Tàpies, che lo concretizza nell’insofferenza della situazione politica del suo paese, la Spagna. La sua materia è muro, cemento, porta sbarrata, saracinesca calata. Riceve l'impronta dell’esistenza come le pareti delle prigioni ricevono e consegnano la cronaca dell'esistenza dei condannati. La vita dovrebbe essere, e non è, libertà. Bianco e arancione, A. Tàpies, 1967 Una sorta di aggressione dei quadri ma al contempo un tentativo di far parlare l’opera Dimensione profondamente esperienziale. Tàpies ha indubbiamente punti di contatto con Burri, ma il suo atteggiamento nei confronti della materia è opposto. Poiché la materia si manifesta proprio come la prima condizione dell'esistenza, tutta la pittura di Tàpies si qualifica fin dal suo primo insorgere con i connotati dell’esistenzialismo. La dimensione temporale che coordina il ritmo della sua pittura è quella del presente, è un presente immobile che si attua attraverso una tenace operazione di investimento della materialità. Il qui e ora che, determinando una condizione di non-libertà, determina la condizione di angoscia esistenziale; è la situazione politica spagnola alla quale reagisce non soltanto per motivi morali e ideologici, ma in quanto mortificante, distruttiva della persona umana. Anche Tàpies evita i simboli perché il simbolo è superamento della materia. Il tema della materia è fondamentale per la scultura, l’arte della sublimazione della materia in immagine. Viani, interpretando il senso profondo delle poetiche classiche, definisce la figura plastica nel trapasso dalla materia alla luce. Prevale tuttavia la tendenza opposta, della degradazione e del disfacimento della materia “nobile” della scultura. Ciò si vede in Giacometti, che distrugge fisicamente la statua, riducendola ad una sagoma quasi filiforme a cui rimangono aderenti pochi residui di bronzo, come sgocciolature di cera. È questa la poetica della condizione alienata, del prigioniero. Figura, A. Giacometti, 1956 Negli scultori inglesi dopo Moore il processo di defigurazione si accelera, la statua diventa una forma abnorme, enigmatica che emana intorno a sé un alone di ambiguità. Lo spazio stesso diventa il luogo di tutte le ambiguità, delle più strane combinazioni di materia e immagine. In Consagra la statua diventa una lastra a più fogli, che la pressione bilaterale dello spazio comprime, lacera, Giacometti ha portato al limite la crisi della scultura come figura o statua dimostrando la negatività del rapporto tra forma plastica e spazio. Dando la forma nel canone della figura, non si può fare a meno di dare lo spazio nel “canone” della prospettiva. Nei disegni e nei dipinti la figura appare sempre implicata in una situazione prospettica che la consuma e la distrugge, nelle sculture, tra forma e spazio vede possibile un solo rapporto, quello di antitesi. È stato il più radicale degli scultori informali. Infatti: non cerca nella materia un’anti-forma né un momento di aggregazione e disgregazione della forma; oltre la forma e la materia ugualmente distrutte la figura è soltanto un segno; il segno non significa la figura, ma lo spazio infinito a cui la presenza enigmatica della figura pone un limite inspiegabile è quasi intollerabile. Giacometti insomma non vuole manifestare un essere, ma un non essere. La sua non è una simbologia, ma una semantica dell'angoscia. Il segno si imprime sulla materia come una connotazione indelebile, la inchioda al suo essere. Muri, sbarre, serrature, croci, impronte negano alla materia ogni ampiezza di spazio, ogni capacità di reagire alla luce: la pongono come irrimediabilmente estranea alla vita ed alla storia. Non è origine e inizio, ma regresso e fine. Con la sua inerte, immutabile realtà fisica blocca l'immaginazione, scredita l'immagine, la inghiotte nel proprio magma informe, la riduce a segno. La stessa materia segnata si fa segno di una desolata essenza di vita in cui l'osservatore riconosce la negatività totale del proprio essere. In tale condizione non è più possibile il distacco su cui si fonda la rappresentazione. Si passa dal quadro all'anti-quadro, al quadro rovesciato di cui si vede il telaio. Compression de voiture Richard, César, 1962 Le poetiche dette del segno non costituiscono una terza via accanto a quelle del gesto e della materia ma si pongono al di là dell'identificazione di arte ed esistenza. Il problema del segno è stato posto subito dopo la guerra da Wols. Tratto o linea o colore che sia, purché non sia dato come costitutivo di forme o di immagini, il segno non rappresenta né esprime, manifesta soltanto. È legamento sensibile e irritabile tra due stati dell’essere ugualmente pieni di angoscia: e neppure l'interiorità dello spirito e l’esteriorità delle cose, ma soltanto ciò che è dentro e ciò che è fuori dall’involucro fisico. Tra il dentro e il fuori c’è continuità di sostanza, ma differenza di grandezze e disparità di forze, una disarmonia e un malessere di cui i segni, come terminazioni nervose eccitate, sono appunto i segnali d'allarme. Anche Pollock, negli stessi anni, sentiva il bisogno di una continuità ciclica e ritmica tra il proprio essere e l'essere del mondo, e non la raggiungeva senza dramma. Ma in Wols i disegni sono sintomi di aritmia, di sofferenza. Schultze afferrando il senso quasi fisiologico del segno di Wols, gli dà consistenza fisica di un frammento di tessuto organico. E si capisce: proprio perché non rappresenta e significa soltanto il protendersi dell’esistenza della persona nella realtà da cui non può più nettamente distinguersi, il segno tende ad infiltrarsi nella materia come un conduttore di corrente che la elettrizza. Lo si vede anche negli altri artisti tedeschi che dopo la guerra si ricollegano particolarmente a Klee e Kandinsky, come Buchheister e Bissier. Ed è significativo che la ricerca segnico- materica, annullando ogni limite o cesura nella continuità dello spazio e del tempo, si associ al bisogno di uscire dall'ambito della cultura europea, intellettualistica e storicistica. 25 settembre 1963, J. Bissier In Francia il segno conserva un senso linguistico: in Michaux è scrittura ritmica, visualizzazione dell’andamento metrico della poesia e in Dubuffet è la trama, il tessuto circolatorio della materia linguistica. La nozione di segno emerge nell’arte europea proprio quando si delineano in altre discipline, specialmente nella glottologia, le ricerche semiologiche e strutturalistiche: quando cioè ogni disciplina sente la necessità, per sviluppare la propria metodologia, di analizzare e chiarire il significato dei propri segni. Il segno è una forza che agisce in un campo ed i cui limiti sono i limiti della propria influenza. Più segni compongono un sistema, è sistema un insieme di segni interagenti. Anche la relazione di un unico segno col proprio campo costituisce un sistema. Quando Fontana poi, con un taglio netto, dimostra che segno, il taglio, è incompatibile con una delimitazione dello spazio: è la distruzione simbolica della pittura con la sua ambiguità di doppio spazio, fuori e dentro, al di qua e al di là del quadro. C’è però un aspetto operativo di più grande importanza: Fontana non s'accontenta di “segnare” il segno, ma lo agisce, taglia realmente la tela con una rasoiata della giusta lunghezza nel punto giusto. Con questo atto dà al campo una dimensione altrettanto precisa quanto quella dello spazio. Ora, le nozioni di segno e di campo sono indispensabili per spiegare la fenomenologia della produzione industriale: un prodotto industriale è un segno, precisamente il segno di un certo sviluppo tecnologico, e il campo è l'area in cui il prodotto si è diffuso. È proprio a questa situazione che si contrappone il gesto-segno di Fontana: un unicum che solo l'artista può produrre e che non è riconducibile a serie poiché quel gesto-segno è il solo che dia alla vaghezza del campo la determinatezza di uno spazio, se ne deduce che senza la presenza collaterale e indipendente dell'artista, la produzione industriale non ha esiti conoscitivi. Bissier ha studiato a fondo la pittura dell’estremo Oriente; sente che Occidente ed Oriente non sono più spazi separati ma che bisogna trovare unità di misura comuni. Vi sono tra il quadro di Moholy e questo, analogie e antagonismi ugualmente significativi. Nell'uno e nell'altro la pittura è fatta di segni isolati sul fondo brillante, ma nel quadro di Moholy tutto è geometrico e nel quadro di Bissier nulla è geometrico. La concezione orientale dello spazio si fonda sulla nozione del non-limite invece. I segni di Mohly, come segni del limite, tendono a ridursi alla linea mentre i segni di Bissier, come segni del non-limite, tendono a dilatarsi in immagini. Lo spazio del primo è un'idea che si fenomenizza, quello del secondo un'intuizione che si fa immagine. Infine, Moholy cerca una formula dello spazio che, per il suo carattere matematico, è al di sopra di tutte le concezioni storiche dello spazio. Bissier mira ad unificare invece nella sostanza le due grandi concezioni storiche dello spazio. L'uno e l'altro dunque concepiscono il quadro non come rappresentazione, ma come determinazione dello spazio e come un modello che agisce sulla percezione di concezione dello spazio da parte di chi ne fruisce. Nell'epoca del progresso tecnologico, Fontana rivendica l'artista e la prerogativa dell'intenzione. LUCIO FONTANA -seminario Anna Calise- Nel suo lavoro cerca di esplorare lo spazio che sta al di là della tela, facendoci comprendere che il quadro non si esaurisce sulla porzione di superficie realizzata ma si estende in un “infinito”. Come? Prende una tela dipinta e la incide con una lama, gesto che tenta di liberare lo spazio che per tanto tempo era stato imprigionato nella rappresentazione prospettica sulla tela. Questo diventa qualcosa che fa parte e di cui la tela fa parte, attraversa la superficie. Lo SPAZIALISMO è la prova per cui qualunque cosa si faccia è un “fare spazio”. Natura, 1959-60 Nato in Argentina da famiglia italiana, viene inviato in Italia in età scolare dove, arrivato a Milano, frequentò l’Accademia di Brera, dedicandosi alla scultura. Rientrato a Buenos Aires redasse il Manifiesto Blanco con cui pose le basi del movimento spazialista compiere questo salto è stato il francese Klein con i suoi successivi spettacolari interventi che sono indubbiamente operazioni estetiche, ma non più opere d'arte identificabili in un oggetto prodotto. Quando Klein campisce la superficie della tela con un solo colore, senza la minima variazione, si propone di modificare il rapporto tra il fruitore e l'ambiente ma non lo fa agendo sull’ambiente bensì sul fruitore, disponendolo a “sentire” l'ambiente secondo un dato colore, cioè a “vivere” in blu o in rosa o in oro. Perciò sottolinea l'aspetto spettacolare e rituale del proprio gesto autoritario. È chiaro che non è più un gioco, una tecnica né uno “stile”: l'operazione consiste in atti di scelta in cui i motivi riguardano soltanto l'artista, ma i cui effetti agiscono sulla società intera. Anthropométrie de l’epoque bleue, 1960 • Vediamo donne nude che si intingono di colore e diventano il pennello stesso della tela. Le silhouette diventano pittura pura, opera stessa. È stato in rapporto con Klein l'italiano Manzoni che giunge a posizioni ancora più drastiche, collegate a precedenti dadaisti. Se fin dal principio, utilizzando oggetti di uso comune, ma qualificandoli mediante il colore, pone l’attività dell'artista come attribuzione di significato; ben presto giunge ad eliminare ogni procedura tecnica e a porre l'arte come puro atto, a “firmare” e autenticare come arte cose e persino persone. Si tratta palesemente di atti demistificatori nei confronti non solo dell'arte ma di tutto ciò a cui la società annette un valore. È facile intendere come la rimozione di ogni tecnica organizzata e la riduzione dell'attività dell'artista ad interventi rivelatori della sua presenza dia luogo ad una quantità di fenomeni eterogenei, ma ugualmente intenzionati. Li ha coordinati in un movimento a largo raggio il critico francese Restany. La saldatura è importante: se l'artista non è più il detentore di una tecnica, se non produce più oggetti da “valutare”, non può esservi una critica giudicante a posteriori. D'altra parte il puro atto dell'artista sarebbe incomunicabile e non avrebbe durata se non fosse verbalizzata dal critico. Sculture viventi, 1961 a Roma - Pietro Manzoni • Firma il corpo stesso della modella, appropriandosene come opera d’arte. Achrome, 1958 Il movimento che nel 1960 prende il nome di Nouveau Réalisme non impegna né limita la libertà d’intervento dei suoi componenti. Si impiegano i materiali più diversi, l'evento estetico deve prodursi nel contesto della fenomenologia del mondo moderno, illuminarne certi aspetti più significativi. Naturalmente anche il rifiuto della tecnica è una tecnica: ciò che si rifiuta è la tecnica organizzata, progettuale, cioè la tecnica con cui la società industriale organizza la propria attività, e ciò che le si contrappone è una tecnica non progettuale, che consiste nel prendere, utilizzare cose, immagini che fanno parte del contesto sociale, dell'ambiente. È la tecnica del bricolage tipica delle epoche preistoriche. Il processo si può studiare specialmente nell’opera quasi paradigmatica di Arman. Primo momento: non la conoscenza, ma l'apparizione di cose che fanno parte del contesto fenomenico del mondo moderno. Secondo momento: la ripetizione istintiva del gesto, e l'accumulo della preda. Questo momento può avere una variante: la cosa ghermita viene irosamente frantumata (l'opposto dell'accumulo, dell’assemblage). Vi sono tre ipotesi: 1. l'artista oppone al comportamento della società nei confronti degli stessi oggetti un comportamento diverso e contraddittorio 2. l'artista ripete un comportamento della società, l'artista rivela il vero comportamento della società sotto l'ordine apparente della sua progettualità tecnologica 3. la civiltà industriale e dei consumi riconduce la società ad un livello di preistoria, fa dell'uomo civilizzato un primitivo, un selvaggio, un bricoleur Altro caso: i cartelli pubblicitari strappati di Rotella e di Hains, un processo di décollage che si contrappone alla costruttività implicita del collage cubista. È ovvio il senso di reportage urbano: i cartelli pubblicitari sono un aspetto effimero, ma importante del paesaggio cittadino; e come effimeri e scaduti vengono dati con trasparente allusione al rapido mutare del volto della città. Anche qui si hanno i due momenti: appropriazione e distruzione Marylin, M. Rotella, 1963 Spoerri preleva e fissa un insieme di oggetti così come si sono venuti casualmente accumulando su una tavola e parte il riferimento alla poetica del caso Schwitters: il tema è ora la lenta mutazione nel tempo dell’ambiente visivo. Qui è più palese l’intenzione polemica: un’ossessione del conservare contro l’ossessione del consumare si può; dire lo stesso degli impacchettamenti di Christo: che avviluppa tutto in fogli di cellophane, alludendo alla mania degli involucri con cui la civiltà dei consumi rivela-occulta, ma soprattutto mitizza e mistifica i propri prodotti. Può parere la tendenza detta della Nuova Figurazione, che ritorna bensì alla tecnica tradizionale della pittura o della scultura, ma esplicitamente svalutandola, dandola cioè come una delle tante e intercambiabili tecniche dell’immagine. Si considera come punto di partenza l’inglese Bacon, dando però della sua opera un’interpretazione forzata e unilaterale. È chiaro che il problema non è la riconoscibilità o non riconoscibilità della figura umana, ma il valore che le si attribuisce: e Bacon segna il limite estremo della svalutazione, della volontaria degradazione non solo della figura, ma della pittura come arte della figurazione. Il movente morale della convulsa letteratura pittorica di Bacon è un’ira sorda contro la perdurante “ipocrisia vittoriana” che misura la dignità umana in termini di rispettabilità sociale, la sua concezione negativa del mondo come società è radicale. Fa del teatro per svergognare sulla scena, nella luce cruda Chi ha veduto una décollage di Rotella, fatto di brandelli di cartelli pubblicitari, non potrà più passeggiare per la città senza scontrarsi con centinaia dei suoi quadri. Rotella osserva un altro gesto istintivo, quello di strappare i cartelli pubblicitari. Forse con quel gesto inconscio prende atto della provvisorietà, della precarietà, dell’inconsistenza di quelle immagini vivaci ed effimere. Si tratta di un gesto inconscio, di un impulso che le persone educate reprimono: tuttavia c'è una relazione tra quell’apparato di immagini colorate e la nevrosi dell’abitante della città. C'è qualcosa di più: la pubblicità è informazione, l'informazione è lo strumento essenziale della civiltà dei consumi ma il cartellone lacerato, che lascia affiorare, come un palinsesto, le figure del cartellone sottostante, comunica un miscuglio di frammenti di notizie senza alcun nesso in rapporto tra loro. Proprio perché l'immagine non serve più alla sua funzione pubblicitaria, non comunica più, può essere veduta come immagine, valutata come fatto estetico. Anche quella di Rotella è una poetica per cui l'immagine non ha in sé, ma riceve da chi la fruisce, un significato estetico.
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