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L’arte espansa di Mario Perniola, Appunti di Storia dell'arte contemporanea

Riassunto de “L’arte espansa” di Mario Perniola.

Tipologia: Appunti

2023/2024

Caricato il 30/06/2024

LuciaSpadotto
LuciaSpadotto 🇮🇹

4.5

(8)

15 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica L’arte espansa di Mario Perniola e più Appunti in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! L’arte espansa Mario Perniola La destabilizzazione nel mondo dell’arte La bolla speculativa del mondo dell’arte iniziato alla fine degli anni Cinquanta – caratterizzato dalla solennizzazione delle avanguardie storiche – è scoppiata. Essa aveva creato un microambiente artistico che rincorreva mode più o meno effimere. La valorizzazione di tali opere era strettamente connessa con operazioni mediatiche che trasformavano gli artisti in veri e propri divi dello spettacolo, secondo un’economia basata unicamente sulla firma. “Non si compra un oggetto ma una marca”. La conseguenza di tali processi era l’annullamento della critica d’arte, alla quale era attribuita una funzione meramente pubblicitaria. Una contraddizione intrinseca riguardava il presupposto su cui il mondo dell’arte si è costruito a partire dalla Pop Art: vale a dire che l’arte possa essere fatta da tutti. Questo “fare” implicava azioni minime come sottrarre un oggetto dal suo contesto utilitario introducendolo in un regime estetico, delegare agli artigiani l’esecuzione effettiva di un progetto o addirittura smaterializzare completamente l’opera dissolvendola in una frase, un’idea, un concetto. Nello stesso tempo restava ben chiaro il principio per cui tali operazioni erano artisticamente valide solo se legittimate dai mediatori istituzionali. Per quanto riguardava la produzione outsider e folle, la questione era più complessa. Da un lato una piccola parte doveva essere recuperata, dal momento che tutte le avanguardie si fondavano sul rigetto degli accademismi. Dall’altro lato, tale recupero era riservato soltanto a rarissimi casi entro i limiti del mondo dell’arte. L’età della Pop Art si presenta come un superamento della separazione tra arte e società, per l’immissione nel circuito artistico di forme e materiali finora considerate estranee. In breve, si poteva trasformare in arte qualsiasi cosa. Ragion per cui, tale stagione artistica non ha prodotto molte opere, quanti artisti che facevano arte o anti-arte. Il cammino iniziato nell’Ottocento col Romanticismo tedesco, che affermava la supremazia dell’artista sull’opera, ha raggiunto a metà del secolo le sue estreme conseguenze con interessi essenzialmente economici. Tutti gli artisti sono artisti Citiamo uno degli esempi più significativi di questa democratizzazione dell’arte. La Saatchi Gallery di Londra nel 2006 aprì una sezione open access dove, via internet, qualsiasi artista poteva creare una pagina web contenente il suo curriculum e un numero limitato di opere, senza essere sottoposto ad alcun giudizio o valutazione. Tale azione permetteva a chiunque lo stesso identico valore espositivo, mettendo fuori gioco i filtri selettivi e i mediatori tradizionali. Tale approccio risulta coerente con la piega presa dal mondo dell’arte dalla Pop Art ad oggi: una gigantesca macchina finanziaria che instaurava un divario tra artisti di prima e seconda qualità, tenendo quest’ultimi come risorse da cui poter attingere in futuro. Per quanto possa sembrare paradossale, la strategia della Saatchi Gallery porta alle estreme conseguenze una condizione dell’arte all’inizio del novecento aveva fatto della purezza la sua bandiera. Ma che cosa vuol dire purezza dell’arte? Gli artisti considerano la loro purezza in opposizione alla natura: si è artisti perché si è consapevoli di essere tali. Lo statuto di artista si basa su una auto designazione esplicita, una specie di divinizzazione della propria personalità. In altre parole, io sono artista non perché una o più persone qualificate in questo campo mi giudicano tale, ma perché mi autonomino in questo modo. Non è più necessario avere alcun tipo di preparazione accademica. L’unica verità si basa sul fatto di essere prodotti inutili, completamente estranei a un uso strumentale. Se tali artisti facessero oggetti che servono la vita corrente, sarebbero catalogati come designer e non artisti. L’autonomia dell’arte è affermata in modo rigoroso. Nel momento in cui l’arte è fatta da tutti coloro che si autodefiniscono artisti, la legittimazione e la valorizzazione dei prodotti sfugge definitivamente alle loro possibilità di controllo, perché quasi nessuno di costoro è più in grado di formulare una poetica, di spiegate il proprio progetto. Da un lato l’auto designazione sembra qualcosa di estremamente democratico, dall’altro l’enorme aumento del numero di artisti coincide col venir meno dei criteri culturali mentre la valorizzazione passa unicamente per il valore economico. La svolta “fringe” del mondo dell’arte La Biennale di Venezia del 2013, intitolata “Il Palazzo Enciclopedico”, curata da Massimiliano Gioni, destabilizza il mondo dell’arte contemporanea in maniera assai radicale, perché il suo esito finale è il cambiamento del paradigma di ciò che è stato considerato arte finora. Anche Gioni, come la Saatchi Gallery, si pone una selezione più ampia possibile. Essa comprende 158 “articoli”; infatti non è più possibile parlare di artisti. L’idea che presiede tutta l’operazione è l’enciclopedia. Il criterio enciclopedico è diverso da quello che aveva governato l’arte finora. Non si tratta di mettere in competizione tendenze che fanno parte dello stesso ambito: per esempio sostenere l’arte astratta contro quella figurativa. Il punto di vista è sintetico, non analitico: la scelta avviene a monte tra ciò che rientra nella lista e ciò che invece è escluso. Nel caso di Wikipedia esistono diversi criteri di “enciclopedicità”, a cui i collaboratori devono attenersi. Ora la domanda è: qual è il criterio a cui si è attenuto Massimiliano Gioni nell’individuare i suoi 158 articoli? Vale a dire, che cosa hanno in comune questi articoli? Il Palazzo Enciclopedico non è il progetto di un artista legittimato dal mondo dell’arte, ma un modello architettonico costruito nei primi anni cinquanta del Novecento da un dilettante italo-americano di nome Marino Auriti. Nell’intenzione dell’autore, tale palazzo avrebbe dovuto contenere tutte le conquiste dell’umanità. Abbandonato per decenni in un deposito, esso diventa all’improvviso l’emblema di una delle più prestigiose Biennali degli ultimi anni. Come anticipato, questa Biennale ha cambiato il paradigma di che cosa intendiamo per arte e per artista. Infatti, Auriti era del tutto estraneo al mondo artistico. Se prendiamo in considerazione uno per uno i 158 autori di questa mostra troviamo le figure più disparate appartenenti ad un periodo che va da inizio Novecento fino al 2013. Un posto d’onore è segnato dal Libro Rosso di Jung, che qui è considerato non come psicoterapeuta ma come artista. Lo stesso trattamento è riservato all’esoterico Aleister Crowley, per le sue idee di tarocchi. Ci sono poi almeno una decina di psicopatici riconosciuti istituzionalmente come tali che appartengono al campo dell’Outsider Art. Segue una vasta schiera di autodidatti, alcuni dei quali sono stati riconosciuti come artisti. Essendo stata integrata anche l’anti-arte risulta difficile definire tutte queste personalità. Alcuni si qualificano come ricercatori, come psicoterapeuti, come sensitivi, veggenti, cultori del paranormale, bohémien, utopisti… Altri ancora fanno arte semplicemente per non impazzire, come nel caso degli internati nei manicomi. Molti articoli di questa Biennale appartengono all’antropologia: disegni tantrici di autori anonimi, bandiere vudù haitiane, ex-voto di santuari, reliquie e rituali d’ogni genere. Addirittura, viene compreso chi vuole soltanto tramandare delle tecniche. Un’altra attività marginale è ad esempio il restauro. L’artigianato, escluso da anni, si prende dunque la sua rivincita con ricami e ceramiche, restauri di casette, calligrafie, gioielli, ecc… Accanto a tutto questo materiale marginale troviamo una decina di artisti pienamente riconosciuti dal sistema: Richard Serra, Walter De Maria, Cindy Sherman. Per quanto le loro opere siano fortemente controverse, essi rappresentano quasi rari casi in cui la trasgressione è stata premiata e integrata dall’istituzione. I veri nodi concettuali di questa Biennale sono comunque questione estetico-artistiche storiche e che restano tutt’ora problematiche. La prima questione riguarda il rapporto tra arte-vita. L’idea di parallela, estendendo il campo anche a coloro che hanno deciso consapevolmente di sottrarsi ai circuiti ufficiali. Il tracollo dell’Insider Art La svolta fringe dell’arte ha fatto cadere la distinzione tra Outsider Art e Insider Art. Entrambe convenivano nell’interesse reciproco di restare fra loro ben distinte, ma di fatto questa frontiera si è rivelata molto labile. Sull’Insider Art del “Glorioso Cinquantennio” (1960-2010) si è abbattuta la catastrofe della decomposizione delle opere che, a causa dei materiali scadenti, si stanno letteralmente disfacendo in modo irreversibile. Ne deriva un danno incalcolabile per tutti quei collezionisti e quei musei che, sull’onda della bolla speculativa, le hanno pagate a caro prezzo. Siamo di fronte al problema del restauro nell’arte contemporanea. Un primo accenno a questo problema inizia già nell’Ottocento, con la produzione industriale dei colori. Ma nel corso del Novecento il degrado tecnico ha subito un’accelerazione impressionante. Ci troviamo dinanzi a un paradosso: un secolo, il Novecento, che ha portato all’estremo l’ebrezza della novità e dell’attualità, ci appare ora come un cumulo di rovine che è molto difficile restaurare. La figura del restauratore si è separata ancora di più da quella dell’artista. La prospettiva del restauratore resta centrata sull’opera, mentre quella dell’artista comincia a vedere nell’arte qualcosa di più dell’artefatto. L’arte diventa per i romantici una quasi-azione, diversa dall’azione militare politica, ma in concorrenza con queste. Mai prima del Romanticismo la condizione dell’artista e del poeta come eroe aveva trovato una così vasta diffusione. L’idea romantica, secondo la quale ciò che soprattutto importa è l’azione artistica, presenta stretti legami con la rivoluzione politica: slegato dalle antiche funzioni dell’arte, l’artista è stato preda di stimoli soggettivi. La svolta culturale romantica va in una direzione assolutamente differente rispetto a quella rinascimentale: essa non focalizza la propria attenzione sul sapere ma sull’irruenza dell’azione. Da qui nasce l’aspra polemica nei confronti delle accademie d’arte. Nello stesso tempo anche l’artefatto viene svalutato: esso è pur sempre un prodotto finito e limitato rispetto all’infinita creatività dell’artista, il quale può permettersi nei suoi confronti un atteggiamento ironico. L’avanguardia novecentesca porta all’estremo e conseguenze il primato dell’azione artistica sul prodotto. L’azione artistica pertanto non potrà essere giudicata sulla base dell’effettualità: le nozioni tradizionali di riuscita sono inadeguate nei confronti di un agire che è dotato essenzialmente di un valore simbolico. L’azione artistica infatti è politicamente in classificabile e irrilevante, non per carenza di prese di posizioni politiche, ma al contrario per una sovrabbondanza che non è mai vera decisione. Ciò che resta è, per la storia politica, marginale e secondario; tuttavia è per la storia dell’arte decisivo e irrevocabile. A maggior ragione, se ciò che conta è davvero l’azione dell’artista e non l’artefatto, che senso a restaurare un’opera? In questo senso, un momento decisivo è stato rappresentato da Duchamp. Ma secondo alcuni filosofi, quella di Duchamp è un’operazione che può essere fatta una sola volta: essa resterà sempre legata al nome di Duchamp. Nel suo caso l’oggetto artistico viene preso di mira, egli compie un’operazione quasi magica, quella di trasformare qualsiasi azione in opera. L’atto dell’arte dunque non è più la fabbricazione di un artefatto, ma un’azione talvolta infima: spostare un oggetto, cambiare un nome. L’essere artista diventa una specie di attitudine all’azione. Nei confronti di quest’arte, l’intervento della conservazione dovrà limitarsi alla documentazione. Come si può conservare o restaurare un’idea? L’arte contemporanea diventa in alcuni casi del tutto immateriale, come il denaro. Le opere d’arte contemporanea tendono, come i vestiti e altre merci, ad essere coinvolte in un processo sempre più rapido di fabbricazione e di distruzione. La svalutazione dell’artefatto si manifesta anche nella poetica del frammento. L’idea classica dell’opera d’arte era legata alla sua perfezione: l’artista aveva il dovere di portare a termine la sua opera. Il Romanticismo invece attribuisce al frammento una sua autonomia. Anche sotto questo aspetto l’avanguardia del Novecento porta alle estreme conseguenze il romanticismo: per alcune tendenze come il dada l’opera è solo frammento. Il tracollo dell’Outsider Art Al tracollo dell’Insider Art, corrisponde il fenomeno opposto: ovvero la valorizzazione dell’Outsider Art nei circuiti ufficiali. Alla demolizione del mito dell’Outsider, ha contribuito in modo decisivo David Maclagan, uno studioso anglosassone. A suo avviso, le condizioni su cui si è basata l’Outsider Art sono state due. La prima è l’originalità di queste produzioni; la seconda è la totale assenza di ambizioni. Un requisito essenziale degli Outsider è che non siano artisti e non sappiano di essere tali. Tale qualifica è loro conferita da altri, come avviene nella produzione dei popoli indigeni e dei bambini. Un caso indicativo in questo senso è quello dell’artista Adolf Wölfli. Nonostante fosse un Outsider a tutti gli effetti, egli volle essere apprezzato dal pubblico e iniziò a considerarsi un artista. Nel caso dell’Outsider Art la questione sull’auto designazione è molto sottile. Non si tratta di misurare l’autostima e la fiducia in sé stessi paragonandola all’immagine nutrita dagli altri. Qui qualcuno che non ha mai avuto ambizioni artistiche si trova ad essere posto in una categoria di cui non ha mai conosciuto l’esistenza, la quale a sua volta è diversa o opposta a ciò che aveva probabilmente immaginato fosse l’arte. Il fatto che gli Outsider hanno messo le proprie capacità al servizio dell’espressione del proprio mondo interiore certamente li colloca in una categoria diverse di coloro che vogliono entrare nel sistema seguendo le tendenze del momento. Tuttavia, gli artisti Insider che operano con onestà esprimono anche loro una propria soggettività e un proprio mondo interiore. Un altro problema recente per la produzione Outsider è stata la chiusura progressiva dei manicomi. Sono sorti organi il cui scopo è proprio quello di produrre un’arte psicopatica. In questi casi è l’istituzione a promuovere direttamente la creazione dell’Outsidee. Maclagan mette in evidenza il carattere paradossale di queste iniziative, in cui la produzione definita per eccellenza come anti-istituzionale viene offerta dalle istituzioni stesse. È caduto anche il secondo presupposto su cui si fondava l’Outsider Art: le opere che stanno sotto quest’etichetta sono commercializzate e il loro campo costituisce ormai un fiorente mercato. La questione centrale dell’outsider art non è più se si tratti di buona o di cattiva arte, ma se il prodotto offerto è sufficientemente differenza dei parametri artistici normali. Restano aperti altri problemi rilevanti. Ad esempio, nell’arte colta ciò che importa è l’opera, nell’outsider Art invece la conoscenza della vicenda umana dell’autore non è un dato supplementare. In altre parole, il punto di partenza è un caso psichiatrico. L’esistenza di una narrazione è la condizione dell’interesse suscitato dall’opera. Un’altra questione riguarda la figura del dilettante. Il dilettantismo diventa una parte essenziale della formazione dell’uomo moderno, quindi non è più relegata soltanto all’outsider. in ultima analisi i confini tra arte regolare e arti il regolare sono definitivamente caduti. Questo ha provocato non pochi problemi: non ci sono ragioni per cui l’opera di un artista in carriera nell’arte contemporanea sia di per sé stessa differente dalla produzione di uno psicopatico, di un dilettante o di un indigeno. Ne consegue che è avvenuto un mutamento radicale nella stessa categoria cognitiva di ciò che finora è stato chiamato arte: l’opera ha perduto la sua autonomia e per essere riconosciuta come una entità degna di apprezzamento deve passare attraverso tutte quelle mediazioni, le quali peraltro sono ancora insufficienti e spesso inattendibili, perché resta sempre il sospetto che nascondono interessi e operazioni puramente commerciali. Si sgonfia la bolla speculativa su cui sia costruita la storia dell’arte contemporanea. Non a torto qualcuno ha introdotto un nuovo termine per disegnare questa situazione: l’arte post-contemporanea. Un altro effetto collaterale di questa congiura riguarda non soltanto l’arte contemporanea, ma anche quella del passato. Il boom turistico ha condotto ad una fruizione solamente superficiale e frivola delle opere. Resta inoltre da capire perché esistono nel mondo centinaia di migliaia e forse milioni di artisti, e che cosa gli abbia portati intraprendere un’attività così problematica. Una spiegazione sociologica potrebbe consistere nel fatto che l’arte è l’unico tipo di attività deviante consentita nelle società occidentali.
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