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L’Arte medievale nel contesto. 300-1300. Funzioni, iconografia, tecniche, Sintesi del corso di Storia dell'arte medievale

Riassunto dettagliato con i immagini di "L’Arte medievale nel contesto. 300-1300. Funzioni, iconografia, tecniche" a cura di Piva

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 05/06/2024

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Scarica L’Arte medievale nel contesto. 300-1300. Funzioni, iconografia, tecniche e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'arte medievale solo su Docsity! L’ARTE MEDIEVALE NEL CONTESTO. 300-1300 FUNZIONI, ICONOGRAFIA, TECNICHE Paolo Piva INTRODUZIONE. LA PERCEZIONE DEL MEDIOEVO (Zuliani) Il nostro approccio ai prodo. delle ar0 figura0ve è condizionato a priori da un impasse irrisolto che rispe8o alla parola scri8a introduce un elemento di maggiore ambiguità. Se lo sforzo dell’accostamento ad un lessico desueto (ad esempio la Divina Commedia) ci rende immediatamente consapevoli della distanza che ci separa dal testo, di fronte ad un affresco di Gio8o o ad una scultura <<romanica>> o ad una ca8edrale <<go0ca>> ci sembra di poter me8ere tra parentesi molto più facilmente tu8o il bagaglio di da0 e di informazioni storiche che cos0tuiscono il corredo dell’accostamento all’arte del passato. Ma siamo sicuri che il nostro occhio sia uno strumento così innocente ed obbie.vo e che dietro quell’immagine non si nascondano in realtà una serie di mi0 e di luoghi comuni che non consideriamo? La storia, ed il conce8o stesso di arte medievale, nascono in realtà in tempi rela0vamente recen0. Le basi vengono messe a par0re dai primi decenni dell’OIocento, sopra8u8o in FRANCIA, e quasi contemporaneamente in Germania, Inghilterra, Italia e Spagna. L’Età Media perde la connotazione nega0va, ma la scoperta dell’arte medievale appare segnata da una for0ssima connotazione ideologica in chiave nazionalisPca. La trama di riferimento di questa grandiosa operazione di classificazione è dipesa in larghissima misura dal paradigma s0lis0co-formale: si è ricavato il conceIo di STILE dalla permanenza, dallo sviluppo e dalla diffusione di parPcolari soluzioni lessicali. Ma questa trama di s0li giustappos0 in una sequenza lineare con0ene in sé mi0 e paradossi irrisol0: bas0 citare il mito degli sPli nazionali (il romanico francese e italiano, il go0co tedesco e inglese): s0li che si realizzano appunto nell'ambito di confini geografici e poli0ci che sono quelli delle nazioni o8ocentesche e che sono incompa0bili con la ben diversa geografia poli0ca e culturale dell'Europa medievale. È stata la storiografia italiana a mostrare i paradossi di questo schema: il conce8o di s0le unitario veniva a contrasto inevitabilmente con la varietà di esperienze figura0ve dell'Italia romanica e go0ca. Da qui la serie di dis0nzioni volte a cara8erizzare la situazione italiana (i vari «romanici» regionali). Fra8anto, quest'idea di un linguaggio comune che esiste al di là delle diverse situazioni storico-ambientali, già verso la metà dell'O8ocento aveva trovato due formidabili - ed arbitrari - strumen0 di verifica. Da una parte, la FOTOGRAFIA: la presunta obie.vità dell'immagine meccanicamente riprodo8a con la nuova tecnica ha permesso alla storia dell'arte di fare passi da gigante, ma ha anche s0molato la storiografia ad aggirare le differenze di materiali, di dimensioni, di tecnica esecu0va, e ad eludere le distanze geografiche e cronologiche, facendo scoprire conta. ed influenze formali. Ma la fotografia è anch'essa in realtà un «punto di vista» che opera una selezione arbitraria di segni, me8endo in evidenza quegli aspe. formali che servono a cos0tuire la trama dei confron0 s0lis0ci. Dall'altra parte, il RESTAURO, con par0colare riferimento a quello archite8onico. Da Viollet-le-Duc in poi, l'aspirazione a ricos0tuire il presunto testo originario ha prodo8o l'ul0ma di una lunga serie storica di analisi degli edifici. Anche nelle soluzioni più corre8e, le stru8ure archite8oniche sono state piegate ad offrire una serie di informazioni e di significa0 propri della cultura o8o-novecentesca, e non di quella originaria. Oltretu8o, l'Italia, dall'Unità fino ai primi decenni del Novecento, si spese in una sistema0ca «medievalizzazione» delle ci8à: i principali monumen0 dell'archite8ura civile, ma anche un più minuto tessuto edilizio urbano, sono sta0 restaura0, ma più spesso sostanzialmente rifa., in forme romaniche e go0che, mutuate nelle soluzioni più arbitrarie proprio dai manuali di s0lis0ca archite8onica (vedi il «falso» novecentesco di San Marino). È interessante notare come la forte connotazione ideologica, volta a rafforzare l'idenPtà nazionale in senso unitario, sfumi via via in altre mo0vazioni, fino ad una problema0ca convivenza, durante il periodo fascista, con i segni di «romanità» sovrappos0 all'immagine urbana. Ma torniamo al nostro rapporto con gli ogge. della produzione ar0s0ca. Ho cercato brevemente di illustrare come la valutazione degli elemenP formali, che ci appare quasi come un a8eggiamento naturale guidato dall'obbie.vità dell'occhio, sia di fa8o l'esito di una trama interpretaPva che apparPene alla nostra moderna esperienza culturale e che ha un'origine che non risale oltre la fondazione o8ocentesca della storia dell'arte medievale. Ma siamo sicuri che lo s0le o la forma siano da0 immessi volontariamente dal produ8ore medievale, o non sarà che quelli che noi chiamiamo <<elemenP formali>> in realtà fossero strumen0 per trasme8ere altre, diverse informazioni? Intendiamoci: il conce8o di s0le è uno strumento che ha senso, e va usato per l'arte dal Rinascimento in poi, quando storicamente è documentata una coscienza dell'autonomia dei valori formali che si avvicina alla nostra, ma tu8e le informazioni che possiamo ricavare dalle fon0 vanno contro la possibilità di a8ribuire un analoga coscienza all'ar0sta del Medioevo. Se la storia dell'arte si risolve nella storia di una evoluzione s0lis0ca, dietro ad essa avanza un altro mito, ovvero quello dell'«ar0sta», pi8ore, scultore od archite8o che sia, che si scontra con la scarsità e l'equivocità sostanziale delle tes0monianze e delle fon0 medievali. La mentalità del Medioevo non è in grado di isolare e di valutare quello che per noi oggi, è l'aIo creaPvo dell'arPsta, ed è quasi inu0le ricordare che questo termine è assente dal vocabolario medievale. Se, nelle fon0 le8erarie (vedi sant'Agos0no), la perfezione del lavoro dell'artefice può anche essere una delle metafore dell'opera di Dio (ar(fex mundi), le fonP documentarie di contro ribadiscono l'estraneità della produzione arPsPca dalla sfera superiore delle aVvità intelleIuali, relegando gli ar0s0 ad un ruolo sociale subordinato. Nella sua quasi ossessiva ricerca della mano e della mente che sta dietro alla nascita della forma, la storiografia ha portato alimento al mito roman0co dell'ar0sta medievale, che nel suo modesto anonimato avrebbe trovato la possibilità di esprimersi liberamente, e dall'altra ha mol0plicato le iden0tà fi.zie quando dalle fon0 documentarie emergevano alcuni nomi. Fulvio Zuliani conclude il suo intervento con un ul0mo esempio: in ques0 ul0mi anni, anche a seguito di mostre e di importan0 interven0 di restauro, l'argomento «Gio8o» è stato le8eralmente triturato dai media: il più vasto pubblico ha avuto accesso ad una massa amplissima di informazioni su un ar0sta medievale. Ma tu8o questo non avrebbe efficacia se le immagini affrescate ad Assisi o agli Scrovegni non si imponessero immediatamente alla coscienza dello spe8atore, dandogli l'illusione di poter superare di un balzo la distanza storica e di poter percepire dire8amente le ragioni crea0ve che hanno mosso Gio8o. Allo studioso sembra importante ribadire come in questo modo s0amo a8ribuendo ai segni significa0 diversi dagli originali. Nel WESTWERK (corpo occidentale) della chiesa abbaziale di Corvey [Germania, Westalen 822] sono osservabili cara8eris0che che sarebbero divenute altre8anto fondamentali per lo sviluppo successivo dell'archite8ura medievale: l'impianto di costruzioni a torre e la copertura a volta di frazioni spaziali segnatamente connotate. Corvey fu una delle prime archite8ure della Sassonia a essere edificata in pietra. Il Westwerk di Corvey è descrivibile come una combinazione del gruppo a tre torri e di un impianto centrale quadrato a più piani, assecondato su tre la0 da deambulatori e matronei, e sul quarto lato - rivolto al corpo della chiesa - da uno spazio intermedio di comunicazione. In questo spazio, il coro di San Giovanni è situato al piano superiore, so8o il quale è inserito un atrio anch'esso quadrato. Soltanto questo atrio presenta una copertura a volta. Volte a bo8e che si incrociano (volte a crociera) determinano la formazione di una frazione archite8onica dis0nta, con nove campi quadrangolari e qua8ro colonne libere che, concorrono a sorreggere la volta senza archi trasversali. Tu8o questo me8e in moto lo schema e la disposizione dell'insieme. Dal punto di vista dell'evoluzione della tecnica edificatoria e delle costruzioni da essa rese possibili, è da tener fermo che l'esempio di Corvey dimostra da un lato l'adozione e l'alta padronanza dei modi costruVvi e delle tecniche romano-anPche, ma allo stesso tempo evidenzia l'intenzione di sviluppare forme archite8oniche proprie. Lo stesso può dirsi dell'architeIura oIoniana e di uno dei suoi esempi più importan0, la chiesa abbaziale e chiesa sepolcrale del vescovo Bernward, SAN MICHELE A HILDESHEIM [Germania, Sassonia 1001-1031]. Anche qui sono presen0 unità d'opera muraria la cui disposizione in pianta determina l'intero alzato. Archi, sequenze di archi e rela0vi sostegni sono inclusi nel con0nuum di queste pare0 ad arcate. Non solo, i pilastri intermi8en0 delle arcate della navata centrale si mostrano come elemen0 parziali di queste unità d'opera muraria. Bisogna notare che non è più la totalità indivisa di uno spazio basilicale bensì la formazione di unità parziali dis0nte a determinare l’elevato e l’ar0colazione. A Hildesheim è da richiamare l'a8enzione sui quadraP d'incrocio dei due transe., conforma0 in modo simile, racchiusi da alte arcate e configuran0 delle autonome frazioni spaziali. Par0colarmente interessan0 sono i cosidde. matronei degli angeli. Essi sono costrui0 per qua8ro volte come pare0 ad archi (anch'esse iden0che), che conferiscono un volto molto cara8eris0co ai prospe. interni dei qua8ro bracci del transe8o. L'archite8ura dei matronei degli angeli è stata resa possibile solo in quanto le arcate su tre piani vennero stabilizzate e collegate all'opera muraria della retrostante parete esterna tramite volte stre8e a bo. incrociate. In questo modo essi rappresentano un sistema stru8urale apparentemente concepito come “insieme.” Il duomo di Spira (Pala0nato) appar0ene al gruppo dei primi edifici che hanno introdo8o un nuovo elemento nell'organizzazione delle pare0 ad arcate: slanciaP salienP semicircolari senza interruzioni in altezza, che a8raversano diversi piani dell'elevato parietale. Con questo nuovo elemento viene ora sviluppato un sistema di ar0colazione assolutamente inedito. L'ambiziosa ristru8urazione dell'originario duomo di Spira, consacrato nel 1061 (Spira I), a par0re dagli anni O8anta dell'XI secolo comportò la transizione dalla basilica con copertura piana e navate laterali a volta alla basilica con pilastri e completamente voltata che possiamo vedere ancor oggi, sia pure dopo ripetu0 rifacimen0 e restauri (Spira II). Risalgono a Spira I le navate laterali coperte a volta e i sostegni intermedi della sequenza archi-pilastri della navata centrale. In Spira I la consueta con0nuità a un solo strato di una parete (muri di uguale spessore-archi e sostegni), viene sos0tuita da un sistema complesso che lega reciprocamente differen0 par0 dell'elevato. Si dis0nguono: - In primo luogo, i <<pilastri parietali>> (pilastri con paraste salien0 addossate alla parete) che, in unità con gli al0 archi da essi porta0, formano il con0nuum di un'imponente sequenza di archi su pilastri; - In secondo luogo, le pareP piene di raccordo, più so.li, che occludono le zone interne alle arcate; - In terzo luogo, i già ricorda0 salienP a semicolonna che agge8ano al centro dei pilastri delle arcate, insieme ai quali si elevano per congiungersi, sopra le finestre, mediante archi concentrici che formano una pia8a archeggiatura agge8ante. Ques0 tre diversi elemen0 dell'elevato corrispondono ai tre stra0 della parete ar0colata qui realizzata. Quanto è osservabile per l'elevato delle pare0 della navata centrale, vale anche per le pare0 delle due nava0 laterali. Le pare0 piene di chiusura sono state aggiunte in un secondo momento, così come le slanciate semicolonne poste sul fronte anteriore e posteriore dei pilastri. Esse conseguono una vita archite8onica propria come elemen0 di ar0colazione. Nelle navate laterali, le semicolonne non sono inserite per ar0colare e rinforzare i pilastri e le paraste, bensì in funzione dell'elevazione di un'archite8ura a volta concepita in modo nuovo. Unità di membratura organizzate in modo analogo perme8ono di riconoscere ciò che è coordinato secondo le intenzioni del proge8o: due campate voltate a crociera nella navata laterale sono un’unità-arcata nella navata centrale. Sul lato opposto della navata doveva essere raddoppiato, rispecchiato e dunque completato quel <<sistema-campata>> che è da individuare come la cos0tu0va <<unità di elevazione>> di questa ca8edrale. Come i matronei degli angeli di Hildesheim, che si elevano a più piani e a mala pena potrebbero reggersi senza il muro perimetrale esterno e le volte di consolidamento, anche le pare0 della navata di Spira I pertengono al contesto di un'archite8ura che avrebbe dovuto essere non del tu8o voltata. Si può dire lo stesso per la navata della chiesa abbaziale di Mont-Saint-Michel [Francia, Normandia metà dell'XI secolo). Una visibile copertura piana avrebbe dovuto originariamente collegare (al posto dell'a8uale volta a bo8e lignea) le due pare0 principali, chiudendo lo spazio della navata centrale. Anche qui le volte a crociera delle navate laterali conferiscono stabilità alle alte pare0 della navata, che vanno interpretate come sistemi indipenden0. Le semicolonne salien0 lanciate in altezza appaiono ar0colare l'elevato parietale a più piani. Qui esse si innalzano dalla base dei pilastri sino al coronamento del muro. Nel ripetersi iden0co e nell'ordine seriale, si osserva chiaramente la cos0tu0va unità di proge8o e di elevato di una singola campata (parietale). A questa unità corrispondono una campata laterale con la sua volta e il matroneo con la sua copertura. In relazione con la campata simmetrica sul lato opposto della navata centrale, tale unità rappresenta il fronte di una campata spaziale, una travée. A Mont-Saint-Michel questa plasmazione per campate parietali appare ancora più chiara per il fa8o che l'organizzazione e le forme del lato meridionale della navata centrale (più an0co) non sono ripetute sul lato se8entrionale (più recente). A Mont-Saint-Michel è chiaro che le slanciate semicolonne anteposte sono introdo8e come arPcolazione visiva e non come elemen0 portan0. L’esempio della parete meridionale di Mont-Saint-Michel ha mostrato tu8e le possibilità degli elemen0 cos0tu0vi di una parete della navata maggiore: la colonna libera disposta nel con0nuum delle unità murarie e dunque portante; la colonna posta davanP, legata al corpo murario e sorreggente gli archi ciechi del matroneo; la colonna inserita (costru.vamente superflua). Quest’ul0ma riuscì a liberarsi o.camente dal vincolo di coesione e a conseguire una dipendenza virtuale. Infine, va posta a8enzione a quelle colonne che sono addossate ai fianchi del nucleo dei pilastri e inserite nelle aperture delle arcate insieme con un so8arco. Esse formano dei telai arco- sostegni che vanno le. come unità dis0nte. Prima del X secolo raramente si era osato coprire a volta gli spazi più ampi di un edificio di culto. Ciononostante, le forme e le tecniche dell'archite8ura an0ca erano ancora abbastanza conosciute da poter essere messe in opera per spazi rido.. Sopra8u8o nelle cripte e nei piani inferiori delle torri si trovano di frequente volte a bo8e semicilindriche e bo. incrociate. Fra le prime archite8ure cultuali interamente a volta si annoverano gli edifici con volta a bo8e della Spagna seIentrionale e nord-orientale (Aragona, Catalogna), della Francia meridionale (inclusa la Borgogna) e dell'Italia se8entrionale (Lombardia). Tu8avia, pare che a Cluny (Borgogna) debba essere ascri8a una posizione centrale per la casis0ca delle prime archite8ure a volta e per la loro ar0colazione. Infa., opere contemporanee possono spiegarsi solo come riflessi storico-evolu0vi della seconda chiesa di Cluny, consacrata forse nel 981. Tra queste vi è l'antéglise di Tournus, definita anche galilea, fu ere8a tra il primo e il secondo quarto dell'XI secolo. Essa riunisce tuIe le caraIerisPche della prima architeIura a volta. Per la sua funzione e la sua disposizione è da inscrivere nell'eredità 0pologica del Westwerk carolingio: la costruzione a due piani è introdo8a da una facciata a doppia torre ed esibisce, sia so8o che sopra, un impianto a tre navate, ognuna di tre campate. Di par0colare interesse è la chiesa superiore, consacrata a San Michele. Il 0po tradizionale della basilica è stato rielaborato in una stru8ura voltata in ogni sua parte. Volte a bo8e, a bo. incrociate e a mezza bo8e definiscono l'elevazione costru.va e l'effe8o archite8onico. Nell'aula d'ingresso so8o la chiesa alta di San Michele si vede chiaramente le volte a bo8e incrociate, sostenute da poderosi pilastri cilindrici, che perfezionato quel sistema costoloni-servente del primo go0co, che si sviluppò nelle sue linee fondamentali dal 1100 circa in Normandia. Un'osservazione più dire8a delle stru8ure delle pare0 e delle volte di Laon perme8e di individuare le proprietà della costruzione e della tecnica edificatoria goPca. Va notato, ad esempio, che il peso complessivo delle pareP della navata centrale scarica su una fila di pilastri cilindrici simili a colonne. Di conseguenza, anche l'opera muraria della navata maggiore risulta coordinata con la successione dei pilastri. La sporgenza dei capitelli dei pilastri e delle lastre che li coprono è così rilevante che il corpo dell'opera muraria rela0vamente so.le trova luogo su queste teste dei pilastri. Solo sopra ai pilastri cilindrici, il con0nuum delle pare0 della navata centrale definisce l'elevato archite8onico e costru.vo. Ar0colazione espressiva e organizzazione archite8onica si concentrano sul sistema dei servenP e degli archi relaPvi. Sulla parete sono pos0 ad intervalli regolari cinque o tre serven0: i primi (posizione dei cinque servenP) reggono un arco trasversale di divisione delle campate, due costoloni diagonali e i profili ad elemento arrotondato di due archi laterali; gli altri (posizione dei tre servenP) sostengono un arco traversante la volta e ancora due profili d'arco laterale. Dietro al fronte delle pare0 si dispiega un apparato più costru.vo, a cui appartengono le volte delle navatelle e dei matronei. Ogni stru8ura go0ca può essere descri8a come un'addizione di simili costruzioni di collegamento e delle campate cos0tuite. Una campata è sufficiente ad evincere una prima rappresentazione dell'insieme. Riguardo alla infilata seriale di campate iden0che per concezione, è chiaro che nella ca8edrale di Laon l'asse8o di un'elevazione ritmica di campate con volte costolonate esapar0te è importante soltanto per l'ar0colazione visiva, ma non per la compagine costru.va. Così la concatenazione costoloni-servente si dimostra a Laon come un sistema di ar0colazione, che vuole rendere evidenP relazioni e unità architeIoniche. È da so8olineare la concentrazione dei carichi e delle forze orizzontali su singole posizioni di sostegno e piani di collegamento: Laon mostra che la nota unità di ar0colazione dei telai-arco-colonne non ha perso affa8o significato. La compagine va ancora scomposta, da un lato, in una stru8ura (portante) muraria e voltata, dall'altro in un sistema di ar0colazione aggiunto (che essenzialmente si sos0ene). Sezione e de8agli della doppia cappella nel braccio nord del transeIo di Laon forniscono importan0 indicazioni per gli sviluppi successivi. Qui si osserva lo sforzo di trasformare l'apparato dei serven0 antepos0 alla parete in un sistema parziale autonomo portante, che riunisce in sé costruzione e ar0colazione. Colonne e serven0 sono pos0 in modo libero, svincolate dal legame con l'opera muraria e inserite in modo da divenire una componente del tu8o necessaria dell'archite8ura generale. Questo isolamento di una so.le <<impalcatura archite8onica>>, formata solo di serven0, costoloni e unghie di volta, all'interno di un massivo corpo d'involucro, va di pari passo con l'inserimento di spazi di distanza e l'elevazione di stru8ure di parete a più stra0. La nuova caIedrale arcivescovile di Reims, costruita in modo unitario a par0re dal 1211, appar0ene, insieme alle ca8edrali di Chartres e di Amiens, a quel gruppo di archite8ure che rappresentano il culmine del GoPco classico in Francia. Le cara8eris0che più importan0, che compaiono per la prima volta a Chartres (1194), sono comuni agli edifici di questo gruppo: • Elevazione parietale a tre zone (arcate-triforio-cleristorio); • Il pilastro articolato (a fascio, cantonné); • Il tipo di finestra del cleristorio (due lancette e un rosone circolare); • Standardizzazione-sistematizzazione delle figure parziali e gli elementi di articolazione. Con l’invenzione per le finestre delle cappelle del deambulatorio e delle navate laterali del santuario dell'ar0s0co traforo (tracery), formato da esili aste e profili tondi, è introdo8a a Reims un'innovazione che dis0ngue chiaramente questo edificio dagli altri e lo pone come aprifila degli sviluppi cardini dell'archite8ura go0ca del tardo medioevo. Su pergamene riu0lizzate (i palinsesP di Reims) sono sta0 scoper0 disegni, probabilmente realizza0 nella proge8azione di questo edificio, che sarebbero il primo esempio conservato di quelle sezioni o proiezioni che da allora accompagnano il proge8o, la rappresentazione e la realizzazione di un'opera edificatoria: il libro di modelli di Villard de Honnecourt (1230 ca) li presuppone come naturale mezzo di lavoro, rido. in proporzione e costrui0 con riga e compasso. L’autore ci richiama anche sulle cara8eris0che importan0 dell'archite8ura di Reims: oltre che alla conformazione dei doppi pilastri e degli archi rampanP intorno alla testata orientale (chevet), egli si interessa all'elevato parietale delle cappelle del deambulatorio e alle navate laterali, organizzate in modo analogo. Uno degli esempi più importan0 di una stru8ura parietale così nuova è il corpo orientale (santuario) della caIedrale di Auxerre [Borgogna], ere8a a par0re dal 1215. Questo edificio evidenzia le possibilità di una coerente organizzazione a più stra0 delle pare0 go0che: questo scopo viene raggiunto tramite lo sganciamento della stru8ura interna dalle pare0 a finestre del corpo d'involucro. Esili aste tonde e profili d'arco formano due archi perimetrali per ogni campata: il primo deve delimitare l’impalcatura lapidea dell'archite8ura interna e chiuderla verso l'esterno, il secondo, disposto parallelamente a una distanza definita, fissa e asseconda la traccia interna della parete d'ambito. Un maximum di archite8ura così differenziata, che coscientemente contrappone stru8ure parziali e forme autonome, è rappresentato dalla regia cappella del castello di Saint-Germain-en-Laye (a ovest di Parigi]. Essa è stata ere8a intorno al 1238 ed è a8ribuita al famoso Maestro di Saint-Denis. L'aula rela0vamente piccola u0lizza s0moli ed esperienze che si potevano trarre nella ca8edrale di Auxerre: anche qui sono sta0 dis0n0 lo scheletro lapideo dell'archite8ura interna (con aste so.li e profili d'arco) e la sua copertura a volte, dall'involucro dell'opera muraria dello zoccolo, dei pilastri- contrafforte e delle pare0 a finestre. La contrapposizione di archite8ure parziali che rivendicano autonomia è portata in evidenza, laddove finestre a traforo alte e delimitate ad angoli re. sono tese tra i fianchi dei pilastri-contrafforte. Con Saint-Germain-en-Laye e gli edifici confrontabili si era raggiunto alla metà del XIII secolo un culmine, che lascia intendere come lo sviluppo successivo fosse rappresentato innanzitu8o da modifiche, variazioni, e dal concentrarsi su singoli aspe. di quanto era stato costruito. Dal punto di vista tecnico e costru.vo sono state significa0ve le nuove stru8ure della costruzione voltata. Fino a questo momento l'evoluzione era stata determinata dall'introduzione intorno al 1100 delle volte a crociera costolonata. In Francia queste avevano condo8o alla creazione dell'unità progeIuale di una travée (campata della navata centrale, corrisponden0 campate delle navate laterali e matronei e contraffortatura). Quest'unità di sistema avrebbe subito nel tempo importan0 riformulazioni. In Inghilterra queste riguardano la stru8ura delle pare0 e sopra8u8o l'elevazione delle volte. Invece dell'armatura costru.va degli archi dei costoloni (che si stabilizzano incrociandosi), l'Inghilterra sembra aver seguito la concezione di una volta a boIe passante, in sezione a sesto acuto, divisa in campate tramite alte penetrazioni ricavate lateralmente. La forma dis0n0va di questa concezione è il dominante costolone di verPce. Il guscio e il corpo della volta hanno cos0tuito il modello per un gran numero di stru8ure voltate del Medioevo go0co inglese. ICONOGRAFIA E ICONOLOGIA DELL’ARCHITETTURA MEDIEVALE - WOLFGANG SCHENKLUHN 2.1 ArchiteIura come veicolo semanPco I conce. di iconografia e iconologia sono sta0 introdo. nella storia dell'arte in rapporto alla ricerca del significato delle opere. L'iconografia si affermò già nel XIX secolo: la ricerca iconografica consen} di recuperare temi e moPvi dell'arte figuraPva prima della Rivoluzione francese. Accanto ad essa, l'iconologia si sviluppò come scienza di interpretazione dei contenu0, che riscopriva il contesto contemporaneo, le radici culturali e religiose delle opere d'arte. Essa prese piede nel XX secolo a8raverso i lavori di WARBURG e del suo circolo e divenne popolare sopra8u8o grazie agli scri. di PANOFSKI, che sviluppò ulteriormente il suo aspe8o metodologico. Nella storia dell'archite8ura, l'ambito di indagine dell'iconografia e dell'iconologia venne assunto rela0vamente tardi: una sintesi scien0fica del «simbolismo dell'edificio cultuale» creata su fon0 medievali fu pubblicata solo nel 1902. Il suo sviluppo avvenne negli anni del secondo dopoguerra e fu il risultato di una ricerca avviata negli anni Trenta. Fra gli studiosi più importan0 va annoverato GÜNTER BANDMANN, il cui libro “L’architeIura medievale come veIori di significato” (1951) divenne tra le più importan0 pubblicazioni sull'iconografia e l'iconologia applicata all'archite8ura medievale. A Bandmann dobbiamo studi sul significato e sugli effe. dei 0pi archite8onici, sui criteri di selezione dei 0pi stessi, sul ruolo dei commi8en0 e sulla storicità dell'archite8ura. Sempre B. si chiede: si può in assoluto parlare di iconografia in architeIura? In senso stre8o, secondo Bandmann, c'è solo una iconologia dell'archite8ura. Di conseguenza egli considerava necessario inves0gare, in base a un apparato stabilito di forme e modelli, i significa0 delle forme archite8oniche evolu0 storicamente. Già prima della Rivoluzione francese il canone ar0s0co classico aveva cominciato a vacillare e il giudizio del Rinascimento sull'archite8ura medievale come sPle barbaro, non poteva già più essere condiviso. Con il Roman0cismo si giunse a un'ampia «ria.vazione» dello s0le medievale: il valore dell'architeIura medievale per la sensibilità religiosa suscitò diba.0 non solo sullo s0le adeguato, ma anche su una forma architeIonica unitaria per le diverse confessioni. Con la riscoperta dell'archite8ura medievale, le sue forme e i suoi modelli furono nuovamente caricaP di significaP simbolici, storici e funzionali. Si cominciò a costruire in s0le medievale e si completarono chiese medievali «secondo il loro s0le», concorrendo con il passato e a8ribuendo alle opere archite8oniche medievali significa0 non propri. dia l'illusione dell'auten0cità è un segno dei tempi moderni, estraneo al Medioevo. Un duplicato avrebbe solo svalutato un modello, senza superarlo con uno «schema» migliore. Forma e significato non sono così separabili l'una dall'altro, come ha fa8o la ricerca più an0ca: non sono all'opera forze misteriose che creino invisibili collegamen0. Piu8osto, i riferimenP, dove ci sono veramente, superano le semplici «reminiscenze». 2.7 Conversione semanPca Si possono individuare certe tendenze che mostrano una prima ricezione nelle zone occidentali dell'impero, una seconda in quelle centrali e una terza in quelle orientali. Anche gli edifici che seguono Aquisgrana nella zona centrale dell'impero restano numericamente insignifican0. Solo dal XI secolo si può citare una serie notevole di chiese derivate. Dalla fine del XI secolo ci sono per lo più cappelle doppie vescovili che sono a torto annoverate nell'ambito di Aquisgrana. Queste osservazioni fanno concludere che non esistono moPvi fondamentali di ricezione della Cappella Pala0na che valgano sempre e ovunque, bensì solo in determina0 periodi e in cer0 ambi0. Originariamente, la Cappella Pala0na era la casa di Dio e del «sovrano dell'impero romano d'Occidente» e doveva servire alle celebrazioni fes0ve. Con la divisione dell'impero (843), Aquisgrana si trovò nel punto di conta8o tra impero orientale e occidentale, prima di divenire la sede delle incoronazioni e il centro ideale del nuovo impero germanico. Solo con la caduta dell’impero carolingio e la formazione di nuove sovranità si giunse a ricezioni riconoscibili, anche se con la Cappella PalaPna di Compiègne (Parigi) è andata perduta la replica forse più significa0va. Carlo il Calvo, re del regno franco occidentale, aveva inu0lmente tentato di rianne8ere Aquisgrana al regno occidentale. Quando diventò imperatore nell'875 egli eresse a Compiègne una fondazione mariana dotata di reliquie sul modello di Aquisgrana. Con la costruzione di questa cappella egli desiderava imitare Aquisgrana come cuore irraggiungibile dell'impero. La Cappella Pala0na ha sperimentato un radicale spostamento semanPco nel 936, quando O8one I vi si fece incoronare re di Germania. Nelle successive ricezioni, concentrate intorno alla metà dell'XI secolo, le citazioni riconoscibili rendono evidente l'intenzione «dimostra0va» di ostentare un caraIere imperiale e di collegarsi all'impero. Con la lo8a per le inves0ture sembra essere giunta anche la fine dell'influenza di Aquisgrana. Per la cappella signorile con pianta centrale e poligonale si affermò la costruzione quadrata con qua8ro pilastri visivamente connessi: è il caso della cappella della Vergine a Goslar, voluta da Corrado II (1024-1038). Come la 0pologia, anche i valori formali della Cappella Pala0na di Aquisgrana si dissolsero nel contesto generale dell'archite8ura romanica, e nel XII secolo sembra non esserci più stata alcuna ricezione di Aquisgrana degna di nota. 2.8 Ricezione durante la transizione di sPle: il coro del duomo di Magdeburg Secondo questo principio, l'importanza di Aquisgrana per «l’a8ualità» del XIII secolo sarebbe esaurita e la costruzione resterebbe solo di interesse an0quario. Al contrario, restauri e rinnovamen0 «parlano» il linguaggio della Cappella Pala0na. Guardando alle costruzioni tedesche, non sono trascurabili i riferimen0 ad Aquisgrana. Questo riguarda la forma concreta di alcuni «cori», che per convenzione ricadono nella categoria dello «sPle di transizione». Fra ques0 il più interessante appare il coro del duomo di Magdeburg, il primo in territorio tedesco con deambulatorio go0co e corona completa di cappelle radiali, dove la ripresa 0pologica viene fa8a risalire al commi8ente della chiesa, l’arcivescovo Albrecht Il (1205-1232). Già in pianta si evidenzia un poligono di «coro» 5/10, separato dal santuario e innestato su esso, con un deambulatorio molto ampio, cappelle radiali chiuse su tre la0 e pilastri interni compaV. Nell'alzato si evidenziano pilastri parietali schiaccia0 che sostengono le arcate di livello superiore. So8archi possen0 imposta0 su for0 colonne con capitelli lavora0 restringono l'ampiezza luminosa degli archi fra i pilastri. Se la si paragona idealmente a qualsiasi chiesa proto-go0ca francese, mancano i 0pici sostegni cilindrici nell'abside interna, il sistema dei serven0 imposta0 sulle lastre dei pilastri, e un triforio. Anche al matroneo manca la forma d'apertura cara8eris0ca della Francia. Per questo in passato si considerava una ricaduta nel romanico o perfino come espressione dell'incapacità di accogliere il go0co. Colpisce a Magdeburg lo «sganciamento» del poligono terminale dal santuario. Da qui sarebbe derivata una conformazione archite8onica centralizzata, che oggi è mascherata dal piano del cleristorio go0co. Tu8avia, non è da trascurare il contrasto tra il piano delle arcate e quello del matroneo. Semi pilastri a parete, un deambulatorio con volte a crociera e un luminoso piano di matroneo elegantemente decorato, sono 0pologie di stru8ura conosciute fin dalla Cappella Pala0na di Aquisgrana e variate a Magdeburg secondo lo s0le dell'epoca. Le colonne in porfido inserite nella parete sono una variazione delle colonne del matroneo di Aquisgrana e dimostrano la dignità imperiale della chiesa di Magdeburg. Il «coro» del santuario ospita la tomba dell'imperatore OIone I, fondatore della diocesi di Magdeburg. Così su uno schema planimetrico che può essere qualificato come «francese» solo in un senso molto limitato, sorge un «coro» del tu8o anomalo, che in pun0 della sua stru8ura presenta riferimen0 alla Cappella di Aquisgrana e al coro del Münster di Basilea. 2.9 Sintesi e combinazioni Nell'archite8ura medievale, l'appropriazione imitaPva consiste nel superamento delle situazioni formali più an0che in nuovi contes0 edilizi. Ciò può avvenire nel senso di una imitazione («copia») in cui l'an0co domina e sorpassa il nuovo. L'an0co può però anche essere a8ualizzato nel nuovo a8raverso citazioni. Nel Medioevo non ci fu una roIura con il passato paragonabile a quella conosciuta nell'epoca successiva alla Rivoluzione francese. Il «passato» era parte essenziale. Vi rientravano anche le concezioni dell'an0chità, da rispe8are quando derivavano dalle origini del cris0anesimo. Ciò diventa par0colarmente evidente nei grandi santuari, come per esempio quelli di S. Denis a Parigi o S. Benede8o a Montecassino. I costru8ori di queste chiese ricorrevano al modello dell'anPco San Pietro in Roma, ovvero innanzitu8o al transeIo conPnuo mono-absidato in cui il principe degli apostoli era sepolto fin dal tempo di Costan0no. La ripresa del conce8o di transe8o della chiesa di San Pietro risponde a diverse necessità di legi.mazione: da una parte ci si ricollega agli inizi della storia della Chiesa, dall'altra si evidenzia il rango apostolico del santo. Così aIraverso l'edilizia culturale viene rafforzata la tradizione e la conPnuità con essa. Anche l'allusione alla Cappella Pala0na di Aquisgrana nella ricostruzione del coro del duomo di Magdeburg conferisce la dignità archite8onica in riferimento alla tomba lì collocata dell'imperatore O8one I e ne de8a il rango rispe8o a Carlo Magno. La scelta delle forme si compiva nell'ambito di ciò che è adeguato e perciò sempre sul tradizionale. Così la forma legiVmata offriva nel Medioevo il fondamento decisivo per ogni rinnovamento. Le innovazioni non marcano solo la distanza dal passato, ma offrirono il contesto per comprendere come doveva essere inteso l'an0co. Una sintesi di 0po classico è offerta dalla caIedrale di Reims, in cui fu inaugurata una delle più importan0 innovazioni del periodo go0co: la FINESTRA TRAFORATA. Essa è posta in relazione con il tradizionale conce8o di «coro» a deambulatorio, la cui forma fondamentale è improntata ad un edificio precedente, la chiesa abbaziale di Saint-Remi a Reims, e alla chiesa arcivescovile di Sens. Qui la finestra traforata sembra essere sorta come impiego coerente della logica del sistema servente/volta nell'ambito delle finestre. Il cara8ere di sintesi dell'archite8ura medievale emerge chiaramente anche dal fa8o che il nuovo spesso sorge dalla combinazione del tradizionale. Un bell'esempio di ciò si trova ancora nel taccuino di can0ere di Villard de Honnecourt, dove viene disegnata la pianta di una chiesa come «ideazione» di Villard e di un certo Pietro di Corbie. Si tra8a di un proge8o insolito, che mostra un «coro» con doppio deambulatorio e cappelle radiali alternate, curvilinee e quadrangolari. L'abside interna si chiude nella forma rara 7/14, nota presso l'ordine cistercense. Tu8avia, da un'osservazione più a8enta risulta che la figura è nata dalla combinazione di schemi conosciuP, come il «coro» della chiesa cistercense di Vaucelles, raffigurata nello stesso libro, e certe par0colarità della pianta del «coro» della ca8edrale di Chartres. Il prodo8o del «ritrovamento» poggia su modelli conosciuP, che sono fantasiosamente combinaP e trasformaP. Poiché il proge8o non fu realizzato, non si conosce nulla sull'incarico (studio per una ca8edrale con tra. di archite8ura cistercense). LA FACCIATA SCOLPITA - FRANCESCO GANDOLFO Nell'arco del Medioevo, l'interesse per la facciata, come possibile spazio decora0vo, è fenomeno tu8o sommato tardo. Per contrasto fu molto ricco l'interno, dove mosaici e tarsie marmoree del periodo paleocris0ano lasciarono il posto a tecniche meno dispendiose, come lo stucco e l'affresco, ma comunque capaci di infondere una raffinata qualità decora0va che guardava ai modelli an0chi. Faceva eccezione Roma, dove la facciata della basilica di San Pietro fu decorata presto con mosaici. Per quanto scarne, le tes0monianze sono capaci di farci capire che si tra8ava del contemporaneo trasporto, in una parte diversa dell'edificio, della decorazione, di tenore apocali.co (Agnus Dei, i simboli degli evangelisP e i venPquaIro anziani che offrono corone) sperimentata per l'arco trionfale della basilica di San Paolo fuori le mura (metà V secolo). necessario inserire un elemento estraneo a fare da raccordo ed esso fu trovato nel pro0ro a due piani. Fu a par0re dal 1122, nell'ambito della bo8ega di formazione wiligelmica, a.va in quel momento al can0ere della caIedrale di Piacenza, che si trovò il modo di dare una valenza simbolica anche alla presenza del pro0ro. Per quanto l'insieme sia stato abbondantemente ricomposto con elemen0 falsi, nell'arcata del pro0ro centrale è conservata una sequenza decora0va an0ca creata dalla successione, in sei formelle per parte, dei segni dello zodiaco, intervalla0 dalle personificazioni di due ven0, Eurus a sinistra e Auster a destra. Al centro, le rappresentazioni della Luna a sinistra e del Sole a destra sono divise, al culmine della curva, dalla mano di Dio benedicente. Nell'ambito della boIega di Niccolò, che in quegli anni fu presente in prima persona sul can0ere piacen0no, tu8e quelle esperienze pregresse finirono con l'essere ulteriormente elaborate in vista della realizzazione di un programma globale per l'intera facciata. Il primo passaggio fu intorno al 1135, nella caIedrale di Ferrara, dove lo scultore Nicholaus introdusse un elemento estraneo all'ambiente padano: la luneIa figurata del portale, dedicata al santo 0tolare, san Giorgio. Approfi8ò poi delle strombature del portale per disporvi le figure dei quaIro profeP presen0 anche a Cremona, di cui copiò anche il car0glio. Aggiunse, inoltre, la scena dell’Annunciazione. La loro presenza era funzionale a raccordare il preannuncio della venuta di Cristo (car0gli dei profe0), con l'architrave del portale, in cui, dispose le storie dell’Infanzia di Cristo, come a Piacenza. Anche per la decorazione della fronte dell'arcata, la scelta cadde su una iconografia già collaudata. Nel pro0ro di sinistra di Piacenza, sicuramente poco dopo la fondazione del 1122, era stata realizzata per un pennacchio la figura di san Giovanni Evangelista al quale, molto più tardi, si accompagnò sulla destra un san Giovanni BaVsta, mentre al culmine, per separarli, si provvide a inserire un Agnus Dei. Nel fare questo si riprese una soluzione che era stata già sperimentata in un affresco a Roma: ciò ci fa pensare che l’idea fosse già ampiamente in circolo, probabilmente negli archi trionfali delle basiliche maggiori, come la basilica lateranense, a cui Piacenza ispirava, essendo so8o il controllo del patriarca ravennate e non so8o quello della Santa Sede. Ciononostante, questa composizione divenne canonica, essendo ripresa nei maggiori can0eri porta0 avan0 dalla bo8ega di Niccolò. Da questo punto di vista il caso più vistoso è quello della facciata di San Zeno a Verona dove mol0 degli elemen0 comparsi in precedenza in ordine sparso vengono ridisegna0 in una composizione più complessa. L'elemento più appariscente è la disposizione a di2co delle storie bibliche, dalla Creazione al Lavoro dei Progenitori, sulla destra del portale e di quelle evangeliche, dall'Annunciazione alla Crocifissione, sulla sinistra. Il tema delle storie del Vecchio e del Nuovo Testamento, reciprocamente contrapposte, rimanda ancora una volta al tradizionale programma decora0vo delle basiliche paleocris0ane romane, prima fra tu8e quella di San Pietro: già in passato esso era stato ampiamente ripreso e ada8ato, in campo pi8orico, in disparate occasioni. Possiamo allora considerare l’apparato scultoreo della facciata come una trasposizione in scultura della decorazione interna, dove la luneIa riprendeva il ruolo del ca0no absidale. Ma, a differenza di quest’ul0mo, essa arriverà a maturare un significato legato più alla realtà locale. Essa, infa., in questo caso, è dominata al centro dalla figura monumentale del santo 0tolare, Zeno, le cui gesta miracolose sono narrate all'interno delle arcatelle che corrono lungo l'architrave. Riprendendo un mo0vo già colto a Modena, anche in questo caso ai la0 del santo sono rappresenta0, sulla sinistra, i cives, in numero doppio rispe8o ai milites, arma0 di tu8o punto e monta0 a cavallo, mentre entrambi i gruppi sono inten0 a marciare nell’annuale parata. Quasi contemporaneamente, la stru8ura generale impostata a San Zeno venne ripresa e ulteriormente elaborata, sempre dalla bo8ega di Niccolò, nella facciata della caIedrale della stessa Verona. Un primo dato significa0vo è il raddoppiarsi da qua8ro a dieci del numero dei profeP disloca0 all’interno delle membrature del portale. In ossequio alla tradizione si tra8a sempre di profe0 parlan0 a8raverso i car0gli re. con la mano sinistra. I contenu0 dei car0gli dei profe0 sono indirizza0 a confermare il mistero della nascita di Cristo. Come tributo alla cultura dell’ambiente comunale, lo scultore inserì i paladini Orlando e Ulivieri, con una rilevanza comunque secondaria rispe8o al programma principale. Molto più significa0vo sembra il fa8o che Niccolò posizioni una mano divina benedicente al culmine interno della bo8e del pro0ro e i simboli dei quaIro evangelisP alla base, in corrispondenza dei due architravi che la reggono, recuperando quel valore di confine tra mondo terreno e mondo celeste come a Piacenza. In ambito padano, nel corso della prima metà dell’XI secolo, venne elaborato un sistema decora0vo della facciata di grande semplicità, capace di fare agire la scultura con le forme dell'archite8ura. La sua efficacia fece sì che esso restasse un frequente punto di riferimento, come mostra bene la facciata della caIedrale di Cremona in cui, a una fase duecentesca, che colloca il ciclo dei mesi a conclusione del primo piano del pro0ro, corrisponde, ai primi del Trecento, il completamento del secondo piano «paradisiaco» con le statue, realizzate da Marco Romano, della Vergine con il Bambino e dei san0 locali, Imerio e Omobono. Ma le sugges0oni del modello padano arrivarono lontano. Già da tempo è stata formulata l'ipotesi che sia nata proprio sulla base di una sugges0one wiligelmica la sequenza dei pannelli scolpi0 che si dispone sulla facciata della caIedrale inglese di Lincoln. In realtà, è forse più ragionevole pensare a soluzioni simili e indipenden0, visto che l'unico fa8ore di rapporto è rappresentato dall'idea di u0lizzare la soluzione del rotulo per la successione dei rilievi, mentre s0lis0camente e iconograficamente i conta. sono del tu8o inesisten0. È invece a un pro0ro padano che si può paragonare il 0mpano che abbraccia il portale della abbazia molisana di Santa Maria della Strada presso Matrice, così come le sue due lune8e laterali, chiuse all'interno di arcate cieche, sembrano mimare dei portali. La facciata di Santa Maria della Strada sviluppa un impianto moralis0co e didascalico in cui alla rappresentazione della Morte di Assalonne, sulla sinistra, si contrappone, a destra, una scena di caccia, mentre al centro si impianta con efficacia il tema apocali.co della viIoria di Cristo che precede la Resurrezione Dei MorP e il Primo Giudizio. I campi des0na0 alla stesura del decoro plas0co vennero individua0 sulla base di una logica che lascia riconoscere la presenza di modelli padani. Ancora più radicato nel mondo padano è il caso della abbazia di San Giovanni in Venere a Fossacesia, dove fu proprio ad uno scultore educatosi nell'ambiente veronese di Niccolò che, dopo il 1165, venne assegnato il compito di disporre sulla facciata, ai la0 del portale, come nel San Zeno, due grandi valve scolpite con le storie del santo 0tolare, il Ba.sta, segno che il sistema poteva essere ada8ato sulla base delle con0ngenze. In Umbria, agli inizi del Duecento, si era diffuso un 0po di facciata in cui la sobria presenza degli elemen0 plas0ci sembrava cercare inten0 simbolici analoghi a quelli sperimenta0 nell'ambiente di Niccolò. Gli elemen0 essenziali del sistema erano cos0tui0 dai simboli degli evangelisP, colloca0 ai qua8ro angoli dell'ideale quadrato in cui si inscriveva un rosone disposto al centro della facciata e re8o da telamoni. Se si rifle8e sul valore dato al telamone in ambito nicolesco, si può cogliere nel rosone un fa8ore simbolico complesso: l'immagine a cui si pensa subito è quella di Atlante che regge la volta celeste. Ma a mi0gare l'interpretazione interviene la considerazione che, tranne a Spoleto, dove il telamone è uno solo e per di più voltato di schiena (ma si può dubitare che si tra. di quello originale), nella maggior parte dei casi essi sono più di uno e, quindi, hanno una valenza generica che ne conferma il ruolo di simboli della terra. L'ipotesi di una stra0ficazione in ver0cale non è l'unica possibilità per l’impostazione del programma decora0vo di una facciata. Esiste la tendenza a una costruzione in orizzontale che può essere vista come un percorso teso a recuperare al massimo la portata narraPva, a scapito di quella simbolica. Per quanto manomesso il caso più significa0vo è quello della ca8edrale di San0ago di Compostela dove, negli stessi anni in cui si dava il via con Wiligelmo al percorso crea0vo della facciata padana, scultori altre8anto significa0vi trovarono soluzioni diverse. Dal punto di vista della stru8ura monumentale, il loro punto di partenza fu la Porte des Comtes del Saint-Sernin di la0 del portale la ripe0zione delle figure degli apostoli so8olinea la funzione terrena della Chiesa, come guida spirituale. Essi sono dispos0 al di sopra di architravi con scene di caccia e di ba8aglia. Intenzioni analoghe cara8erizzano la facciata di Notre-Dame-la-Grande a PoiPers che da quella della ca8edrale di Angoulême ricava il mo0vo delle figure disposte all'interno di arcate fortemente emergen0 rispe8o al fondo. In questo caso le arcate si succedono fi8e, in due file sovrapposte, ai la0 della grande finestra che si apre al centro, con oIo figure di apostoli seduP nella zona so8ostante e altri quaIro alzaP in quella soprastante, a comporre l'intero collegio, con i san0 Pietro e Paolo nelle posizioni centrali. Ai la0 della zona superiore, due figure di sanP, (un vescovo e un papa), so8olineano il rapporto gerarchico con la Chiesa di Roma. Anche a Poi0ers la decorazione si conclude con l'immagine monumentale del Cristo in mandorla e circondato dai simboli degli evangelis0. Notre-Dame-la-Grande a Poi0ers suggerisce anche altre considerazioni legate in parte alla valutazione del ruolo di modello che dove8ero svolgere le facciate della ca8edrale di San0ago di Compostela. Dal disposi0vo ornamentale di quelle dei due bracci del transe8o discende il criterio del decoro figurato posto, in sequenza con0nua, al di sopra delle arcate del portale e delle due finte bifore che vi si collocano ai la0. In questo caso si parte da una dimensione negaPva, rappresentata, sulla sinistra, dalla scena del Peccato Originale, per passare a quella promessa di redenzione, so8esa al Vecchio Testamento, che è la stessa che fa parte anche del bagaglio ideologico padano. Non per niente, la scena successiva ai profe0 è quella dell'Annunciazione, seguita dalle figure di Jesse e David. I cortei apostolici della ca8edrale di Angoulême e di Notre-Dame-la-Grande a Poi0ers hanno un precedente in quello della Porta degli Orefici. Si tra8a di un mo0vo che, in ambito locale, aveva esercitato una larga influenza, dando luogo alla cara8eris0ca soluzione dell'apostolado. Sulla via del pellegrinaggio, la sequenza apostolica ha un'altra tes0monianza plas0ca nella facciata dell’abbazia provenzale di Saint-Gilles, dove si inventa per essa una soluzione dalle vigorose intenzioni an0chizzan0. Approfi8ando della presenza di tre portali, della marcata profondità delle loro spalle e dei poderosi pieni murari che li dividono, chi ha proge8ato la facciata ha immaginato una serie di nicchie, divise da lesene, nelle quali ha collocato una sequenza di ritra. apostolici. Nelle due spalle che precedono il portale centrale sono pos0 sulla sinistra san Giovanni evangelista e san Pietro mentre sulla destra san Paolo e san Giacomo maggiore. Una funzione apotropaica della sequenza è invece ribadita dalla presenza, di due ritra. dell'arcangelo Michele (sulla sinistra mentre uccide il drago e sulla destra mentre scaccia gli angeli ribelli). Al di sopra corre con0nuo un fregio scolpito, con le storie della vita di Cristo, il quale accompagna il percorso dell'archite8ura, fondendosi con gli architravi e con le lune8e che me8ono in par0colare risalto il momento della NaPvità e quello della Crocifissione. Malgrado tanta complessità organizza0va, il rapporto tra decorazione plas0ca e facciata si concentra intorno ai portali, che assumono quella funzione a8ra.va dominante che era loro mancata. Anche in questo caso il meccanismo plas0co non supera il limite disegnato dalla arcata esterna del portale e quando si tenta di andare al di là della configurazione maiesta0ca dell'arco, si finisce con il cadere in un sostanziale disordine organizza0vo. La decisa funzione a8ra.va del portale, a tu8o scapito della facciata, è del resto una linea generale di tendenza che, alla metà del XII secolo, si afferma con convinzione anche nell'Ile- de-France. Scomparsa la possibilità di verificare il sistema inventato per l'abbazia di Saint-Denis, l'immediata derivazione che ne fu fa8a, nella facciata occidentale della caIedrale di Chartres, è sufficiente a chiarire come, da quel momento in poi, i portali fossero des0na0 a essere un qualcosa di totalmente autonomo rispe8o al resto dell'archite8ura della facciata. Nelle sue linee iconografiche generali, il programma decora0vo si muove con coerenza disegnando una storia spirituale dell'umanità che parte dal Vecchio Testamento, i cui avvenimen0 sono rappresenta0 simbolicamente dalle figure dei protagonis0 disposte al di sopra delle colonne delle strombature, per passare al Nuovo, in corrispondenza delle lune8e dei portali. Essa ha inizio con la NaPvità, esaltata nella lune8a del portale di destra, per terminare nell'Ascensione. Al centro si sviluppa la visione «presente» della «Corte celeste» (Cristo fra il Tetramorfo e - nell'archivolto - i ven0qua8ro vegliardi), accompagnata, sull'architrave, dalla sequenza degli apostoli, a8raverso i quali si ribadisce il ruolo di guida, svolto dalla Chiesa, lungo quel percorso. Il sistema è poi completato dalle rappresentazioni delle arP liberali, nelle modanature che circondano la lune8a di destra e dei mesi e dello zodiaco in quella di sinistra. Una volta impostato da un punto di vista formale, quel modello divenne canonico e le varian0 poterono entrare a farne parte in termini streIamente iconografici, nel senso di un cambiamento dei personaggi rappresenta0 nelle statue colonna, delle scene enfa0zzate nelle lune8e o dei temi enciclopedici dispos0 nelle modanature o nei basamen0. Rispe8o alle soluzioni escogitate agli inizi del XII secolo, quello che non venne cercato più fu il rapporto con la facciata vera e propria che anzi tese ad arretrare, in modo tale da staccarsi visivamente rispeIo al sistema dei portali. Si tra8a di una impostazione del rapporto tra scultura e archite8ura inevitabilmente congeniale alla tendenza a so8rarre alla facciata ogni senso murale. A questo si arriva con una progressione di scelte che parte dalla cosidde8a Galleria Dei Re, nella facciata occidentale di Notre-Dame a Parigi. Si tra8a di un loggiato con0nuo disposto sopra ai tre portali e staccato da essi. Prima della Rivoluzione, la galleria (1220), era popolata da 28 statue colossali, rappresentan0 i re di Israele. Ripresa ad Amiens, la galleria suggerì la possibilità di u0lizzare singole statue anche all'interno della facciata. Ciò fu defini0vamente ado8ato a Reims nel 1245. Se nell'archite8ura dell'Ile-de-France, i portali ebbero dunque il sopravvento sulla facciata, un procedimento inverso si ebbe in Inghilterra, usando come strumento il dato suggerito dalla galleria dei Re di Notre-Dame a Parigi: la statua chiusa all'interno di una nicchia. Già nella facciata della chiesa abbaziale di San Pietro a Peterborough, il mo0vo venne u0lizzato per creare una sequenza re.linea all'interno dei 0mpani. Poi si passò, nelle ca8edrali di Wells e di Salisbury, a una occupazione totale dello spazio disponibile, a8raverso una stesura che annullò la funzione di richiamo dei portali. Nel caso della ca8edrale di Wells, si assiste a una rivincita della facciata, che può tornare a essere protagonista di un programma decora0vo complesso, ar0colato su tre livelli sovrappos0, approfi8ando delle par0zioni suggerite dall'archite8ura. Mentre l'unico portale svolge un ruolo del tu8o secondario, al di sopra si dispone la scena dell’Incoronazione della Vergine, affiancata da una sequenza di quadrilobi che contengono angeli ed episodi tra. dal Vecchio e dal Nuovo Testamento. Nel livello intermedio, si rincorrono due file sovrapposte di nicchie con statue di profe0, patriarchi, mar0ri, confessori e san0 locali, sormonta0 da un fregio, con la rappresentazione delle resurrezione dei morP. Il tu8o è concluso, nella cuspide centrale, da una grande teofania che prevede, nella porzione culminante, il Cristo entro una mandorla, affiancato dai simboli degli evangelis0. Il ritorno all'uso della scultura avvenne secondo una impostazione che ricorda la dimensione ascensionale dei sistemi introdoV, nel mondo padano, agli inizi del XII secolo, ma che era anche l'unica strada percorribile, nel momento in cui si decideva di sfru8are la stru8ura archite8onica della facciata. Forse è questa la ragione per cui, accanto alle sugges0oni dall'Ile-de-France, è possibile cogliere anche una eco delle soluzioni inglesi, nei proge. di Giovanni Pisano per la facciata del duomo di Siena e di Arnolfo di Cambio per quella di Santa Maria del Fiore a Firenze. Sopra8u8o in quest'ul0ma, il criterio di u0lizzare i pesan0 contraffor0 come sistemi di aggregazione di un decoro plas0co, fa8o prevalentemente di nicchie e di riquadri, all'interno dei quali sono accolte statue o scene, ripropone l'idea della facciata schermo, in cui il percorso scultoreo è costruito sulla base di un asse8o indipendente, rispe8o alla soggezione ai portali che, non a caso, adeguano le loro dimensioni a quelle suggerite dalle par0zioni circostan0. Nel caso di Siena, il principio della facciata schermo è bene individuato dalla presenza di tre portali che, pur di dimensioni diverse, sono inquadra0 da arcate che hanno la stessa altezza che, visivamente, li rendono indipenden0 rispe8o alla stru8ura interna. Guardando al passato locale, esse sembrano rifarsi alle soluzioni, con por0co alla base, del 0po del San MarPno a Lucca o, meglio ancora, a quelle de8ate dal duomo di Pisa, per via della fronte del porPco disegnato sulla facciata. Quasi in contraddizione con la logica imposta dall'Ile-de France, la decorazione scultorea venne allora tu8a dislocata al di sopra del limite rappresentato dai portali e fu organizzata per statue, collocate all'interno di nicchie, distribuite sulla base delle possibilità offerte dalle par0zioni archite8oniche. In tu8o questo traspare ne8a una a8enzione alla tradizione umbra, tes0moniata dal grande oculo centrale che ripropone ed enfa0zza la valenza teofanica che già gli era stata a8ribuita, inventando una soluzione di compromesso che sarebbe stata ripresa anche nella facciata del duomo di Orvieto. LE CATTEDRALI ALL’ORIGINE DEL GOTICO - ANTONIO CADEI Sebbene sia basato su un equivoco, il termine GOTICO è quello che ha trovato fortuna maggiore nella periodizzazione dell'arte occidentale. Fu coniato dai tra8a0s0 del primo Rinascimento per designare un modo di fare architeIura che si riteneva caVvo, che si generalizzava a tu8o il La fi8a e so.le sequenza di archi rampan0 e contraffor0 corona0 da baldacchini contenen0 statue serra in figura saliente la rela0vamente bassa cintura di navate laterali, deambulatorio e cappelle radiali, mentre la navata centrale aumenta di un buon terzo la già considerevole altezza con te. in ripidi spioven0. Dove l'esempio di Chartres assume autorità vincolante è nell'alzato interno: i due piani maggiori, esa8amente equivalen0, sono separa0 dalla bassa banda ombrosa del triforio. Piccole modifiche intervengono però ovunque a segnare una sorta di sistema0zzazione del modello di Chartres. La novità di maggior portata si trova nelle finestre: il disegno di partenza è il gruppo delle tre luci (coppia di lance8e e oculo soprastante) ma il modo della realizzazione e l'effe8o finale sono completamente diversi. Il muro sopra la linea d'imposta è svuotato in una sola grande apertura, delimitata superiormente dall'arco acuto longitudinale della volta. Il disegno delle lance8e e dell'oculo esalobato entro un cerchio è o8enuto in so.le trama di giun0 di pietra che deve reggersi e offrire supporto alle vetrate, ma è autonoma rispe8o alla stru8ura dell'edificio. Nasce così a Reims, con la tecnica del traforo a giunP lineari (che in assenza di una adeguata denominazione italiana, chiameremo col termine inglese di tracery): un mezzo s0lis0co des0nato all’illusione spaziale di stru8ure fi.zie des0nato a diventare determinante per l'archite8ura go0ca di tu8a Europa. Elemen0 della tradizione proto-go0ca già radica0 nell'archite8ura della Champagne riescono ad imporsi in quei processi vol0 a completare e stabilizzare il processo di omologazione del sistema mutuato da Chartres. In tu8a la zona basamentale della ca8edrale, il principio cosidde8o del mur épais (svuotamento di muri massicci e individuazione di elemen0 dis0n0 per la loro funzionalità sta0ca) viene ado8ato nella formulazione del passage rémois: al livello d'imposta delle finestre delle navate laterali e delle loro equivalen0 nel transe8o e nelle cappelle radiali, il muro riduce dras0camente il proprio spessore aprendo fornici profondi tra gli archi di volta e il piano vetrato. I fornici successivi sono messi in comunicazione mediante piccole aperture pra0cate entro le murature di spalla delle volte, ricavandone un passaggio con0nuo in spessore di muro. In questo senso, la ca8edrale di Reims è divenuta modello indiscusso in Francia e nell'Europa transalpina. Il sistema della ca8edrale di Reims è stato il punto di partenza per ROBERT DE LUZARCHES, l'archite8o che nel 1220 avviò la nuova costruzione della nuova caIedrale di Amiens, in sos0tuzione a quella distru8a da un incendio nel 1218. Nell’ulteriore progressione delle dimensioni, sopra8u8o di altezza, l'archite8o di Amiens eliminò ogni residuo di mur épais; unica galleria in spessore resta il triforio, mentre muri ed elemen0 portan0 tendono alla massima soVgliezza. Un a8eggiamento nuovo si fa strada nella ridefinizione formale dei singoli elemen0, priva0 della loro individualità e inseri0 in un involucro spaziale unitario e fluido. Esso si esprime nel triforio, che rompe la con0nuità della serie di arcatelle presentando in ogni campata coppie di polifore coordinate alle par0zioni dei trafori delle finestre. THOMAS DE CORMONT, successore di Robert de Luzarches, ado8ò nel coro la novità del triforio vetrato, che ne accentua la saldatura alle finestre alte. Ul0ma delle grandi costruzioni dell'età classica nell'Ile-de-France, il coro della caIedrale di Beauvais su una pianta pressoché iden0ca a quella di Amiens inserisce un triforio e una zona di finestre anche nel deambulatorio. La costruzione avviata nel 1225, punteggiata da sospensioni e crolli, non arrivò mai oltre il transe8o, malgrado tenta0vi di completamento fino al XVI secolo. Per conferire maggiore solidità alla ricostruzione, gli intercolumni furono dimezza0 inserendo coppie di pilastri leggermente più so.li nelle campate re.linee che fornirono l'appoggio al costolone intermedio delle nuove volte esapar0te. Nel rifacimento, il triforio vetrato e le finestre si saldarono in un'unica griglia luminosa, ricamata da trafori nel gusto ormai consolidato della fase di archite8ura go0ca francese che si denomina rayonnant (fiammeggiante). 4.2 La scultura L’archite8ura divenne schema esposi0vo per due sistemi dis0n0 di immagini, scultura e vetrata. Nella ca8edrale go0ca, la scultura gode di uno spazio proprio: non si inserisce in contes0 predetermina0, ma si impadronisce di par0 archite8oniche e le rimodella secondo proprie esigenze. Le manifestazioni maggiori della scultura le troviamo all'esterno delle caIedrali e la loro sede specifica è cos0tuita dai portali, che si sviluppano in grandi stru8ure profondamente strombate, nelle quali ogni membratura archite8onica può trasformarsi in immagine. All'esterno, la scultura si impone nella cosidde8a galleria dei re, fila di arcatelle che divide piano dei portali e piano del rosone. Entro le nicchie delle arcate stavano principalmente figure di re biblici, che vennero distru8e nella gran parte dei casi durante la Rivoluzione, essendo interpretate come effigi di re francesi. L'esterno della ca8edrale di Chartres, e ancora quella di Reims e le fron0 del transe8o di Notre-Dame a Parigi, offrono luoghi a statue e grandi rilievi a fianco delle finestre e dei rosoni, in nicchie pra0cate in tra. murari compa.. A Reims, nelle cappelle radiali, una serie di angeli modella il tra8o terminale dei contraffor0 so8o la gronda, mentre atlan0 sos0tuiscono gli angeli sui contraffor0 del coro alto. Rela0vamente secondario è l'intervento della scultura all'interno delle ca8edrali. Anche quella sede privilegiata della scultura figurata, il capitello, subisce una normalizzazione sintonizzata sulla stru8ura che espelle la componente figurata. Elemen0 base della norma sono i crochets, forme uncinate dalla consistenza genericamente vegetale a curva protesa verso l'abaco, che ad un 0po di capitello in0mamente radicato nel corinzio anPco impongono una ritmica ascendente, tale da accentuare visivamente la gi8ata ininterro8a dei pilastri. La scultura figurata all'interno della ca8edrale investe gli elemen0 dell’arredo liturgico tra cui la recinzione presbiteriale. Nelle ca8edrali go0che del primo Duecento, l'area del coro viene sbarrata verso la navata centrale da una vera e propria archite8ura minore che funge da supporto per la scultura figurata. Le radicali riforme liturgiche imposte dal Concilio di Trento nelle regioni di osservanza ca8olica, le campagne iconoclaste tra la metà del XVI e la metà del XVII in Inghilterra, le violenze rivoluzionarie in Francia hanno provocato la distruzione di tali stru8ure. Frammen0 conserva0 al Louvre dei jubés delle ca8edrali di Chartres, Bourges e Notre-Dame a Parigi (dove resta in situ gran parte della transennatura che separa lo chevet dal deambulatorio, ornata di grandi rilievi policromi), mostrano che si tra8ò di opere non secondarie alle sculture esterne, dis0nte da queste per lo sviluppo iconografico che vi trova la narrazione, prevalentemente Infanzia e passione di Cristo. Il principio che sta alla base della popolazione di figure all'esterno delle ca8edrali non è la con0nuità storica del racconto delle ScriIure o dell'agiografia. Le figure si aggregano in cicli, in cui la materia sacra è condensata in un’interpretazione che cita liberamente le tre grandi par0zioni della storia della cris0anità: AnPco Testamento, Nuovo Testamento, storia della chiesa. Le unità significan0 si sviluppano entro unità composiPve determinate dal combinarsi dell'architeIura con la scultura, come si può evincere nel portale, che concentra la maggior parte della scultura esterna della ca8edrale e ne sviluppa appieno il senso. Quella peculiare congiunzione di archite8ura e scultura porta così all’esaltazione massima un'idea secondo cui la chiesa era stata concepita non più solo come aula per l'assemblea dei creden0 e per la celebrazione dei ri0, ma come spazio sacro e dimora di Dio. La porta della chiesa diventava così limite tra il mondo naturale e il mondo ultraterreno con il compito di ammonire e preparare chi entrava. Nella struIura a strombo profondo, la scultura si sos0tuisce ai nessi archite8onici, facendone le componen0 fisse di un sistema iconografico del quale può variare il tema, ma non varia il modo della traduzione in immagini. Rilievi occupano la luneIa archiacuta del fondo dell'arcata e l'architrave della porta e scendono spesso anche sulle facce frontali e interne degli sPpiP. Serie di figure8e o piccoli gruppi salien0 scavano le modanature degli archivol0 che, con l’ampliarsi degli avancorpi, si fanno sempre più numerosi. Le mensole che spesso reggono le statue presentano figurazioni quasi a tu8o tondo, variamente collegate con il personaggio rappresentato dalla statua-colonna rela0va. Infine, quando la luce della porta è molto ampia, viene divisa in due aperture gemelle da un pilastro centrale (trumeau) cui si addossa una statua. Contes0 iconografici specifici sono talora assai difficili da interpretare, per la perdita di elemen0 o iscrizioni cara8erizzan0 i personaggi. È significa0vo il tra8amento della materia veterotestamentaria: gli scultori go0ci la usano molto. ProfeP e re biblici sono tra i protagonis0 degli sguanci dei portali e le storie della Genesi sono forse il ciclo narra0vo più ampio accolto negli archivol0. Ma l'An0co Testamento non ha mai valore autonomo. Personaggi e fa. biblici sono pos0 in collegamento con personaggi e fa. neotestamentari secondo tre principali criteri esege0ci: Preannuncio (profe0), Prefigurazione (0pologia), Genealogia (antena0 di Cristo). La materia neotestamentaria è tra8ata mediante figure e fa. accosta0 tra loro secondo un significato che prescinde dalla narrazione e rimanda alla fine dei tempi. Il tema che sopra8u8o li conne8e in programma e li collega all'an0co testamento è il Giudizio finale: un portale del Giudizio è una costante nelle ca8edrali proto-duecentesche dell'Ile-de-France e, nella maggior parte dei casi, occupa la posizione privilegiata al centro della facciata. Nel portale centrale di facciata della caIedrale di Amiens, realizzato tra il terzo e il quarto decennio del Duecento, troviamo la sintesi sistema0ca di preceden0 esperimen0 sul tema. Figura chiave è il Cristo del trumeau. Gli fanno corteggio negli sguanci le figure degli apostoli reggen0 gli strumen0 dei rispe.vi mar0rii. Nel registro inferiore della lune8a sono rappresenta0 i risorP; al centro san Michele con la bilancia dis0ngue i bea0 che nel registro superiore si avviano a sinistra verso la porta del Paradiso, dai danna0 simmetricamente sospin0 da demoni verso destra, dove li ingoia la bocca dell'Inferno. Al di sopra, in un'alta zona limitata da arcature a baldacchini, Cristo giudice in trono è fiancheggiato da Maria e Giovanni scanalature e costruendo la stessa forma come risultato della costruzione del panneggio). È probabile che questo s0le sia stato mediato nei can0eri delle ca8edrali dell'Ile-de-France dall'arte vetraria, nella quale trova espressioni analogamente precoci; di sicuro ebbe le prime applicazioni monumentali nel can0ere della ca8edrale di Reims. Se le statue del portale di san Callisto e di quello del Giudizio, rispe.vamente al centro e a sinistra della fronte del transe8o se8entrionale, ne danno formulazioni plas0camente esuberan0, un eccezionale maestro ha decretato il trionfo dello s0le con il gruppo della Visitazione des0nato ad un portale mariologico per la facciata. Nel terzo e quarto decennio del Duecento questo s0le è ne8amente dominante nel can0ere di Reims; nel suo segno sono sta0 realizza0 gli angeli delle cappelle radiali. Conclude la sua parabola intorno al 1240, con una serie di statue di re, in cui una tradizione più popolare che do8a ha iden0ficato monarchi delle dinas0e cape0ngia e carolingia, inserite, insieme alle coppie di Adamo ed Eva e dell’Ecclesia e della Sinagoga, nei piani di imposta delle torri del transe8o se8entrionale. In esse, sopra8u8o nei cosidde. Carlo Magno e Filippo Augusto, le teste magre e accigliate subiscono una cara8erizzazione quasi ritra.s0ca e un’accentuazione espressiva sino allora sconosciute. I corpi mutano la ponderazione classicizzante in ges0 bruschi e carichi di tensione. È la qualità espressiva, la molteplicità delle valenze descriVve e narraPve ad assicurare a questo s0le ampia capacità di diffusione prevalentemente al di fuori dei confini dell'Ile-de-France. Ma in quei decenni il canPere di Reims mostra una notevole varietà di espressioni e una chiara rice.vità rispe8o ad esperienze s0lis0che nate altrove. Si tra8a di una terza corrente che si delinea tra i can0eri di Sens e Amiens. Essa realizza valori della statuaria classica senza la perspicua trascrizione del modello anPco, a.ngendo toni di grande monumentalità sopra8u8o in virtù di un panneggio, nella quale la singola piega definisce facce di un solido geometrico. Delle statue del portale di facciata della ca8edrale di Sens nella redazione originale risalente al 1200, resta solo il Santo Stefano del trumeau, slanciata figura di adolescente il cui fascino è determinato dall’astrazione intensissima con cui la dalma0ca cade a piombo infle8endosi appena a segnare il rigonfiamento delle anche. Il liscio viso triangolare si definisce in costruzione quasi di geometria solida in dialogo con la qualità taVle di muscoli e pelle. Una simile costruzione formale ordina impostazione generale e singole figure del portale dell'Incoronazione di Maria della facciata di Notre-Dame a Parigi. È però nella facciata della caIedrale di Amiens che la ricreazione astra8amente volumetrica della qualità statuaria celebra il suo trionfo. Il gruppo dei tre portali è una creazione unitaria nella concezione e anche s0lis0camente omogenea realizzata tra il 1220 e il 1235. Un ar0sta dominante impone il proprio s0le ad una compagine ampia di scultori di buon livello. Nel portale destro, la sant'Anna che presenta Maria Bambina a8enua la fissità in un leggero ancheggiamento. Il gusto per la chiusura compa8a dei volumi conosce tra le statue di Amiens semplificazioni ancor più radicali: così nel san Firmino del trumeau del portale sinistro, nel profeta Aggeo sul contrafforte se8entrionale, o nel profeta Sofonia che chiude sulla sinistra lo strombo del portale se8entrionale. Da questa più autonoma ricreazione della statuaria prenderà le mosse, verso la metà del secolo, una nuova fase di scultura che ha il senso della perdita del contaIo con le matrici anPchizzanP, dal raggiungimento formale originale che più comunemente si designa come “go0co”: essa imposta la propria norma a quella dei corpi, le pieghe perderanno rigidezza spezzandosi e risolveranno nel proprio ritmo, gesto e movimento. 4.3 La vetrata Percorsi s0lis0ci generalmente analoghi compie la terza fondamentale componente della ca8edrale go0ca, la vetrata. Se la scultura aveva trasformato par0 esterne dell'archite8ura della ca8edrale, la vetrata viene assimilata dalla struIura sino a diventarne parte cosPtuPva. A8raverso le vetrate si perde la percezione della con0nuità tra interno ed esterno. Le due fasi della lavorazione della vetrata: - Nella prima, scene e ornati erano composti con piccoli pezzi di vetri colorati, ritagliati secondo un cartone in scala 1:1; prima di essere legati insieme mediante bacchette di piombo malleabile, i vetri erano dipinti con una tinta bruna a base di ossido di ferro (grisaille) in stesure successive; - Cotture ad alte temperature dopo ogni stesura assicuravano l'adesione della tinta al vetro. Perfezione e virtuosismo nell'uso di vetri dai colori chiari e brillan0 in pezzature rela0vamente grandi segnano i ver0ci della produzione vetraria nell'età tardoromanica. Il passaggio a modi più linearisPci, decora0vamente più sobri e schema0ci, si realizza in coincidenza con la massima apertura delle pare0 in vetrate verificatasi nel primo Duecento. Come negli esempi iniziali di Chartres e del coro di Saint Denis, voluto dall’abate Suger, la vetrata diviene una sorta di parete luminescente che si distende tra le sequenze stru8urali: essa è una sorta di involucro con0nuo composto da un mosaico di vetri di diverso colore, spessore e consistenza che i piombi legano secondo inclinazioni variabili. La luce da essa mediata non corrisponde a fasci di raggi paralleli e toglie agli elemen0 archite8onici la normale consistenza materiale mediante le innumerevoli vibrazioni cromaPche che ne sfiorano le superfici. Lo spazio è invaso da una luce onnipresente e carica di colore. Come l’archite8ura, la vetrata conferisce allo spazio ecclesiale il cara8ere di ricreazione della Gerusalemme celeste. Il secondo ruolo della vetrata è quello di intessere l'interno della chiesa di una trama ininterroIa di immagini. I temi figura0vi e i modi della presentazione sono in gran parte gli stessi delle sculture esterne, negli ada8amen0 impos0 dalle diversità del mezzo. Si osserva che tema0che costan0 nelle vetrate sin da quando Suger le aveva incluse nel programma del deambulatorio di Saint-Denis, trovano nelle vetrate un tramite più efficace per creare aggrega0 significan0. Le vetrate istoriate, topologiche o narra0ve, compongono le scene entro campi tondi, quadrilateri o dal taglio mis0lineo coordina0 tra loro in successioni lineari o rispondenze complesse in andamento ver0cale dal basso in alto. Nella ca8edrale go0ca esse trovano posto entro le finestre di navate laterali, deambulatori e cappelle dove era più agevole la decifrazione di figure e scene in scala rido8a. Nelle finestre alte si collocavano spesso grandi figure isolate o in registri sovrapposP, formalmente e iconograficamente analoghe alle statue esterne. Uno dei primi casi no0 di tale sistemazione complessiva erano le vetrate del coro di Saint-Remi a Reims, che ripetute distruzioni hanno rido8o a problema0ci lacer0. I rosoni di facciate e testate dei transe. erano i luoghi deputa0 ad accogliere figurazioni complesse di significato cosmologico. Così il rosone del transeIo meridionale della caIedrale di Losanna coordina intorno alla figura centrale dell'Anno sole e luna, giorno e no8e, le stagioni, i mesi, gli elemen0, lo zodiaco per arrivare, nei cerchi periferici, alle mi0che popolazioni mostruose degli estremi della terra. Nel transeIo seIentrionale della caIedrale di Laon il rosone sviluppava una tema0ca a contenuto morale con rappresentazioni di virtù, vizi e arP liberali. I cos0 imponen0 sia delle materie prime sia per le remunerazioni di una manodopera altamente specializzata richiesero l'intervento sistema0co della commiIenza privata. Immagini di reali, nobili e prela0 commi8en0 e rappresentazioni dei mes0eri reperibili nelle vetrate sono tra le illustrazioni più efficaci della vita sociale del tempo. La commiIenza par0colare tendeva a deIare l'iconografia della propria donazione, nel ricorso preferenziale alla celebrazione del santo eponimo o patrono e ciò ha talora interferito nella coerenza dei programmi iconografici. La dimensione archite8onica della vetrata è la più difficile da recuperare: bisognose di manutenzione costante, le vetrate sono la parte delle ca8edrali che più ha sofferto dell'usura del tempo e meglio si è prestata alle distruzioni provocate ricorren0. Tra le ca8edrali qui in discussione una sola, Chartres, ha conservato il patrimonio vetrario. La nascita di uno s0le vetrario specificamente go0co è preceduta, alla fine del XII secolo, da una fase nella quale si affermano tendenze classicizzanP affini a quelle osservate nella scultura e riunite nella categoria cronologico-formale dello «sPle 1200». È la fase della chiarezza composiPva in scala miniaturis0ca e del diradamento ornamentale. Il colore è usato ancora a tu8o campo e in tonalità chiare nei verdi, nei rosa0 e nei gialli. Sono queste le tendenze che prevalgono nella Ile-de-France e nella Champagne dei decenni a cavallo tra XII e XIII secolo, quando gli sforzi dei mastri vetrai si applicavano agli edifici go0ci. La situazione è difficile da documentare in quest'area, in quanto a perdite e distruzioni si sommano ripensamen0 o inciden0. È quanto si è verificato con il rifacimento del coro della caIedrale di Laon dopo il 1205: sicuramente precedente era il rosone a sogge8o moraleggiante del transe8o se8entrionale; ad esso fu giustapposta la composizione del fondo del coro formata da tre grandi lance8e con Passione (centro), infanzia di Cristo (destra), storie di Santo Stefano e del monaco Teofilo (sinistra) sormontate da un rosone con la glorificazione della Vergine. Vetrate di un albero di Jesse, di una infanzia e passione di Cristo e par0 di altre a sogge8o mariano e con vite dei san0 Andrea e Pietro si distribuiscono tra deambulatorio e cappelle radiali in un disordine che rende indecifrabile il programma originario. Studi pazien0 di comparazione e ricostruzione hanno ripercorso le tracce di una vicenda s0lis0ca grandiosa e notevolmente coerente, nella quale i vetri più an0chi di Troyes hanno il ruolo di vere e proprie an0cipazioni. Di eccezionale qualità tecnica e fa8ura raffinata, si legano di faIo ad esiP della grande tradizione minatoria di Stavelot e Saint-Trond, ma anche al classicismo fresco e aggraziato di sculture come quelle del chiostro di Châlons. La vicenda assume consistenza sopra8u8o con i vetri di Laon e Soissons di nobiltà classica e monumentalità di forme, che a Laon si declina in tra. di più puro, ma anche più freddo classicismo. Tra. più originali di vigore espressivo e maggiore robustezza delle forme cara8erizzano le scene della vita dei san0 Nicasio ed Eutropia rimaste nella caIedrale di Soissons. Elegan0 nelle composizioni semplici ed essenziali sono le vetrate conservate nel deambulatorio e nelle cappelle radiali della caIedrale di Troyes, risalen0 al 1215-1228. Cadenze più tradizionalmente romaniche, pur nella monumentalità composi0va e nella scioltezza narra0va mostrano i res0 della vetratura originaria della caIedrale di Sens, con ogni probabilità risalente al Ma non mancarono altrove adesioni al modello francese dovute a scelte culturali e personali interessi dei commi8en0. Il caso più singolare e precoce è il duomo di Roskilde, fondazione dei re danesi intorno al 1170 che traduce nella tecnica muraria laterizia lo schema importato dalla Ile-de- France. Nei territori tedeschi dell'impero il nuovo 0po di ca8edrale maturato in Francia si impose davvero solo al tramonto delle fortune della casa di Svevia, con le navate del duomo di Strasburgo (1240-1270) e il duomo di Colonia, rifondato nel 1248 dall'arcivescovo Conrad von Hochstaden. Non è possibile seguire oltre i percorsi più ricchi di diramazioni ed intrecci che segnarono l’affermazione di quel modello di ca8edrale al di là dell’arco alpino e la sua graduale modifica. Ricorderemo comunque che poteva proporsi come norma0vo alla fondazione del coro del duomo di Praga (1344) e fra i termini di diba.to (1386) del proge8o del Duomo di Milano. Merita invece ribadire come la ricezione del modello al di fuori dei confini di Francia abbia comportato la diffusione contestuale della scultura monumentale e della vetrata nelle forme ad esso congeniali. Per quest'ul0ma si tra8ò soltanto dell'adeguamento alla nuova dimensione archite8onica di pra0che già esisten0. La diffusione dei nuovi 0pi plas0ci non sempre comportò l'acce8azione del portale figurato. L'archite8ura inglese rifiutò, salvo rari casi (ca8edrali di Durham e York, più tardi abbazia di Westminster) la facciata impostata sul classico schema armonico a torri gemelle, ma non impose neanche uno schema esemplare alternaPvo. Si verificano, invece, casi di precoce diffusione di 0pi plas0ci go0ci a prescindere dal contesto archite8onico-stru8urale della ca8edrale go0ca. È quanto avviene nei territori dell'impero germanico con la caIedrale "sveva" di Bamberga, edificio avviato secondo lo schema a cori contrappos0 della tradizione imperiale e secondo parametri sta0co-formali tardoromanici; nel terzo decennio del XII secolo una generazione di scultori palesemente orienta0 sul Muldens(l di Reims, vi introdusse il portale figurato go0co, ma, sopra8u8o, trasferì alla decorazione interna la statuaria monumentale. Lo stesso fenomeno, su riferimen0 s0lis0ci chartriani, si verificava intorno al 1240 nel transeIo meridionale della caIedrale di Strasburgo, con la decorazione figurata sul tema mariologico dei portali gemelli e la figurazione del giudizio finale sviluppata in tre ordini di grandi statue applicate al pilastro centrale interno. Alcune delle modalità ora descri8e della diffusione della scultura monumentale si inscrivono in un altro ordine di effe. con cui la caIedrale provocò la mutazione goPca dell'Europa sopraIuIo in faIo di architeIura. Oltre a proporsi come modello compiuto per categorie par0colarmente solenni di edificio sacro, essa rilasciò gradualmente e a beneficio di ogni 0po di costruzione, un lessico faIo di singoli vocaboli e sintagmi limitaP, di ordine più formale e decora0vo che sta0co, ma dire8amente discendenP dal nuovo sistema struIurale e dalla sua codificazione in forma. Nacque così quello che possiamo definire, IL LINGUAGGIO DELL'ARCHITETTURA GOTICA. Proviamo qui ad accennare ad alcune delle sue componen0 principali. Si tra8ò della variegata Ppologia dei sostegni, semplici e composi0, ma che alle grevi matrici quadrangole dell'età romanica sos0tuisce so.li componen0 a sezione circolare o poligonale, risolve figura0vamente la propria funzione nell'immancabile capitello a crochets, e de8a di conseguenza la modulazione alle membrature con cui eventualmente si prolunga sulle pare0. La capacità del sistema della ca8edrale a scomporsi in forme, ognuna delle quali passibile di uso autonomo e ricomponibile in contes0 e significa0 diversi, maturò e raggiunse il culmine della forza espansiva con il nuovo s0le che si delineò a par0re dal quarto decennio del XII secolo a Parigi e dintorni, conneIendosi in misura preponderante con commiIenze della famiglia reale in favore di comunità monasPche, come la ricostruzione delle navate e del transe8o di Saint-Denis. Rientrano nel gruppo di esponen0 del nuovo <<sPle di corte>> di Luigi IX di Francia, preparatore della fase rayonnant dell'archite8ura go0ca francese, le ricostruzioni delle ca8edrali di Troyes (dal 1228) e Tours (dal 1233), del coro di Saint-Nazaire a Carcassonne, avviato nel 1269. In tu8e queste imprese la dinamica plas0co-stru8urale, sino allora sviluppata in funzione della so8olineatura formale di altezze sempre più verPginose, si allenta in formulazioni spaziali più equilibrate e intensamente luminose, in cui le finestre alte danno luogo ad involucri spaziali indefiniP, ininterro. e gracili. Traguardo determinante ed emblema0co in tale processo fu la Sainte Chapelle, ere8a da Luigi IX nel contesto residenziale del Louvre originario, edificato dal nonno Filippo Augusto tra XII e XIII secolo. Coerentemente con tale funzione pala0na, la cappella portava a dimensioni monumentali un 0po di stru8ura a due piani già consolidata nei decenni preceden0 come cappella vescovile, con bassa chiesa inferiore dotata di stre8e navatelle che confluiscono in deambulatorio poligonale e alta aula superiore abbondantemente finestrata. L'occasione della fondazione della cappella fu l'acquisto dall'imperatore Baldovino Il di Costan0nopoli di presPgiose reliquie provenienP dal tesoro imperiale bizanPno, delle quali la cappella sarebbe stata degno repositorio, che sarebbero state garanzia dell’inves0tura divina della dinas0a reale dei Cape0ngi. La cappella si cara8erizza all'esterno per la costruzione turriforme, con torricelle scalari poligonali e un atrio aperto da arcate a muovere l'apparato di facciata e la fiIa gabbia dei profondi contrafforP a riseghe, imposta0 da vigorose cornici basamentali e coronaP da pinnacoli, tra i quali si stendono solo finestre: bifore e quadrifore sormontate da aguzzi 0mpani ga8ona0. L'aspe8o di sacro contenitore connota gli interni e tra essi sopra8u8o l'aula superiore. L'ingombro delle stru8ure portan0 è rido8o al minimo in favore dell'espandersi delle vetrate alle quali anche la pietra è assimilata da un’integrale coloritura in oro e Pnte brillanP. Le immagini dispiegano il loro ammaestramento mediante la scultura, con i bus0 d'angeli ad ali aperte che occupano i pennacchi tra le arcate dell'alta fascia basamentale schermata da un traforo cieco simile a un triforio, e con statue di Apostoli reggenP dischi con le croci di consacrazione. Ma è sopra8u8o l'imponente vetratura a sviluppare un elaborato programma di storia universale che esaltava il ruolo salvifico della passione e morte di Cristo. Questa è infa. il sogge8o della finestra assiale affiancata nelle altre vetrate del coro dall’Infanzia, dall'albero di Jesse e storie dei due san Giovanni; sui la0 a par0re da nord è svolta la materia veterotestamentaria che comincia con la Genesi e prosegue con i libri profePci. Sul lato meridionale, il racconto si interrompe dopo i Re, lasciando spazio alla narrazione delle vicende delle reliquie della passione fino all'arrivo a Parigi. L'impresa colossale fu realizzata nel brevissimo giro d'anni da almeno tre officine principali di diversa provenienza, ma con la coordinazione di una sola regia che guidò la traduzione in immagini del programma. Suoi cara8eri salien0, accanto alla riduzione dras0ca dei sistemi decora0vi per le cornici e ad impaginazioni narra0ve fa8e di semplici successioni verPcali di medaglioni, sono il ritorno alla scala miniaturisPca, la rapidità, talora corsività narra0va in un tono elegante dal sapore cavalleresco e cortese. Preziosità formale che accosta l'architeIura all'oreficeria e scomponibilità delle singole soluzioni decora0ve cara8erizzano anche le testate dei transeV di Notre-Dame a Parigi, variazioni sul tema della fronte cuspidata sempre più cariche di raffinata decorazione, la testata se8entrionale edificata nel 1246 da JEAN DE CHELLES e quella meridionale iniziata nel 1253 da PIERRE DE MONTREUIL. Nel segno del nuovo sPle furono edificate nei decenni successivi diverse altre caIedrali, sopra8u8o nel Midi francese e non mancarono imitazioni altrove in Europa: tra esse la ricostruzione dal 1245 dell'abbaziale di Westminster a Londra e la ca8edrale di León. Ma una capacità di diffusione incomparabilmente più ampia e capillare ebbero clausole definitesi in quell'ambito, quali il rosone inserito in cornice quadrata interamente a trafori, le fasce di archeggiature cieche che alleggeriscono zone basamentali e par0zioni orizzontali, gli aguzzi coronamen0 a 0mpano, festona0 e trafora0 (gables) che frastagliano zone di portali e linee di gronda. Anche l’ITALIA venne coinvolta nell'assimilazione del lessico della ca8edrale. Le prime infiltrazioni sembrano mediate dall'architeIura dei mendicanP, in misura minore dei cistercensi, dove compaiono i casi più precoci di finestre a tracery, di gables, di capitelli a crochets, ed anche di cappelle absidali a pianta poligonale. Posizione di punta sembrano assumere in tale quadro i francescani, tra l'altro con la basilica sepolcrale di San Francesco ad Assisi, la cui chiesa superiore (1246-1253) non è solo intonata all'archite8ura di Francia nel sistema stru8urale e nella scultura archite8onica, ma propone un equipaggiamento integrale delle ampie finestrature con vetrate policromate e figurate che è rimasto caso eccezionale in Italia. Ma lo snodo decisivo fu segnato dalla pres0giosa triade di scultori archite.: Nicola e Giovanni Pisano, Arnolfo di Cambio, che tra la seconda metà del XII secolo e l'inizio del successivo intesserono quel lessico alle microarchiteIure di pergami, monumen0 funebri e arche di san0, arredi urbani, ma anche alla grande archite8ura del gruppo ca8edrale di Pisa, con il Ba.stero, delle ca8edrali di Siena e Orvieto con le facciate rispe.ve e l'intero organismo del Duomo di Firenze, cambiando il volto all'architeIura della penisola. Una volta innescato quel meccanismo di crescita decora0va sulla mol0plicazione di forme si affiancò in autonomo processo. Ciò avvenne quando i centri della sua elaborazione si spostarono ad ovest, in area germanica: momento determinante fu l’apertura del canPere della facciata della caIedrale di Strasburgo, des0nato a realizzare la scenografica fronte. Presto affiancato e imitato da can0eri di altre grandi ca8edrali in area germanica, esso rimase il principale motore di elaborazione di quella maniera di fare archite8ura che ha dato luogo al nome del Go0co. SPAZIO LITURGICO, OGGETTI, SOGGETTI LO SPAZIO LITURGICO: ARCHITETTURA, ARREDO, ICONOGRAFIA (SECOLI IV-XII) - PAOLO PIVA 5.1 ArchiteIura e liturgia La chiesa fu nel Medioevo il supporto della grande arte monumentale (cicli di pi8ura murale o mosaici, facciate ed elemen0 archite8onici scolpi0) ma anche degli ogge. liturgici mobili, talvolta ancora cataloga0 come arte minore. In una chiesa poteva confluire una molteplicità sorprendente di ogge., diversamente associa0 o contestualizza0 sulla base di un vero e proprio codice de8ato tu8avia soltanto i ba.steri a rifiutare lo schema basilicale. Anche i santuari suburbani adoIarono impianP innovaPvi rispe8o alle formule tardoan0che, e anch'essi (ma sopra8u8o dal V secolo) optarono per le planimetrie dei mausolei, frequentemente arricchite da ambulacri, gallerie, cappelle. Dovevano infa. contenere i corpi o le reliquie dei mar0ri. Nel IV secolo lo schema prevalente per i santuari era stato quello cruciforme, più connota0vo e simbolico. Lo u0lizzarono l'an0ca San Pietro in VaPcano, la chiesa degli Apostoli di CostanPnopoli, e in seguito sulla scia delle prime: il Martyrium di San Babila ad An0ochia, le basiliche Apostolorum di Milano e di Aquileia (sopra). In queste chiese il mar0re era sepolto in un vicino cimitero. Si è de8o che la diffusione del Cris0anesimo nei territori extra-urbani fu fenomeno più lento e complesso. Due is0tuzioni religiose nuove cara8erizzarono tu8avia ben presto l'Occidente alla fine del IV e sopra8u8o nel V secolo: la chiesa baIesimale rurale e il monastero. La chiesa ba8esimale surroga alcune funzioni della ca8edrale in territori distanP dalla civitas. Al diri8o di ba8esimo la chiesa rurale può associare quello di sepoltura. I monasteri appaiono precocemente in Africa e in Pales0na so8o le forme del cenobio e della laura. Il primo è basato sulla vita in comune dei monaci; la seconda su un modello misto di vita eremi0ca (i giorni feriali) e di vita comunitaria (messa e pas0 della domenica). In Occidente, fino a san BenedeIo (480-547), non esiste un vero monachesimo, se non nelle forme di comunità asce0che maschili e femminili documentate anche presso le ca8edrali. Solo con la fondazione di Montecassino e la Regula di BenedeBo (540 circa) nasce il cenobi0smo occidentale. Solo la pianta di San Gallo dell'830 cos0tuisce la prova della comparsa di uno schema rela0vamente norma0vo. Di certo, dall'età carolingia, la varietà è sos0tuita da uno schema funzionale che resterà quasi immutato. Il modello vigente dal IX al XII sec. non consegue tu8avia dire8amente dalla Regula di Benede8o, il quale indica semplicemente gli spazi funzionali indispensabili a un monastero (oratorio, dormitorio comune, refe8orio, cucina, dispensa o celleria, infermeria, cella dei novizi, por0neria, foresteria, mensa dell'abate e degli ospi0), ma non ne fissa le relazioni reciproche. Per tu8o il pieno Medioevo gli ambienP saranno distribuiP aIorno a un corPle por0cato, il chiostro. Il periodo che va dalla seconda metà dell'VIII secolo fino all'XI-XII secolo sarà la grande età dei monasteri. Longobardi e Merovingi avevano incrementato e arricchito le is0tuzioni monas0che (si pensi a San Salvatore di Brescia o a Saint-Denis presso Parigi), ma la premessa al rilancio di età carolingia è la riforma dei canonici di ca8edrale che il vescovo Chrodegang (742-766) a8uò a Metz sulla base del modello monas0co della vita comune. Al tempo di Carlo Magno (771-814) furono costruite abbazie di grandi dimensioni (Centula, Lorsch II, Reichenau, Fulda), alle quali l'imperatore affidò un ruolo essenziale di formazione della classe dirigente e di natura economica. A Centula si costruì il primo 'corpo occidentale' u0lizzato al piano terra come ves0bolo, ma anche per la sepoltura del commi8ente: l'abate Angilberto, e sopra8u8o per l'esposizione delle reliquie del Salvatore. In altre chiese dominano invece i modelli romani, già messi in voga dal vescovo Chrodegang, e poi esplosi dopo l'incoronazione papale di Carlo Magno (800). La chiesa abbaziale di Fulda (Essen) cos0tuì una copia dell'an0co santuario apostolico di San Pietro in Va0cano, con abside ad occidente e transe8o con0nuo des0na0 a ospitare la tomba dell'apostolo della Germania (san Bonifacio). A par0re dalla riforma monas0ca di BenedeIo d'Aniane e dal concilio di Inden/Aquisgrana (816/817) si assiste a una duplice tendenza: la riduzione dimensionale delle chiese monasPche, improntate agli ideali più asce0ci e meno sociali del tempo di Ludovico il Pio; l'incremento del culto delle reliquie, che produce la comparsa di cripte a corridoio sempre più ar0colate e complesse. Fino all'età oIoniana (seconda renova0o imperi 962-1024) sopravvissero, nelle civitates chris(anae, le an0che ca8edrali. Solo dal Mille circa, epoca di generale rinascita urbana, iniziarono importan0 ricostruzioni. Ma è il XII secolo quello che può essere veramente definito secolo delle caIedrali (almeno in Italia con il medio/tardo romanico e in Francia con il proto-go0co). Le grandi costruzioni religiose o8oniane hanno ancora la stru8ura basilicale paleocris0ana di quelle carolinge, anche se introducono forme di alternanza dei sostegni (colonna e pilastro); assumono tu8e le varian0 di transe8o, recuperate (transe8o con0nuo, transe8o a celle) o introdo8e (transe8o a incrocio regolare) nel IX secolo. In questa fase l'importanza dei monasteri non viene meno, e hanno origine molte nuove abbazie. Anzi, nel regno di Borgogna era già sorta (909/910) l'abbazia più nota del Medioevo: Cluny. La sua esenzione dall'autorità diocesana e la dire8a soggezione al papato ne fecero un modello rivoluzionario. Nella chiesa di Cluny Il dell'abate Maiolo (954-994), nota a8raverso gli scavi del Conant, vi sono due novità importan0: la terminazione a più absidi simmetriche in progressione scalare (échellonnées), des0nate alle messe private dei monaci in onore di benefa8ori e monaci defun0; e probabilmente il transeIo basso (con bracci di altezza intermedia fra quella della navata centrale e quella delle navate laterali, e con torre so8o-cupolata all'incrocio). Ques0 elemen0 cos0tuiranno dei traV essenziali del romanico europeo. Come pendant delle filiazioni monas0che, compare intorno al Mille anche il sistema della plebs cum capellis. Le pievi stesse riscuotevano le decime di cappelle plebane so8oposte. Nell’XI e XII secolo vengono costruite nuove pievi e cappelle, esplodendo il modello delle “copie di modelli famosi”. Il romanico fu anche il periodo della grande sperimentazione delle coperture voltate: da volta a bo8e a volte a crociera, da crociera costolonata alla volta a bo8e spezzata. Tornando ai monasteri, il loro ruolo sarà fondamentale ancora per tuIo l'XI secolo, e ad essi sarà affidata in buona parte la ges0one del pellegrinaggio alle reliquie. Anzi, le stesse abbazie cercarono con ogni mezzo di procurarsene. Ciò implicò il sorgere di chiese con una doppia connotazione di chiesa monas0ca e santuario, non senza importan0 conseguenze archite8oniche. Era infa. necessario garanPre ai pellegrini un percorso guidato alle reliquie e un deflusso regolare, e ai monaci una privacy di vita comunitaria e liturgica non condizionata dalla presenza dei laici. Ebbe così origine una ricca serie di varianP sul tema della cripta, so8ostante il coro dei monaci o dei canonici ma completamente separata e indipendente da questo. Si passa alle prime cripte a sala o ad oratorio a più navate (Spira I, con cripta so8ostante all'intero transe8o), fino alle chiese vere e proprie soIostanP la chiesa superiore (Santo Sepolcro a Milano, San Fermo a Verona, San Nicola di Trani). Funzionale al pellegrinaggio può essere anche il deambulatorio a cappelle radiali che circonda l'abside. La cripta non fu comunque la risposta unica ai problemi pos0 dai santuari. La riforma della Chiesa (da Gregorio VII: 1073-1085) non ebbe forse un peso preponderante e dire8o sull'archite8ura religiosa, ma l'istanza di una più neIa separazione gerarchica fra clero e laici portò a conseguenze importanP sull'asseIo liturgico (ad esempio portò alla creazione di un muro divisorio fra navata e coro, laddove mancassero la cripta e il rela0vo presbiterio sopraelevato). Dall'interno della corrente riformatrice scaturisce anche il movimento cistercense. La cri0ca di Bernardo di Clairvaux (1090-1153) alla ricchezza delle chiese cluniacensi e all'eccessiva profusione di decorazione dipinta e scolpita sor0sce un Ppo di edificio spoglio e caraIerizzato dalla semplificazione degli elevaP (non più con i tre piani delle navate centrali di Borgogna e Normandia) e dal rigore simbolico dello schema. Come de8o prima, il XII secolo fu il periodo delle ca8edrali, almeno per determinate aree: l'Inghilterra, l'Italia meridionale normanna, l'Aquitania (con il fenomeno delle chiese a cupola che riguarda molte ca8edrali), l'Emilia (con i can0eri di Modena, Parma, Piacenza, Fidenza, Ferrara e, non ul0ma, la lombarda Cremona), infine (in ordine di tempo) l’Ile de-France con le grandi imprese proto-go0che di Parigi (Notre-Dame), Sens, Noyon, Laon, ancora legate al romanico di Normandia. Con Chartres, Reims, Amiens, Bourges il go0co "classico" produrrà la vera e propria rivoluzione archite8onica nella concezione della parete, della luce e della staPca. Da lì a poco si sarebbe spenta anche l’età dell’oro del monachesimo benede.no e delle sue imprese edilizie, grazie alla nascita della chiesa conventuale: a8orno a Domenico di Guzman (Predicatori) e Francesco d’Assisi. Le prime chiese francescane sono situate extra moenia e sono semplici cappelle concesse da monasteri benede.ni o da priva0. L'inurbamento ha come conseguenza chiese progressivamente più grandi e meno essenziali. Il Ppo ad aula unica (de8o a fienile) è il più semplice e rigoroso: il fa8o che vi siano esempi con transe8o e cappelle simmetriche li lega alla tradizione cistercense. La soluzione a una navata con transeIo prevalse sopra8u8o nell'Italia centrale, sulla scia del santuario francescano di Assisi. Il 0po a tre navate prevalse invece nel Nord Italia e in Europa, sopra8u8o nelle grandi chiese a sala domenicane. 5.3 Arredo liturgico e frazionamento dello spazio Nell'archite8ura paleocris0ana non è chiaramente espressa una separazione fra santuario e coro, intendendo propriamente per coro la sede degli uffici già in uso dopo il 313. In generale la separazione meglio individuabile in un’aula di culto è quella fra sede della liturgia della Parola, buone, e il luogo della liturgia eucarisPca, altare. Nella maggioranza delle chiese in Oriente Occidente il clero trova posto in un banco presbiterale concentrico all'abside, dotato della ca8edra vescovile al centro in rela0va prossimità all'altare, che è posto davan0 ad esso. Ambedue si trovano ad una quota pavimentale più alta di quella della navata. La necessità di separare il santuario/presbiterio dai fedeli mediante cancelli o transenne fu avver0ta subito. Già nelle primissime chiese episcopali, come Aquileia, l'area del santuario è dis0nta e restano tracce archeologiche dei recinP divisori. Il problema non era quello di isolare il collegio dei pre0, quanto quello di contenere la curiosità dei fedeli. Tu8avia, in età paleocris0ana sia la Messa che gli uffici sono concepiP in funzione dei fedeli. Essi devono poter vedere e udire dis0ntamente liturgia della del coro, e per di più visualizzava lo stacco funzionale rispe8o alla navata liturgica, sorre8a da colonne. Se così fosse, Cluny sarebbe all'origine di una pra0ca assai diffusa nell'Europa romanica: quella di legare organicamente l'architeIura ai frazionamenP funzionali e liturgici. Ora ne risultavano condiziona0 i sostegni, ma anche le parP delle navate e le stesse coperture, che potevano variare sulla base dello spazio liturgico. La copertura a volta caraIerizzò più i santuari e i cori che le navate, e ancora gli statu0 mendican0 prescrissero che le volte fossero costruite soltanto sul santuario ed eventualmente sul coro. La cripta è talora espressamente costruita o allungata per perme8ere il completo isolamento del coro, posto assieme al santuario in posizione sopraelevata, ed eventualmente per consenPre il pellegrinaggio dei laici nella cripta stessa senza interferenze con il cursus liturgico. La comparsa del JUBÉ non coincide esa8amente con le origini del go0co, ma senz'altro potrebbe coincidere con la sua fase più cara8erizzante, a8orno al 1200. Indipendentemente dalle modalità della sua formazione, lo jubé cos0tuisce essenzialmente l'esito di una fusione fra la parete occidentale del coro e l'ambone. La parete ovest si sdoppia e si trasforma in un ponte o tribuna, raggiungibile mediante scale, dal quale si celebra la liturgia della Parola (le8ure e omelia). Il termine intermedium (=tramezzo) è documentato anche per lo jubé, ma non esclude la semplice parete: oggi dovrebbe essere più corre8amente u0lizzato per quest'ul0ma, mentre è impiegato per lo jubé, generando spesso confusione. La funzione della parete e del ponte sono ben diverse e non sempre gli studiosi hanno riguardo per la differenza. Il termine ponPle, infine, dovrebbe essere riservato ai casi di jubé non autonomo, ma addossato al lato ovest della cripta in modo tale da cos0tuire sia tribuna collegata al coro sopraelevato, sia por0co d'accesso so8ostante ad essa. Tre sono i 0pi di jubé indipendente che la Doberer ha individuato: 1. Jubé a pulpito (dominante in Germania): è cos0tuito da una parete di coro dalla quale sporge un breve podio alto centrale (pulpito), collegato al coro retrostante e sovrastante l'altare dei laici. È conservato, ma purtroppo ricostruito, il meraviglioso esempio scolpito di Wechselburg, la cui decorazione cos0tuisce un monumentum celebra0vo dell'offerta eucaris0ca. 2. Jubé a struIura chiusa (dominante in Inghilterra, ma non assente in Europa). È cos0tuito da una doppia parete trasversale alla navata e reggente la tribuna. Ogni parete è forata solo dal portale che fa da filtro fra coro e navata. Ne sopravvivono esempi in Inghilterra, ma anche in Europa non mancano (Naumburg: il Crocifisso scende come trumeau e compone una “sacra rappresentazione”). 3. Jubé a porPco (già presente in tu8e le grandi ca8edrali francesi, ma non assente in Germania e in Italia). Aperta verso ovest (ma chiusa e a8raversata solo da un portale verso il coro) esisteva in tu8e le grandi ca8edrali francesi, ma oggi non restano che i frammen0 scolpi0 e i disegni res0tu0vi. Il por0co ospitava non un solo altare, ma una serie di altari, che in seguito poterono trasformarsi in cappelle. Il coro, in genere, si addossava alle scale (parallele al Jubé) che salivano alla tribuna superiore. È stato recentemente osservato che i rilievi scolpi0 dei jubés erano vol0 a produrre determinate emozioni dei fedeli, assieme al Crocifisso soprastante che configurava la reale presenza del corpo di Cristo nell’os0a, mostrata a8raverso la porta centrale durante l’elevazione. Se il coro romanico era sopra8u8o in funzione divisoria, il jubé fu invece il modo di formalizzare rappor0 molteplici con i fedeli. Fu ambone, pulpito , ma luogo che accolse anche altari, sepolture, cappelle, tribuna e sede di cerimonie pubbliche. La sua collocazione variò a seconda della posizione del coro, che anche nella ca8edrale go0ca non fu univoca. Nelle chiese a deambulatorio il coro canonicale venne inserito nella profonda zona absidale (Notre-Dame a Parigi), in altre occupò l'incrocio del transe8o precludendo così ai laici l'accesso a tu8a la zona est. Il jubé poteva essere dunque ubicato, rispe.vamente, sulla linea dei pilastri est dell'incrocio, sulla linea dei pilastri ovest, oppure all'altezza di una coppia di pilastri della navata. I cori che sopravvivono ancora oggi nella posizione an0ca, davan0 all’altare, si trovano sopra8u8o in Inghilterra, Spagna, Francia, Germania e Italia (Chiaravalle Milanese). Si tra8a perlopiù di cori del XV e XVI secolo, decora0 da cicli figura0. In Italia, la maggior parte dei cori furono rifa. o trasferi0 dietro l’altare al tempo della Controriforma, quando i jubés vennero demoli0 perché considera0 inconcepibili. Anche molte cripte vennero spianate. Eppure, in Europa i jubés con0nuarono ad essere costrui0 fino al XV-XVI secolo. Mol0 furono aboli0 in Francia solo al tempo della Rivoluzione, producendo una diatriba fra ambonolatri e ambonoclas0 (ricostruzione dei jubés): alcuni vennero ripropos0, anche in modo infedele, ma la loro stagione era già conclusa. 5.4 Iconografia e spazio liturgico L’archite8ura religiosa fu concepita per la liturgia e l’integrazione figuraPva è streIamente correlata al relaPvo contesto. Il contesto funzionale e is0tuzionale della chiesa è sempre fondamentale per intendere la finalità e il significato delle immagini medievali, spesso di difficile comprensione ai fedeli comuni. L'esempio più emblema0co del IV secolo coincide con la concessione di Costan0no (313). I pavimen0 musivi delle cosidde8e “Aule Teodoriane” di Aquileia sono databili fra il secondo e il terzo decennio del IV secolo. Che quello dell'aula sud in par0colare abbia precisi rappor0 con la pra0ca liturgica è ipotesi già serpeggiata nella storiografia. Di recente è stata proposta una interpretazione del vasto tappeto musivo. La chiave ermeneu0ca è nella quarta campata, l'unica a non essere suddivisa in tre campi e quella in origine racchiusa da cancelli. La storia del profeta Giona, qui rappresentata in tre episodi (Giona geIato in pasto al cetaceo, Giona rigeIato o risorto, Giona soIo la pianta di ricino), ha una duplice valenza. Sulla base dell'An0co Testamento, la missione che Dio affida a Giona di portare la predicazione a tu8e le gen0 per conver0re anche i più malvagi è correlabile al programma ecumenico del primo Cris0anesimo. Ma sulla base del Nuovo Testamento, la morte e la resurrezione di Giona sono un’allusione a Cristo. La connotazione eucaris0ca di Giona indica che dentro i cancelli stava l'altare mobile: l'aula sud era des0nata alla messa fes0va. Al centro della terza campata una ViIoria alata angelica porge una corona d'alloro come premio a molP offerenP che le recano doni in natura: probabilmente essa rinvia alla presenza di un tavolo per le offerte alla chiesa. Al centro della seconda campata tre personaggi entro clipei sono rivol0 verso la Vi8oria, mentre nella navata sud il Buon Pastore (Cristo) è rivolto verso di loro. Contemporaneamente è chiaro il riferimento allo spazio occupato durante alla messa dei fedeli , rappresenta0 a nord e sud della terza campata come ovini e bovini: il “gregge di Cristo”. La prima campata è occupata dai simboli ba8esimali, ad indicare il luogo dei catecumeni. Nel ba.stero Neoniano di Ravenna (circa 450), si ripete un programma iconografico di cara8ere ecumenico, ma in un contesto assai più solenne e cerimoniale. Nel mosaico della cupola, un clipeo centrale col BaIesimo di Cristo corrisponde al ba8esimo del catecumeno che si celebrava al di so8o in linea ver0cale. Nella prima fascia concentrica, i due cortei simmetrici degli Apostoli si incontrano nelle figure di Pietro e Paolo. Così si produce una diale.ca fra spazio irreale figurato e spazio reale liturgico. Nella fascia più esterna, l'alternanza dei qua8ro Vangeli sull'altare e di una croce sul trono (anch'essa iterata qua8ro volte), significa l'aspirazione a un proseli0smo universale che trionfa ai qua8ro angoli del mondo a8raverso la predicazione dei Vangeli e del ba8esimo. Non è certo che il cosidde8o mausoleo di Galla Placidia a Ravenna fosse des0nato alla figlia di Teodosio e sorella dell'imperatore Onorio, ma è certo che fosse un sacello funerario annesso al ves0bolo del santuario suburbano di Santa Croce. Qui la decorazione a mosaico is0tuisce un dialogo con il defunto. Si entrava da nord (dal nartece), ma l'orientamento privilegiato è quello della chiesa stessa di Santa Croce (ovest-est). Lo a8esta la direzione della croce d'oro, al centro del cielo scuro e stellato della cupola e dei qua8ro Viven0 dell'Apocalisse. La croce è “segno del figlio dell’uomo” che, per MaIeo apparirà in cielo ad annunciare la seconda venuta del Cristo. Così come è rappresentata, Ma8eo scrive che tornerà da oriente e si manifesterà fino ad occidente: i mor0 venivano depos0 ad occidente. Questa posizione gli avrebbe permesso di a8endere la risurrezione del corpo ed essere illuminato dal segno che annuncerebbe la fine dei tempi Iconografia partecipa del rituale funerario). Non lontano da Santa Croce sorge a Ravenna un altro celebre santuario (databile 540-547): San Vitale, un o8agono con ambulacro, galleria soprastante, e cupola sul nucleo centrale. Un ves0bolo anomalo è tangente a uno spigolo dell'o8agono. Ciò consente di ricavare due accessi alla chiesa di pari dignità che rivelano due funzioni dell'edificio. Quello meridionale conduceva alla preesistente memoria del marPre Vitale, che venne inglobata in un'esedra del nucleo centrale; quello più a nord è perfe8amente assiale alla cappella absidale orientale, rives0ta dai no0 mosaici. I vescovi amministravano la gius0zia so8o il pro0ro di ingresso. La penitenza era un rito colle.vo, che prevedeva la “cacciata” prima della Quaresima, salvo poi riappacificarsi nel Giovedì Santo. Nel santuario “penitenziale” di San Pietro al monte di Civitate, il pellegrino entrava da est, “accolto” come si vede negli affreschi che hanno come protagonis0 Marcello e Gregorio Magno, passavano davan0 all’altare per pregare davan0 alle reliquie di Pietro e Paolo e usciva dal portale est. Così l’accoglienza è rappresentata nel luogo in cui il rito doveva compiersi, quindi l’immagine semanPzzava lo spazio. L'epigrafia e l'iconografia forniscono elemen0 preziosi. Peter Klein ha mostrato come il grande Cristo del portale sud di Moissac sia a-temporale, mentre quello meridionale di Beaulieu sia il Cristo della Seconda Venuta, e quello ovest di Saint-Denis sia il Cristo del Giudizio tout court. Tali varian0 avevano in comune l’equivalenza fra il portale e il Cristo come “porta della salvezza”. I grandi santuari di pellegrinaggio vennero dota0 di portali di notevole ampiezza, la cui lune8a (o 0mpano) è scolpita con il Cristo-Dio. Nell'XI secolo aveva però dominato in facciata il Cristo dell'Ascensione portato da due angeli, che nello stesso tempo era anche il Cristo parusiaco della seconda venuta, sulla base degli A. degli Apostoli. Già a Beaulieu (1130-1140) appare il Cristo unicamente parusiaco, so8o il quale i morP stanno risorgendo al suono delle trombe degli angeli. Il Giudizio Universale (in cui non possono mancare la separazione dei bea0 dai danna0 e le citazioni della ci8à celeste e delle pene infernali, sulla base di Ma8eo 25) è vicino e si conclama nei portali di Sainte-Foy a Conques, di Saint-Lazare ad Autun e della ca8edrale di Macon (ma l'epoca romanica privilegiò il Giudizio dipinto in controfacciata). Infine, nelle facciate del Poitou raggiunge il culmine un programma esteso all'intera facciata. A Notre-Dame-la-Grande a Poi0ers i portali sono sovrasta0 da un fregio che con0ene tuIa la storia della salvezza, dal peccato dei progenitori alla Na0vità di Cristo, mentre nel 0mpano superiore è opportunamente collocata l'Ascensione, alla quale assistono immobili i suoi Tes0moni. Un caso unico è, infine, la molPplicazione dei portali scolpiP in un baVstero: quello di Parma. Sauerlander ha evidenziato magistralmente come i tre portali siano proge8a0 in rapporto alla rispe.va funzione: il portale nord della Vergine e dell'Incarnazione (il più vicino al duomo) era riservato al vescovo e al clero; il portale opposto era probabilmente des0nato ai candidaP al baIesimo, cui sono rivolte le rappresentazioni della lune8a esterna (Leggenda di Barlaam, con il giovine8o sull'albero che assapora i piaceri terreni ma è minacciato dalle potenze infernali) e interna (Presentazione di Cristo al Tempio), che allude all'accoglienza del neofita nella comunità cris0ana; infine, il portale ovest (Seconda Parusia e risveglio dei mor0 come antefa. del Giudizio) alludeva al cimitero esterno ed era forse anche un portale dei fedeli. Contestualmente, la loro successione disegnava la storia cris0ana: tempo dell'Incarnazione - tempo della Chiesa - fine dei tempi. Pur nelle variabili iconografiche, questo è anche il programma di base che connota la mol0plicazione di portali (con funzioni pra0che e liturgiche differenziate) nelle caIedrali goPche di Francia. Già nella facciata ovest della caIedrale di Chartres (1145-1155) il portale sud è dedicato all'Incarnazione, quello centrale al tempo della Chiesa (con il Cristo/Dio), quello nord all'Ascensione che prefigura ancora la Seconda Venuta. L'iconografia ar0colata e complessa del XIII secolo non è però sempre organicamente riferibile alla funzione dei portali, des0na0 ai fedeli e alle processioni rituali (facciata ovest), ai canonici (portali di un braccio del transe8o, verso la domus canonicale), al vescovo (portali oppos0, verso la domus vescovile). L’ARREDO DELL’ALTARE - JEAN-PIERRE CAILLET È dalla cos0tuzione del cris0anesimo in culto «lecito» che compaiono i primi arredi d'altare, con cara8eris0che che lungo tu8o il Medioevo corrisponderanno sempre a requisi0 d'uso essenziali. Ciò avvenne grazie all'iniziaPva dell'imperatore CostanPno, che per ciascuno dei santuari fonda0 grazie alle sue donazioni non mancò di prevedere gli arredi necessari all'uso cultuale. Così il Liber Pon(ficalis della Chiesa di Roma menziona recipien0 assimilabili a calici e patene adibi0 alla Celebrazione Eucaris0ca (ovviamente accanto all’altare). Inoltre, indipendentemente da ques0 elemen0 essenziali alla celebrazione liturgica, la medesima fonte riporta altri elemen0 che, non inves00 di un valore sacrale così considerevole, non sono meno u0li allo svolgimento della cerimonia, come i candelabri ed il baldacchino d’altare. In sostanza, nei primi decenni del IV secolo sono già posP elemenP fondamentali: la stre8a associazione all'altare di ciò che in seguito sarà denominato VASA SACRA; e l'aggiunta di tu8o ciò che contribuisce ad elevare la dignità dell'arredo. Nel suo De administra(one, l'abate di Saint-Denis Suger proclama solennemente che «se dei vasi per libagioni, delle coppe e dei mortai in oro servivano a raccogliere il sangue dei caproni, dei vitelli o di una giovenca rossa, tanto più i vasi d'oro, le pietre preziose e quanto vi è di più prezioso fra le cose create devono essere des(na( a ricevere il sangue di Gesù Cristo». L'accento così posto sulle capacità trascendentali degli oggeV cultuali in materiali preziosi mo0va il costante applicarsi allo sviluppo delle tecniche relaPve alla loro produzione. Nel quadro delle summae delle conoscenze, alcuni uomini di Chiesa dell'alto Medioevo non hanno trascurato di descrivere nel de8aglio mol0 di ques0 procedimen0: tu8avia, nessuna di queste raccolte d'informazioni offre l'ampiezza, la precisione e la specificità del tra8ato in0tolato De diversis ar?bus, composto verso il 1100 da un personaggio che ha firmato la sua opera con il nome di Teofilo. Il successo di questo tra8ato è ben a8estato dal numero di copie o ada8amen0 che circolavano in un'area apparentemente molto vasta. La terza parte dell’opera tra8a della lavorazione dei metalli. Quanto ai materiali il cui impiego conferiva all'ogge8o un valore ugualmente elevato, si deve menzionare l'avorio, il cui lustro e la cui levigatezza erano sta0 apprezza0 sin dai tempi più remo0. In epoca carolingia l'avorio è sopra8u8o impiegato per legature di manoscriV di lusso, come il sacramentario del vescovo Drogone di Metz. Tu8avia, è da notare che dalla quasi totale interruzione dei canali di approvvigionamento, seguita all'espansione islamica del VII secolo, fino alla loro riapertura con le Crociate dei secoli XI e XII, l'Occidente subì una vera e propria penuria di materia prima; di qui le dimensioni spesso rido8e delle placche, la rela0va frequenza dei reimpieghi di elemen0 an0chi riscolpi0 sul verso e, in periodo romanico, il frequente impiego dell'avorio di tricheco. La rapida evocazione dei materiali e delle tecniche si deve accompagnare naturalmente a quella di coloro che li me8ono in opera. In primo luogo, s'impone il ruolo preminente del commiIente. Si comprende senza fa0ca, allora, come i pochi nomi di ar0s0 che ci sono sta0 trasmessi per tu. ques0 secoli siano sopra8u8o di religiosi: così per TuoPlo, esperto nella lavorazione dell'avorio, orafo, pi8ore, musicista e monaco a San Gallo verso il 900; così precisamente per Ruggero, prete e monaco a Helmarshausen due secoli più tardi; non dimen0cheremo neppure Vuolvino, che appare alla metà del IX secolo a fianco dell'abate dedicatore Angilberto I sull'altare di Sant'Ambrogio a Milano. Stabilite in questo preambolo le principali generalità, è giunto il momento di esaminare le cara8eris0che degli elemen0 cos0tu0vi l'arredo d'altare a cominciare dall'altare stesso. 5.1 L’altare e il suo ornamento: tovaglia, antependium, dossale, ciborio Converrà parlare di altari poiché nei secoli V e VI all'altare maggiore si aggiungono uno o più altari secondari, pos0 nelle sue adiacenze o in spazi periferici. Tu. ques0 altari erano ugualmente susce.bili di ricevere un ornamento e di essere associa0 agli ogge. cultuali che affronteremo. Un aspe8o non meno fondamentale è il nesso obbligato fra l'altare e una o più reliquie, nesso che può crearsi in diversi modi: mediante un oculus ricavato so8o la base o lo zoccolo, oppure mediante l'inserzione delle reliquie nel piede o nel corpo stesso dell'altare. La necessità d’associare all’altare le reliquie ne condiziona fortemente la stru8ura e i rela0vi arredi, e l’iconografia spesso dipenderà da esse. Quanto al formato e all'arPcolazione dell'altare, è da notare che se alla fine dell'An0chità e nell'alto Medioevo coesistono mense circolari, semi-circolari o re8angolari, la formula dell'altare- cassa quadrangolare s'impone rapidamente, favorendo lo sviluppo di un decoro sul prospe8o anteriore. La modalità di rives0mento più agevole prevede il dispiegamento sulla mensa di un DRAPPO, che in base all’ampiezza può dissimulare i suppor0 (avorio post-carolingio mostra una leggera bordura, la tovaglia delle offerte di Abele arriva fino a terra). Il Velo di Classe, databile al terzo quarto dell’VIII secolo e proveniente da un santuario di Verona, raccoglie frammen0 di una di queste tovaglie a ornamentazione di cara8ere suntuario; i ricami sono di fili di seta e oro, e comprendono una serie di medaglioni figura0 in cui la successione dei personaggi si rivela profondamente carica di significato: sono presen0 proto-mar0ri e vescovi locali, mostrando il radicarsi della chiesa veronese nel suo glorioso passato. Verso la metà del IX secolo, il desiderio di accrescere pres0gio e preroga0ve mediante la filiazione dai mar0ri, anima Angilberto II, impegnato nella concezione del programma dell’Altare d'oro di Sant'Ambrogio a Milano. È l'arredo più ricco che si sia conservato, le qua8ro facce sono rives0te di lastre in metallo prezioso - la fronte d'oro, gli altri tre la0 d'argento parzialmente dorato -, con risal0 a smalto cloisonné per le bordure. La logica organizza0va di questo discorso figurato necessita di essere so8olineata. Il prospe8o anteriore verso la navata illustra i valori fondamentali del dogma, con al centro Cristo in gloria entro una composizione cruciforme, che ingloba i quaIro simboli evangelici e i dodici apostoli, mentre da una parte e dall'altra formelle re8angolari accolgono i principali episodi del Nuovo Testamento. I due la0 minori dell'altare di Milano cos0tuiscono in un certo modo le «glosse» del centro del prospe8o anteriore, poiché si Sopra8u8o nell'Oriente paleo bizan0no si sono conserva0 pezzi di questo genere, con foglia d'argento lavorata a sbalzo, dorature per alcuni sogge. e incrostazioni a niello per le iscrizioni. Ma anche in Occidente ques0 procedimen0 paiono ben a8esta0. Per la Gallia del VI secolo in par0colare, il testamento del vescovo Remi di Reims fa riferimento ad un vaso d'argento da cui si dovrà recuperare il metallo per realizzare calici e patene. Si tra8a tu8avia di casi isola0, poiché i calici e le patene in uso in Occidente non hanno conosciuto una vera e propria fioritura iconografica prima della seconda metà del XII secolo, quando cer0 temi sono ripresi da ciò che era stato sviluppato nel mondo bizan0no post-iconoclasta: così la Crocifissione della patena proveniente da Trzemeszno (Polonia) fa pensare a quella della patena, del X secolo e di origine costan0nopolitana, del tesoro della caIedrale di Halberstadt. Ma sopra8u8o è la riflessione teologica sull'Eucares0a a condizionare la scelta dei sogge. e il loro ordinamento; così sulla patena di Trzemeszno la Crocifissione si trova al centro di una teoria di nove prefigurazioni, che rinviano a qua8ro dogmi fondamentali del Nuovo Testamento: (episodio del vello di Gedeone e seconda offerta di Gedeone), l'isPtuzione dell’EucaresPa (Melchidesech), il supplizio di Cristo e l'ascensione del Salvatore resuscitato (scala di Giobbe). Il calice accoppiato a questa patena dispiega un programma non meno elaborato: sulla parte principale della coppa sono evoca0 i dogmi della Cristofania (ba8esimo di Gesù), dell'is0tuzione dell'EucaresPa (Cena) e, sopra8u8o, dell'Incarnazione (Mosè nel roveto ardente, Aronne e la verga fiorita, Annunciazione, Na0vità); nella parte inferiore della coppa, nel nodo e nell'a8acco del piede sono raffigurate tre «quaterne» maggiori (simboli evangelici, fiumi del paradiso, virtù cardinali); infine, lo svasamento del piede accoglie le personificazioni delle o8o bea0tudini del Vangelo di Ma8eo. A par0re dal XIII secolo, il dossale cristallizzerà le principali traduzioni figura0ve dei temi della messa. Cer0 esempi conservano un'iconografia assai ricca. È segnatamente il caso del magnifico calice offerto alla Basilica di San Francesco ad Assisi da papa Niccolò IV, e realizzato dall'orafo senese Guccio di Mannaia verso la fine del XII secolo: per la scelta e la distribuzione dei sogge. (la Crocifissione associata alle figure degli apostoli, diversi sanP, animali e uccelli) eguaglia in profondità e chiarezza gli esemplari del secolo precedente. Ma il calice di Niccolò IV si segnala sopra8u8o per un'innovazione tecnica di vasta portata: vi appaiono medaglioni rialzaP di smalP traslucidi su basso intaglio; grazie al gioco di luci e ombre creato dalle variazioni del modellato Guccio è riuscito a conferire a ques0 piccoli quadre. un aspe8o propriamente pi8orico. Indipendentemente dall'avorio, l'oro e l'argento erano parimen0 ritenu0 adegua0 alla realizzazione di tali rice8acoli. Nel XII secolo, lo sviluppo della produzione limosina di arredi liturgici in smalto champlevé su rame doveva opportunamente coincidere con la solennizzazione della Celebrazione Eucaris0ca. Sempre nel XII secolo si opta spesso per la conservazione dell'os0a in un tabernacolo. Il tabernacolo può altresì essere realizzato in forma di cofaneIo, la cui apertura conduce allo sviluppo di un vero e proprio triVco o anche poliVco, come mostra l'esempio proveniente da Cherves (sud-ovest dell'a8uale Francia) e realizzato da ateliers limosini verso il 1235. Con realizzazioni di questo genere, il riceIacolo giunge così a confondersi con un dossale, di cui occupa la stessa posizione nella parte posteriore dell'altare. 5.3 I reliquiari Abbiamo già osservato come nel V secolo le reliquie fossero associate all'altare, incorporate ad esso . Quando si diffonde l'uso di localizzare le cripte so8o il santuario, in esse saranno ospitate anche le reliquie dei corpi dei san0, in par0colare di quelli di cui si conservava una parte considerevole. Tu8avia, in rapporto alla preoccupazione di valorizzare i res0 venera0, si procederà alla loro elevazione: così nell'853, a Sens, l'arcivescovo fa’ riesumare i corpi di Santa Colomba e di San lupo per deporli nella nuova abbazia, giusto in occasione della consacrazione; e per rinviare ad una delle più famose a8estazioni successive, andrà evocata la tes0monianza di Suger circa la traslazione dei res0 dei mar0ri dalla cripta all'altare maggiore di Saint Denis. L'esaltazione dei corpi si accompagna evidentemente alla magnificazione dei loro riceIacoli: la generalizzazione di queste pra0che doveva determinare un notevole incremento della fabbricazione di reliquiari, che spesso assumevano l'aspeIo di sarcofagi, con coperchio a doppio spiovente. L'ogge8o riproduce così lo schema dell'edificio ecclesiale, seguendo una tendenza che mira a suggerire che i due rice8acoli, ovvero la teca e l'edificio nel quale essa si trova, cos0tuiscono parallelamente il luogo di riposo del santo. In epoca romanica, tale configurazione in tomba-edificio ereditò ciò che era già prevalso per tu8a una serie di reliquari portaPli dell'Alto Medioevo. Ma l’ar0colazione si complica ormai sensibilmente, in par0colare con giochi di arcate che ricadono su colonne agge8ate, inquadrando personaggi o scene a sbalzo che emergono fortemente dal fondo. In parallelo al rice8acolo-edificio, un'altra categoria di reliquiari riconosce uno sviluppo considerevole a par0re dall'anno 1000: si tra8a di reliquiari antropomorfi, che materializzano il corpo stesso del Santo o quantomeno una delle sue par0. Uno dei più illustri esempi è la Santa Fede di Conques, vera e propria statua realizzata in foglia d'oro su anima di legno, impreziosita da innumerevoli gemme e con una finestra sul pe8o per lasciare intravedere la reliquia stessa. Nonostante manchino indicazioni precise sulla sua collocazione originale tu8o lascia credere che questa statua si trovasse nei pressi dell'altare. Infine, un'ul0ma categoria di reliquie ha assunto una importanza sempre maggiore a par0re dalla metà del XIII secolo: si tra8a degli ostensori, la cui peculiarità consiste nel facilitare la vista della reliquia, ponendola in una teca finestrata, inclusa in una composizione d'oreficeria di 0po archite8onico o figurato: è il caso dell'ostensorio di San Luigi in San Domenico a Bologna, realizzazione probabilmente parigina dei dintorni nel 1300, ove due angeli sostengono una teca finestrata configurata come cappella sormontata da una guglia. 5.4 Le croci Il problema dell'eventuale mobilità si pone pure per le croci, che dall'alto Medioevo era abitudine porre sulla mensa d'altare o nelle sue immediate vicinanze. Per il suo formato, la croce offerta dalla badessa MaPlde e dal fratello O8one al monastero di Essen (973-982) può essere adibita allo stesso uso, ma il trasporto dell’ogge8o, tramite un’asta, è a8estato dal riquadro smaltato del recto del piede, dove compaiono i due donatori. A volte lo stesso supporto della Croce, quando essa è posta sulla mensa, riceve un tra8amento molto elaborato: lo tes0monia il piede di croce proveniente dall'abbazia di Saint-Ber0n nel nord della Francia; seguendo la tendenza dell'epoca, vi si dispiega una complessa iconografia Ppologica, che alle figure degli evangelis0 e dei loro simboli a tu8o tondo associano numerose prefigurazioni veterotestamentarie, per un insieme che si rapporta evidentemente al sacrificio divino. Si tra8a dunque di oggeV propriamente mobili. Il crocifisso in legno policromo, tradizionalmente a8ribuito all'inizia0va dell'arcivescovo Gerone di Colonia (969-976) potrebbe essere considerato un monumento di questo 0po, poiché, originariamente posto in prossimità della sepoltura del prelato nella navata centrale della ca8edrale, è molto probabile che stesse accanto all'altare della Santa Croce. Tali dispiegamen0 figura0 in prossimità della mensa eucaris0ca completavano ciò che proponevano i palioV e i primi dossali, e questa funzione illustra0va della commemorazione del Sacrificio appariva dello stesso 0po di quella dei crocifissi dipin0 su tavola, pos0 all'accesso del coro e in uso sopra8u8o in Italia in epoca romanica. 5.5 Candelieri ed incensieri Par0colarmente presen0 nelle miniature dell'epoca, i candelieri presentano variabili quan0tà di u0lizzo: alcune miniature mostrano qua8ro candelieri divisi a coppie sulla mensa, altre addiri8ura due o ancora se8e. Il teologo Onorio ha elaborato tu8a una simbologia rela0va a questo ogge8o: egli associa i due lumi all'AnPca Legge e all'insieme dei profe0, che precedono l’annuncio del vangelo; o alle figure di Mosè e di Elia, che inquadrano Cristo trasfigurato sul Tabor; o ancora all’amore di Dio e all'amore del prossimo, predica0 dal Vangelo; quanto ai se8e lumi, sono i seIe doni dello spirito santo. D'altra parte, il dimensionamento rela0vamente rido8o di cer0 esemplari implica che non poggiasse sul suolo ma piu8osto sulla mensa dell'altare. Ques0 candelieri potevano essere realizza0 in rame o in bronzo, e prevedere una semplice ornamentazione a modanature. All'occasione però si poteva ricorrere pure a metalli più preziosi, elaborando un'iconografia rapportata alla des0nazione d'uso. Ne sono eccellen0 esempi due candelieri d'argento legaP al nome di Bernward, vescovo di Hildesheim, nei dintorni dell'anno 1000, e il candeliere des0nato dall'abate Pietro alla sua chiesa di Gloucester. Nei due casi, il tema del tralcio abitato è stato impiegato per esprimere il desPno dell'uomo; e mentre sullo zoccolo e sul fusto numerosi personaggi si diba8ono nel groviglio vegetale so8o la minaccia di creature mostruose, la caloIa sommitale che si sforzano di raggiungere si presenta come la fonte di luce divina. Alberto di Sozio. L’area principale di diffusione di tali croci fu l'Italia Centrale. È da notare che già in alcune croci metalliche si usò la sagoma dell’ogge8o per rappresentazioni addizionali (croce del Duomo di Vercelli: Vergine e Giovanni ai la0 del braccio corto, discesa nel Limbo nel suppedaneo ed Ascensione nella parte superiore) I due 0pi iconografici principali sono il CHRISTUS PATIENS e il CHRISTUS TRIUMPHANS. Entrambi hanno un rapporto con la liturgia, me8endo però in evidenza aspe. diversi: il primo me8e l'accento sulla Passione, il secondo sulla Redenzione. Il Christus pa0ens è solo una definizione globale, perché le formule di espressione erano sogge8e a variazioni importan0. Fino all'inizio del Duecento la Passione di Cristo fu solo indicata dalla testa reclinata e dagli occhi chiusi. Poi fu introdo8a, probabilmente da Giunta Pisano, la formula del corpo curvato, che risale all’ambiente bizan0no. Con l'introduzione di questa formula, poi perfezionata da Cimabue, Giunta apportò anche un'altra innovazione importante: nel crocifisso di Santa Maria degli Angeli egli si concentrò completamente sul Cristo morto liberando il tabellone dalle raffigurazioni e sos0tuendole con l'imitazione di un tessuto prezioso. È degno di nota so8olineare che la maggior parte di ques0 0pi provengano da conven0 francescani o clarisse: ciò rivendica ai francescani un ruolo fondamentale, essendo a8en0 alle innovazioni iconografiche della Passione e alla sua raffigurazione senza brani narra0vi. A Bologna furono probabilmente i domenicani i primi a ordinare negli anni Cinquanta una croce a Giunta, dopo di che i francescani e altri reagirono con croci dello stesso 0po eseguite da un seguace di Giunta, il cosidde8o Maestro dei crocifissi francescani. Anche la famosa croce di Santa Maria Novella di GioIo fu dipinta per i domenicani. Sul piano della 0pologia l'opera si man0ene grosso modo nella tradizione giuntesco-cimabuesca. Nella rappresentazione del corpo, Gio8o presentò un nuovo 0po del Cristo pa0ens, dipingendo Cristo senza vita pendente dalla croce, cui è a8accato con tre soli chiodi. Sia questo par0colare sia il nuovo 0po del corpo di Cristo furono con ogni probabilità suggeri0 dai crocifissi e dalle rappresentazioni della Crocifissione di Nicola e Giovanni Pisano, che favorirono soluzioni simili anche nel senese. Le sole novità rilevan0 introdo8e all'inizio del Trecento riguardano in primo luogo la forma della croce, quando i bracci terminano in tre tabelloni stellaP (come nei pi8ori senesi dopo Duccio) o polilobaP, come nella croce di Gio8o per la Cappella dell'Arena ora al Museo Civico di Padova. Iconograficamente, l'immagine del Padre Eterno benedicente fu sos0tuita talora dal pellicano che alla8a i piccoli col proprio sangue, un simbolo cristologico ormai molto diffuso. Nell'area so8o il dominio di Venezia talvolta i simboli degli evangelis0 furono dipin0 sui terminali, mentre la Vergine e san Giovanni dolen0 vennero pos0 su tavole separate, così come nella croce di Paolo Veneziano nella chiesa domenicana di Dubrovnik. La produzione delle croci dipinte con0nua sino al Qua8rocento inoltrato e fu probabilmente la Ppologia più riuscita della piIura su tavola. Il suo successo risulta non solo dal numero delle opere pervenuteci, ma anche dalla loro diffusione. Intorno al 1300 la croce dipinta dove8e essere un fenomeno tanto diffuso che quasi ogni chiesa ne aveva una (talvolta anche due, sopra8u8o nelle chiese più ricche. Le chiese minori tendevano a rinnovare i modelli tramite sos0tuzione o ridipintura). Per quanto riguarda la collocazione delle croci dipinte all'interno delle chiese, sono gli affreschi della Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi a fornire indicazioni preziose, raffigurando per ben tre volte interni ecclesias0ci dota0 di simili arredi. Abbastanza semplice è la situazione nell'affresco raffigurante San Francesco a San Damiano: qui la croce è collocata sopra l'altare. Sembra la sistemazione più ada8a per una chiesa di modeste dimensioni (San Damiano è un piccolo oratorio). Questo modello è molto diffuso anche in ambiente fioren0no (l’usura all’altezza dei piedi potrebbe rimandare ai con0nui baci vo0vi dei fedeli). La chiesa raffigurata nel Presepio di Greccio, sempre ad Assisi, somiglia poco al piccolo eremo dove secondo la Legenda Maior di Bonaventura si svolse il miracolo, ed anzi il coro appare molto più grande di quello raffigurato nell'altro affresco assisiate, raffigurante l’Accertamento delle s0mmate. È separato dalla navata da un tramezzo in muratura, sul quale sono situa0 a sinistra un pulpito accessibile dal coro e nel mezzo una grande croce pendente da una struIura di appoggio. Una tale sistemazione è plausibile par0colarmente per le croci di grande formato. L'affresco raffigurante l'Accertamento delle sPmmate colloca l'evento nella chiesa della Porziuncola. Si tra8a di un edificio di media grandezza. Lo spazio in cui si svolge la scena sembra non troppo grande se le tavole inserite sulla trave sono assicurate con 0ran0 al muro di fondo del coro. Tale sistemazione era probabilmente molto comune. TiranP o altri supporP erano comunque necessari per la stabilizzazione delle opere. Invece non ci sono indizi che le croci fossero appese a una volta o all'arco trionfale, come tu8ora si vede in tante chiese. Questa sistemazione sembra infaV post-medievale, resa necessaria dopo la rimozione di tan0 tramezzi, pon0li e travi nell'epoca moderna. 7.2 Le Madonne col Bambino 7.2.1 Le Madonne col bambino a mezzo busto La Madonna col Bambino a mezzo busto è una formula Ppica delle icone bizanPne. Le più an0che icone in Italia si trovano a Roma e in quelle aree che tradizionalmente avevano rapporP direV con l'impero bizanPno (Venezia, Puglia e Sicilia). Per quanto riguarda l'Italia Centrale, vedi la Toscana, la presenza delle icone e la possibilità di un'influenza immediata sulla pi8ura della regione, non è dimostrabile. L'unico esempio è la cosidde8a Madonna di soIo gli organi del duomo di Pisa, probabilmente opera di un pi8ore proveniente dal bacino Mediterraneo orientale e databile circa 1200. Anche a Siena si trova un'icona di provenienza orientale, l'Hodigitria della chiesa del Carmine. Hans Bel0ng l'ha datata al Duecento, suggerendo così la possibilità di un'influenza sulla pi8ura senese, ma il dipinto potrebbe risalire già al Trecento. Nello stesso tempo si svincolava la formula della Vergine col Bambino a mezzo busto dalla costrizione della tavola singola per collocarla nella parte centrale di un poliVco o nel contesto di tavole di piccolo formato di varie Ppologie. Un'icona non è una tavola d'altare, non fu creata, cioè, come dotazione stabile di un altare. La sistemazione di icone mariane sopra l'altare maggiore, in una stru8ura barocca è evidentemente post-medievale. La sugges0one di una collocazione più auten0ca è offerta dalla Madonna di Crevole di Duccio, ora al Museo dell'Opera Metropolitana di Siena. Essa proviene dal piccolo eremo agos0niano di Montespecchio, dove era molto probabilmente collocata su un altare laterale. 7.2.2 Le Maestà L'immagine occidentale “standard” della Madonna era da tempi an0chi la statua della Vergine col Bambino in trono. Esempi in oro o legno sono i preceden0 delle tavole dipinte con lo stesso sogge8o che si svilupperanno nel tardo XII secolo, prevalentemente nell’Italia centrale. Come nel caso delle croci dipinte, esistono opere che sembrano a metà strada tra scultura e pi8ura; la cosidde8a Madonna del Carmelo, già a8ribuita a Coppo di Marcovaldo, ne è probabilmente l'esempio più noto. Spicca in un buon numero di tavole la cornice spessa, sovente decorata con bugne o altri elemen0 plas0ci. Infa., esiste una 0pologia speciale, con ogni probabilità di origine fioren0na, in cui la sagoma della testa col nimbo sporgente agge8a nella parte superiore della tavola. Dagli anni 1260 in poi si verificano anche altri sviluppi importan0. Mentre nelle tavole più an0che la Vergine è raffigurata normalmente nelle ves0 della Nikopoia (seduta sul trono frontalmente, nell'a8o di tenere il Figlio davan0 a sé), ormai so8o l'influsso delle icone bizan0ne, il 0po iconografico favorito della Vergine col Bambino è l'Hodigitria. Anche i forma0 sono cresciu0, culminando nella Madonna duecentesca più grande in assoluto, la Maestà Rucellai di Duccio. L'enorme dimensione del capolavoro duccesco rifle8e non solo il grande spazio della chiesa di Santa Maria Novella a Firenze, cui fu des0nata, ma anche la rivalità tra i vari commi8en0. È molto probabile che fossero le confraternite laiche soIo la direzione spirituale degli ordini mendicanP, alle quali sono da ricollegare parecchie delle tavole note, a spingere verso ques0 sviluppi. L'esempio più sicuro è proprio la stessa Maestà Rucellai, commissionata nel 1285 dalla Compagnia dei Laudesi di Santa Maria Novella. Spicca poi la provenienza di un buon numero di queste tavole da chiese degli ordini mendicanP, tanto da supporre che anch’esse fossero commissionate da confraternite con una sede presso queste chiese. consenso sulla sua funzione originaria. Ques0 esempi dimostrano con quanta facilità la formula della tavola agiografica poté essere ada8ata a circostanze par0colari, e la stessa cosa è dimostrata dal poli.co della Beata Umiltà, eseguito da Pietro LorenzeV per la tomba della beata nella chiesa vallombrosana di San Giovanni Evangelista vicino a Firenze, ove la 0pologia è stata ada8a ad un poli.co. Accanto alla tavola agiografica, esisteva quella raffigurante un santo in piedi ma senza storie laterali. Anche in questo caso si conoscono mol0 esempi raffiguran0 san Francesco. Altro esempio di questa seconda 0pologia è molto probabilmente il frammento guidesco di San Domenico del Fogg Art Museum. Tavole di questo 0po portano in linea dire8a alle immagini dei “san0 novelli”, come Nicola da Tolen0no o Bernardino da Siena. Per quanto riguarda la collocazione di queste tavole, un altare laterale sembra la sede più ovvia. Con la 0pologia abbastanza semplice della tavola singola di un santo non è sempre facile fare delle ne8e disPnzioni funzionali: è lecito supporre che buona parte fosse commissionata come ex-voto, altre possedevano sicuramente un caraIere didascalico. 7.4 I palioV o Antependia Nell'Occidente la0no esisteva un arredo di lunga tradizione, risalente almeno al V secolo, des0nato alla decorazione degli altari: il palioIo o antependium, che veniva collocato sul fronte dell'altar maggiore. Benché gli Antependia potessero essere esegui0 in una varietà di materiali, un numero rilevante di essi era cos0tuito da bassorilievi, in primo luogo in oreficeria, ma anche in materiali meno preziosi quali il legno e la pietra. Le tes0monianze più an0che di questa tradizione sono l'altare lapideo scolpito del duca longobardo Ratchis al Museo Cris0ano di Cividale e il rivesPmento carolingio in lamina sbalzata d'oro e d'argento dell'altar maggiore della basilica di San Ambrogio a Milano. L'antependium rappresenta un arredo diffuso in tu8a Europa e proprio gli Antependia dipinP sono tra i più anPchi dipinP su tavola che si siano conservaP. Si conoscono esemplari dalla Norvegia, Danimarca, Inghilterra, Germania, Francia meridionale, Spagna e Italia. Tra gli esemplari nordici più an0chi pervenu0ci è la tavola proveniente dalla chiesa delle canonichesse agos0niane di St. Walpurgis a Soest, databile verso il 1175 e il più an0co palio8o italiano datato proviene dal territorio senese: la tavola del Redentore del 1215, ora della Pinacoteca Nazionale di Siena, a8ribuito al cosidde8o "'Maestro di Tressa". Il mo0vo centrale dell'antependium di Soest è la Majestas Domini, circondata dai simboli degli evangelis0 e fiancheggiata dalla Vergine e dal BaVsta; presenta dunque una variante della tradizionale Deesis. Il tema, come si evince dal brano nel volume di Cristo, è legato all’Eucares0a, così come l’agnello tenuto da Giovanni. Maria regge un diagramma dei se8e doni dello Spirito; accanto Walpurga, patrona del convento e Agos0no, fondatore della regola che il convento seguiva. L'antependium senese del Salvatore si può leggere in funzione della liturgia. Esso proviene dalla chiesa abbaziale dei SanP Salvatore e Alessandro in Fontebuona (Badia Berardenga) presso il Monastero d'Ombrone e una tale des0nazione è confermata dall'iconografia delle scene. La Maiestas Domini è fiancheggiata da tre storie della leggenda del Crocifisso di Beirut, due storie della leggenda della vera Croce e dal mar0rio dei san0 Alessandro ed Evenzio. Benché l’immagine della Majestas sia standard, essa è collegata alle storie e alle feste della cosidde8a passio ymaginis sia alla festa dell’Invenzione della croce: feste solenni che erano il fulcro dell’abbazia dedicata proprio al Salvatore. Tavole con il formato re8angolare dell'antependium persiste8ero in tu8a Europa fino al Qua8rocento. La le8eratura cri0ca tende a considerare le tavole più moderne di questo formato pale d'altare anziché palio., tanto che Hellmuth Hager può parlare di dossali per l'altar maggiore derivan0 dalla tradizione dei palio.. La tavola di Berardenga sarebbe stata eseguita «ancora» come palio8o, ma poi riu0lizzata come dossale, altre invece sarebbero nate «già» come tavole d'altare. Andrew Mar0ndale nega categoricamente l'uso di tali dipin0 italiani come palio. e parla di «jumped-up antependia». Nel caso del ben noto Westminster Retable (1270-1290 circa) n é il formato re8angolare, né l'iconografia (Cristo in piedi tra la Vergine e san Giovanni Evangelista, san Pietro, patrono dell'abbazia, a sinistra, san Paolo, ora perduto, a destra) perme8ono di stabilire che era il dossale (e non il palio8o), dell'altare maggiore di Westminster Abbey, ma solo alcuni indizi archeologici. Per questo non è sempre de8o che le tavole più moderne fossero des0nate ad una collocazione sopra l’altare: la tavola di Guido di Graziano con San Pietro in trono (Pinacoteca di Siena) presenta qua8ro storie di San Pietro e due legate alla Vergine (annuncio e na0vità). Esse diverrebbero comprensibili solo se di sopra fosse stata presente un’altra raffigurazione, come una Madonna in trono, in altre parole, se la tavola fosse stata collocata come antependium e non sopra la mensa. Alla base della supposta evoluzione dal palioIo al dossale sta la convinzione che durante il Medioevo la posizione del celebrante all'altare sia gradualmente cambiata, da quella versus populum dietro all'altare a quella con le spalle rivolte alla congregazione. Sembra chiaro che la posizione più moderna abbia favorito lo sviluppo di arredi sopra la mensa dell'altare. Si tra8a in verità di un intrico di fenomeni ed ipotesi difficile da sbrogliare. In primo luogo, è opportuno ricordare che la presenza di un antependium non dice niente sulla posizione del celebrante. In effe., esistevano numerosi casi di associazione dell'antependium con una decorazione sopra l'altare. In ques0 casi la presenza di una decorazione di una certa altezza sopra l'altare de8ava la posizione del celebrante (cioè con le spalle rivolte alla congregazione). Resta però la ques0one se questa posizione sia indicaPva di un cambiamento generale nella liturgia. Secondo uno studio recente di Sible De Blaauw, questo presunto cambiamento della posizione del celebrante durante il Medioevo è uno pseudo-problema. Cruciale è l'orientamento liturgico verso est, collegato all'orientamento della chiesa secondo un asse est-ovest. La posizione del celebrante era dunque solo una conseguenza dell'orientamento liturgico dell'edificio sacro. La ques0one, però, è che proprio a par0re dal Duecento tale orientamento era sempre meno rigorosamente osservato. Il cambiamento fu probabilmente causato dal declino della liturgia colleVva e dalla proliferazione delle messe private sugli altari laterali, per i quali era difficile mantenere l'orientamento liturgico. Con il declino dell'orientamento liturgico la posizione del celebrante dipendeva semplicemente dalla collocazione dell'altare nello spazio architeIonico e questo era verso il fondo di un'abside. Data la collocazione, il prete naturalmente celebrava la messa con le spalle verso il popolo. È chiaro che tale posizione rendesse possibile lo sviluppo dei dossali: la posizione dipendeva però dallo specifico contesto architeIonico e non da un cambiamento generale nel modo di celebrare la messa. A questo punto è u0le ricordare che i primi dossali, esegui0 - come gli Antependia – in oreficeria o in pietra, probabilmente risalgono al più tardi all’XI secolo. Ciò significa che l'origine di questo 0po di arredo non ha nemmeno a che fare con gli sviluppi della liturgia conseguen0 al IV Concilio lateranense. È lecito dubitare che l’origine del dossale debba qualcosa alla liturgia in quanto tale e non a una tendenza a decorare gli altari per moPvi devozionali (il dossale non era necessario per la liturgia: le mense maggiori erano vuote, salvo gli arredi standard). Da quanto si è de8o finora risulta che è troppo semplice supporre uno sviluppo, oppure una trasformazione, dall'antependium al dossale. È vero che sappiamo di alcun casi di reimpiego (pala d’oro di San Marco a Venezia), ma sappiamo che dal Trecento i palio. dipin0 caddero in disuso. Benché la versione dipinta passò di moda, non si smise di commissionare antependia: dal Duecento in avan0 disponiamo anche di esempi conserva0 di palio. in tessuto, per esempio quello ricamato da Jacopo del Cambio nel 1336, raffigurante l'Incoronazione della Vergine, ora nell'Accademia di Firenze. Era uno dei palio. des0na0 all'altar maggiore della chiesa domenicana di Santa Maria Novella a Firenze. Di nuovo si vede come palio8o e tavola d’altare non si escludessero a vicenda. Tu8avia, si ha l’impressione che gradualmente si preferissero sempre più i palioV in tessuto, più facilmente reperibili (rispe8o ai “materiali pesan0”), trasportabili e sos0tuibili in base al calendario liturgico. 7.5 I dossali Nel contesto europeo, già dall’XI secolo i dossali erano usa0 come arredi d’altare accanto agli antependia. I materiali preferi0 sono il metallo prezioso o la pietra. Per quanto riguarda l'iconografia, si dis0nguono due gruppi principali: l'uno mostra il Cristo (stante o in trono) tra i dodici apostoli o altri san0, l'altro invece la Vergine in trono fra san0. La 0pologia di base è il formato re8angolare e anche so8o questo aspe8o i due 0pi d'arredo si assomigliano. Il formato dei primi dossali non è però sempre re8angolare: anzi, ne esistono alcuni con rialzi di varie forme (semicircolari o addiri8ura triloba0). Spesso si tra8a di un rialzo centrale desPnato ad accentuare la figura principale. Dossali con un rialzo re8angolare si trovano ancora nei pieno Trecento nell'area veneziana dove persino il dossale basso puramente re8angolare aveva trovato seguito. Un'altra variante 0pologica è rappresentata dal dossale col coronamento triangolare, già presente in Galizia durante il XII secolo e gli inizi del Duecento. È questa la forma delle più an0che tavole d'altare toscane, cioè «dossali bassi monocuspidaP». I primi esempi si incontrano in area pisana, tra gli altri il dossale del Museo Nazionale proveniente dalla chiesa di San Silvestro a Pisa, dove la presenza del santo Ptolare indica che la tavola molto probabilmente era des0nata all'altar maggiore. L'iconografia di ques0 dossali consiste principalmente in immagini della circondate da un'incorniciatura molto architeIonica, secondo una 0pologia che avrà un seguito abbastanza vasto. Al contrario del poli.co n. 28 di Duccio, gli angeli e il Redentore benedicente non hanno trovato posto in cuspidi separate sopra gli scomparP principali, bensì sono inclusi nelle ghimberghe sopra le figure. Questa circostanza aveva probabilmente reso meno facile l'inserimento di un registro intermedio. 7.7 I poliVci fuori dalla Toscana Il toscano-centrismo degli studi storico-ar0s0ci recen0 potrebbe suggerire che il poli.co toscano fosse divenuto la norma per tu8a l'Italia. Benché l'a.vità dei pi8ori toscani avesse senza dubbio contribuito alla diffusione del poli.co toscano, la situazione in gran parte dell'Italia era abbastanza diversa. Per esempio, i pi8ori spole0ni, bolognesi e riminesi della prima metà del 300 adoperavano ancora la tavola re8angolare proveniente dalla tradizione dei palio. con una figura centrale circondata da storie. Nella piIura veneziana e veneta si trova ancora nel pieno 300 il tradizionale dossale basso con figure so8o un’arcata da ambo le par0 di un mo0vo centrale, accentuato da un rialzo re8angolare. I poli0ci si creavano in un modo simile alle opere toscane, cioè rialzando le Ppologie tradizionali con un registro superiore, ma con un risultato ben diverso. Così, nel caso del poli.co del 1345 di Giovanni Baronzio, un registro con cuspidi è stato aggiunto a un dossale con rialzo centrale ed è significa0vo che il supporto della parete inferiore consista ancora di assi orizzontali, mentre le par0 del registro superiore sono dipinte su tavole ver0cali. Il poli.co della Morte della Vergine di Lorenzo Veneziano per il Duomo di Vicenza mostra una stru8ura in assi ver0cali, ma l'insieme risulta molto più teIonico e goPco e lo stesso si può dire del Poli.co dell'Incoronazione della Vergine di Paolo Veneziano per il convento di Santa Chiara di Venezia, sebbene questo presen0 l'evoluzione di una Ppologia diversa, dal momento che le 8 storie della vita di Cristo su ambo i la0 del mo0vo centrale provengono dalla tradizione dei palioV. Poli0ci veneziani di questo 0po rappresentano il massimo contrasto con quelli toscani. Mentre nei poli0ci toscani la stru8ura portante è proprio il tavolato del supporto, nei poli.ci veneziani questa funzione svolta dall’intelaiatura, in cui sono inseri0 i pannelli individuali. Questa differenza stru8urale spiega anche altri par0colari del poli.co veneziano. L’ incorniciatura è molto più lavorata e si tra8a proprio di un prodoIo di intaglio (vedi conchiglia). Non tu8e le tavole sono assi ver0cali. nel caso del poli.co di Paolo Veneziano solo la parte centrale dell'incoronazione è dipinta su una tavola ver0cale; le storie laterali e quelle del registro superiore sono invece dipinte su tavole orizzontali. Questa stru8ura dell'intelaiatura portante perme8eva un assemblaggio abbastanza facile, una circostanza che probabilmente non era estranea al fa8o che i pi8ori veneziani fornivano anche all'estero hinterland delle due sponde del mare Adria0co. Rimane ancora da verificare se queste cara8eris0che del poli.co veneziano si trovino anche in altre regioni d'Italia. Talvolta, opere come il poli.co dell'incoronazione della Vergine di Simone dei crocifissi della Pinacoteca nazionale di Bologna sembrano dimostrare una struIura simile ai poliVci toscani, ma con un’incorniciatura intagliata impensabile senza i modelli veneziani. 7.8 La piIura su tavola fuori d’Italia La presenza di tradizioni scultoree è da tenere presente quando si prende in considerazione la pi8ura su tavola fuori dall'Italia. Solo in Spagna si sviluppò una tradizione per i poliVci dipinP simile a quella italiana. Benché sia possibile trovare delle opere con forme non dissimili dai poli.ci toscani, oppure addiri8ura manufa. italiani di importazione (quali il poli.co e palio8o di Barnaba da Modena a Murcia), l'evoluzione generale dei poli.ci nella penisola iberica andò in un'altra direzione. Proprio nel periodo di Arnau Bassa, la stru8ura del retablo spagnolo è stata più o meno formalizzata. Il corpo principale, che è anche la stru8ura portante, è quasi sempre reIangolare con un rialzo centrale, una divisione interna con modanature goPche, e foglie a ga8oni intorno alle cuspidi ad arco acuto; la parte centrale con0ene normalmente l'immagine della Vergine col Bambino o di un santo fiancheggiato da storie. Nelle isole britanniche, in Francia e negli anPchi Paesi Bassi è sopravvissuto poco materiale prima del 1400. Questa circostanza non è solo dovuta alle numerose traversie ma rifle8e anche una situazione storica specifica: la piIura su tavola rappresentava una tradizione molto meno radicata rispeIo all'Italia. Benché il numero di dipin0 su tavola pervenu0ci dalle regioni germanofone sia molto più significa0vo, si deve constatare che in tuIa l'Europa transalpina prevalsero Ppologie diverse da quelle italiane e spagnole. In primo luogo, si nota dappertu8o la sopravvivenza della tradizione del dossale basso. Un'ulteriore evoluzione è rappresentata dalla tavola di Ganthem, sull'isola di Gotland della prima metà del Trecento. La parte principale conserva ancora il tavolato di assi orizzontali, ma rialzato con una cuspide centrale, consistente di due assi ver0cali, e pilastri laterali con guglie. Si tra8a di un interessante proto-poliVco non difforme dagli esempi italiani. Tu8avia, questa evoluzione si è presto esaurita, perché in nessun luogo dell'Europa transalpina furono create delle tavole d'altare comparabili a quelle italiane o iberiche. Quanto complessa la decorazione d'altare potesse essere è indicato, per esempio, dal dipinto di Rogier van der Weyden raffigurante l'Esumazione di Sant'Uberto di Liegi. Sull'altare si vede in primo piano un reliquario, mentre dietro sporge un dossale dipinto con un rialzo centrale. Questo dossale funzionava quasi come piedistallo per la statua di San Pietro racchiusa in un tabernacolo con ante dipinte e chiudibili. Questo cara8ere di assemblaggio fu in un certo senso sistemaPzzato nei retabli scolpiP trecenteschi delle regioni germanofone, che sembrano racchiudere in sé le cara8eris0che di tabernacoli e di scrigni per reliquie. Si tra8a in primo luogo di oggeV scolpiP con ante apribili, di cui solo le facce esterne sono dipinte. Le ante di ques0 retabli sono elemen0 importan0, dal momento che contengono raffigurazioni sui due la0. Il lato esterno è sempre dipinto, l'interno dipinto oppure scolpito a rilievo, mentre l'iconografia è complementare alla raffigurazione della parte centrale. La presenza di ante chiudibili perme8eva di cambiare il retablo secondo il calendario liturgico. L'importanza a8ribuita ai la0 esterni si rifle8e persino nei tabernacoli o triVci di piccole dimensioni, che erano probabilmente desPnaP a un uso privato e personale. È questa la più grande differenza con i manufa. italiani analoghi. Si conoscono tan0 tri.ci o tabernacoli italiani di piccolo formato, ma normalmente i la0 esterni si presentano con mo0vi decora0vi, o, se figura0vi, di qualità minore. Perché tu8e queste differenze tra l'Italia e l'Europa transalpina? Risposte semplici non si offrono. Tu8avia, uno dei mo0vi va certamente cercato nella diversa preponderanza delle tradizioni scultoree. Inoltre, è probabile che quest'ul0ma sia collegata anche alla diversa commiIenza. Mentre gli ordini mendican0 hanno svolto un ruolo importan0ssimo nello sviluppo e nella diffusione del poli.co dipinto, il loro ruolo è stato molto meno cospicuo nel Nord, dove invece gli ordini monas0ci erano commiIenP importanPssimi. Nella considerazione della piIura su tavola in Francia si deve tener conto di altri fa8ori. Innanzitu8o, è lecito supporre una presenza relaPvamente massiccia di dipinP italiani. Tavole di piccolo formato hanno svolto un ruolo non trascurabile nella trasmissione di influssi italiani in Francia. Benché la presenza di dipin0 su tavola negli inventari principeschi sia ben documentata, il numero di essi è irrisorio in confronto ai tanPssimi oggeV di oreficeria. Ma proprio questa reciprocità potrebbe spiegare le cara8eris0che di alcuni dipin0. Mentre alcune tavole, quali il piccolo di.co Carrand (Firenze, Museo del Bargello), sembrano la trasposizione di una miniatura su un altro supporto, il grande diVco Carrand sembra proprio il manufaIo di un orafo con la sua carpenteria minuta e preziosa. Questo orientamento della pi8ura su tavola verso le ar0 suntuarie ha probabilmente anche giocato un ruolo nell'invenzione della piIura su olio, proprio per le possibilità che offriva questa tecnica di imitare l'effeIo traslucido degli smalP. 7.9 Tavola d’altare e contesto spaziale Il rapporto fra tavola di grande formato e contesto architeIonico si pone in modo par0colare nel caso della tavola d'altare dipinta sui due laP. L'essere bifronte non cos0tuisce di per sé una cara8eris0ca 0pologica, perché vale non solo per alcuni dossali e poliVci molto diversi tra di loro, ma anche per altre categorie, quali croci e tavole processionali. La presenza di due facce dipinte indica solo che doveva esistere un fruitore diverso per ogni lato. Nel caso di tavole di notevoli dimensioni questa cara8eris0ca implica dunque una posizione importante all'interno di una chiesa. L'unica chiesa medievale dove si può ancora vedere in situ come funzionava un'opera double-face è l'ex-chiesa cistercense di Doberan. L'altare della Croce è corredato da un retablo scolpito e da un grande crocifisso, anch'esso scolpito. Le facce di fronte, con soggeV cristologici, sono rivolte al coro dei conversi, mentre gli altri la0, con soggeV mariani, sono rivol0 verso il coro dei monaci. Nel caso della famosa Maestà di Duccio, installata sull'altare maggiore del Duomo di Siena nel 1311, la disposizione originaria è molto meno chiara. Per qualche tempo si è ipo0zzato che il fronte, con la Vergine col Bambino in trono tra angeli e san0, fosse quello rivolto verso la congregazione, mentre il tergo, dipinto con Storie di Cristo, fosse rivolto verso gli stalli dei canonici dietro l'altare. Ora invece prevale la tendenza a res0tuire il coro dei canonici davan0 all'altare. Con questa nuova ricostruzione si deve non solo ridefinire il «pubblico» cui era visibile il tergo, ma anche il ruolo delle storie cristologiche ivi dipinte. Un grande ostacolo nello studio dei rappor0 tra pi8ura su tavola e archite8ura è la difficoltà ad immaginare le divisioni spaziali all'interno delle chiese medievali. Sia ques0 frazionamen0 sia le hanno rilevato come gli episodi siano distribui0 all'interno della pagina seguendo un criterio non ancora compiutamente iden0ficato e ben diverso dall’ordinata successione narra0va che cara8erizza le qua8ro miniature supers00 di un altro codice veterotestamentario miniato, l'Itala di Quedlinburg. Sulla base di eviden0 assonanze individuate tra le iconografie di alcune scene e la liturgia romana, recentemente il Pentateuco Ashburnham, prima assegnato ad Africa se8entrionale o alla Spagna, è stato ricondo8o alla produzione romana so8o il regno di papa Gregorio I Magno (590-604); in par0colare sarebbero le cerimonie del ciclo pasquale ad essere raffigurate nelle scene dell’Esodo, a dimostrazione del fa8o che non lo scri8o, bensì l’immagine doveva avere una funzione di guida nell’uso del testo nella liturgia della chiesa primiPva. Ci si può chiedere se questa stru8ura di narrazione a pericopi possa essere stata desunta dai modelli giudeo-alessandrini, che Weitzmann ha individuato come fon0 per la tradizione illustra0va veterotestamentaria medievale; tali modelli dovevano avere infa. una struIura illustraPva varia e non stabilizzata, fru8o dell’uso liturgico o devozionale privato del codice miniato e non di quello pubblico della sinagoga. In mancanza di adeguata documentazione rela0va agli Epistolari di così alta cronologia (per i quali però si tes0moniano versioni di lusso), si può osservare come anche nei codici minia0 contenen0 i qua8ro Vangeli il sistema illustraPvo viene ad assumere una precisa funzionalità in relazione al loro possibile impiego liturgico. La costante mise en page dei qua8ro tes0 in un unico volume e la loro lec(o con0nua aveva evidenziato le divergenze fra le quaIro narrazioni: per conciliare queste differenze, si fecero fin dai primi secoli del cris0anesimo alcuni tenta0vi di armonizzare il racconto e tra ques0 quello che gode8e di maggior favore è l'opera di Taziano. Egli compose a Roma, a8orno al 170, il Diatessaron, un racconto unitario basato sulla narrazione dei qua8ro Evangelis0. Parallelamente al Diatessaron, è documentato un altro sistema per visualizzare le concordanze evangeliche. Esso è cos0tuito dalle Tavole dei Canoni, elaborate da Eusebio di Cesarea (265/340) ma sopravvissute solo in codici del VI secolo. Esse perme8ono un rapido reperimento dei tes0 e la loro stru8ura archite8onica cos0tuisce un’efficace griglia mnemotecnica, dato che gli spazi sono scandi0 da complessi sistemi di arcate disposte in origine su dieci pagine. L'ar0colazione sempre più complessa del par0to archite8onico, a8orno al quale si dispongono elemen0 vegetali, zoomorfi, imagines clipeatae e scene narraPve, è stata fino ad ora studiata prevalentemente so8o l'aspe8o 0pologico e stru8urale. È possibile invece che sia stato proprio l'uso liturgico dei codici a suggerire una più accurata visualizzazione dei singoli passi, sopra8u8o in relazione ad immagini di immediata connessione con le feste più importan0 durante la quale venivano le.. Alla stessa logica si ispira la narrazione conPnua per immagini che si ritrova nei Vangeli di Rossano e che riprende lo schema cronologico delle le8ure liturgiche che la chiesa di Gerusalemme faceva dal sabato prima delle Palme al Venerdì Santo; in questo codice la streIa relazione fra i passi del Nuovo ed AnPco Testamento che li prefigurano esplicita quel sistema di rimandi che le le8ure rituali imponevano. Probabilmente aveva la stessa relazione con la liturgia anche il Vangelo di Sinope che appar0ene al novero dei codici liturgici purpurei, codici che compaiono fin dall'età costan0niana sulle mense degli altari, le quali risaltano la Parola Divina con l'uso della pergamena violacea, dell'inchiostro aureo e argenteo e con elegan0 scri8ure d'apparato. Il sistema illustra0vo di ques0 codici era completato dai ritraV dei quaIro EvangelisP, isola0 su un foglio o compos0 in armonia entro un unico schema. Essi fin dall’inizio furono pensa0 solo per la venerazione e la preghiera, e non per lo studio. Ritra. di Evangelis0, simboli evangelici e tavole dei canoni cos0tuiscono l'apparato illustra0vo anche dei Vangeli insulari, i quali si cara8erizzano per la presenza delle carpet-pages, i quali a8estano l'uso sacramentalizzante dell’ornamentazione. La loro origine è stata ipo0zzata sia in area mediterranea che insulare, ma è probabilmente la prima ipotesi quella più convincente. È certamente nel contesto insulare però che la tradizione della carpet-page si consolida fra VII e VIII secolo, come dimostra il Book of Durrow, che conserva eviden0 tracce di uso della porpora regale in funzione dignificante. La stru8ura delle iniziali insulari si sviluppa fino a cos0tuire un compiuto sistema di accesso al testo, evidenziando gli incipit delle singole leIure. Parallelamente vengono introdo8e miniature a piena pagina, che rivelano precise connessioni con le le8ure liturgiche. Mentre è ancora abbondantemente documentato l'uso liturgico di ques0 lussuosi libri vetero e neotestamentari, nuove 0pologie librarie avevano fa8o la loro comparsa, a par0re dal V-VI secolo, in veste meno preziosa e appariscente, dotate di un sistema di accesso al testo semplice, ma funzionale all'individuazione delle leIure, il cui inizio era indicato da le8ere di modulo variabile. A par0re dall'età carolingia iniziano ad essere prodo. lussuosi evangelistari, che presentano il testo diviso nelle pericopi che si succedono nell'ordine delle feste religiose cui si riferiscono. L’Evangelistario di Godescalco, composto per Carlomagno tra 781 e 783, è il primo prodo8o dalla scuola di corte. La pergamena del manoscri8o riprende l’opulenta colorazione purpurea dei Vangeli tardo- an0chi, le pagine sono impreziosite da cornici dai pa8erns complessi e dai colori preziosi ed evidenziano i tes0 non solo con la crisografia, ma anche con l'uso di scriIure di apparato e iniziali dalle dimensioni variabili che perme8ono di individuare immediatamente gli incipit corrisponden0 alle feste maggiori. Se le due stru8ure grafiche conferiscono impa8o visuale alle carte contenen0 il sacro testo che risulta in questo modo chiaramente indicizzato, più rido8a appare la stru8ura narra0va: all'inizio dell'opera, separa0 su qua8ro fogli, appaiono gli EvangelisP con i simboli, segui0 dal Cristo in trono e il Fons vitae, che introduce solennemente all’incipit della le8ura della Vigilia di Natale. Il Sacramentario, codice cara8erizzato da un ricco apparato illustra0vo narra0vo des0nato all’u0lizzo dell’officiante, è cos0tuito da vari tes0, fino alla fine del VI secolo registra0 su libelli (piccoli fascicoli separa0). Delle tre 0pologie note di sacramentari, la più an0ca sopravvive in un unico esemplare non miniato, mentre il sacramentario Gelasiano ci è pervenuto in parecchi esemplari che presentano tracce di un sistema illustra0vo funzionale al reperimento dei tes0, indicizza0 mediante le8ere miniate di vario modulo. Nel Sacramentario di Gellone, eseguito poco prima dell'800 per la diocesi di Meaux, non solo il ricco sistema delle le8ere perme8e una immediata chiave d'accesso, ma compaiono, oltre alle iniziali zoomorfe, iniziali figurate che visualizzano i tesP, come l’immagine della Vergine all'inizio della sequenza del Natale che segna l'inizio della sezione invernale, oppure la Crocefissione che segna il Te igitur del Canone della Messa, dando inizio ad una immutabile 0pologia iconografica favorita dalla coincidenza tra la semanPca testuale e la morfologia dell’iniziale. Molto più ar0colato e complesso risulta il sistema illustra0vo del Sacramentario Gregoriano, giunto ad Aquisgrana tra 784 e 791. Esso fu rimaneggiato dai do. della corte e si diffuse in tu8o l'impero, completando la riforma liturgica iniziata da Pipino. Il più an0co tes0mone, fa8o realizzare dal vescovo Hildoard di Cambrai nell'811-812 presenta fogli purpurei e 0toli aurei; non rimangono invece sacramentari illustra0 rela0 dire8amente alla produzione di Aquisgrana, ma a par0re dalle generazione successiva cominciano a comparire le prime copie miniate, con un sistema illustra0vo variato. La comparsa dell’immagine di San Gregorio in trono non è casuale: sarà par0colarmente riprodo8a essendo quest’ul0mo considerato compositore dei libri liturgici, ispirato dalla Colomba e spiato dall’incredulo Pietro. Altre innovazioni iconografiche derivano dall’uso liturgico, come la presenza dell’os0a tra le mani di Cristo in trono o la comparsa del sacrificio di Abele e di Abramo alle estremità della croce, me8endo in stre8o rapporto le tre prefigurazioni della morte di Cristo. Uno stre8o legame tra liturgia ebraica e carolingia è stato rilevato per quanto concerne il rituale rela0vo al sovrano: la cerimonia dell'unzione di Pipino (751) e la sua consacrazione (754) ad opera dei papi Zaccaria e Stefano II segna l'inizio di un ampliamento del cerimoniale che fino ad allora si era manifestato solo con l'introduzione della missa pro principe nei sacramentari e procede con la redazione delle Laudes regiae, che celebravano le viIorie di Cristo e dei sovrani: per questa somiglianza con i salmi, ques0 tes0, recita0 in presenza dell'imperatore e segui0 da acclamazioni in la0no volgare, vennero trascri. nei salteri di lusso, come il salterio glossato di Mondsee. Con Carlo il Calvo la funzione sacerdotale del sovrano trova una straordinaria espressione nella sua costante presenza nei libri vetero e neotestamentari. Par0colare interesse ricopre la raffigurazione nel suo Sacramentario ove il sovrano, stante tra gli arcivescovi di Treviri e Reims, è rappresentato mentre viene incoronato dalla mano divina. Sempre durante l'età carolingia fa la sua apparizione una differente categoria di libri liturgici, il cui alles0mento fu reso possibile dall'unica vera “invenzione” realizzata nel Medioevo rispe8o alla cultura an0ca, quella della notazione musicale che permise di me8ere per iscri8o i can0, che fin dall'origine avevano cos0tuito una parte importante della liturgia. Poiché il canto liturgico nella chiesa occidentale è cos0tuito da anPfone (breve canto melodico preposto al salmo, di cui me8e in risalto il significato) e responsori (era nella salmodia ciò che veniva cantato dal popolo, in risposta ai brani che cantavano i cantori), ANTIFONARI furono chiama0 genericamente i libri che registravano ques0 can0 e le rela0ve note musicali. Tali libri non vennero reda. in forma solenne e non restano quindi esemplari minia0, con l'unica eccezione dell'AnPfonario di Compiègne realizzato a8orno all'850 per l'uso della corte imperiale di Carlo il Calvo. Il repertorio rela0vo alla messa può trovarsi fino al XII secolo inserito in fondo ad altri codici liturgici, quali sacramentari o lezionari: in questo caso una grande A fogliacea o zoomorfa segna l'inizio di Ad te levavi, l'an0fona della prima domenica d'Avvento, con cui inizia questo testo. Se tes0 come il cantatorium, libre8o che conteneva il repertorio affidato al solista, non erano reda. in versioni di forte impa8o visuale, erano però avvolte in elaborate legature, poiché l'esterno era la parte visibile durante il rituale. dai cantori, tu. i codici des0na0 alla liturgia vescovile ricevono una veste adeguata al ruolo assegnato loro durante la messa e l'ufficio; ma l'esempio degli al0 prela0 era des0nato a suscitare vasto eco proprio tra i dire. uten0 di ques0 manoscri. che inizieranno a proge8are complessi sistemi illustra0vi per i manoscri. di loro per0nenza. A par0re dall’XI secolo, i TROPARI, libelli contenen0 variazioni musicali collegate alle anPfone dell'introito e dell'offertorio e cara8erizza0 da una straordinaria varietà di contenu0 messi a punto all'interno di una a.va comunità religiosa, cominciano a ricevere un sistema regolare di iniziali che, con grandezza variabile, indicano l'inizio delle varie sequenze. Altre8anto rara risulta la redazione in forme solenni un graduale, des0nato ad essere maneggiato solo dal cantore durante la messa e non visibile al pubblico: proprio per questo straordinario appare il Graduale della Biblioteca Angelica di Roma, fa8o realizzare a Bologna per un ignoto presbitero-cantore della ca8edrale di San Pietro. I disegni ad inchiostro e colora0 del ciclo cristologico rivelano le connessioni con la cultura orale e con la drammaturgia liturgica che affianca la liturgia sacramentale. La presa di coscienza dell'importanza dei cantori nell'azione liturgica si rifle8e nella realizzazione in formato di lusso dei Tonari, dota0 di un sistema illustra0vo di forte valenza mnemotecnica, basato sull'iden0ficazione degli o8o toni con vivaci figure di suonatori, danzatori e giocolieri; tale sistema finisce con acquisire una autonoma capacità comunica0va. Stre8amente lega0 alla liturgia vescovile sono invece gli exultet, rotoli liturgici italo-meridionali, contenen0 la cerimonia della benedic?o cerei durante la veglia Pasquale, cos0tuita dall'accensione del fuoco nuovo, l'accensione del cielo, l'annuncio del Lumen Chris0 e il canto dell'exultet da parte del diacono stante sul pulpito. Connessi al benedizionale, se ne differenziano per la teatralizzazione del ciclo illustraPvo, disposto in senso inverso rispe8o al testo, in modo da suggerire una possibile fruizione da parte dei fedeli. Le illustrazioni dei 28 rotoli supers00, prodo. fra X e XIII secolo, presentano una notevole varietà iconografica e sono sfuggite ad ogni tenta0vo di rigorosa classificazione, anche se gli studiosi hanno concordato nell'individuare il loro streIo legame col testo e nel raggruppare alcuni temi, come gli episodi biblici dell'An0co e Nuovo testamento, le scene allegoriche come quella delle api o della terra e dell'ecclesia, le rappresentazioni storico-celebra0ve e le scene liturgiche: ogni singolo exultet rivela infa. una tale streIa dipendenza dalle circostanze che ne hanno determinato la realizzazione. Contemporaneamente per analogia con i sacramentari, cominciarono a ricevere un’illustrazione adeguata i benedizionali, i cui cicli di immagini si adeguavano alle feste del Temporale e del Santorale. Non meno significa0va è la forte presenza di scene illustran0 i singoli ordines nelle placcheIe eburnee des0nate a cos0tuire la legatura di codici liturgici, come il Sacramentario di Drogone. Nel corso dell'XI secolo l'azione riformatrice della Chiesa di Roma, segnando la fine delle liturgie locali e diffondendo ovunque l'uso romano, portò ad un vera e propria rivoluzione nel campo dei libri liturgici: venne effe8uato un importante tenta0vo di uniformare la recensione biblica, me8endo a punto pande8e di grande formato, le così de8e bibbie atlanPche, des0nate ad essere le8e nelle chiese e nei capitoli e cara8erizzate da un sistema illustraPvo finalizzato ad agevolare l'accesso al testo ed in linea con l'ideale di povertà che cara8erizza la riforma; esso è cos0tuito da iniziali rosse semplici all'inizio delle singole pericopi e leIere a decoro geometrico o vegetale all'inizio dei singoli libri. Parallelamente si procede8e nell’unificazione dei libri liturgici, favorendo il completamento di un processo di aggregazione dei tesP, che era già iniziato nei secoli preceden0, ma che solo ora trova un contesto favorevole alla stabilizzazione: si diffonde così l’uso del messale. Analogamente avviene nel breviario: il codice che raccoglie tu8e le formule, le8ure e can0 rela0vi all’Ufficio: un esempio è il breviario di Oderisius, abate di Montecassino, che illustra le preghiere iniziali con o8o miniature cristologiche stre8amente legate ai tes0 (Crocifissione e liturgia del Venerdì Santo). Sia nei breviari che nei messali i sistemi illustraPvi risultano policiclici e aVngono alla tradizione dei diversi tes0 che hanno inglobato. I codici musicali subiscono una grande trasformazione a causa dell’innovazione nel sistema di notazione diastema0ca, in parte riconducibile a Guido di Arezzo (992-1050). L'introduzione della linea rossa per il fa e gialla per il do e in seguito del tetragramma ristru8ura il canto gregoriano che diviene l'espressione dell’organizzazione e della disciplina della comunità religiosa. Un esempio straordinario è cos0tuito dal Codice Magno di Piacenza che, realizzato intorno al 1140, con0ene calendario, computo del tempo, salterio, graduale, tropario, anPfonario e obituario della chiesa locale; il sistema illustra0vo è stre8amente legato al testo ed è formato da iniziali fogliacee e zoomorfe che segnano l'accesso alle varie sequenze liturgiche. In seguito al I Concilio Lateranense del 1123, a Roma si programma un’ulteriore azione di riorganizzazione della liturgia che si rifle8e immediatamente sulla stru8ura dei libri liturgici e dei loro sistemi illustra0vi: il ponPficale romano diviene il testo guida per questa nuova riforma e presenta per tu8o il secolo un’illustrazione limitata alla sola Crocefissione presente nel Canone della messa; solo nel corso del secolo seguente la progressiva iden0ficazione della liturgia della Curia con quella della Chiesa Universale porta alla codificazione rituale delle immagini. Nella prima metà del secolo però nei codici italiani le immagini sono rare e limitate al frontespizio, mentre nel resto dell’Europa si elaborano sistemi policiclici comprenden0 immagini cristologiche e agiografiche. Par0colarmente rece.va si dimostrò la Francia, ove il sistema di illustrazione rituale venne anche ada8ato alle esigenze di autorappresentazione dell’età di Luigi IX; lo documenta il libellus ms. Lat. 1246, contenente il rito dell’incoronazione del sovrano ove il parallelismo tra consacrazione episcopale e reale viene ribadito con forza, evidenziando il ruolo dell’arcivescovo di Reims. Nel XII secolo il processo di normalizzazione porta alla diffusione sopra8u8o dei messali, breviari, graduali e anPfonari; essendo tu. organizza0 secondo l'anno liturgico vedono all'inizio la celebrazione, dell'avvento con il ciclo di immagini collegato alla Na0vità e ai profe0 che l'hanno preannunciata. Il messale inizia con Ad te levavi e quindi la miniatura iniziale, rappresenta l'ElevaPo anima, ma anche la Majestas Domini, in origine posta nel Canone ora viene spostato al centro del volume; questo codice diviene ora il simbolo principale della comunità secolare o monas0ca che lo commissiona. Nel processo di stabilizzazione dei tes0 e dei rela0vi sistemi illustra0vi ebbero un ruolo fondamentale nel corso del XII secolo i francescani, ma nemmeno la loro azione combinata a quella della curia romana fu sufficiente per impedire la diffusione di liturgie parPcolari, come dimostrano i codici domenicani o cistercensi. In questo complesso iter di codificazione, l'immagine non appare più come elemento indispensabile alla messa: il codice sacro perde progressivamente il suo ruolo simbolico di manifestazione materiale della parola divina e di protagonista del rito e assume sempre di più quello di tesPmone del rituale. L’ICONOGRAFIA E IL RUOLO DELL’ESEGESI - YVES CHRISTE Ciascuno di noi rammenta la celebre formula di San Gregorio: le immagini sono dei tesP degli illeIeraP. A tale valore didaVco, l'unico che gius0fica l'u0lizzo delle immagini, se ne aggiungono altri due, quello mnemonico e quello della devozione. Lungo tu8o il medioevo, l'Occidente cris0ano è rimasto fermamente legato a questa do8rina semplice, che aveva il vantaggio di giusPficare il lusso di un'arte sacra spesso incomprensibile ai non inizia0. Dalla sua apparizione, a8orno al Duecento, l'immagine sacra è per prima cosa un ogge8o di lusso il cui uso è riservato solamente a qualche ricco fedele. Ciò vale sopra8u8o nei secoli IV e V per l'arte funeraria: solo i più ricchi si possono concedere una sepoltura ricoperta d'immagini. Poiché il possesso delle immagini era un privilegio riservato ai poten0, è normale che la Chiesa ne abbia faIo rapidamente uso, non fosse altro che per affermare la sua autorità e imporre le sue idee. Purtroppo, non si sa nulla o quasi del decoro figurato dei primi grandi edifici costrui0 immediatamente dopo la pace della Chiesa: la ca8edrale del Laterano, San Pietro, la basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, l'o8agono di An0ochia. I pochi lacer0 rinvenu0 lasciano presumere che dall’inizio del III secolo almeno i cris0ani delle grandi ci8à dell’impero disponessero di luoghi di culto permanen0, alcuni decora0 da pi8ure murali, forse anche da mosaici figura0. Si deve però a8endere la metà del IV secolo perché si generalizzi l'immagine trionfale di Cristo, fino allora ignorata dal ricchissimo repertorio funerario, principale fonte d'informazione per i secoli III e IV. Lo sviluppo di tale iconografia fu rapido e spe8acolare, con un cara8ere solenne che si afferma sempre più con l'avvicinarsi della fine del secolo. A8orno al 400 tale evoluzione raggiunge il suo apogeo con la decorazione absidale di Santa Prudenziana a Roma. Gli anni a8orno al 400 segnano un'altra svolta, quella dell'invasione apocaliVca nella grande arte ufficiale della Chiesa. Parallelamente, l'arte cris0ana «ria.va» a suo favore formule cadute in disuso, come quella del «trono vuoto», di fa8o scomparsa nell’arte imperiale: spesso associato ai qua8ro Viven0 e ai ven0qua8ro Vegliardi, riceverà come a8ribu0 l'Agnello, la croce-trofeo, il rotolo dei seIe sigilli, il diadema o il manto purpureo degli imperatori. Alla metà del V secolo, sull’arco trionfale di San Paolo FLM, l’adorazione celeste rifle8e un cara8ere aulico. Il duplice corteo di San Paolo FLM riproduce quello base della colonna di Arcadio, innalzata a Costan0nopoli nei primi del V secolo. Nello stesso spirito, a San Paolo FLM i vegliardi vela0, figure provenien0 venendo dal giudaismo, sono accompagna0 da Pietro, mentre gli stessi con la testa scoperta sono associa0 a Paolo. La vivacità creaPva degli anni 400-450 non trova reale giusPficazione nella leIeratura crisPana contemporanea, in par0colare presso i grandi Padri d'Occidente (Ambrogio, Gerolamo o Agos0no). La revisione di san Gerolamo del commentario all'Apocalisse di Vi8orino di Pe8au lascia tu8avia intravedere una spiegazione. È in effe. alla fine del IV secolo che in materia d'interpretazione In assenza di tes0 esplica0vi è difficile farsi un'idea esa8a della natura del messaggio espresso. È il caso di San Michele in Affricisco a Ravenna, a proposito dell'apparizione di Cristo fra i se8e angeli con le trombe. Se ci si a.ene all'esegesi comune, gli angeli con le trombe sono una figura della Chiesa in espansione nel tempo presente, quello che precede il Giudizio. Di contro, per Cassiodoro la stessa pericope rinvia alla fine dei tempi. L'anziano segretario di re Teodorico è certo una figura isolata, ma un'interpretazione della stessa natura, è responsabile di un aggiornamento del Giudizio finale del Beatus della Biblioteca di Torino, copia catalana dell'XI secolo del Beatus leonese di Gerona, datato 987. A8orno a Cristo sono sta0 aggiun0 angeli che portano la croce, la lancia, i chiodi, l'asta e sopra8u8o, a destra, i se8e angeli buccinatori di Ap 8,2-5. C'è un caso ancora più strano. Grazie ai sessantaqua8ro versi che servivano da (tuli ad un immenso Giudizio Finale oggi scomparso, sappiamo che l'abate di Fleury, il celebre Gauzlin, aveva realizzato la sua opera a par0re da una serie di riferimen0 all'Apocalisse interpreta0 perlopiù in contrasto con l'esegesi più ortodossa. Florus di Lione compose dei 0tuli che 'commentavano' la decorazione absidale di questa ca8edrale metropoli0ca delle Gallie a8orno all'850. Cristo in trono fra i VivenP dominava un'assemblea di marPri, ed era contornato dagli Apostoli in piedi, mentre l'Agnello figurava senza dubbio alla base del ca0no, sopra una Gerusalemme celeste. Tu. i verbi sono al presente. Tu. tranne uno: cum Christo adveriet, dove è de8o che gli Apostoli ritorneranno con Cristo, in un momento non precisato ma inelu8abile, per giudicare gli uomini. Si può pertanto osservare come per Florus di Lione la Maiestas Domini sia in primo luogo un'immagine della realtà presente. Ma tale immagine della gloria di Cristo già realizzata può servire d’an0cipazione alla visione finale del Ritorno. È ciò che sarà messo in scena nella seconda metà del XII secolo a Saint-Ayoul de Provins, o nel Por(co de la Gloria di San Giacomo a Compostela. I viven0 a8orno a Cristo si ritrovano ancora nel pulpito del BaVstero di Pisa di Nicola Pisano, come nella controfacciata della Cappella dell’Arena di Padova. Gio8o li ha fa. scorrere so8o l’arcobaleno su cui siede Cristo, fa8o salvo lo schema generale, presente a Pisa e in altre località italian, che prevede Cristo al di sopra della croce (o altare, in relazione all’adora(o crucis del Venerdì Santo). Succede altresì che una stessa immagine, soltanto a qualche anno di distanza, sia ogge8o di interpretazioni dis0nte. Nella Bibbia moralizzata laPna di Vienna, l'apertura del Libro dei se8e sigilli di Ap5,8 è ricondo8a al tempo dell'Incarnazione e dell'inizio della missione della Chiesa. So8o l'Agnello che è venuto ad aprire il libro, presentato da Dio aIorniato dai Vegliardi, si vede Cristo che resuscita Lazzaro e una scena di penitenza. Nella glossa accanto i Vegliardi sono però assimila0 ai rappresentanP dei due TestamenP e a tuV i sanP che un giorno giudicheranno con Cristo. Nelle Bibbie moralizzate in tre volumi, posteriori di una dozzina d'anni appena a quella di Vienna, il tono è cambiato. Vi sono solo Cristo e i mor0 che escono dalle loro tombe. Nel suo commentario di Ap 4- 5, a proposito della lode perpetua (tributata a Dio) dei Viven0 e dei Vegliardi, Beda il Venerabile ha u0lizzato la formula cuncto tempore saeculo, per tu8o il tempo del saeculum. Precedentemente Fulgenzio di Ruspe, sulla scia di sant'Agos0no, aveva ampiamente sviluppato l'idea che la laus perennis della Chiesa celeste fosse il modello compiuto per quella della Chiesa peregrinante. Secondo quest'o.ca, non essendo più l'adorazione dell'Anonimo e dell'Agnello da parte dei Viven0 e dei Vegliardi una visione della fine dei tempi, era usuale che essa raffigurasse sull'arco absidale, sopra l'altare, l'eterna liturgia celeste che si rifleIe su quella terrena. Quando a par0re dal 1100 - sempre in ambito monumentale - i Vegliardi sono assisi a8orno a Cristo con la corona sul capo, non è agevole dis0nguere fra presente e futuro. Per comporre un'immagine del Giudizio Rabano Mauro, alla metà del IX secolo, aveva intrecciato, nel lungo poema De fide catholica rythmus, Ap 4-5 e Mt 24-25. Apparentemente, tale tenta0vo non ebbe seguito iconografico prima del 1130. E in effe. nel portale ovest di Saint-Lazare d'Autun, e immediatamente dopo nel portale centrale di Saint-Denis, che i Vegliardi sono per la prima volta associa0 negli archivol0 ad un Giudizio finale. Non è tu8avia un mutamento della tradizione esegePca ad essere responsabile di tale evoluzione. I Vegliardi assisi sono a8esta0 nelle illustrazioni più an0che dei manoscri. dell'Apocalisse, ad esempio in quello di Treviri, che riproduce verso I'830 un modello romano del VI secolo. I Vegliardi però non sono mai rappresenta0 a8orno al Cristo Giudice di Ap 20,11-15. Eppure, da subito l'Anonimo assiso di Ap 4,2 e i Vegliardi assisi di Ap 4,4 sono sta0 interpreta0 come i protagonis0 di un Giudizio (del Giudizio presente ma anche del Giudizio finale). Le ragioni dell'apparizione tardiva nell'arte monumentale dei Vegliardi assisi e coronaP, a8esta0 solamente a par0re dal 1100, sono di natura più poliPca che esegePca. Questa immagine nuova, definita inizialmente nelle miniature della metà dell’XI secolo, sanziona forse, nella prospe.va di una sorta di legiVmazione biblica, l’appropriazione da parte dei principi e dei grandi baroni di una parte importante del potere pubblico. È a tal riguardo sintoma0co che nel portale della caIedrale di Sainte-Marie d'Oloron, i Vegliardi assisi a8orno all'Agnello nell'archivolto esterno siano associa0 al vescovo del luogo, assiso in a8eggiamento di gran signore, fra due file di personaggi che preparano carne di maiale e salmone. Il vescovo è qui in primo luogo il signore della sua provincia: lo a8esta la sua gamba sinistra poggiata sul ginocchio destro, come uno dei Vegliardi di Moissac. L'esempio d'Oloron - mai considerato so8o questo aspe8o trivialmente laico- è un caso limite; nondimeno, rivela quale potesse essere la forza poliPca dell'immagine religiosa nelle mani dei suoi ideatori ecclesias0ci. Mentre l'immagine come veicolo dell'ideologia dominante occupa un ruolo essenziale nel mondo crisPano, essa è quasi assente, prima della crisi iconoclasta, dai grandi diba.0 teologici che hanno agitato la Chiesa dei primi secoli. L'immagine è in certo qual modo passata so8o silenzio, non accede alla notorietà le8eraria che so8o la penna dei suoi detra8ori. La crisi iconoclasta dal 726 all'843 indurrà alcune grandi personalità, sopra8u8o in Oriente, a prendere posizione. Che avvenga con Giovanni Damasceno o Teodoro Studita, il diba.to resterà tu8avia di natura teorica, poiché gli scri. degli uni e degli altri non dicono nulla o quasi sull'aspe8o propriamente iconografico di queste immagini controverse. Il più delle volte è a margine di una disputa, quasi per caso, che si evocano alcuni fa. precisi, come l'esistenza, nel centro dell'Auvergne, di statue di culto che hanno scandalizzato Bernardo d'Angers all'inizio dell’XI secolo. Mentre Carlo Magno e i suoi consiglieri si mostravano decisamente riserva0 sulla ques0one del culto delle immagini, icone di una tale importanza in un monumento ufficiale come l'abbazia di Centula sorprendono, tanto più che il loro ruolo sembra essere stato più liturgico che dida.co. Il mondo carolingio, in cui hanno visto la luce le più importan0 innovazioni iconografiche dell’arte medievale resta il mondo dei paradossi. Così Giovanni Scoto, mentre non cita mai l'Apocalisse nella sua opera esege0ca e filosofica, ne parafrasa la simbologia nei versi compos0 su richiesta di Carlo il Calvo per accompagnare le illustrazioni dei Vangeli di Sankt Emmeram a Ra0sbona (Regensburg), in par0colare l'adorazione dell'Agnello da parte dei Vegliardi so8o gli occhi dell'imperatore, all'inizio del manoscri8o. Eccoci, dunque, a confronto con un fenomeno ben conosciuto dagli storici della cultura medievale, quello dell'indipendenza dei «generi», aven0 ciascuno tradizioni e cara8eri specifici. Pure per le immagini si assiste a sviluppi separa0, secondo che la tecnica impiegata sia la scultura o la pi8ura monumentale. Mentre fra 1000 e 1200 si mol0plicano i cicli apocali.ci illustra0, non si osserva nulla di simile nella scultura monumentale, che conserva solo due cicli, quello del por0co di Saint-Benoît- sur-Loire, verso il 1030, e quello in completo disordine del chiostro di Moissac, prima del 1100. All'occasione, l'ideologia poliPca - tanto quanto l'esegesi o la liturgia - consente di comprendere certe anomalie. Le Bibbie moralizzate e la loro trasposizione monumentale (le vetrate della Sainte- Chapelle) brulicano d'esempi di questo genere. Giosuè, già re, prefigurazione di san Luigi, riceve dire8amente da Dio la spada del conquistatore dopo aver a8raversato il Giordano. Nella vetrata accanto, quella dei Numeri, si vedono dicio8o incoronazioni reali, quelle dei dodici capi tribù, dei qua8ro capi clan dei Levi0 e di Mosè e Aronne. Questa «galerie des rois» che sormontava la loggia ove prendeva posto san Luigi non è che la trasposizione monumentale dell'«interpolazione», nelle Bibbie moralizzate in tre volumi, delle dodici incoronazioni reali, fra il censimento delle tribù (Nm 1,1 ss.) e la fabbricazione delle due trombe d'argento di N,10,2. Ancora nella Sainte-Chapelle, Mosè riceve da Dio, che gli si è manifestato nel roveto ardente, una verga: episodio soppresso nelle versioni in tre volumi, più ricche e fedeli alla Vulgata. Le modifiche apportate in meno di quindici anni alle versioni successive delle Bibbie moralizzate rivelano una sorta di modello ideale del funzionamento e dell'evoluzione dell'iconografia tardoan0ca e medievale. Dalla Bibbia francese di Vienna alla Bibbia in tre volumi, sorella gemella di quella di Toledo, si assiste ad una successione di correzioni, aggiunte o riduzioni, con l'apparizione di nuove immagini e la sparizione di altre. Per comporre questo gigantesco corpus si è evidentemente a.nto a tu8e le fon0. Allo stesso tempo si scopre che si «ricopiano» schemi composiPvi che si adaIano a circostanze e personaggi diversi. Alcuni raffron0 sorprendono: la prima consegna della Legge sul Sinai nella Bibbia laPna di Vienna, con gli angeli che suonano le trombe e Cristo contornato da una mandorla dal tracciato incerto, è quasi iden0ca a quella della volta dell'abbaziale di Saint-Savin, anteriore di più di un secolo. Nelle Bibbie in tre volumi, come in quella di Toledo, l'episodio scabroso in cui Abramo, per aver concesso sua moglie Sarah al Faraone come concubina, è colmato di diversi benefici, riproduce esa8amente l'ambientazione della stessa scena in una vetrata della ca8edrale di Poi0ers. La messa in opera di questa gigantesca compilazione ha talvolta generato curiosi fraintendimenP. La versione in tre volumi, oggi fraziona0, rivela così palesi incomprensioni della realtà biblica. Inoltre, spesso è il testo - parafrasi biblica o glossa - che si ada8a all'immagine, non viceversa, generando errori: la resurrezione di Tabita per merito dell'Apostolo Pietro (illustrazione allegorica di Ap 8,6) è così confusa, nel volume di Londra, f. 169v, con la resurrezione dei mor0. La traccia preliminare era corre8a e coerente, indicando Ap 8,6, nell'esegesi comune, l'inizio della missione della Chiesa. Essendo il miracolo compiuto da Pietro - ma so8o gli occhi di Paolo-sormontato da un busto di Cristo che mostra le piaghe a sei piccoli ele., l'autore della glossa vi ha riconosciuto un Giudizio finale, 2. Inorganici artificiali (da semplici reazioni chimiche o da trattamenti): verderame, blu di smalto, cinabro artificiale, giallo di piombo e stagno. Degli azzurri minerali più importan0 (azzurrite e lapislazzuli) nei dipin0 murali la prima si osserva nei fondi azzurro-cielo e il secondo in velature o riflessi azzurri come nei man0 delle figure principali dei cicli più ambiziosi: ad esempio, nel Cristo della Maiestas Domini nel San Vincenzo di Galliano del 1007. Solo in casi par0colarmente ambiziosi si trova nei fondi azzurro-cielo, come nei murali romanici di San Pietro in Valle a FerenPllo. Dal Duecento si misero a punto metodi di purificazione di ques0 due pigmen0, da cui si o8enevano toni più vivaci e intensi. Già prima dell'età moderna fu apprezza0ssimo, il bianco di piombo o biacca, per la lucentezza e ricchezza del tono, per la elas0cità che la rende stendibile in grandi pennellate. Dai pigmenP minerali si o8engono colori copren0; mentre le 0nte trasparen0 o semitrasparen0 si o8engono generalmente da pigmen0 di origine organica. Le lacche, facilmente alterabili nei toni, trovarono spesso impiego nella piIura libraria ma non solo. Apprezza0ssime per la trasparenza con effe. di traslucidità da smal0, furono usate in tu. i 0pi di pi8ura, più di quanto oggi non appaia. Preferenze per i toni vivaci e saturi, favorivano la costruzione dell'immagine per straP sovrapposP di colore, descri8a dalle fon0 e confermata dalle analisi scien0fiche. I pi8ori dell'alto medioevo e dell'età romanica misero a fru8o ammirevolmente le risorse di cui disponevano o8enendo tonalità diverse da un solo pigmento. LEGANTE: è la sostanza adesiva ed essiccante che, mescolata ai granelli di pigmento, li racchiude in una pellicola solida. I legan0 svolgono più funzioni: coesiva, adesiva (nei confron0 del supporto); proteVva (impedisce il degrado, isolando il pigmento dall'aria); oVca. I legan0 sono di natura inorganica oppure organica: animale, come uovo, colla e caseina; o vegetale: colla di farina, gomme. Per le loro proprietà di semitrasparenza, fluidità e viscosità i legan0 svolgono più ruoli, anche ai fini degli effe. visivi del colore. Effe. di parPcolare resistenza o morbidezza si possono o8enere per mezzo di leganP composP o emulsioni. Finiture di vario 0po si realizzano, sia con velature trasparen0 o semitrasparen0; sia a mezzo di lucidature mirate a conferire al film pi8orico lucentezza, brillantezza e protezione. Nella pi8ura su tavola si usano le vernici. Queste possono essere composte da miscele a caldo di oli sicca0vi e resine naturali. Ma spesso si preferisce una protezione più lieve, sia nella pi8ura su tavola che in quella libraria, a base di albume (opportunamente preparato), o di sciroppi di acqua gommata con aggiunta di un po' di miele. Questa fase finale del manufa8o, pra0cata e apprezzata nell'an0chità e tarda an0chità, fu realizzata anche nel Medioevo. 10.2 Tecniche Per pi8ura tradizionalmente si intende la stesura di un film composto da un pigmento in sospensione acquosa miscelato con un legante di origine inorganica od organica. Il legante è connesso alla tecnica pi8orica scelta: PITTURA MURALE: indica lo stre8o legame con la stru8ura archite8onica per la quale è stata concepita: è ovviamente condizionata dallo spazio. Il termine «affresco» è divenuto nell'uso corrente sinonimo di dipinto murale. In senso stre8o è una tecnica pi8orica che o8empera alle seguen0 condizioni: a) Richiede almeno due strati preparatori: arriccio e intonachino; b) Il disegno preparatorio sottostante (sinopia), traccia d'insieme per l'intera composizione, è steso sull'arriccio; c) Sfrutta la carbonatazione della calce degli intonaci, stesi appositamente in più strati il più superficiale dei quali (il tonachino) è applicato col sistema delle «giornate». d) Pigmenti stemperati in acqua vengono stesi sul tonachino fresco. Fin qui la definizione coincide con l'espressione «buon fresco» ado8ata da Vasari e ancora oggi dagli studi di lingua anglosassone per definire la bontà delle prassi dell'an0ca Roma e rinascimentali. Ma non tu. i pigmen0 possono essere usa0 nelle diverse tecniche. Solo per i minerali naturali (le terre colorate e, con cautela, cinabro naturale, lapislazzuli e malachite) era assicurata la riuscita a fresco. Risultavano troppo delica0 tu. gli ar0ficiali. Il buon fresco, eliminando o riducendo al minimo i ritocchi a secco, restò a questo proposito un ideale teorico. In realtà si usò una tecnica mista: i dipinP murali iniziaP a fresco si portavano a termine a secco. Si so8olinea che l'intonaco secca in fre8a, almeno in superficie, mediamente in 24/30 ore, il che rende meno stabile l'adesione del colore che vi sia steso successivamente. Ciò condiziona la pi8ura a fresco, costringendo a operare in freIa. A questo si cercava di ovviare con qualche accorgimento (ritardando l'essiccamento superficiale mediante l'applicazione sulle par0 dipinte di materiale a8o a mantenere l'umidità superficiale). PITTURA A CALCE: Nel corso del Medioevo le tecniche dell'affresco si fanno via via più sommarie, e si ritorna alle più laboriose, irrazionali e fantasiose tecniche di piIura a calce. Già in uso nell'an0chità, se ne osservano alcune varian0. Si poteva dipingere con colori sciolP in laIe di calce, su basi sia a fresco che a secco; oppure su stesure di sola calce: 1. Colori sciolti in latte di calce. È detta impropriamente «mezzo-fresco» la pittura su intonaco già seccato (ribagnato per l'occasione) con colori stemperati in latte di calce. I pigmenti restano inglobati nell'esiguo strato di carbonato di calcio che la calce forma seccando a contatto con l'anidride carbonica dell'aria. 2. Ritocchi a calce. Viene impiegata limitatamente alle finiture a intonaco seccato o quasi, su un dipinto impostato a fresco. Sono eseguiti con questo metodo i maggiori cicli murali medievali (a esempio a Santa Maria Antiqua a Roma e nel Tempietto del Clitunno entrambi degli inizi dell'VIII secolo; nell'Ascensione nella chiesa inferiore in San Clemente a Roma del IX). È opportuno aprire ora un inciso su uno dei due modi principali di stesura del tonachino, quello per pontate, che prevale tra l’VIII e la fine del XIII secolo. Per pontata si intende l'applicazione di una porzione d'intonaco da dipingere rispondente all'andamento e talvolta alle dimensioni dei ponteggi, cioè di forma re8angolare, spesso corrispondente alle par0ture delle singole scene. Metodo ben leggibile, perché la porzione d'intonaco successiva si va ad accostare alla precedente quando l'intonaco di quest'ul0me è già ben secco, la tecnica per pontate implica modi esecuPvi sbrigaPvi, di squadra. La pi8ura su scialbo di calce cerca di ovviare alle carenze della pontata - necessità di operare molto in fre8a, in modo non accurato-suddividendo le superfici da dipingere in «unità di lavoro» di dimensioni minori, intonacate o scialbate di volta in volta. Si poteva così lavorare con rela0vo agio e sempre sul fresco, o8enendo anche apprezzate tonalità oscure, vivaci e sature. Le tecniche «a secco» sono meno resisten0 di quelle a fresco perché, in specie per i ritocchi a tempera, si tra8a di materiali eterogenei rispe8o all'intonaco, e par0colarmente sensibili all'umidità che può circolare negli intonaci. PITTURA A FRESCO: Disegno preparatorio soIostante (sinopia). Si eseguiva sull'arriccio il disegno scena per scena. Tracciato in nero carbone e poi ripassato con sinopia a pennello il disegno so8ostante era la prima guida fondamentale alla figurazione. Nelle bo8eghe maggiori e par0colarmente ben organizzate di fine Medioevo (dove vigeva una divisione del lavoro super specializzata), quando la trasposizione dei proge. del capobo8ega da parte di aiu0 diviene la norma, si trovano anche «prime» e «seconde» sinopie. E il caso dei dipin0 murali nei 0mpani di Notre- Dame-des-Doms ad Avignone dove Simone MarPni, allora pi8ore della corte dei papi, delega la prima meccanica trasposizione del suo bozze8o ad aiu0, per intervenire di persona, dopo aver fa8o stendere un secondo intonachino, solo nella seconda versione. Stesura del tonachino. I metodi di applicazione del tonachino condizionano le stesure pi8oriche. Per «giornata» si intende l'applicazione del tonachino - che viene immediatamente dipinto - in porzioni delle dimensioni che il piIore riPene di poter dipingere prima dell'indurimento superficiale dell'intonaco. I contorni delle varie giornate seguono le linee principali della figurazione, come profili di personaggi o di architeIure. Abbandonate nel Medioevo, le giornate e buona parte delle tecniche del buon fresco riemergono da fine Duecento, in concomitanza con la rivoluzione gioIesca nelle regioni, a cominciare dall'Italia centrale, dove Roma aveva più stabilmente e a lungo dominato. A fianco delle ricerche spaziali gio8esche va riconosciuto il contributo dei grandi canPeri romani anch’essi miran0 alla riorganizzazione della costruzione dello spazio e alla riscoperta delle tecniche della pi8ura an0ca. L' affermazione e diffusione della giornata deve molto all'essere stata adoIata sistema0camente, dall'ul0mo decennio del Duecento, dalla boIega romana ove è presente GioIo, nel can0ere di Assisi, can0ere-pilota per la pi8ura del Trecento. Ciò accade contemporaneamente a Roma, nel can0ere di Santa Cecilia in Trastevere, nelle fasce so8ostan0 al Giudizio Universale. Vi contribuisce il desiderio di operare meno in freIa, con più agio e cura, in un orizzonte socioculturale che vede la rivalutazione crescente dei pi8ori. Sul tonachino si eseguiva il disegno, dopo aver segnate per sommi capi le par0zioni principali, anche per mezzo della baVtura del filo (che lascia un'impronta) per la corre8a impostazione geometrica dei fondali archite8onici. Il disegno veniva inciso per mezzo di una punta metallica, perché restasse visibile durante l’esecuzione, oppure eseguito a pennello. Venendo al colore, si iniziava dai so8ostra0 e dalle campiture di base. La base per i cieli dei fondi era grigia, grigio oscuro o celeste (questo è il caso del San Vincenzo a Galliano). Gli sfondi erano perlopiù blu o azzurri, con eventuale aggiunta di incorniciature o spesse fasce orizzontali verdi (a esempio a Sant'Angelo in Formis). La campitura per i vol0 e gli incarna0 è spesso color ocra (Auxerre) oppure verde chiaro (Galliano). Si osservano anche scelte diverse, de8ate da crea0vità o ragioni economiche. Ad Aosta, ad esempio, c'è alternanza di vol0 in ocra gialla e in ocra rossa. In altri casi il verdeterra è riservato ai vol0 più importan0, e per gli altri si usa un composto di ocra e nero. I contorni dei carna0 venivano ripassa0 con un colore bruno, composto di ocra rossa, bianco e pochissimo nero, de8o verdaccio. Il prezioso lapislazzuli si trova raramente nei cieli, dove ne sarebbe occorsa una quan0tà rilevante. Terminate le stesure pi8oriche si poteva procedere a lucidature, oggi perlopiù perdute. Non è escluso che, per effe. materici speciali, come negli zoccoli a finP marmi si realizzassero finiture e lucidature con cere.
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