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L'arte Romana (dalla definizione alle caratteristiche), Appunti di Elementi di storia dell'arte ed espressioni grafiche

In questo documento ripercorriamo in modo sintetico l'arte romana dalle sue origini alle caratteristiche dell'architettura. Per studiare in modo semplice e veloce l'arte romana.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 30/06/2024

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Scarica L'arte Romana (dalla definizione alle caratteristiche) e più Appunti in PDF di Elementi di storia dell'arte ed espressioni grafiche solo su Docsity! Lineamenti storici La mitica fondazione di Roma e la monarchia Secondo la leggenda, Roma fu fondata il 21 aprile del 753 a.C. dal re Romolo sul colle Palatino. Da lì si estese agli altri colli circostanti. Nei primi due secoli della sua storia “ufficiale”, Roma fu governata da sette re. Il re era affiancato dal senato, un’assemblea composta dagli anziani delle famiglie più facoltose. I membri di questa ristretta aristocrazia erano i patrizi. I cittadini liberi componevano la classe dei plebei. Un’altra fetta significativa della popolazione era costituita dagli schiavi. Nei primi due secoli Roma venne governata da 7 re (di origine etrusca e latina) e la Roma monarchica si concluse con la cacciata dell’ultimo re Tarquinio il Superbo. La Roma repubblicana La cacciata di Tarquinio il Superbo aprì la strada alla Repubblica. Il governo era sempre controllato dall’aristocrazia senatoria, ma rispetto alla monarchia vigeva la divisione dei poteri, affidati ai magistrati. Nel V secolo a.C. iniziò l’espansione graduale di Roma in Italia, segnata dalla fondazione di colonie. Le guerre puniche Dalla metà del III secolo a.C., la politica estera romana si spostò sullo scacchiere mediterraneo dove le rotte erano dominate da una grande potenza mercantile, Cartagine. L’alleanza stabilita tra Roma e Cartagine non bastò a mitigare il loro attrito, le due potenze si fronteggiarono in tre guerre, le Guerre puniche. Nel 146 a.C., dopo aver sconfitto Cartagine, completò la conquista della Grecia continentale. I valori della collettività e dell’individuo Nel sistema dei valori romano gli interessi della collettività prevalgono su quelli dell’individuo, il buon cittadino ha a cuore il bene dello stato. L’arte romana trova espressione anzitutto negli spazi collettivi ma anche l’arte destinata alla sfera privata serve a definire l’immagine pubblica dell’individuo (vedi Pompei, Ercolano, le domus…). Quando parliamo di arte romana si parla di arte anonima, ovvero creata da persone di cui ignoriamo il nome. Capitolo 18: Molte influenze e molti stili ‘’un’arte al plurale’’ Una definizione di “arte romana” Con il concetto di “arte romana” intendiamo tutto ciò che è stato prodotto sotto il dominio di Roma. La cultura romana s’innestava su una millenaria storia locale, alla quale già si era sovrapposta la dominazione greca. Lungo tutto il percorso della civiltà romana, notiamo la compresenza di opere attente ai modelli greci e all’imperativo naturalistico e altre che prediligono un linguaggio meno raffinato. Si è pensato che la differenza nel registro stilistico fosse legata alla diversa matrice sociale e culturale della committenza. Solo una definizione più ampia come quella di “arte al plurale” può descrivere davvero la molteplicità di voci e di stili dell’arte romana. La cista ficoroni Si tratta della più antica testimonianza dell’arte romana: è un recipiente bronzeo dal corpo cilindrico, rinvenuto nel settecento presso Preneste, fiorente città latina. I capienti contenitori che chiamiamo ciste, destinati a custodire gli oggetti della toeletta femminile (una sorta di beauty case) erano una produzione tipica di quella zona. Il suo apparato decorativo è tipicamente greco. Un episodio della celebre saga degli Argonauti adorna il corpo della cista. Sotto lo sguardo benevolo di Atena, uno dei Dioscuri, Polluce, lega a un albero il re Àm-ico, che aveva osato sfidarlo nella lotta. Dal cielo scende una Nike a incoronare il vincitore. Sulla sinistra, un'anfora rovesciata simboleggia l'acqua che Ámico aveva negato agli Argonauti. Sul coperchio di questa cista vi è anche un’iscrizione: ‘’Novio Plauzio mi fabbricò a Roma/ Dindia Macolnia mi donò alla figlia’’ L’artista era un maestro magnogreco, capace di accostare con disinvoltura il familiare repertorio greco a forme tipicamente etrusco-laziali. La matrona che aveva voluto la cista come dono di nozze per la figlia apparteneva a una facoltosa casata prenestina, quella dei Macolnii. L'elemento più sorprendente riguarda il luogo in cui la cista è stata eseguita: Roma. Molto probabilmente perché al tempo era già un centro di grandissima importanza che attirava ceramisti esperti dalla Magna Grecia. La pittura celebrativa Con l'avvento della Repubblica e l'inizio delle campagne di conquista, all'arte viene affidato anche il compito di celebrare la potenza di Roma e le imprese dei suoi eserciti. Durante il trionfo, insieme al bottino e ai prigionieri di guerra, sfilavano per la città grandi dipinti che illustravano alla folla i principali eventi della campagna militare vittoriosa che si era appena conclusa. Un affresco dalla necropoli dell’Esquilino Su uno sfondo uniformemente bianco, la scena si sviluppa su quattro registri. La fascia superiore e quella inferiore sono andate quasi interamente perdute. Più chiare sono, invece, le immagini nei registri centrali. Nel secondo registro dall'alto troviamo due uomini in piedi, uno indossa un abbigliamento di foggia sannitica, l'altro è avvolto in una toga e tiene in mano una lancia. L'azione si svolge presso le mura merlate di una città. Il terzo registro ospita almeno due scene diverse: all'estremità sinistra infuria un combattimento, mentre al centro due personaggi simili a quelli della fascia superiore. L'affresco è corredato di didascalie, che si riferiscono ai protagonisti. È possibile che il dipinto rappresenti le fasi finali del conflitto con la resa di Marco Fannio a Quinto Fabio Massimo Rulliano, ma secondo un’analisi alternativa, si tratterebbe invece della consegna di un’onorificenza da parte del famoso generale al suo fido aiutante Fannio. L’arte del ritratto Il ritratto è un genere amatissimo, si tratta sempre delle immagini di sovrani e di celebri pensatori o poeti. Il ritratto greco doveva avere solo una vaga somiglianza con la fisionomia reale del personaggio, di cui sintetizzavano piuttosto le doti morali e intellettuali, il ritratto romano, invece, cerca la verità fisionomica, la somiglianza. In occasione dei successivi funerali di un membro della Casata, queste immagini erano portate in corteo lungo le vie della città. Il possesso delle immagini degli antenati era un impareggiabile strumento di L’attraversamento dei corsi d’acqua Ponti in muratura permettevano ai mercanti, ai soldati e alle persone in generale di attraversare i corsi d’acqua in sicurezza e con rapidità. Dovevano costruire fondazioni solide, ma per farlo era necessario dragare l’alveo del fiume fino a giungere a uno strato roccioso per sorreggere le fondazioni. A tal scopo, si isolava il punto destinato a ospitare il pilone attraverso una palizzata o un cassone impermeabile. Per limitare i danni creati dalla corrente e dai detriti che essa poteva trascinare nelle piene, il numero dei piloni era ridotto il più possibile. I piloni possono essere forati da un’apertura che in caso di piena offre una valvola di sfogo per l’acqua. La carreggiata era lastricata come la superficie delle strade e vi erano i parapetti che rendevano il transito più sicuro. L’ingegneria dell’acqua Gli acquedotti erano molto importanti, così come molti autori latini li descrivono. Il primo acquedotto di Roma era l’Aqua Appia, che prende il nome da Appio Claudio Cieco (censore al tempo) che ne promosse la realizzazione. Riforniva acqua pure e abbondante. 11 acquedotti vennero costruiti per rifornire Roma (nel frattempo veniva costruito il primo tratto della Via Appia). Gli acquedotti si basavano sull’uso dell’arco e della volta: l’acqua veniva spostata per gravità attraverso condutture in lieve pendenza. La maggior parte delle condotte erano sotterranee e in galleria. L’acqua in città era indirizzata verso un serbatoio chiamato castellum aquae. Delle griglie filtravano poi le impurità. La rete di distribuzione urbana era costituita da tubature in piombo tossico per l’uomo (già ne parlava Vitruvio al tempo). Le fistulae in piombo potevano essere marchiate con bolli che indicavano il produttore. Dal castellum aquae l’acqua era distribuita anche alle botteghe artigiane. Le fullonicae, dove si detergeva la lana, avevano bisogno di molta acqua. Per prima cosa si pigiavano la stoffa in tinozze riempite d’acqua e sostanze detergenti come l’urina (contenente ammoniaca), seguiva un risciacquo in grandi vasche d’acqua e infine la pezza veniva spazzolata per eliminare le impurità. I tessuti bianchi venivano stesi su una gabbia in vimini per la solforazione, e impregnati con vapori di zolfo. Infine avveniva la stiratura per mezzo di presse in legno. Le terme Ogni città aveva terme pubbliche. Oggi le terme sono impianti che sfruttano sorgenti con poteri curativi, ma i romani chiamavano così complessi per l’igiene personale composti da vasche calde e fredde e zone per dedicarsi alla cura del corpo. Il visitatore delle terme veniva accolto in uno spogliatoio dove deponeva i suoi effetti personali, per poi essere condotto in ambienti umidi e riscaldati che preparavano la persona alle vasche con acqua calda, tiepida e fredda. Il complesso aveva anche una piscina scoperta, la natatio. Le strutture più grandi avevano anche biblioteche, palestre, sale dove conversare e riposare spesso decorate con opere d’arte. Le Terme di Caracalla (una delle più importanti di Roma) hanno restituito molte sculture. Un esempio è l’Ercole a riposo attribuito a Lisippo. Il riscaldamento era assicurato da un sistema detto ipocausto, o riscaldamento sotterraneo. Un focolare diffondeva il calore al di sotto di una pavimentazione sorretta da pilastri in mattoni. Attraverso tubi in terracotta o mattoni il calore veniva trasmesso anche alle pareti. Le latrine I Romani più ricchi avevano piccoli impianti domestici dove detergersi nella riservatezza. Questo lusso richiedeva molto spazio e acqua corrente. Lo stesso discorso valeva per il gabinetto privato: la maggior parte della popolazione si serviva infatti delle latrine pubbliche. Secondo i Cataloghi Regionari (del IV sec. d.C.) se ne contavano 150 a Roma. Le latrine pubbliche erano lontane dalle strade trafficate e potevano essere utilizzate dietro pagamento di una piccola somma di denaro. La struttura era semplice: la seduta aveva un basamento in pietra rivestito di assi di legno bucate. All’interno scorreva acqua che andava a riversarsi in corsi d’acqua. C’erano molte postazioni ed erano molto vicine le une alle altre. La rete fognaria L’acqua sporca proveniente dalle abitazioni private, dalle terme o dalle latrine veniva evacuata grazie a condutture che la scaricavano in un fossato, o nella capitale in un sistema fognario. A Roma la rete fognaria convogliava le acque nel Tevere. La Cloaca Maxima è la costruzione della principale conduttura della città e che ancora oggi è visibile. Un’opera immensa che costrinse i romani a scavare nei colli. L’opera risale ai Re Etruschi anche se venne più volte restaurata durante la fine della Repubblica e l’età augustea. La casa romana La casa dei romani svolge un ruolo sociale e politico unico nel panorama antico. Nella casa ci si dedicava al riposo (otium) e l’attività che prende il nome di negozio (negotium), ma anche proseguire i compiti o gli incontri della vita pubblica. Per Vitruvio il criterio più ovvio nella costruzione e allestimento delle case è la congruenza con il ceto sociale e la professione del proprietario. Ad esempio ritiene opportuno che le case degli agricoltori abbiano stalle magazzini e cantine e i funzionari di più alto rango dovrebbero avere ariosi atri, biblioteche e molto decoro. Le domus di Pompei ed Ercolano Pompei ed Ercolano nel I secolo a.C si erano ribellate a Roma, ma al termine della ‘’guerra Sociale’’ nell’89 a.C. abbandonarono l’autonomia. Le domus di queste due comunità si sviluppavano su un unico piano e raramente vi erano secondi piani (adibiti spesso come depositi o stanze per la servitù). Vicino all’ingresso c’erano piccole stanze che fungevano da deposito o alloggio per la servitù. L’impianto della sala frontale, l’atrium, era concluso da un vano di forma variabile, il tablinum, divenuto poi sala da ricevimento. Sui lati della corte lo spazio aveva piccoli vani per il riposo (cubicula). L’atrio era parzialmente scoperto per consentire alle acque piovane di essere raccolte in una vasca costruita al centro che prende il nome di impluvio (collegato ad una cisterna dove venivano raccolte le acque piovane). Vitruvio ne distingue 3 tipi: ● tuscanico, senza colonne a sostegno delle falde; ● tetrastilo, con 4 colonne; ● corinzio, con un colonnato. Sul retro della casa c’è un giardino adibito alla coltivazione. L’hortus gradualmente scompare e viene sostituito da un cortile porticato, il peristilio. Vi si affacciano sale da banchetto e da riposo. Questo tipo di case con spazi dedicati al riposo e al ricevimento erano riservate alle famiglie più ricche. I piccoli commercianti avevano dimore modeste. La popolazione urbana aveva minuscoli appartamenti o stanze in affitto. La servitù invece non aveva alcuno spazio proprio: dormivano di solito nei luoghi dove lavoravano. Certo, fuori dalla capitale i quartieri più popolosi dovevano avere un aspetto diverso, con alti caseggiati addossati gli uni agli altri.
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