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Latin Jazz - Contaminazione del ritmo latino nella musica afro-americana, Tesine di Maturità di Teoria e Analisi della Musica

Il presente lavoro di tesi si pone il proposito di ripercorrere le fasi di sviluppo che hanno portato alla formazione della corrente musicale del Latin Jazz. Lo studio si concentrerà sull’evidenziazione e l’analisi critica degli elementi di influenza “latin” nel linguaggio musicale jazzistico, tra cui le formule ritmiche, armoniche, melodiche e formali più ricorrenti. La metodologia adottata prevede, pertanto, una rivisitazione delle principali tappe storiche che hanno segnato l’incontro tra le due culture. Ad essa seguirà una descrizione dei principali sotto-generi in cui si è declinato il Latin Jazz, distinguendo i due filoni principali che lo definiscono, quello cubano e quello brasiliano. Si procederà poi alla messa in evidenza degli aspetti tecnico-musicali caratteristici del genere, attraverso la presentazione di trascrizioni, analisi armonico-melodiche, analisi ritmiche e comparazioni. Buona lettura.

Tipologia: Tesine di Maturità

2017/2018

In vendita dal 01/01/2024

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Scarica Latin Jazz - Contaminazione del ritmo latino nella musica afro-americana e più Tesine di Maturità in PDF di Teoria e Analisi della Musica solo su Docsity! 1 Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca CONSERVATORIO STATALE DI MUSICA “D. CIMAROSA”AVELLINO Alta Formazione Artistica e Musicale DIPLOMA ACCADEMICO SPERIMENTALE DI I LIVELLO JAZZ Corso di Chitarra TESI DI LAUREA Latin Jazz Storie e analisi della contaminazione del ritmo latino nella musica afro-americana Relatore Candidato M° Aldo Farias Pasquale Romano matr. 9720 Correlatore M° Andrea Avena Anno Accademico 2017/2018 2 Prefazione 1. La nascita del Latin Jazz e la sua evoluzione 1.1. Alla ricerca di una definizione univoca: un ragionamento induttivo 1.2. Il concetto di creolizzazione 1.2.1. La creolizzazione in America Latina e le sue diverse fasi 1.3. Spanish Tinge: la tinta latina che c’è sempre stata 1.3.1. Alcune tracce di incontro e fusione 2. Verso una genealogia dei generi: Latin Jazz, Afro-Cuban Jazz e Afro- Brazilian Jazz 2.1. Le diverse sfumature del Latin Jazz: un ragionamento deduttivo 2.2. Il Jazz chiuso a clave: l’Afro-Cuban Jazz 2.2.1. Studio analitico delle clavi: un approccio ritmico, armonico e melodico 2.2.2. Musica da ascolto o musica da ballo? 2.2.3. Caratteristiche musicali del Latin Jazz 2.2.4. I ritmi cubani nelle Big Band: la UNO di Gillespie 2.3. L’Afro-Brazilian Jazz: quando il ritmo incontra l’armonia 2.3.1. La Bossa - Nova 2.3.1.1. Studio analitico delle armonie 5 Prefazione Il presente lavoro di tesi si pone il proposito di andare a ripercorrere le fasi di sviluppo che hanno portato alla formazione della corrente musicale del Latin Jazz e dei principali caratteri storici, culturali e tecnico-musicali che la definiscono. Lo studio si concentrerà sull’evidenziazione e l’analisi critica degli elementi di influenza “latin” nel linguaggio musicale jazzistico, tra cui le formule ritmiche, armoniche, melodiche e formali più ricorrenti attraverso le quali questa influenza si è espressa in forma di sintesi. Lo stesso concetto di sintesi rappresenta appunto la chiave di lettura adottata e proposta nell’intero lavoro come presupposto metodologico necessario per approcciare correttamente ad un linguaggio che, seppur in grado di affermare la propria indipendenza e unicità, resta fermamente ancorato ai fattori di fusione, incontro e scambio (musicale/culturale in primis) che fin dal primo momento lo hanno caratterizzato e ne hanno impresso (e ne imprimono attualmente) la spinta propulsiva per il suo sviluppo e la sua affermazione a livello mondiale. La metodologia adottata prevede, pertanto, una rivisitazione delle principali tappe storiche che hanno segnato l’incontro tra le due culture. Ad essa seguirà una descrizione dei principali sotto- generi in cui si è declinato il Latin Jazz, distinguendo i due filoni principali che lo definiscono, quello cubano e quello brasiliano, il tutto nel tentativo di distinguere una comune radice di derivazione dagli elementi più peculiari. Si procederà poi alla messa in evidenza degli aspetti tecnico-musicali caratteristici del genere, attraverso la presentazione di trascrizioni, analisi armonico-melodiche, analisi ritmiche e comparazioni. 6 1. La nascita del Latin Jazz e la sua evoluzione «A vida è a arte do encontro» «La vita, amico, è l'arte dell'incontro» Questa frase, contenuta nel brano Samba da benção di Baden Powell pubblicato nel 1967, è opera di uno dei più grandi poeti della cultura letteraria brasiliana, al contempo esponente di punta della Bossa Nova e autore di testi per brani quali Garota de Ipanema e Samba em Preludio: Vinícius de Moraes. Parafrasando il poeta, potremmo dire che anche il Latin Jazz è “una forma d’arte derivata dell’incontro”. Nel caso specifico tale incontro sarebbe avvenuto tra due realtà così profondamente diverse quanto al contempo simili sotto determinati aspetti: la cultura afro- americana del Jazz (così profondamente segnata, specialmente nella prima metà del XX secolo, dal conflitto jazz bianco-jazz nero) e il bagaglio linguistico-musicale delle forme musicali di derivazione latina, liddove per “latino” si intende tutto ciò che attiene alle popolazioni del Sud e Centro America, quella porzione di continente storicamente soggetta a colonizzazione, appunto, da parte delle nazioni latine (Spagna e Portogallo in prima linea). Per comprendere meglio il significato di questa metafora è necessario fare un salto indietro nel tempo, nel tentativo di individuare una definizione univoca e complessiva del termine “latin jazz”. 7 1.1. Alla ricerca di una definizione univoca: un ragionamento induttivo In primo luogo, anche allo scopo di comprendere la portata della tematica, bisogna affermare che molti musicisti provenienti da diverse aree geografiche e aventi differenti background musicali hanno contribuito in vario modo, e continuano a farlo ancora oggi, a definire il significato di termini come “Salsa”, “Latin-Jazz” e “Musica Afro-Caraibica” (Maulèon, 1999)1. Questo aspetto, legato all’ampiezza del campo di definizione individuato, rende l’impresa ardita. Nonostante ciò vi sono degli elementi che sembrano mettere d’accordo critici, musicologi e studiosi di storia della musica su una comune definizione di Latin Jazz, o quanto meno sulla definizione di una precisa radice di derivazione. Secondo questi studiosi, infatti, buona parte di quello che noi oggi definiamo con i termini, a volte impiegati in modo confuso e impreciso, di Latin Jazz, Afro-Cuban Jazz e Afro-Brazilian Jazz si è evoluto dalla cultura di strada che diede vita alla musica popolare delle diverse aree geografiche dell’America Latina. È la combinazione di queste forme con i tratti caratteristici della musica europea, frutto della contaminazione culturale di cui l’epoca delle colonizzazioni rappresentò la dimensione spazio-temporale principale, che diede vita a differenti stili e generi musicali2 producendo al contempo l’ondata di definizioni, sotto-definizioni e terminologie, più o meno diffuse, nella quale il termine Latin Jazz rientra in qualità di significato complessivo piuttosto che di singolo genere. Una definizione più universale e, per certi versi, semplificata, vede invece nel Latin Jazz un sotto- genere del jazz caratterizzato dalla presenza di ritmi latino-americani. In tal senso sarebbe la compresenza e la combinazione più o meno equilibrata di elementi essenziali di entrambi i 1 Maulèon, Rebeca: 101 Montunos, Ed. Sher Music Co., 1999, Petaluma (California, USA), pag. IV-V 2 ibidem 10 principio di eterogeneità sonora quale fattore di base di questa cultura. L’impossibilità per gli schiavi africani deportati di portare con sè i propri strumenti tipici li spinse ad adattarsi a quelli presenti in terra americana, compiendo così, anche se inconsapevolmente, un passo importante nella definizione dei nuovi linguaggi afro-americani, che da lì in avanti faranno della contaminazione un proprio carattere distintivo (Zenni, 2008) 5. 1.2. Il concetto di creolizzazione Il jazz è una musica che nel suo percorso si è in qualche modo “globalizzata”, mostrando una peculiare capacità di espandersi, fagocitando ed elaborando materiali musicali dalle più varie provenienze, modificandosi progressivamente anche in funzione del luogo geografico in cui si è venuto a sviluppare, inglobando, almeno in parte, le relative tradizioni culturali, caratterizzandosi quindi per una interessante forma di sincretismo musicale (Facchi) .6 Tutto ciò utilizzando come principale collante, o fattore comune, il “tool” dell’improvvisazione. Questa capacità del jazz, che potremmo definire integrativa, o inclusiva, di assimilare una così vasta massa di materiale, si spiega probabilmente con certe caratteristiche intrinseche del luogo nel quale è nato, ossia quell’America che, nei secoli addietro, si è rivelata luogo storico di incontro di etnie e culture molto diverse tra loro (Facchi).7 Alla base dei processi che diedero vita alla sviluppo e alla formazione del Latin Jazz nelle sue diverse declinazioni vi sono precisi processi culturali e sociali, segnati in particolar modo dai movimenti migratori di fine ‘800 e dalla particolare conformazione del tessuto sociale che, nel corso dei primi anni del ‘900, arrivò a consolidarsi nelle varie zone dell’America Latina. 5 Zenni, Stefano : I segreti del jazz – Una guida all’ascolto, Stampa Alternativa, Viterbo, 2008, pagg. 26 e 27 6 https://riccardofacchi.wordpress.com/2016/04/30/linfluenza-afro-cubana-e-il-latin-tinge-nel-jazz/ 7 ibidem 11 Il fenomeno di ibridazione di lingue e culture tipico di alcune aree coloniali (Wikipedia, Creolizzazione della lingua)8, detto di “fenomeno di creolizzazione”, rappresenta il processo culturale fondamentale che si sviluppò in quel periodo come prodotto dell’incrocio tra più culture. Concetto mutuato dalla semiotica, per la quale esso attiene prettamente alla dimensione linguistica ed assume il significato di “processo di ibridazione e semplificazione subìto da una lingua quando è usata da parlanti di lingua madre diversa” (Treccani)9, questo concetto ci permette di capire il passaggio dall’essere africano, o europeo, all’essere caraibico e, più in generale, “creolo”. L’essere creolo, cioè l’essere erede dell’incrocio culturale tra la cultura afro-americana e latino- europea era, negli USA dei primi del ‘900, una condizione sociale sociale di cui si aveva una diffusa ed esplicita consapevolezza, e ciò valeva certamente anche per il mondo dei musicisti. Lo spiega il fatto che nel periodo degli anni ’20 molti musicisti creoli riuscirono ad affermarsi al contrario dei propri colleghi di colore. Jelly Roll Morton, il sedicente inventore del jazz e pianista di riferimento nella New Orleans degli anni ’20, era creolo; lo stesso vale per King Oliver (famosa l’esperienza della King Oliver's Creole Jazz Band, di cui faceva parte, tra gli altri, un appena ventenne Louis Armstrong). La distinzione tra Jazz Creolo e Jazz Nero, frutto delle più recenti analisi musicologiche condotte nell’ambito dello studio sulla genesi del jazz, è peraltro un chiaro segno di quanto fosse evidente la differenziazione tra i due mondi (differenziazione non di rado giunta a un’aperta ostilità. Memorabile a tal proposito la definizione di Morton degli uomini di colore: «Un negro è più scemo di due cani poliziotto morti nel giardino sul retro di casa»10 (Marsalis, 2008)). Le cause della 8 https://it.wikipedia.org/wiki/Creolizzazione_della_lingua 9 http://www.treccani.it/vocabolario/creolizzazione/ 10 Marsalis, Winton: Come il jazz può cambiarti la vita, Moving to higher ground: how jazz can change your life, Ed. Feltrinelli, Milano, 2008, pg. 145 12 differenziazione sono essenzialmente due. I creoli provenivano in genere da famiglie piccolo borghesi e avevano ricevuto una discreta se non buona educazione musicale. La loro musica era più raffinata e risentiva di una solida preparazione classica, mentre, al contrario, la musica dei cosiddetti nigger, quasi sempre analfabeti e autodidatti come strumentisti, era più sanguigna, istintiva e, per certi versi, rozza e primitiva. Inoltre anche il colore della pelle e i lineamenti con caratteri negroidi meno marcati favorivano una maggiore accettazione da parte degli ascoltatori bianchi. (Guglietta)11 1.2.1. La creolizzazione in America Latina e le sue diverse fasi Ci sono state varie fasi e sviluppi complementari nel processo di creolizzazione. Si può parlare di una fase iniziale in cui le nuove forme di musiche neo-africane e euro-derivate hanno cominciato a svilupparsi nei Caraibi. La rumba cubana può essere considerata una di queste, in continua evoluzione attraverso l’interazione di schiavi provenienti da diverse regioni africane. L’influenza europea è evidente in molte melodie e nell’uso della lingua spagnola, ma in tutti gli altri aspetti la rumba è essenzialmente neo-africana (LettoriVIRALI.IT). 12 Allo stesso modo le composizioni di danze per piano del secolo XIX del portoricano Manuel Tavarez riflettono una sottile, rarefatta influenza afro-caraibica e, in termini di stile, il genere della danza può essere considerato essenzialmente europeo. Essa non è quindi un genere europeo ma piuttosto portoricano ed è celebrato come il simbolo del nazionalismo portoricano. Sia la danza che la rumba sono pertanto entità creole. 11 https://digilander.libero.it/gugliettavr/bignami_del_jazz/storia_stili/nonsparate07.htm 12 http://www.lettorivirali.org/ascoltare-la-musica-caraibica-3/ 15 trasformato nello stile di New Orleans. Si lascia la mano sinistra esattamente uguale. La differenza viene dalla mano destra, nella sincope, che dà un colore del tutto differente, cambiandolo davvero da rosso a blu. Ora, in uno dei miei primi brani, New Orleans Blues, si può notare il colore spagnolo. In realtà se uno non riesce a mettere un po’ di colore spagnolo nei suoi brani non sarà mai capace di ottenere quello che io chiamo il giusto condimento per il jazz 19 (Morton, 1938). Ne viene da sè che, anche per le ragioni suddette, tutto ciò che viene definito con il termine “spagnolo” possa essere sostituito con il termine “latino-americano” (leggi: latin). Il gioco è dunque fatto: per Morton il colore latin è addirittura una componente imprescindibile del jazz. Un altro incontro storico tra il jazz e il latin è quello che ha visto come protagonista W.C. Handy, quello che è da molti stato chiamato «il padre del blues». Dopo aver incontrato il ritmo dell’habanera lavorando a Cuba nell’anno 1900, parla dell’effetto di questo ritmo sui ballerini durante un ingaggio a Memphis nel 1909: Avevo notato che le persone (di colore) che ballavano avevano una curiosa reazione al brano “Maori” di Will H. Tyer. Quando lo suonavamo e arrivavamo al ritmo dell’habanera avevo osservato una immediata, fiera e aggraziata reazione al ritmo. Era un caso, o le ragioni potevano essere trovate in una causa vera ma nascosta? (…) Cominciai a pensare che c’era qualcosa di “negroide” in quel ritmo, qualcosa che faceva battere più forte il cuore dei ballerini al Dixie Park (…) Se i miei sospetti avevano un fondamento, la stessa reazione avrebbe dovuto manifestarsi se eseguivamo “La Paloma”. Usammo quel brano, e come volevasi dimostrare, eccolo di nuovo, quello stesso movimento calmo ma estatico 20 . 19 Morton, “Jelly Roll” (1938: Library of Congress Recording) The Complete Recordings By Alan Lomax. 20 https://www.musicajazz.it/latin-jazz-tinta-latina-sempre-stata/ 16 Da questa affermazione risulta chiaro il collegamento all’Africa via Cuba che Handy aveva già intuito.21 Il lettore più attento avrà notato che, tanto nelle affermazioni di Morton che in quelle di Handy, compare il nome del brano La Paloma. Caratteristica essenziale di questo brano era la cellula ritmica definita habanera che, come vedremo, si rivelerà essere la componente essenziale dei ritmi latin e la matrice di derivazione di alcune delle clavi più impiegate (per una definizione più dettagliata del termine clave si rimanda più avanti). L’habanera è la versione spagnolo-americana della cosiddetta contradanse (infatti è chiamata anche contradanza criolla o danza criolla), uno stile di musica popolare molto in voga già dall’800 in Inghilterra, dove nacque, e in Francia. Importata nelle Americhe, la controdanza assunse forme folkloristiche in paesi come Messico, Venezuela e Colombia. Ma è la sua versione cubana ad affermarsi maggiormente dal XVIII secolo in poi (e non solo in America) con il nome, appunto, di habanera (anche se questo termine non fu nè coniato nè mai usato dai suoi inventori22, ma solo dagli uditori esterni e dalla critica, specialmente in Europa23) (Manuel). L’habanera è riconosciuta come la prima forma musicale scritta ad essere interamente basata un pattern ritmico africano. La forma più antica di cui si ha traccia è infatti la composizione San Pascual Bailón, scritta nel 1803. Seppur il collegamento tra habanera e contradanza sia abbastanza diretto, notevole è l’apporto che ebbe, sulla sua formazione e affermazione, la diffusione dello stile della danza, variante leggermente più complessa della contradanza e precursore dell’habanera. Ignacio Cervantes (1847-1905) ebbe un ruolo fondamentale nell’elaborazione di 21 ibidem 22 Carpentier, Alejo, citato da John Storm Roberts in The Latin tinge: the impact of Latin American music on the United States. Oxford. 23 Manuel, Peter: Creolizing Contradance in the Caribbean Philadelphia, Temple University Press. 17 questo stile, così come lo ebbero altri pianisti dell’epoca tra cui Manuel G. Tavarèz e, primo fra tutti, Manuel Samuell (1817-1870). In merito alla danza Rebecca Maulèon tratteggia alcuni aspetti in comune tra le cellule ritmiche utilizzate nel pianismo di Cervantes e alcune forme del Ragtime nord-americano di S. Joplin. Per certi tratti, in effetti, è possibile notare una certa somiglianza tra brani come la Danza Cubana no.2 e Maple Leaf Rag. Non deve sembrarci strano, d’altrone, considerando che Cervantes viaggiò molto negli USA ed era di fatto conosciuto anche tra i musicisti di New Orleans. Dal punto di vista musicale, l’habanera si connota per l’incorporazione della forma ritmica del tresillo, ritmica di origine africana, nella matrice del backbeat, forma di accentuazione insistente sui movimenti deboli della battuta: il 2 e il 4 (tipica, peraltro, del jazz e delle musiche occidentali in generale come il pop e il rock).  BACKBEAT fig.1  TRESILLO (si noti l’anticipazione ritmica sul secondo quarto, caratteristica che permette la trasposizione del movimento anche in una metrica ternaria) fig. 2 20 afro-americana e i ritmi caraibici quali il son e la rhumba. Per buona parte del primo quarto di secolo, nel corso del quale si stavano diffondendo le forme del ragtime, cakewalk e altri generi proto-jazz, l’habanera aveva già un ruolo predominante. Dal punto di vista filologico, per citare esempi concreti, nel 1908 Scott Joplin incide Solace, notissimo brano che ha fatto anche parte della colonna sonora del film The Sting, portando il ragtime nel territorio della danza cubana (Facchi, L’influenza afro-cubana e il “latin tinge” nel jazz)25. Nel 1914 avviene la pubblicazione da parte di W.C. Handy di una delle sue opere principali, St. Louis Blues, un blues minore basato su un ritmo di tango. La figura successiva mette in evidenza il movimento del basso. Scomponendolo in un 2/4, infatti, si ottiene l’accentuazione tipica del ritmo habanera. fig. 4, la cellula base di St. Louis Blues La composizione New Orleans Blues di J.R. Morton era anche essa un’habanera, come affermò lo stesso artista e come documentato dal Library of Congress Recording. Mentre Buddy Bolden, dal canto suo, è accreditato come l’inventore del pattern big four, un pattern realizzato sul ritmo habanera (presentato in fig.5). fig.5, il pattern Big Four di Bolden 25 Facchi, Riccardo: L’influenza afro-cubana e il “latin tinge” nel jazz (prima parte), da http://freefalljazz.altervista.org/blog/, rivista online 21 Lo stesso Gunther Schuller affermò l’importanza del tresillo nella musica jazz, adducendo come motivazione della sopravvivenza di questo pattern africano nella musica moderna occidentale la sua somiglianza e familiarità con la concezione ritmica europea. Molti ritmi africani infatti si dispersero con l’affermarsi dell’europeizzazione, mentre il tresillo e l’habanera, che fanno e facevano parte della stessa famiglia, hanno assunto grande importanza nelle musiche creole. Tuttavia le affinità e l’intreccio del Jazz con la musica cubana certo non si fermano alla citazione del ritmo di tresillo e dell’habanera, o meglio, da solo non basterebbe certo a definire quel genere che, più avanti, qualche decennio dopo, verrà definito con il nome di Afro-Cuban Jazz, negli anni ‘40 e “Latin Jazz”, dagli anni ’50 in poi. Inoltre, seppur numerose, le varie tracce di latinismi rinvenibili nelle pubblicazioni proto-jazz non bastano a definire un quadro completo della “latinizzazione” della musica afro-americana, che nonostante tutto risultava ancora strettamente ancorata alle radici del blues che di lì a poco, negli anni ’30 nello specifico, si sarebbero evolute e codificate nella forma dello swing. Eppure fu uno dei personaggi più influenti dell’era dello swing ad aprire le porte al mondo latin. E la cosa più importante (e interessante per il nostro studio) fu che lo fece in modo chiaro, pubblico e consapevole proprio nello stesso periodo in cui lo swing si stava affermando, quasi a dichiarare una somiglianza identitaria tra i due mondi. Stiamo parlando, ovviamente, di Sir Duke Ellington. Nel 1931 Duke incide una versione di The Peanut Vendor¸ un brano composto dall’autore cubano Moisés Simons (autore, fra le altre, del celeberrimo Guantanamera), arrivando solo un anno dopo a Louis Armstrong, che già nel 1930 ne aveva pubblicato una sua versione. Oltre alla presenza della clave di son, e quindi alla comunanza dell’elemento ritmico (aspetto già ampiamente richiamato nei già citati lavori di Joplin, Handy e Morton) c’era in queste due versioni, e specialmente in quella 22 di Duke, un aspetto fondamentale che in qualche modo avvicinò ulteriormente il Jazz al mondo di Cuba: il call and response. Il call and response, secondo Marsalis, è la forma di comunicazione più basilare, dopo la pura imitazione, in quanto consta della pura dialettica tra richiamo e risposta (Marsalis, 2008).26 Per questo motivo ne troviamo tracce in qualsiasi genere musicale, e non solo nel jazz. Nella musica classica, ad esempio, esso prendeva il nome di antifone, forma musicale nella quale un ensemble viene diviso in diversi gruppi in opposizione, spesso anche spaziale, utilizzati in modo da creare contrasti di volume, intonazione, timbro etc.. (UniversityOxford, 2001)27. Nel jazz un classico esempio di call and response si può ascoltare all’inizio di Young Woman’s Blues di Bessie Smith, in cui Joe Smith, cornettista, ricerca con il suo strumento la stessa voce della storica cantante di blues, rispondendo appunto a ogni fine frase. Pertanto si può affermare che una matrice comune può essere individuata nel concetto di call and response. Nella musica cubana questa forma è spesso rintracciabile, tra l’altro, nella cosiddetta Descarga (Facchi, L'influenza afro-cubana e il latin tinge nel jazz).28 Nel 1937 Ellington incide Caravan, letteralmente una vera e propria carovana di culture e influenze esotiche che si incontrano producendo un effetto ritmicamente esplosivo. Il brano fu in realtà composto in collaborazione con Juan Tizol, autore anche di Perdido, trombonista della band di Ellington. Il brano, con il suo relativo successo, segna un passaggio importante nell’affermazione dell’influenza cubana e latina nel jazz, essendo di fatto una composizione di un autore latino (portoricano per la precisione), basata su clavi afro-cubane, prestata per così dire ad una formazione squisitamente jazz quale la Big Band Orchestra di Ellington. 26 Marsalis, Winton: Come il jazz può cambiarti la vita, Moving to higher ground: how jazz can change your life, Ed. Feltrinelli, Milano, 2008, pg. 32 27 "Antiphony", articolo presente nel New Grove Dictionary of Music. Oxford University Press, 2001 (traduzione) 28 Facchi, Riccardo: L’influenza afro-cubana e il “latin tinge” nel jazz (prima parte), da http://freefalljazz.altervista.org/blog/, rivista online 25 jazzistico, in cui una serie di tonalità si succedono intermediate da vari II V I. Come afferma lo stesso Gillespie in merito al processo compositivo: Se avessi lasciato andare come Chano avrebbe voluto, sarebbe stato un brano strettamente Afro-Cuban . Non ci sarebbe stato un ponte. Ho pensato di scrivere un ponte di otto bar, ma dopo otto bar non avevo risolto, tornando a B-flat, quindi son dovuto andare avanti e ho finito per scrivere un ponte di sedici-bar . spartito di Manteca: da notare la struttura della B la quale, ricca di II V I, richiama strutture armoniche tipicamente bebop 26 Negli anni Cinquanta, grazie anche a un clima culturale in cui la Spagna è di moda, con i romanzi di Hemingway, i film ambientati nell’America Latina e i manifesti delle corride, la musica latin pervade l’intero spettro della musica americana. È alla base di alcune delle più popolari linee di basso del rhythm’n’blues e del funk, è un ingrediente essenziale della musica da ballo, ma appare anche nella musica delle avanguardie (basta pensare a Enlightenment di Sun Ra, 1957) e nel jazz più avanzato, soprattutto grazie agli influenti concept album di Miles Davis, Sketches Of Spain (1959), e John Coltrane, Olé (1961). 31 E poi ancora: Chick Corea, attratto dal mondo della rumba e del flamenco in particolare; Charles Mingus, il suo modo di interpretare il flamenco e il contatto con la musica colombiana; Joe Henderson, le cui Recorda-me, Caribbean Fire Dance e El Barrio rappresentano esempi di come i ritmi afro-cubani possano inserirsi perfettamente anche in una concezione più avanzata del jazz, in cui le armonie bebop lasciando spazio all’ambito modale. Come visto, sono a dir poco numerose le occasioni di incontro e di influenza tra elementi latini e musica jazz. I personaggi, i luoghi, la musica, i ritmi, i costumi, le formazioni: tutti questi elementi si fusero, concorrendo alla nascita, in via definitiva, di una corrente musicale a sè stante, le cui origini sono segnate nella comune radice di derivazione culturale ed etnologica, e il cui futuro è a sua volta legato all’ineluttabile destino verso cui questo richiamo genetico tende e continuerà a tendere. 31 https://www.musicajazz.it/latin-jazz-tinta-latina-sempre-stata/ 27 2. Verso una genealogia dei generi: Latin Jazz, Afro- Cuban Jazz e Afro-Brazilian Jazz La linea di osservazione adottata finora ci ha portato a individuare un connotato fondamentale del Latin Jazz, quell’elemento che più di ogni altro identifica questa corrente in modo univoco: il sincretismo musicale, prodotto dei processi di creolizzazione ed elaborazione, nel corso dei decenni, dei simboli, dei segni e dei clichet più significativi di due culture: quella afro-americana da un lato, e quella latina dall’altro. Come è facile riconoscere, tale giudizio è stato espresso come conseguenza di un ragionamento induttivo. Partendo cioè dalla considerazione di alcuni fattori oggettivi, che trovano nell’osservazione storica il proprio principale fondamento; dalla messa in relazione di determinati parametri sia prettamente musicali che non; dalle asserzioni di alcuni studiosi; dalle dichiarazioni, infine, di alcuni degli artisti più influenti dell’epoca (vedi Morton, W.C. Handy e W. Marsalis), si è arrivati infine a delineare un elemento identificatorio unico e di per sè sufficiente a caratterizzare il movimento. Cosa succederebbe se, invece, applicassimo un ragionamento deduttivo, scomponendo una definizione generale data e, partendo da lì, arrivando a descrivere le diverse sfumature in cui questo sincretismo musicale si è espresso nel corso degli anni? Il prossimo capitolo mira, attraverso la logica deduttiva suggerita, a offrire una panoramica generale dei diversi sotto-generi del Latin Jazz, esplorando (termine più coerente non è possibile trovarlo, in quanto l’aspetto geografico ha un’importanza notevole, come si vedrà) le declinazioni in cui la contaminazione tra musico afro-americana e latina si è espressa nel corso degli anni. Volta per volta si vedrà come, a seconda della specifica dimensione geografica, culturale, storica e politica, gli elementi base caratterizzanti delle due culture si siano incrociati, creando così una 30 Lungi dal voler instaurare qualsiasi separatismo di sorta, questa distinzione è piuttosto utile per poter apprezzare al meglio le radici, certamente differenti, delle due varianti. Peraltro in un contesto in cui, come si è visto, i concetti di sincretismo e contaminazione assumono un’importanza così significativa, risulta complicato stabilire dei confini che possano in qualche modo limitare il processo analitico. In sostanza, a maggior ragione se ci troviamo in sede di ragionamento deduttivo, la tentazione di buttare nel calderone tanti elementi è molto forte. Inevitabilmente, quindi, alla tradizione cubana della descarga, del mambo e della rumba, si dovrebbero aggiungere almeno gli elementi portoricani della bomba , quelli colombiani della cumbia, quelli domenicani del merengue, del choro brasiliano e dello joropo venezuelano. Così come non è possibile trascurare, dal punto di vista del jazz, l’importanza dei ritmi antillesi relativi al calypso e la beguine e le influenze musicali di origine argentina (il tango) e andina.34 In questa sede, tuttavia, ci limitiamo ad analizzare le due derivazioni principali del Latin Jazz, e cioè quella afro-cubana e quella brasiliana: la prima, alla luce della quantità e della qualità degli elementi discografici e storico-musicali che hanno visto, in modo esplicito e assolutamente consapevole, l’integrazione dei ritmi cubani nel jazz; la seconda, in quanto è riuscita a imporsi in tutto il mondo sia tra i musicisti, assumendo e conservando fino ai giorni d’oggi la portata di standard compositivo e interpretativo, che tra gli auditori, garantendosi un successo commerciale di grande rilievo. Pertanto analizzeremo due forme fondamentali del Latin Jazz:  latin jazz afro-cubano: comprende la salsa, la rhumba, il merengue, il mambo, il bolero, il cha-cha-cha e altri generi.  latin jazz brasiliano: comprende la bossa nova, il samba e la sua evoluzione: il jazz samba. 34 https://riccardofacchi.wordpress.com/2016/04/30/linfluenza-afro-cubana-e-il-latin-tinge-nel-jazz/ 31 2.2. Il Jazz chiuso a clave: l’Afro-Cuban Jazz Tra i diversi generi e le varianti che costellano la genealogia del Latin Jazz quella cubana è sicuramente la più diffusa, consolidata e storicamente rilevante. Nello specifico, essa prende comunemente il nome di Afro-Cuban Jazz, intendendosi con questo termine tutte le forme musicali che vedono integrarsi i ritmi di clave con le armonie e le tecniche improvvisative jazzistiche (Fernandez, 2006).35 Questa integrazione prende inizio nel corso degli anni ’20, quandi grandi gruppi di portoricani iniziarono a stabilirsi negli USA, andando a occupare un quartiere dell’East Harlem di New York definito El Barrio. Questo quartiere ebbe un ruolo essenziale nello sviluppo dell’Afro-Cuban Jazz facendo sia da porto per le forme caraibiche tradizionali che da area di contaminazione tra diversi mondi (Malabe & Weiner, 1994).36 La musica cubana acquisì ampia notorietà negli anni’30 grazie al brano The Peanut Vendor. Il brano lanciò una vera e propria rumba craze, inaugurando una stagione prolifica per le band e i musicisti di origine caraibica. Già nel pieno degli anni’30 il ritmo cubana era diventato un mainstream anche nelle grandi città degli States: jazzisti del calibro di Ellington e Armstrong si appropriarono di queste forme musicali, restituendone le proprie versioni; sempre più numerosi furono i musicisti di origine caraibica che furono preferiri anche agli afro-americani più talentuosi, e sempre più influente fu il loro ruolo sia in orchestre che in formazioni ridotte (dal trombonista/compositore Juan Tizol al sassofonista Paul Gonsalves, fino ad arrivare a Chano Pozo, Mongo Santamaria e i più recenti Tito Puente e Cal Tjader). 35 Fernandez, Raul A: From Afro-Cuban Rhythms to Latin Jazz, 2006. University of California Press, CA (USA). 36 Malabe, Frank; Weiner Bob: Afro-cuban rythms for drumset, Manhattan Music Publications, 1994, pagg. 6 e 7 32 L’Afro-Cuban Jazz si afferma definitivamente all’inizio degli anni’40 a New York City. Rimasto un’esclusiva della Grande Mela in tutti gli anni ’40, il genere fu esportato anche nella stessa Cuba (nel quale in precedenza non era stato molto popolare) solo dagli anni’50 in poi. Elemento caratterizzante dell’Afro-Cuban Jazz è la presenza della clave. Tuttavia l’influenza cubana era presente fin dalla nascita del jazz, dunque molto prima che venisse inciso la prima composizione di jazz interamente basata su una clave (il brano Tanga, la cui prima versione fu esibita dal vivo il 29 Maggio 1943 al Park Palace Ballroom, di N.Y.C. all’incrocio tra la 110th Street e la 5th Avenue, uno spontaneo descarga cubano composto appunto da Mario Bauzá e eseguito da Machito e dai suoi musicisti afro-cubani37). La popolarità acquisita dall’habanera fin dalla fine dell’800 è, peraltro, già di per sè un chiaro segno di come la musica occidentale, nella sua specifica accezione afro-americana, fosse pronta ad aprirsi al mondo latino. Nonostante ciò non è possibile, per poter restituire un’analisi approfondita del fenomeno Afro- Cuban Jazz, prescindere dal dare una definizione ampia del concetto di clave. Come ebbe da dire lo stesso Marsalis: “il tresillo è stata la clave di New Orleans” (Marsalis, 60 Minutes, 26 Jun 2011)38, a sottolineare l’importanza prominente che il ritmo latino, e nello specifico la clave emiolica del tresillo, ebbe nella diffusione delle prime forme del jazz e nella strutturazione dei primi paradigmi del suo linguaggio. 37 https://riccardofacchi.wordpress.com/2016/04/30/linfluenza-afro-cubana-e-il-latin-tinge-nel-jazz/ 38 Marsalis, Wynton part 2.60 Minutes. CBS News (26 Jun 2011) 35 pulsazione e un’altra (in caso diverso, cioè in caso di eterocronia, non si potrebbe parlare nemmeno di metro, mancando del tutto un riferimento di tempo regolare). La differenza tra il metro afro-cubano e quello afro-americano/occidentale sta nel fatto che nel primo l’isocronia si instaura su periodi più larghi, mentre nel secondo essa si instaura tra note strettamente contigue: in sostanza, la periodicità non riveste singole pulsazioni ma intere sezioni (Brumat).44 La musica africana e i suoi derivati, pertanto, non sarebbero organizzati a partire da strutture da raggruppamenti ricorsivi ma hanno le basi del ritmo nella ciclicità di un pattern percussivo nel quale scale di tempo più piccole vengono stratificate a livelli percettivi diversi (Lyer, Blimes, Wright, Wessel, 1997), creando una sensazione di tactus non più dominata da intervalli isocronici. Tutto ciò trova evidenza, dal punto di vista della prassi, nel modo in cui si porta il tempo. La clave infatti sta alla musica cubana come lo snap sul due e sul quattro (il cosiddetto backbeat) sta al pop, al rock e al jazz: in questi ultimi generi il tactus45 è posto su questi due movimenti deboli, mentre nella musica cubana, per dare e portare il tempo, “si suona” la clave (Goines & Ameen, 1990).46 Nell’universo della musica cubana folkloristica e tradizionale sono numerosi i pattern ritmici che hanno trovato largo uso e che sono stati per certi aspetti tradotti in altre lingue e altre musiche, jazz tra le prime. In ogni caso diversi studi condotti da etnomusicologi e altri specialisti in merito alla concezione di metro nelle musiche di derivazione africana (tra cui l’afro-cubana) mettono in primo piano l’esistenza di uno sviluppo stratificato di livelli ritmici contrastanti (Southern, 1983; 44 http://www.percezionedellamusica.it/la-struttura-metrica/#indice1 45 Il tactus è il livello percettivamente saliente della struttura metrica e deve essere continuo, nel senso che si deve sentire nel corso di tutto il brano. (Lerdahl e Jackendoff, 1993). 46 Goines, Lincoln; Ameen Robby: Afro-cuban groves for bass and drums: Funkifying the clave, Manhattan Music Publications. 1990, pag. 6 36 Wilson, 1974)47. In primis da ciò deriverebbe un’organizzazione del metro differente rispetto alla ricorsività proposta da Lerdahl e Jackendoff (1983), basata quindi sulla poliritmia. Già nel paragrafo 1.3, parlando delle cellule ritmiche del tresillo e dell’habanera, segno caratteristico dell’influenza cubana nelle musiche afro-americane, abbiamo evidenziato il carattere poliritmico di queste strutture. Seppur non possano essere considerate delle clavi vere e proprie in quanto sono organizzate su una singola battuta, queste cellule costituiscono elementi essenziali della maggior parte delle clavi cubane. La sovrapposizione 3:2 presente nel tresillo è infatti un marchio tipico dei ritmi di derivazione africana e, di conseguenza, afro-cubana. Da essa deriva infatti anche la clave 6/8, ampiamente utilizzata nella musica sacra africana. fig.6 48 Per comprendere l’accezione poliritmica di questa tipologia di clave bisogna sottintendere alla ritmica scritta la presenza di pulsazioni regolari, semiminime puntate nel caso specifico. A seconda della tipologia di linea sottesa la clave si può relazionare con metri differenti, nonostante il risultato ritmico (in termini di accenti e movimenti forti) sia lo stesso. Si tratta semplicemente di 47 http://www.percezionedellamusica.it/la-struttura-metrica/#indice1 48 Malabe, Frank; Weiner Bob: Afro-cuban rythms for drumset, Manhattan Music Publications, 1994, pag. 9 37 un modo differente di scriverla. Un esempio di utilizzo di questa clave nel jazz, a sottolineare l’incrocio tra musica occidentale, africana e latina, è la composizione Afro Blue di Mongo Santamaria, datata 1959, portata alla fama anche grazie alla versione che ne fece John Coltrane nel 1963 nell’album Coltrane live at Birdland (Impulse! Records). Santamaria compose il brano nel periodo durante il quale stava suonanda con la band di Callen Radcliffe "Cal" Tjader, Jr., musicista americano noto soprattutto per la sua influenza latin. Il brano merita il primato di essere il primo standard jazz basato interamente sull’hemiola 3:2 (Peñalosa, 2010)49. Il giro di basso evidenzia un ostinato in 6:4, cioè con 4 pulsazioni suonate nello spazio di 4, secondo la seguente figura, in cui le semiminime puntate evidenziano il beat principale: fig.7 50 La versione di Coltrane invece si differenzia in quanto è esattamente opposta a quella di M.Santamaria: al posto del 3:2, troviamo un 2:3 basato su un metro ¾. Lo schema prodotto è riconducibile a quello che comunemente viene chiamato jazz waltz. Partendo dalla versione originale Trane ha sintetizzato il metro trasponendolo da un ternario a un binario (da 12/8 a 3/4), marcando così il battere della misura, il tutto mantenendo inalterato il ritmo sovrapposto, che nel nuovo metro binario si caratterizza per il levare sul due e non più sull’uno. Come si vede, la clave 6/8 ha molto in comune soprattutto con il tresillo. L’impiego del metro in 2/4 nel tresillo, tuttavia, ne connota il carattere prettamente occidentale, ancora più evidente nella sua versione habanera. 49 Peñalosa, David. The Clave Matrix; Afro-Cuban Rhythm: Its Principles and African Origins p. 26. Redway, CA: Bembe Inc, 2010 50 https://en.wikipedia.org/wiki/Afro_Blue#cite_note-1 40 L’unica differenza con la clave di rumba sta nell’ultimo movimento del très, il quale è in battere e non in levare. Su questa clave vengono strutturate le ritmiche degli altri strumenti, secondo il seguente schema Fig.10 57 Interessante è l’incastro ritmico del tumbao del basso (così si definisce il disegno ritmico, sempre derivato dalla clave, realizzato dagli strumenti ritmici della sezione: basso, congas e altre percussioni) con il pattern di riferimento: infatti, seppur non esattamente uguali, essi si muovono sugli stessi accenti. La cosa più evidente che emerge a prima vista è la grossa incidenza delle anticipazioni ritmiche. Esse costituiscono un elemento fondamentale della parafrasi melodica sia nella composizione che nelle tecniche di arrangiamento e variazione motivica usate nel jazz e, nello specifico, nella sua variante bebop. Questa tecnica permette, attraverso lo spostamento del movimento ritmico in sento anticipativo (verso i movimenti deboli, cioè “verso sinistra”), di creare un elevato grado di sincopazione ed eccitazione ritmica, producendo infine il cosiddetto swing feel. 57 Maulèon, Rebeca: 101 Montunos, Ed. Sher Music Co., 1999, Petaluma (California, USA), pag. 33 41 Soluzione simile è stata adottata da Dizzy Gillespie nel suo riarrangiamento del brano Desafinado. Il procedimento di elaborazione motivica ha portato l’esecutore ad anticipare ogni movimeno forte della melodia, ottenendo un effetto prettamente swing (come si può evincere dalle seguenti due figure). fig. 11 sopra: motivo originale di Desafinado; sotto: trascrizione del motivo suonato da Gillespie Oltre all’aspetto prettamente melodico, anche la componente armonica e di accompagnamento risultò profondamente influenzata dall’assorbimento del linguaggio cubano. Si deve anche al modo di suonare dei pianisti cubani e ai loro montunos la diffusione di alcuni cliché musicali tipici del linguaggio jazzistico. 42 Il termine Montuno, nello specifico, è il corrispettivo cubano di “vamp”: semplice figura ritmico- melodica, (spesso con un basso obbligato e basata su uno o due accordi), che viene ripetuta ad libitum e sulla quale il solista può improvvisare anche a lungo58. Tra i montunos più utilizzati troviamo quello basato sul II V I, risorsa preziosa per compositori jazz- oriented come Sergio Mendes e Jobim: Fig.12 59 Oyo Como Va e Wave sono due chiari esempi di come la sezione vamp (leggi: montuno) sia comune tanto alla musica prettamente caraibica che al jazz. La stessa progressione, strutturata ritmicamente sulla clave di son ed espansa secondo il dictat armonico del turnaround, produce progressioni del seguente tipo: Fig. 13 60 In cui armonie jazzistiche si fondono perfettamente con le ritmiche afro-cubane. 58 Dal blog di Menconi Alessio: https://www.alessiomenconiguitarlessons.com/glossario-dei-termini-jazzistici/ 59 Maulèon, Rebeca: 101 Montunos, Ed. Sher Music Co., 1999, Petaluma (California, USA), pag.27 60 Ivi, pag. 45 45 ascoltatori, e la sua variante “ludica”, identificata poi con il termine Salsa, destinata a un pubblico di ballerini e danzatori amatoriali o professionisti; musica da ascolto vs. musica da ballo, in sostanza. Gradualmente questi due percorsi, seppur nati da una medesima radice, iniziarono a separarsi in modo sempre più evidente: la musica cubana da ballo si frammentò in tantissimi sottogeneri, quali il cha-cha-cha, il charanga e pachanga e il New York Mozambique, mentre schiere di ascoltatori e musicisti cubani e americani iniziarono ad alimentare la corrente della musiac afro-cubana da ascolto, permettendo al Latin Jazz di affermarsi su vasta scala. Tuttavia fu solo quando i due mondi si aprirono reciprocamente l’uno all’altro, erodendo le distinzioni tradizionali che le caratterizzavano, che il Latin Jazz potè formarsi come linguaggio musicale più ampio, incorporando quelle forme ritmiche che rendevano unica la Salsa e costituivano l’elemento fondamentale di qualsiasi musica di origine caraibica. 2.2.3. Caratteristiche musicali del Latin Jazz Come abbiamo visto sempre più sottile iniziò a farsi la differenza tra Latin Jazz e musiche cubane da ballo. Storicamente, tuttavia, con questo termine si identificava in modo preciso come un genere musicale tipicamente strumentale, caratterizzato così dalla presenza di clavi cubane quanto dalla predominanza di forme armoniche complesse, in grado spesso di spingere il playing dei montuno pianistico e dei tumbao in terre fino ad allora inesplorate. La seguente figura mostra un esempio di come queste variazioni intervengano su una struttura semplice, quella del cha-cha-cha, donandole maggiore ricchezza armonica: gli accordi di 13° tipici del cha-cha-cha vengono trasformati, grazie all’utilizzo di varie alterazioni, in accordi più 46 complessi: Fig. 15 Il brano Morning di Clare Fischer e Linda Chicana di Mark Levine e Cal Tjader (1979), ad esempio, sono basati una sorta di cha-cha-cha arricchito dal punto di vista armonico, eseguito solo strumentalmente e ricco di improvvisazioni, elementi che ne mettono in risalto la componente prettamente jazz. 47 Man mano il Latin Jazz iniziò a ergersi rispetto alle musiche tradizionali da ballo, assorbendone al contempo gli elementi ritmici caratteristici. La maggior parte degli esempi di come questa fusione si sia strutturata stanno nel vasto repertorio di genere, che è principalmente basato sulla “latinizzazione” degli standard. Questo processo prevede sia interventi armonici, come abbiamo già visto, che melodici, finalizzati sia all’adattamento della melodia in funzione di una clave specifica che all’eliminazione dell’interpretazione swingata delle crome. Mentre gli standard in 4/4 richiedono il più delle volte l’adattamento della melodia alla clave, ciò non avviene per i metri in 6/8, in quanto lo swing feel si poggia perfettamente sulla terzina di crome. fig. 16 62 Come si vede è possibile ottenere lo swing anche su un metro terzinato. Su questo schema poliritmico si basa buona parte del linguaggio Latin Jazz più moderno. Basta pensare al brano Foorprints il quale è basato su un metro in 6/8 che può essere interpretato sia come un tempo binario che come un tempo ternario. Lo swing sul ride di Tony Williams, membro del Miles Davis Quintet che interpretò il brano nell’album Miles Smiles, testimonia la concezione poliritmica del brano. Nella stessa versione molto frequenti sono gli spostamenti dalla ritmica della clave ad uno swing in versione up-tempo, ottenuti mediante la conversione della base metrica prima strutturata sulle terzine, poi sul tempo binario. 62 Maulèon, Rebeca: 101 Montunos, Ed. Sher Music Co., 1999, Petaluma (California, USA), pag. 93 50 Brani come Manteca, Tin Tin Deo e a Night in Tunisia (tutti composti da Gillespie negli anni ’40, in piena era bebop) rappresentano ancora oggi i manifesti del Cubop, e fanno del trombettista americano uno dei personaggi più influenti e determinanti nella storia del Latin Jazz. 2.3. L’Afro-Brazilian Jazz: quando il ritmo incontra l’armonia Menzione a parte merita l’ambito di studi relativo all’influenza tra il jazz e la radice folkloristica brasiliana, dalla quale è nata una corrente musicale, quell’Afro-Brazilian Jazz e delle sue sottoforme, che ha avuto proseliti in tutto il mondo e si è distinta soprattutto per via dell’enorme successo commerciale riscosso. Nonostante la sua specificità, sarebbe sbagliato dissociare del tutto questa corrente da quei fattori che, seppur sviluppandosi in direzioni diverse, hanno dato vita ai generi relativi alla musica afro- cubana. Il concetto di clave, l’incidenza dell’elemento ritmico finanche gli aspetti sociologici legati ai movimenti migratori sono infati comuni denominatori di entrambe le derivazioni. Come vedremo, la differenza risiede perlopiù nella specificità dei pattern ritmici utilizzati; nella collocazione geografica in cui le due correnti hanno trovato espressione; nella più ampia affermazione che la corrente brazilian ha avuto dal punto di vista commerciale, intesa come musica prettamente d‘ascolto. Essendo presenti nella letteratura di settore numerosi testi, studi e saggi sull’evoluzione del linguaggio afro-brasiliano-jazzistico dal punto di vista storico, si rimanda alla lettura di essi63 per una maggiore comprensione degli aspetti relativi a come, quando e in quali luoghi si sia sviluppata 63 In particolare, Chega de Saudade: storia e storie della Bossa Nova di Ruy Castro (Angelica Edizioni) , testo consigliato per chi desiderasse entrare nel vivo dei luoghi e delle vicende in cui è avvenuta la fermentazione del genere Bossa Nova 51 questa corrente, fermo restando il contributo finora offerto in questa sede, sempre valido per una comprensione dei fattori comuni che hanno portato all’incontro tra le culture latine e il jazz. Pertanto ci limiteremo a passare in rassegna alcuni dei generi più rilevanti nell’ambito dell’Afro- Brazilian Jazz, mettendone in rilievo soprattutto gli aspetti tecnici e musicali piuttosto che quelli storici e musicologici. 2.3.1. La Bossa – Nova: qualche cenno storico Esattamente come accaduto per il genere afro-cubano, anche le origini dell’incontro tra la cultura afro-americana e quella brasiliana partono da molto lontano. Ciò non deve stupirci: il Brasile, così come Cuba e i Caraibi, dal momento della sua prima colonizzazione fino al secolo scorso, anno secolo in cui è avvenuta la proclamazione dell’indipendenza dal Regno del Portogallo, è stata terra di contaminazione e incontro/scontro tra diverse culture europee (portoghesi, francesi e inglesi in primis). La compresenza di diverse popolazione europee negli stessi territori, principalmente legata alla contesa degli stessi, è stata quandi causa naturale di un enorme meltin pot di popolazioni, usi e costumi diversi tra loro. Negli anni’40 personaggi come Dick Farney (il romantic brazilian troubador, come lo chiamavano in America64) (Castro, 2005) e Lucio Alves iniziarono a sintetizzare le prime caratteristiche di quello che di lì a poco sarebbe diventato il genere della bossa-nova, genere-costola delle vecchie samba- cançoes65. Ai due cantanti, performer e crooner brasiliani si deve l’esportazione dell’inconfondibile 64 Castro, Ruy: Chega de Saudade: storia e storie della Bossa Nova di Ruy Castro, Angelica Edizioni, Tissi (SS), 2005, pag.35 65 canzoni al ritmo di samba e a tematica prettamente amorosa e sentimentale in cui la linea melodica predomina sul ritmo 52 stile della saudade66 brasiliana. Il primo, Farney, acquisì ben presto notorietà per la sua abilità al piano e il suo fascino che molto richiamava lo charme di Sinatra. Il secondo, Alves, vero guru dei gruppi vocali che spopolavano in brasile negli anni’30 e ’40 (tra cui i Os Cariocas e i Garotos da Lua¸ di cui fece parte il grande J. Gilberto), figura di riferimento per i futuri esponenti della Bossa Nova (al suo modo di cantare, morbido e soave, si deve la fonte d’ispirazione per il canto baixinho67 che caratterizzerà lo stile di Joao Gilberto). Così come il jazz ebbe i suoi luoghi notturni di riferimento (si pensi al Minton ‘s di New York, sulla 118a strada, dove si svezzarono le future star del be-bop68) anche la bossa-nova e gli altri generi di derivazione afro-brasiliana ebbe le proprie culle. Tra queste, menzione specifica merita il Sinatra- Farney Fan Club: era in questo scantinato che, a cavallo degli anni’50, si incontravano alcuni dei musicisti più importanti della scena brasiliana, Johnny Alf e Joao Donato su tutti, sperimentando le prime jam session su standard jazz. Il Beco das Garrafas era invece il vero e proprio equivalente della 52a di New York, in quanto ospitava ben tre locali simbolo della vita notturna brasiliana: il Little Club, il Baccara e il Bottle’s Bar, i quali videro passare i principali musicisti brasiliani di jazz, da Sergio Mendes a Ronaldo Boscoli, passando per Airto Moreira e Baden Powell. Così come il jazz ebbe le sue forme espressive fondamentali, basate sulla cultura dell’improvvisazione (le jam session, ovviamente); e così come le ebbe anche la musica cubana (le descargas); ebbene, allo stesso modo le ebbe anche la musica brasiliana, che diede a queste esibizioni improvvisate il nome di canjas (letteralmente, in portoghese, il termine indica il brodo di pollo). 66 Termine che non conosce corrispettivi in italiano, esso indica il vuoto che si avverte per la mancanza di qualcosa misto alla volontà di fare qualcosa per attivarsi per ritornare determinati luoghi, rivedere persone o rivivere certe sensazioni… matando la saudade, ossia combattendola. 67 Termine brasiliano per intendere un parlato sottovoce. 68 Ivi, pag. 31 55  l’utilizzo della tecnica del soffio (si pensi a Stan Getz, riconosciuto come il primo musicista di jazz a proporsi al mondo come interprete della bossa nova);  una diffusa sensazione di “vaghezza armonica”, come le successive analisi tecnico-musicali (in particolar modo quella di Garota de Ipanema) evidenzieranno;  la predominanza della chitarra rispetto ad altri strumenti di accompagnamento. Il genere è pertanto profondamente segnato dai voicing e dalle altre sonorità che le specifiche prassi esecutive di questo strumento richiedono. Tecnicamente si tratta di un samba con una sezione ritmica semplificata e amonie più elaborate70. I musicisti brasiliani, ispirandosi al jazz, hanno stabilito nel corso degli anni dei clichés che ne contraddistinguono il carattere musicale. Tra questi:  L’utilizzo di accordi con estensioni di sesta e nona sugli accordi con funzione di tonica. Un C maj7 utilizzato come primo grado si trasforma quasi sempre in un C 69; un Am utilizzato in qualsiasi funzione si suona quasi sempre con l’estensione di sesta. Di seguito alcuni voicing chitarristici caratteristici: 70 Faria, Nelson: The Brazilian Guitar Book, Sher Music Co., Petaluma (CA, USA), 1995, pag. 60 56  L’utilizzo delle sostituzioni di tritono: dette anche “sostituzioni di 5° diminuita” o “sub V”, queste sostituzioni sono basate sull’intercambiabilità di due accordi di dominante posti a distanza di 5° diminuita (Mulholland & Hojnacki, 2013)71. L’intercambiabilità è data dal fatto che entrambi gli accordi condividono lo stesso intervallo di tritono: due note a distanza di 5° diminuita che svolgono alternativamente funzione di sensibile tonale (come la nota SI su G7, in tonalità di C) e modale (come il FA su G7, sempre in tonalità di C), rispettivamente terza e settima dell’accordo di dominante, le quali, quindi, possono diventare terza e settima (scambiando i ruoli di sensibile: la sensibile tonale diventa sensibile modale, e vicevera) di un nuovo accordo ottenuto semplicemente spostando il basso di una 5° diminuita (ascendente o discendente non fa differenza, in quanto 71 Mulholland Joe e Hojnacki Tom: The Berklee Book of Jazz Harmony, Berklee Press, pag. 63 57 l’intervallo di tritono è l’unico intervallo a non variare quantità e qualità quando viene invertito). La funzione alternatamdelle due sensibili, accentuata e messa in evidenza dall’utilizzo di un basso diverso da quello previsto, è la causa di questa vaghezza armonica. Inoltre, nell’ambito di una normale successione II V I, la sub V instaura un movimento semitonale del basso il quale, se applicato ad una successione più ampia, crea una sensazione di continua discendenza semitonale appartentemente senza fine (si veda, a tal proposito, l’analisi di Aguas de Março contenuta nel presente lavoro). La seguente figura mostra un classico utilizzo della sostituzione di tritono: fig. 18 72 (Faria, 1995)  L’utilizzo di accordi di min 6, spesso derivati da sub V pensati omettendo la fondamentale dell’accordo e impiegando alla root la 5° anzichè la 1°. Utilizzati in questo modo questi accordi, di conseguenza, svolgono regolare funzione di dominante. 72 Faria, Nelson: The Brazilian Guitar Book, Sher Music Co., Petaluma (CA, USA), 1995, pag. 60 60 2.3.2. Jazz- Samba: la bossa nova craze sbarca in America Il 1962 fu un anno di svolta per la Bossa Nova e, più in generale, per l’afro-brazilian jazz. Nonostante prima di allora sempre più intenso si era dimostrato il legame tra la musica folkloristica brasiliana e la musica afro-americana, non era avvenuto ancora niente di particolare che permettesse di stabilire i canoni di una nuova corrente musicale, generata dalle prime due. I brasiliani si erano avvicinati alle armonie jazz e avevano iniziato a imprimere maggiore gusto musicale alle proprie opere; i jazzisti, dal canto loro, trovandosi in piena fase post-bop, erano ancora del tutto disorientati, costantemente presi dalla ricerca di nuovi linguaggi e modi di esprimersi (la vita di John Coltrane è, a tal proposito, esemplificativa). Il 20 Aprile 1962 la Verve Records pubblica un nuovo lavoro, chiamato Jazz Samba, avvalendosi delle firme di Stan Getz e Charlie Byrd. Si trattava del primo disco di jazz interamente basato sui ritmi brasiliani della bossa nova e del samba vero e proprio. La pubblicazione dell’opera segnò una svolta sia nel jazz che nella musica brasiliana, sintetizzando una ricerca che da anni ormai si protraeva ma che non aveva mai visto definitivamente la luce. Il disco si basa quasi interamente su canzoni scritte da compositori della nuova scuola brasiliana, tra cui Ary Barroso (E Luxo Só), Baden Powell (Samba Triste) e, ovviamente, Tom Jobim (Desafinado, Samba de uma nota sò). A sole poche settimane dalla pubblicazione raggiunse un successo incredibile, toccando la quindicesima poizione nella Billboard Hot 100 (cosa mai successo per un disco di jazz), la principale classifica musicale dell'industria discografica statunitense. Oltre a segnare una svolta nel mondo della musica brasiliana e nel jazz, l’album ebbe importanza anche nella riqualificazione di uno strumento quale la chitarra, che nella musica afro-americana 61 era da ormai diversi anni ferma a esponenti quali Charlie Christian e Wes Montgomery. Si deve molto, in questo senso, a Charlie Byrd, un chitarrista già molto apprezzato negli USA sia in ambito orchestrale che non. Da sempre appassionato di chitarra classica, Byrd apprese la tecnica dello strumento studiando con Andrès Segovia in Italia all’età di circa 30 anni. Tornato in America, si diede alla ricerca di un nuovo linguaggio per il suo strumento, puntando principalmente alla rielaborazione degli standard jazzistici con la chitarra classica. Nel 1961 ebbe l’opportunità di effettuare una tournée di 12 settimane in Brasile con il suo trio (di cui facevano parte il bassista Keter Betts ed il batterista Buddy Deppenschmidt) per conto del Dipartimento alla Difesa statunitense. Byrd conosceva già la chitarra sudamericana ed in particolare lo stile cubano, ma, arrivato a Rio de Janeiro, rimase colpito dal modo, del tutto nuovo, con cui i brasiliani suonavano: era la batida tipica della bossa nova inventata e resa popolarissima dal cantante e chitarrista João Gilberto. In Brasile ebbe modo di conoscere e suonare con molti dei nuovi musicisti latini: oltre a João Gilberto, fu molto impressionato dal talentuoso e virtuoso (anche se ancora immaturo) chitarrista Baden Powell, da molti considerato ancor oggi il miglior interprete del suo strumento e futuro compositore di molti classici della musica popolare brasiliana. Molto si deve ai suoi due compagni di viaggio, Betts e Depperschmidt, i quali, colpiti anch’essi dalla semplicità e dall’efficacia del linguaggio musicale brasiliano, ne approfondirono gli elementi di base e ne sperimentarono le possibili applicazioni in ambito jazzistico. Tornato negli Stati Uniti, con una valigia piena di dischi brasiliani, Charlie Byrd provò a proporre la bossa nova alle case discografiche, ma senza ottenere particolare interesse. Iniziò a suonarla in coppia con il chitarrista Herb Ellis suscitando soltanto qualche curiosità. Tentò anche di registrare dei pezzi, a New York, con una sezione ritmica che faceva fatica a capire il ritmo da tenere. 62 Nel frattempo il sassofonista Stan Getz, da poco tornato da un soggiorno di alcuni anni in Danimarca dove si era anche risposato, faticava a sbarcare il lunario: il jazz stava attraversando una profonda crisi commerciale e il suo modo di suonare il sax, più vicino a Lester Young che a John Coltrane, era considerato superato e non interessava più. Alla ricerca di scritture e di una formazione stabile, Getz arrivò a Washington e qui fu avvicinato da Charlie Byrd, che gli fece ascoltare i dischi di Gilberto, che aveva portato dal Brasile. Secondo alcune fonti, fu l'ascolto di Desafinado a convincerlo a sperimentare questo nuovo linguaggio Tornato a New York, Stan Getz si rivolse a Creed Taylor, produttore della Verve Records. Nell'ufficio di Taylor, i due ascoltarono attraverso il telefono i dischi brasiliani di Charlie Byrd, rimasto a Washington; Taylor fu convinto e acconsentì a produrre il disco. Getz e Byrd iniziarono a provare con varie formazioni, ma ancora una volta il ritmo "offbeat" della bossa nova non era facile da imparare per dei jazzisti abituati allo swing e al blues. Le battute non erano mai 16 o 32 come negli standards e il batterista newyorkese ingaggiato non riusciva a tenere il tempo senza perdere il controllo della grancassa. Byrd propose allora di ricorrere ai suoi amici di Washington che l'avevano seguito in Brasile e che avevano avuto modo di sperimentare il nuovo ritmo con i suoi inventori. La mattina del 13 febbraio 1962, Stan Getz e Creed Taylor presero l'aereo dall'aeroporto La Guardia di New York alla volta di Washington. La sessione di registrazione durò 3 o 4 ore al massimo, tanto che i due poterono tornare a casa per l'ora di cena. Al ritorno a New York, Creed Taylor era preoccupato per la qualità delle registrazioni, effettuate in condizioni non "professionali"; in particolare il suono del contrabbasso pareva troppo cupo e rimbombante per il fatto che il microfono sembrava troppo distante dallo strumento. Durante la produzione del disco, ricorda Taylor, l'unica cosa "stonata" pareva il titolo del pezzo Desafinado, che in portoghese significa appunto "stonato". La preoccupazione di Taylor si rivelò infondata: il 65 divenne consueto e parte integrante del linguaggio jazzistico come nei decenni precedenti lo erano stati il blues e la musica di Tin Pan Alley e quella dei grandi compositori americani. 66 3. Analisi del materiale musicale Lo studio qui presentato si compone di un’analisi dettagliata di alcuni dei brani più famosi del repertorio del Latin Jazz sia nella sua variante afro-cubana (per la quale si è presa ad esempio la composizione Armandho’s Rumba di Chick Corea) che afro-brasiliana (per la quale sono stati analizzati Aguas de Março e Garota de Ipanema, entrambe di Antonio Carlos Jobim). L’obiettivo specifico è di individuare, attraverso l’approfondimento delle componenti formali, melodiche, armoniche e ritmiche di ciascun brano, le caratteristiche salienti di ciascuno dei generi a cui essi afferiscono. Il fine generale è di fornire una visione il più possibile ampia dei canoni estetico- musicali propri delle varianti del Latin Jazz di cui si è finora diffusamente parlato, applicandovi questa volta non una prospettiva di tipo storico e musicologico, bensì una prospettiva squisitamente tecnico-musicale. 67 3.1. The Girl From Ipanema: il manifesto della Bossa Nova Garota de Ipanema (The Girl From Ipanema nella versione in inglese, su testo di Norman Gimbel) è una canzone composta nel 1962 da Vinícius de Moraes e Antônio Carlos Jobim ed è probabilmente, con Samba de Uma Nota Só, il brano di bossa nova più noto e più eseguito al mondo. La più diffusa versione sull'origine della canzone è quella che vuole che Vinícius de Moraes e il compositore Antônio Carlos Jobim furono ispirati da una giovane quindicenne che passava quotidianamente, nel suo tragitto tra casa e scuola, davanti al Veloso, un locale di Rio de Janeiro sul litorale di Ipanema (locale che, più tardi, prese appunto il nome di “Garota de Ipanema”). Moraes decise quindi di dedicarle una composizione in versi, quasi a simboleggiare un inno alla bellezza femminile brasiliana.77 In realtà, come già ampiamente testimoniato sia dagli autori che da vari testimoni, Tom e Vinìcius non composero il brano al bar Veloso. Infatti Tom compose meticolosamente la melodia al pianoforte nella sua casa di Rua Barao da Torre, ed era originariamente destinata a una commedia chiamata Blimp, ideata da Vinicius ma mai portata al definitivo compimento. Il poeta, a sua volta, scrisse il testo a Petròpolis, come era successo già sei anni prima per Chega de Saudade. Inoltre, inizialmente, il brano doveva chiamarsi “Menina que passa”.78 Quanto alla famosa ragazza, la "menina" di Jobim e de Moraes, si chiamava Heloísa "Helô" Pinto, ora conosciuta come Helô Pinheiro, e i due la videro effettivamente passare più e più volte al Veloso, nel corso delle sue passeggiate verso il mare, scuola, casa e perfino lo studio del suo dentista. Forse non ispirò direttamente la canzone, che probabilmente era già stata in parte 77 https://it.wikipedia.org/wiki/Garota_de_Ipanema 78 Castro, Ruy: Chega de Saudade, Storia e storie della Bossa Nova, Angelica Editore, 2005 Med. Bossa Girl From Ipanema Intro Db66 Antonio Carlos Jobim B% mu È È etnei È a —to PH at TE > Eb13 Di It basi ft _ y_11i SS 7 Tall and tan and youngand lov - Dr Thegrl fram i - pa - ne magoes wal - kmg and vien dhe pr ccp DPmaj? Ebi3 1 1 A iL pui "a pit i eee REFERER i è att = i + Wien" dhe valis "Me © sum - ba Thut mig so cooì ai mis so gn-tl dat b7 4 sha pas = sis goes I ASS Til se O E SARA GOL ie mez RM i olii fo RE "be E?m? ADI LA D’ 1° scale = but she doe-sent ste Solo on form AABA After Solos, D.S. al Coda è Dbmaj? DI Repeat Till Cue Dbmaj? Bat ste dor sent set Fine Girl From Ipanema - Female Fig.23 70 Paich di AT TUTA RAZZA LIDI 3 Med. Bossa Girl From Ipanema Intro Ca DA Db} EOLO Antonio Carlos Jobim quase a (B913 % A Dbmaj? E?m? vt REL i i n Dbmaj ED13 AG Ferrer ERE pi ten dhe ves 7 ide © seta — be That seno; so cooì uni ame se he p DPL 5 - © L p e + a = 3 = PE sai BEE ia 9 = me \ Fm? Fonsi gh pros) Ebm? ADD ig nea 8 8 R x E SERI AASE b13 j° us Img tend an and young md ev > wi De o A - perno dp, Em? 1 ADI Go © Cert a ese After Solos, D.S. al Coda Òd DPmajf (De) Repeat Till Cue analisi manoscritta del brano 71 72 ANALISI FORMALE Il brano è caratterizzato da una forma strutturale particolare. Si tratta di un ampliamento dell’archetipo classico della forma canzone, composta, secondo gli usi più comuni, da una struttura AABA. L’ampliamento è dovuto, nello specifico, all’insolito allungamento della B che consta di 16 battute anzichè di 8. La mancanza di variazioni importanti ci porta a definire la prima parte della struttura semplicemente come una successione A1 + A2. L’unica variazione rilevante sta nell’utilizzo del b II7 al termine della sezione per ritornare al I grado. Considerando la tonalità utilizzata da Getz e Gilberto (Db maggiore), si tratterebbe di un Ebb7, a cui possiamo tranquillamente dare il nome di D7, inteso come sostituzione di tritono del V grado (Ab7) e quindi sottintendente l’utilizzo delle tensioni 9, #11 e 13. Al termine della seconda A inizia una sezione composta da 16 battute, quindi il doppio rispetto alla lunghezza solita delle sezioni di una canzone. Infine ritroviamo la A, che possiamo azzardarci a chiamare A3 per via della presenza di una piccola variazione melodica nel finale (A1 termina sulla 5a dell’accordo, mentre A2 termine sulla 7a maggiore, quasi a rendere giustizia all’influenza più propriamente jazzistica da cui il brano è profondamente caratterizzato). ANALISI ARMONICA L’impianto armonico di Garota de Ipanema svolge una funzione esemplare nel rappresentare le derivazioni jazzistiche che hanno dato vita alla Bossa Nova. Infatti il movimento armonico del brano, seppur saldamente legato all’impianto basilare del II V I, è molto ampio e caratterizzato, oltre che da un largo uso delle sosituzioni di tritono e dei dominanti secondari, da diversi 75 In secondo luogo, è da evidenziare il movimento del basso, il quale per molti aspetti riprende dei clichè che fanno pensare pià a un II V I in Ab che non a un II V I in Db. La linea di basso Bb A  Ab, che rispettivamente si muove sugli accordi Ebm Ab7b95+ (con la b9 al basso)  Db è uguale alla linea di basso che troveremmo su un II V I di Ab, con il subV/V (bII7) al posto del V. Di fatto l’unica nota che rende giustizia a Db è il Gb, 3a minore di Ebm/Bb, che tra l’altro non spicca melodicamente lasciando imperare il basso e il canto. Terzo aspetto da prendere in considerazione, la melodia del tema finisce proprio con un Ab (aspetto molto comune ai brani in Ab) e inoltre tutte le note del tema sono comuni anche a Ab. Solo il Gb è estraneo a questa tonalità ma, considerato il suo peso melodico molto relativo, non contribuisce in modo a determinante a definire la tonalità di Db. Per avere una prova del 9, basterebbe sperimentare lo stesso giro di accordi con la stessa melodia, ma utilizzando un Ab maj7 al posto del Db 69/Ab e un Bbm7 al posto del Ebm7/Bb: scopriremmo che la melodia è perfettamente cantabile! Il brano, quindi, è in Db o in Ab? Non c’è dubbio: il brano è sicuramente in Db, ed è l’ingresso del basso nella seconda A a decretarlo in modo inconfutabile, dando sollievo all’ascoltatore in crisi (e forse anche all’improvvisatore indeciso!). Bridge (B) La B, composta da 16 battute, è formata dai seguenti accordi: le durate sono doppie Dmaj7 | % | G7 | % | Dm9 | Bb7 | Ebm9 | Cb7 (B7) | Fm7 Bb7b9b5 | Ebm7 Ab7b5 Il risultato dell’analisi armonica ci restituisce questo risultato in termini di gradi: 76 I | % | IV7 | % | I- | b VI7 | II- | b VII7 | III- VI7 b9b5 | II-7 V7b5 Si tratta di una progressione abbastanza complessa, in cui si alternano 3 centri tonali differenti e molto distanti tra loro: 1. D maggiore (nelle prime due battute), che con i suoi due diesis in chiave presenta addirittura 7 note diverse rispetto alla tonalità di Db maggiore; 2. D minore (terza e quarta battuta), fratello di Fa maggiore, con 4 bemolle in meno rispetto a Db maggiore; 3. Infine, si ritorna a Db maggiore grazie all’utilizzo di una cadenza “backdoor” basata su uno scambio modale che vede il B7 preso in prestito dalla tonalità parallela di Db minore. Come vediamo, Jobim restringe gradualmente la distanza dalla tonalità iniziale a quella finale diminuendo il numero di alterazioni in chiave “di scarto” tra una tonalità e l’altra. La tecnica di modulazione utilizzata da Jobim è quella della Modulazione Diretta, anche se talvolta le nuove tonalità vengono anticipate dai relativi dominanti o dai loro sostituti. Tuttavia, per rendere più gradevole l’impatto, il compositore brasiliano utilizza degli escamotage. In primis, il viene preferito il G7 a qualsiasi altro tipo di accordo per due motivi: il salto di quarta discendente del basso rappresenta il sistema cadenzale più comune, a cui l’orecchio dell’ascoltatore è pià abituato; il Fa naturale di G7 è contenutoanche nel successivo D-, e svolge quindi la funzione di anticipare melodicamente la tonalità successiva. Un altro trucco usato da Jobim è quello di affidare al Bb7 una doppia funzione: quella di sottodominante rispetto a D- e quella di dominante secondario che risolve su Eb- (V7/II). Pertanto 77 l’accordo fa da ponte tra la due tonalità, seppur siano molto distanti.Infine viene coronato il passaggio definitivo alla tonalità di originale, grazie alla presenza del Eb- come II grado. Infine, la successione armonica termina con un classico turnaround che, visto su carta, mette quasi i brividi. Infatti l’armonia passa da un B7 ad un F-7, III grado di Db maggiore, effettuando di fatto un salto di tritono tra un accordo di dominante e un accordo del gruppo di tonica. In realtà questi due accordi hanno in comune molto di più di quello che pensiamo. Infatti, se vediamo il B7 come un b VII7 della tonalità di arrivo, l’approdo al III – acquisisce un senso diverso. Altro aspetto da evidenziare del turnaround finale sta nell’utilizzo della b5 come estensione dei dominanti, dovuto non al fatto che questi sono sostituzioni di tritono, ma al fatto che la b5 è presente nella melodia come ritardo della 5° giusta. ANALISI MELODICA Il tema del brano, noto anche al grande pubblico per la sua cantabilità, si sviluppa su due motivi fondamentali e sulle relative elaborazioni degli stessi. Le tecniche di elaborazione utilizzate da Jobim si basano sulla ripetizione e sullo spostamento, in senso ascendente o discendente, della melodia. Il rapporto intervallare tra le note resta, invece, sempre invariato, così come anche la durata ritmica delle stesse. In questa sede l’oggetto specifico dell’analisi sarà la melodia cantata in inglese da Astrud Gilberto, moglie di Joao. Al riguardo, si può effettivamente dire che la sua presenza nel disco fu quasi casuale, certamente imprevista. Infatti la donna, che prima della registrazione di questo brano non aveva avuto alcuna esperienza come cantante professionista, fu indicata dalla moglie di Getz, Monica, al produttore Creed Taylor, vista la sua bellezza caratteristica e la sua voce così leggera. L’intento era quello di offrire all’ascoltatore l’immagine perfetta della garota de ipanema, e 80 Altro brano da prendere in considerazione per quanto riguarda l’analisi melodica è Triste, scritto da Jobim qualche anno dopo nel periodo della sua collaborazione Frank Sinatra (1966). Tra i primi due righi la ripetizione melodica è completa, si lascia al cambio di accordi la variazione verso la frase successiva della sezione. Interessante è la frase melodica del terzo rigo. Qui la melodia viene interessata da un procedimento di elaborazione motivica chiamato diminuzione, per il quale una struttura intervallare data viene modificata ritmicamente (in questo caso in senso riduttivo) mantenendo pressoché invariati i rapporti tra i valori delle note. La riduzione, quando è proporzionale, trasforma matematicamente le semiminime in crome, le crome in semicrome e così via. In questo caso, tuttavia, si tratta di diminuzione libera in quanto lo “schiacciamento” della melodia non avviene in modo esattamente proporzionale. In aggiunta, la ripetizione melodica avviene ad altezze diverse: in questo caso di parla di sequenza diatonica, in quanto la melodia viene adattata ai nuovi accordi. Tornando a Garota de Ipanema, in questa immagine si vede anche come il ritardo ritmico del motivo (contenuto nel secondo movimento) viene abbandonato per lasciare spazio ad una melodia più “seduta”, che affretta la discesa per chiudere, finalmente, su un’affermativa 5a dell’accordo di tonica. Dal punto di vista puramente melodico, questo motivo si caratterizza per un largo utilizzo delle tensioni, soprattutto la 9a e la 13a, che donano un colore molto aperto a tutto il brano. 81 fig. 28 Lo stesso vale per la B, in cui si possono notare le stesse tecniche di elaborazione motivica adottati nella A. fig. 29 Anche qui siamo di fronte ad una frase antecedente e ad una conseguente, ma la particolarità sta nel fatto che l’antecedente copre le prime 12 misure, mentre la risposta è composta da sole 4 battute. L’elemento caratterizzante di ciascuna frase, per il quale si rendere ragionevole un accorpamento di tipo “squilibrato” come quello descritto, è sempre la condivisione di uno stesso motivo originario. Nello specifico, il motivo della frase antecedente è quello caratterizzato dall’uso 82 diffuso della terzina di semiminima, elemento che ritroveremo anche nel solo di Getz. Questo viene gradualmente “sollevato” melodicamente (si tratta della solita sequenza melodica diatonica), partendo da un DO# fino ad arrivare a un FA, permettendo così un notevole accrescimento di tensione melodica. Quando poi la melodia approda finamente al Ab e la sospensione armonica si conclude sul III della tonalità di partenza, la tensione si scioglie definitivamente. La forza della B sta, di fatto, non tanto nella gradevolezza data dalla successione melodica, quanto proprio nel rapporto tensione-risoluzione insito in tutta la sezione, prodotto di un intelligente e sapiente uso delle armonie jazzistiche. L’impatto con il Dmaj7 iniziale, misto al notevole peso melodico dato dalla 7a maggiore (che dura più di 4/4!), crea un enorme punto di domanda, trasportando per un attimo l’ascoltatore fuori da quel percorso che la A aveva così chiaramente definito. La serie di quesiti continua, grazie al continuo decentramento tonale utilizzato da Jobim, che sembra letteralmente prendere in giro l’ascoltatore prendendo in giro anche le tradizionali regole armoniche dettate dalla tonalità: infatti la B presenta ben tre dominanti su un totale di sei accordi, ma nessuno di questi risolve definitivamente su un primo grado! 85 musica colta ed erroneamente definita classica, può definirsi continuo proprio in virtù di questa sua accezione. La prassi dell'arrangiamento assume valenza di “…forma d'arte in se stessa, capace di determinare da sola la riuscita di un brano, l'impatto sul pubblico, e quindi a decretarne il successo commerciale, la permanenza nelle pieghe della memoria” *Ibidem, 1992+; di conseguenza l'indagine comparata dei diversi arrangiamenti si rivela un esame assai proficuo nell'analisi del fenomeno musicale popolare.81 Si è pertanto scelto di utilizzare, per l’analisi formale, armonica e melodica, uno schema di analisi comparativo basato sul confronto tra versioni diverse per arrangiamenti, strutture, interpreti e anno di produzione, nello specifico: 1. La versione originale del 1972 contenuta nel pocket album O Tom de Antonio Carlos Jobim e o Tal de João Bosco. 2. La versione del 1974 contenuta nell’album Elis & Tom, a sua volta frutto della fusione di elementi già contenuti nelle versioni di altri due album precedenti: Matita Perê (1973), arrangiato da Claus Ogerman; Elis (1972), di Elis Regina arrangiato da Camargo Mariano. Altre versioni saranno citate nel corso dell’analisi per evidenziarne alcuni tratti caratteristici nella forma, nella melodia, nell’armonia o nel ritmo. INDAGINE ANALITICA: LO SVILUPPO DI COMPLESSITÀ POTENZIALI Aguas de Março è un brano caratterizzato dalla messa in campo di pochissimi elementi, continuamente combinati e reiterati in un discorso musicale solo apparentemente povero e rudimentale. Attraverso la disamina delle micro-elaborazioni del materiale musicale, si intende 81 Bianchi, Enrico: Complessità “potenziali” nelle interpretazioni di Aguas de Março di Antônio Carlos Jobim, Analitica Rivista Online di Studi Musicali, Indice 2006 volume 3 numero 2, 2006 86 porre in evidenza le complessità che si celano dietro la relativa semplicità del livello di superficie. Tali complessità – già presenti nella versione originale, seppure in uno stato embrionale – sono da ritenersi potenziali, in quanto vengono portate pienamente in luce soltanto da successive interpretazioni. Nell’analisi che segue si intende pertanto evidenziare come lo sviluppo delle complessità potenziali sia parte integrante del processo creativo continuo, elemento, quest’ultimo, chiave nella lettura dei fenomeni musicali contemporanei. ANALISI FORMALE La struttura delle diverse interpretazioni di Aguas de Março è risultato di un procedimento complesso che consiste nella sostituzione di moduli armonici potenzialmente intercambiabili su moduli melodici frequentemente ricorsivi. Tale procedimento, già presente nella versione originale - seppure in uno stato latente - viene pienamente sviluppato soltanto in versioni successive del brano, in cui l’intercambiabilità delle armonie viene sperimentata più a fondo. (Bianchi, 2006)82 L'osservazione della trascrizione della versione originale, riportata qui in figura 1, permette l'individuazione dei seguenti elementi indipendenti: 1. moduli melodici di quattro battute ciascuno, identificati con le lettere A e B; 2. cellule motiviche, con funzione di discrimante, consistenti in una sola battuta e identificate con le lettere a e b e le relative varianti a’, b’ etc..; 3. moduli armonici di pari estensione, identificati con numeri. 82 Bianchi, Enrico: Complessità “potenziali” nelle interpretazioni di Aguas de Março di Antônio Carlos Jobim, Analitica Rivista Online di Studi Musicali, Indice 2006 volume 3 numero 2, 2006 87 Alla base dell’articolazione formale non vi è l’intreccio di forme armonico-melodiche ripetute, come accade nello spesso nella forma canzone, ma alcuni elementi fondamentali che possiamo chiamare “parametri”. 1. PARAMETRO 1: Il modulo melodico. Esso è l’unico elemento realmente strutturato e ripetitivo che si presenta in tutte le versioni, mentre invece le armonie presentano, dal punto di vista qualitativo, o un alto livello di intercambiabilità (come nelle versioni più recenti) o comunque una intercambiabilità potenziale (come nella prima versione). 2. PARAMETRO 2: il ritmo armonico e i moduli armonici. I moduli armonici, essendo sempre e solo di 4 battute l’uno, anche se intercambiabili, ci suggeriscono un accorpamento delle sezioni in blocchi da 4 battute. Il parametro 1 ci permette di identificare univocamente la sezione come una A o una B, a seconda della cellula motivica su cui si basa il modulo melodico. Infatti i moduli melodici, a cui si fanno corrispondere per praticità analitica le sezioni, si differenziano tra loro in base ad un elemento discriminante, individuata nella cellula motivica. In pratica ogni sezione è caratterizzata da una determinata successione di cellule motiviche e, nello specifico, presenta una cellula motivica nuova che non negli altri moduli non è presente. Le cellule motiviche individuate sono due:  La cellula A, basata sul movimento di terza discendente e sulle diverse variazioni ritmiche dello stesso, da cui discendono le elaborazioni a, a’ e a‘’;  La cellula B, basata su intervalli di quinta e sesta e sul criterio del line guide tone (CAAb), da cui derivano le elaborazioni b, b’ e b’’ (che racchiude, in realtà, anche il b‘’’ indicato in fig. 1). Il parametro 2, invece, ci permette di quantificare la durata della sezione in 4 battute, circoscritte da un determinato blocco armonico. 90 progressione per tutto il chorus, accompagnando le diverse variazioni motiviche. Infatti i nomi delle sezioni sono basati sullo specifico modulo melodico che le discrimina, anche se non di rado troviamo incroci tra i vari moduli melodici. Andando oltre le battute proposte si evince una struttura piuttosto caotica in cui lo schema AA'BB'A"A" non viene mai ripetuto così com’è. Jobim, approfittando del fatto che l’armonia si muove sempre attorno alle stesse funzioni, intercambia liberamente le sezioni alternando i diversi moduli melodici. Il risultato è esattamente quello che si può intuire da una prima lettura del testo: una pioggia di melodie e parole su un tappeto armonico che, proprio in quanto ripetitivo, si presta perfettamente come tappeto. La sorpresa arriva con la versione del 1973 contenuta in Matita Pere. Nonostante ci sia solo un anno di distanza tra le due versioni, le differenze sono notevoli su molteplici punti di vista, e questo principalmente per effetto del lavoro di Oegerman, arrangiatore dell’album. Oltre alle differenze armoniche e melodiche, molto più jazzistiche nella versione di Oegerman, abbiamo una netta differenza anche nella struttura formale. Quella che apparentemente nella versione originale era una struttura “caotica”, senza schemi ripetuti, viene riconfermata in questa nuova struttura che, seppur complessa, ha in realtà con l’originale un importante punto in comune: dopo aver esposto il chorus con lo schema AA'BB'A"A", la struttura continua con un nuovo chorus basato su una struttura ridotta di 12 battute AB’’A’’, che questa volta viene ripetuto senza particolari alterazioni fino alla fine del brano. Pertanto, come si evince dal confronto tra le due versioni, la struttura definitiva del brano risulta essere la seguente AA'BB'A"A"AB’’A’’, in cui ogni sezione ha 4 battute e le ultime tre vengono ripetute fino alla fine. Si tratta di un chorus di ben 36 battute, con le ultime 12 battute ripetute a loop. 91 Di seguito il confronto tra le analisi formali delle due versioni (tre, in realtà, considerando che la versione dell’almbum Elis & Tom del’74 ha la stessa identica struttura della versione contenuta in Matita Pere): O Tom de Antonio Carlos Jobim e o Tal de João Bosco (originale, 1972) Matita Perê (1973) / Elis & Tom (la versione più nota, del 1974) 0:00 – 0:11= INTRO, batida di chitarra in Bb/C (8 battute) 0:00 – 0:11= INTRO, batida di chitarra in Bb/C (4 battute in 4/4, poi una in 6/4) 0:11 – 0:42 = AA’BB’A’’A’’ 0:11 – 0:52 = AA’BB’A’’A’’ 0:42 – 0:58 = AB’A’’, entra background di brass e blocks in legno 0:52 – 1:14 = AB’A’’ 0:58 – 1:14 = AB’A’’, il background se ne va e rientra solo alla fine di A’’ 1:14 – 1:38 = AB’A’’ entra background con archi e brass 1:15 – 1:20 = B’ 1:39 – 1:45 = A’’’, variazione melodica della cellula a 1:21 – 1:31 = AA’’ , entra di nuovo il background 1:46 – 2:00 = AA’’ , entra di nuovo il background (nella versione del 1974 i due cantanti si scambiano le battute, creando un bellissimo duetto) 1:32 – 1:48 = AB’A’’, il background resta fino a A’’ 2:01 – 2:21 = SPECIAL (11 battute) 1:49 – 1:59 = A ripetuta due volte con lo stesso testo 2:22 – 2:44 = AB’A’’, con strumentale su A, i flauti suonano il tema. Nella versione di Elis & Tom la A’’ utilizza le variazioni armoniche che saranno impiegate successivamente 2:00 – 2:15 = AB’A’’, con strumentale su A 2:45 – 3:06 = AB’A’’, ci sono delle variazioni armoniche, ma la melodia resta la stessa. 2:16 – 2:24 = A ripetuta due volte con lo stesso testo 3:07 – 3:29 = AA’’A’’, nella versione del 1974 Jobim ed Elis si scambiano tutte le parole, fino a cantare l’ultima A’’ all’unisono. 2:25 – 3:08 = OUTRO, con fade out, su A ripetuta a loop con piccoli vocalizzi 3:30 – 3:53 = OUTRO, con C, nuova sezione basata su una variazione armonica in modalità minore (già anticipata prima), sui cui viene eseguito uno strumentale basato sul sistema della cosiddetta scala Shephard (versione del 1973), o uno scambio di battute (1974). Come si può vedere dalla tabella, le due versioni hanno durata molto diversa. Questo semplicemente perché la versione originale è molto più veloce (tra i 175 e 180 bpm, con velocità leggermente variabile), mentre la maggior parte delle successive saranno più lente (tra i 140 e 145 bpm la versione di Elis & Tom). 92 Concludendo con l’analisi formale, si può dire che il brano si discosti dallo schema della forma canzone, in quanto il chorus esposto inizialmente non viene mai ripetuto integralmente. Ciònonostante c’è una sorta di differenziazione tra strofe (le A) e ritornelli (le B), anche se la loro predisposizione è continuamente interrotta da interludi (come nella versione del 1974) o da impreviste ripetizioni di sezioni (come a minuto 3:07, nella versione del 1974, o a minuto 1:49 nella versione originale). ANALISI ARMONICA Nonostante la grande varietà armonica rinvenibile nelle due versioni sopracitate e, soprattutto, la notevole quantità di differenze tra le due versioni, la struttura armonica di Aguas de Marco è in realtà riconducibile ad un modulo di soli due accordi, prodotto dell’alternanza di due funzioni armoniche fondamentali: tonica e sottodominante. Tutto quello che c’è “in mezzo” tra le due funzioni di base è prodotto da tecniche armoniche di sostituzione che, per quanto complesse siano e per quanto apparentemente distanti dal centro tonale, alla fine riportano sempre al modello fondamentale. Aspetto armonico caratterizzante il brano è, come risulta nella maggior parte delle versioni analizzate, l’illusione del canone eternamente discendente definito Scala Shepard, dal nome dello psicologo Roger Shepard, che l'ha studiata e ne ha definito i contorni teorici-musicali. Come è evidente anche da un primo ascolto, l’armonia (così come anche la melodia, il testo e tutte le altre componenti del brano) è dominata da un movimento discendente di basso con andamento cromatico e apparentemente ciclico. Il movimento cromatico, soprattutto se posto al basso, è certamente un elemento che svaluta la centralità tonale, introducendo continuamente note, tra l’altro con importante valore di fondamentale d’accordo, che non fanno parte della tonalità di 95 procedimento si trova nel fatto che l’accordo semidiminuito può essere interpretato come un accordo di nona di dominante (Re-Fa#-La-Do-Mi) con la terza al basso. In sostanza, dunque: Am6 (A C E F#) = F# m7b5 (F# A C E ) = D7 9/F# (F# A C D E)86 Fig.32 L’armonizzazione 1 viene utilizzata solo per le prime 4 battute (la prima A), come continuazione dell’intro, un pedale di I7 26, quindi con il la 7° al basso. L’armonizzazione 2 occupa poi tutto il resto del brano. Da ciò si evince subito che, per questa versione, come sarà anche per le successive, le progressioni armoniche non hanno alcun ruolo nel definire le sezioni, essendo queste caratterizzate solo ed esclusivamente dall’alternanza dei moduli melodici. Entrambe le armonizzazioni delineano, nel loro susseguirsi, il movimento del basso BbAAbGF#F, confermando l’ipotesi delineata circa l’applicazione della Scala Shepard. La versione di Aguas de Março del 1972, di Elis Regina con arrangiamento di Camargo Mariano (Carvalho Costa 1972) e quella del 1973 di Jobim con arrangiamento di Ogerman (Jobim, Matita 86 Bianchi, Enrico: Complessità “potenziali” nelle interpretazioni di Aguas de Março di Antônio Carlos Jobim, Analitica Rivista Online di Studi Musicali, Indice 2006 volume 3 numero 2, 2006 96 Pere, 1973), hanno un’importanza determinante nell'evoluzione successiva della canzone. E’ possibile mostrare come gli apporti di questi due nuovi arrangiamenti confluiscano nella versione del ‘74 (Elis Regina e Jobim con arrangiamento di Camargo Mariano e Jobim, Carvalho Costa-Jobim 1974); si tratta di apporti armonici, precisamente di due nuove armonizzazioni di quattro battute che vengono proposte come potenziali alternative al modulo madre (armonizzazione 1) e derivato (armonizzazione 2) della versione originale. La versione di Matita Pere, nello specifico, risente invece certamente dell’influenza dell’arrangiatore Claus Oegerman. L’armonia si discosta molto dall’originale, presentando caratteri più complessi e arricchendosi con interessanti soluzioni di riarmonizzazione. Tuttavia l’arrangiatore è bravo a mantenere il nucleo armonico fondamentale del brano. Se nella versione originale il movimento C7F è stato sviluppato solo mediante due armonizzazioni, in questa versione abbiamo diverse varianti, le quali vengono alternate e associate talvolta in modo irregolare alle diverse sezioni per creare movimento armonico. In sostanza non abbiamo una perfetta associazione sezione/progressione, ma piuttosto una serie di progressioni modello applicate differentemente ai vari moduli melodici, i quali restano l’elemento portante del brano. Ecco di seguito presentati i moduli armonici impiegati nel corso del brano e le diverse interazioni con i moduli melodici: 97 Progressione Applicazione Note | I7 in 26 | VI-6 | IV-6 in 36 | A, talvolta anche A’ È uguale all’armonizzazione I della versione originale ( I maj79 in 46) | sub I7 # 11 | IVmaj7 | IV-6 (b VII) (fig.4) A’ Caratterizzata dalla presenza dell’accordo di tritono, del IV maj al posto del VI- e dal b VII come dominante di sottotonica (scambio modale dal modo minore parallelo). Qui è evidente l’interscambiabilità tra il VI-6 e il IV, essendo il primo praticamente un primo rivolto del secondo (varia solo la presenza del Fa#). I 6 | II- rel. To I7 / I7 | #IV m7b5 | IV- 6 B, B’ e A’’ Caratterizzata dalla presenza del IV#, utilizzato qui al posto del sub I7 come accordo con funzione cromatica perché più adatto alla melodia che canta il LA. Il Bb del sub I7 avrebbe invece creato forte dissonanza. Il IV# semidim è di fatto un rivolto dell’accordo di nona di dominante posto sul secondo grado. Questo accordo è ampiamente utilizzato nelle cadenze cromatiche, essendo solito risolvere in senso ascendente (verso il V), o discendente (verso il IV o IV-), come nel caso analizzato.87 (Ulanowsky, 1988) I maj7 | I min 26 | II7 26 | IV- 6 46 B’ Il movimento cromatico discendente si sposta dal basso alle voci superiori. Viene usato il C come pedale, cui si montano le triadi maggiori di Eb, D e Db. Il risultato è il parallelismo modale con il modo minore (con la triade di Eb). L’arrangiatore prende in prestito accordi dell’armonizzazione parallela minore aventi la stessa funzione degli accordi della sezione B. Ciò avviene, nello specifico, per il I- (funzione di tonica, come il I maj) e il IV- (funzione di sottodominante). I maj7 | I min 7 | II7 26 | b II maj7 26 (fig.5) TRIADI: Eb  D  Db A’’ Viene collocato al basso un pedale di tonica (do), che è l'unica nota in comune tra i quattro accordi del modulo madre mentre la successione cromatica discendente presente al basso viene spostata nelle voci superiori. la parentela tra le due armonizzazioni non deriva in questo caso da un'analogia funzionale tra i singoli accordi componenti i moduli come osservato precedentemente, ma dal fatto che in ogni battuta del modulo armonico 4 compaiono ben tre suoni del modulo madre. Il parallelismo modale viene rafforzato questa volta con il b II (con la triade di Db), proveniente dal modo minore frigio. Qui è evidente il movimento discendente delle triadi evidenziate.88 87 Ulanowsky, Alex: Harmony 4, Berklee College of Music, 1988, Boston. 88 Bianchi, Enrico: Complessità “potenziali” nelle interpretazioni di Aguas de Março di Antônio Carlos Jobim, Analitica Rivista Online di Studi Musicali, Indice 2006 volume 3 numero 2, 2006
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