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Le Avanguardie, il Futurismo, Pirandello e Svevo.docx, Appunti di Italiano

Le Avanguardie, il Futurismo, Pirandello e Svevo.docx

Tipologia: Appunti

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Scarica Le Avanguardie, il Futurismo, Pirandello e Svevo.docx e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! LE AVANGUARDIE Le Avanguardie Storiche iniziano nel 1909 con la 1°Avanguardia (che prende il nome di Futurismo) e si concludono con la fine della 1°Guerra Mondiale (1918), con una prosecuzione del Futurismo in Russia fino alla 2°Guerra Mondiale. Il termine “Avanguardie” prende spunto dal termine usato in ambito militare, per indicare un piccolo gruppo dell’esercito che va in avanscoperta e che scopre spazi sconosciuti; quindi in campo letterario indica il gruppo di scrittori, di poeti, di artisti, che va alla scoperta di nuove modalità mai sperimentate, percorrendo spazi letterari sconosciuti. Vengono definite “storiche” perché non sono le uniche Avanguardie letterarie e artistiche nel corso degli anni, ma perché sono le prime. Negli anni 60’ inizieranno le Neoavanguardie, così chiamate per distinguerle dalle prime. Con il termine “Avanguardie” non si intende un movimento solo, ma più movimenti: ciascun è formato da un gruppo di scrittori, che condividono il loro programma d’azione in manifesti, pubblicati su riviste dell’epoca: 1. il primo in ordine cronologico è il Futurismo, che nasce in Italia da Filippo Tommaso Marinetti, il quale pubblica il Manifesto del Futurismo sul quotidiano parigino “Le figaro” nel 1909 e nel quale viene rappresentato il programma e gli obiettivi del futurismo (=fondare una società su valori completamente nuovi); si diffonde poi in altri Paesi europei: nel 1923 Majakovskij pubblica il Manifesto del Futurismo russo in Russia e nel 1907 viene pubblicato quello del Cubismo da Picasso e Braque, tuttavia si tratta solo di un’avanguardia artistica, non letteraria 2. poi nasceranno: il Dadaismo in Svizzera, fondato dall’autore Tristan Tzara a Zurigo con la pubblicazione del Manifesto del Dadaismo nel 1918, e il Surrealismo in Francia, fondato da André Breton con i due Manifesti del Surrealismo nel 1924 e nel 1930 3. espressionismo, che nasce in Germania. Questi movimenti artistici e letterari sono diversi tra loro, hanno idee differenti, ma allo stesso tempo presentano dei tratti comuni: 1. Non sono solo letterari, ma anche artistici, investono quindi tutte le forme d’arte 2. Sono antipassatisti (= contro al passato): le scoperte del passato e le tradizioni fino a quel momento vanno cancellate e si deve quindi prestare attenzione solo a quello che verrà introdotto da quel momento in poi; per esempio: aboliscono le figure retoriche, la punteggiatura e la ripetizione degli aggettivi e invece vengono scritti testi che riproducono visivamente gli oggetti (=i calligrammi, che vengono introdotti da Apollinaire) per dire che non è più necessaria la suddivisione in righe della prosa e non è necessario che i testi abbiano un senso logico; dal punto di vista artistico bisognerebbe eliminare tutto ciò che è stato creato fino a quel momento, quindi i musei non dovrebbero più esistere e le opere d’arte dovrebbero essere distrutte 3. Sperimentano tutto ciò che può essere futuro: macchinari, automobili, corrente elettrica, e tutto il resto che è stato creato dalla Seconda Rivoluzione Industriale è positivo, per il semplice fatto che è nuovo e che li proietta verso il futuro 4. Bisogna sorprendere lo spettatore/il lettore, non è importante che apprezzi, ma che resti colpito in modo positivo o negativo, non deve restarne indifferente. I futuristi organizzano serate futuriste, durante le quali si svolgono rappresentazioni teatrali in cui gli spettatori verranno coinvolti direttamente, spesso in modo negativo, così da far parlare dello spettacolo IL FUTURISMO ITALIANO I temi: 1. Sperimentazione di nuove forme espressive, senza farsi limitare da vincoli di forma o da regole prestabilite 2. L’idea nazionalista, cioè il movimento che predilige la guerra perché permette di purificare il mondo dai deboli 3. L’opposizione a tutti i movimenti letterari precedenti perché non seguono le idee futuriste Queste innovazioni sono contenute nel Manifesto tecnico della letteratura futurista e l’obiettivo è proprio quello di respingere forme e temi tradizionali, del passato, per cui: 1. Verrà introdotto un meccanismo analogico in cui materie e oggetti tra loro lontani vengono accostati per descrivere la realtà; per esempio: tecnica del sostantivo-doppio 2. Non c’è più sintassi, punteggiatura e tempi verbali 3. Viene proposto il sistema di parole in libertà: le parole devono essere messe a caso, senza legami logici tra loro FILIPPO TOMMASO MARINETTI Filippo Tommaso Marinetti nasce a Alessandria d’Egitto nel 1876 e fonda la rivista “Poesia” a Milano nel 1905 con l’obiettivo di diffondere nuovi scrittori anche all’estero. Nel 1909 pubblica il Manifesto del futurismo sul giornale parigino “Le Figaro”. Nel 1912 pubblica invece il Manifesto tecnico della letteratura futurista. Prende parte alla 1°Guerra Mondiale e fu favorevole al fascismo perché pensava che rispecchiasse le sue idee rivoluzionarie, ma diventò invece un intellettuale di regime. Muore nel 1944 nella Repubblica di Salò. Un esempio evidente è quello di Giuseppe Ungaretti, che nella sua raccolta poetica “Allegria” distrugge il verso tradizionale (segue gli ideali futuristi), mentre nelle raccolte successive, in particolare in “Il dolore”, ripropone forme più tradizionali. IL ROMANZO DEL NOVECENTO I maggiori esponenti del romanzo novecentesco sono Luigi Pirandello e Italo Svevo. Questo tipo di romanzo è completamente nuovo rispetto ai romanzi precedenti, perché si tratta di un romanzo psicologico, in cui i temi fondamentali sono l’autoanalisi e l’analisi della psiche dei personaggi. I due autori sono però ben diversi tra loro: Pirandello si dedica a generi diversi, non solo novelle e romanzi, ma anche opere teatrali, per le quali riceverà il premio Nobel nel 1934. Le sue novelle rappresentano i canovacci (= testi base dai quali sviluppare poi tutta l’opera teatrale), mentre i romanzi sono completamente autonomi. Svevo invece scrive solo romanzi e articoli. I primi due romanzi (“Una vita” e “Senilità”) di Svevo saranno un fiasco, mentre il terzo romanzo sarà un grande successo (“La coscienza di Zeno”). Pirandello sarà però un personaggio più pubblico e conosciuto, a differenza di Svevo, che resterà invece più emarginato e riservato. Tutti e tre questi romanzi hanno un tema comune: l’inettitudine, cioè l’incapacità di vivere, la mancanza di volontà sufficiente ad affrontare la vita. LUIGI PIRANDELLO Luigi Pirandello nasce a Girgenti (ora Agrigento) nel 1867 da un’agiata famiglia borghese (il padre gestisce una miniera di zolfo). Dopo aver concluso gli studi universitari in Germania all’Università di Bonn, si trasferisce a Roma, dove si dedica interamente alla produzione letteraria. Qui scrisse il suo primo romanzo “L’esclusa”, pubblicato nel 1901. Nel frattempo, sposa Maria Antonietta Portulano, la quale si ammalerà però di nevrosi e questo rappresenterà il primo contatto dell’autore con la follia. La condizione della moglie peggiorerà definitivamente quando la miniera di zolfo del padre di Pirandello si allagherà, provocando il dissesto economico della famiglia. Per risolvere questa crisi economica, Pirandello si vedrà costretto ad incrementare la sua produzione di novelle e romanzi: le novelle saranno pubblicate inizialmente sulle riviste e raccolte successivamente in un’unica raccolta intitolata “Novelle per un anno”. Scrive poi altre opere e romanzi come “Il fu Mattia Pascal” pubblicato nel 1904. Nel frattempo, incrementa anche la sua produzione teatrale, in particolare con “Il berretto a sonagli” e “Il giuoco delle parti”. Da questo periodo (1920) inizia a conoscere il successo del pubblico: la sua opera teatrale “Sei personaggi in cerca d’autore” susciterà reazioni negative, ma poi otterrà molto successo, diventando una delle opere più rappresentate in tutto il mondo. Nella novella “Personaggi”, Pirandello immagina che ci sia un giorno della settimana in cui i personaggi vadano da lui a chiedergli di diventare protagonisti di una novella, di un romanzo, di un’opera e di costruire una storia intorno al loro personaggi o di migliorarla (se i personaggi sono stati abbozzati da altri autori). La produzione teatrale si conclude con “I giganti della montagna” che resterà però inconclusa, perché Pirandello muore nel 1936. Nel 1934 Pirandello riceverà il Premio Nobel per la Letteratura. Nel frattempo, Pirandello ha scritto anche “Uno, nessuno e centomila” e “I quaderni di Serafino Gubbio operatore”, che è l’ultimo romanzo scritto da Pirandello e che era dedicato all’attività del cinema. PENSIERO DI PIRANDELLO 1. Pirandello era convinto che ciascuno di noi dovesse indossare delle maschere per essere accettati dal resto della società e quest’ultima impedisce di vivere come ognuno vorrebbe e questo genera un’esistenza frustrata tra tutte le persone. Queste idee, che gli altri hanno di noi, si trasforma in una vera e propria trappola perché ci costringono a rispettare regole già prefissate e ci impediscono di essere liberi e di realizzare la vita che vogliamo noi 2. Pirandello è convinto del relativismo della conoscenza: la conoscenza è relativa, cioè ciascuno di noi non può avere una conoscenza completa della realtà, ma può limitarsi a conoscerla solo in parte; quello che però noi conosciamo di noi stessi e degli altri è la verità: quella parte che ciascuno di noi conosce è la verità; quindi un vero unico, uguale per tutti, non esiste 3. Secondo Pirandello la nostra vita è immersa in un flusso continuo, incandescente: la vita è come un flusso continuo di lava incandescente che ci travolge, che cambia nello spazio e nel tempo, e rende impossibile fissare una personalità unica. L’idea di avere un’unica identità è un’illusione: noi crediamo di essere uno, ma in realtà siamo tanti individui diversi in base a come gli altri ci guardano; in realtà queste interpretazioni sono irreali, ma noi tendiamo ad adeguarci a quello che gli altri pensano di noi, indossando delle maschere, ma dietro a queste maschere non c’è un uno, ma c’è un qualcosa che cambia in continuazione e che quindi è nessuno. Dalla nostra nascita alla nostra morte viviamo trasportati dalla vita e cambiamo durante la nostra esistenza. Le reazioni delle persone possono essere 3: • Le persone non si accorgono di avere un’identità diversa da quella che la società richiede; • Le persone si accorgono di queste diverse identità e le accettano, vivendo quindi in modo frustrato perché non fanno nulla per cambiare questa situazione; • Le persone non accettano tutte le varie identità: quando si accorgono d dover essere qualcuno che non sono, si ribellano in modo violento oppure con la follia. LA POETICA DELL’UMORISMO Nel 1908 Pirandello scrive un saggio, intitolato “L’umorismo”, in cui spiega la sua poetica dell’umorismo. Le sue opere (tra cui ricordiamo “Pensaci Giacomino!”, “Il giuoco delle parti”, “Così è (se vi pare)” e “Il berretto a sonagli”) fanno riferimento alla poetica dell’umorismo. Questo saggio è un saggio di poetica in cui spiega quali sono i suoi obiettivi e qual è il suo modo di scrivere. Il testo è molto ampio e per questo viene suddiviso in due parti: 1. parte: Pirandello spiega in che cosa consiste l’arte umoristica, che consiste nel sentimento del contrario; 2. parte: Pirandello guarda all’arte del passato e sostiene che quest’arte umoristica sia già esistita in passato. “UN’ARTE CHE SCOMPONE IL REALE” di L. Pirandello pg.712 LE NOVELLE Pirandello scrisse novelle per tutto l’arco della sua attività creativa (per i primi 15 anni del ‘900). Si tratta di una produzione molto ampia, nata per la pubblicazione occasionale su quotidiani e riviste. Tuttavia, Pirandello raccoglie questa produzione in volumi: nel 1922 progettò una sistemazione in 24 volumi, con il titolo “Novelle per un anno”, ma di questi 24 solo 15 vennero effettivamente pubblicati, di cui l’ultimo, intitolato “Una giornata” venne pubblicato nel 1936 dopo la morte di Pirandello. Non vi è un ordine determinato nelle sue raccolte, vi è quindi l’impressione che si tratti di una successione casuale di particolari, rispecchiando la visione di un mondo non ordinato, ma frantumato di Pirandello. LE NOVELLE SICILIANE All’interno della raccolta è possibile distinguere le novelle ambientate in una Sicilia contadina da quelle ambientate in ambienti piccolo borghesi continentali (= il resto dell’Italia). Pirandello riscopre i miti siciliani da un punto di vista più decadente e le figure del mondo contadino vengono deformate fino a diventare immagini assurde, ai limiti della follia. Pirandello riesce a cogliere il grottesco della vita e la casualità che fa saltare ogni idea di mondo ordinato, come si vede nella novella “La giara”. LE NOVELLE PICCOLO BORGHESI Nelle novelle romane vengono rappresentate figure che vivono in una condizione piccolo borghese, meschina, grigia, frustrata. Queste figure sono la metafora di una condizione esistenziale assoluta: la “trappola” in cui queste figure sono rinchiuse è costituita da una famiglia oppressiva e soffocante o da un lavoro monotono e meccanico. Pirandello si sofferma sulle convenzioni sociali che impongono all’uomo maschere e ruoli fissi. L’insofferenza di queste figure può scoppiare nei gesti più folli e inaspettati, come nelle novelle “Il treno ha fischiato”, “Fuga” e “Pallottoline”. Pirandello deforma le caratteristiche fisiche e i movimenti dei personaggi, fino a farli sembrare marionette, gestite da qualcun altro. Da questo meccanismo scaturisce il riso, sempre accompagnato da una pietà dolorosa. Miragno muore una persona, che però è talmente sfigurata che la moglie e la suocera di Mattia la riconoscono come Mattia, al che Mattia, vedendo di “essere morto”, pensa di poter finalmente costruirsi una nuova identità, quella di Adriano Meis 2. Adriano Meis: Mattia cerca di cambiare aspetto per trasformarsi in Adriano Meis e va fino a Roma, dove affitta una stanza nella casa del signor Anselmo Paleari, la cui figlia si chiama Adriana e di cui Mattia si innamora; secondo il signor Paleari ciascuno di noi ha dentro di sé un lanternino (= la voce della conoscenza) che illumina solo una parte di noi, quella che noi conosciamo meglio di noi stessi, in modo diverso, a volte è più illuminata, mentre nei momenti in cui siamo più confusi e non sappiamo bene cosa stiamo facendo, viene illuminata di meno (lanterninosofia) e questa lanterna tende ad essere influenzata dai lanternini, che sono le idee politiche e sociali che influenzano le persone. Il signor Paleari inoltre ritiene che noi viviamo in un teatro dei burattini, i cui fili sono tirati da un qualcuno, che influenza la nostra esistenza e ci guida a suo piacimento (lo strappo del cielo di carta rappresenta il momento in cui ci rendiamo conto del fatto che qualcuno ci ha manovrati fino a quel momento e che la nostra esistenza attuale è diversa da quella che vorremmo); Adriano inoltre vorrebbe sposarsi con Adriana, ma non può perché Adriano non esiste e decide di inscenare un finto suicidio per potersene andare; si conclude così la seconda identità e Mattia torna quindi a Miragno 3. Il fu Mattia Pascal: è tornato a Miragno, dove il suo migliore amico ha sposato la sua “vedova” e dove tutti sono indispettiti dal suo ritorno, perché si sono costruiti delle vite in cui Mattia non esiste; il bibliotecario gli concede quindi di vivere in uno spazio vicino alla biblioteca e da quel momento lui diventa per tutti il Fu Mattia Pascal Nessuna di queste identità è quella vera perché Mattia, quando diventa Adriano resta comunque attaccato alla sua vecchia identità perché non ha il coraggio di buttare all’aria tutto. La sintassi è molto complicata e caratterizzata da periodi lunghi, da tante subordinate, da un lessico abbastanza alto e da un approfondimento psicologico non lineare. Mattia Pascal vive in un immaginario paese della Liguria, Miragno. Egli eredita dal padre una grossa fortuna, ma un amministratore della sua proprietà lo porta a perdere tutti i suoi averi. Batta Malagna, l'amministratore, si impossessa a poco a poco di tutto il patrimonio di Mattia, il quale si rivendica seducendo la nipote dell’amministratore, Romilda, che resta incinta. Per questa ragione sarà costretto a sposarla: il matrimonio si rileva da subito un disastro sia per il cattivo rapporto con la moglie e la suocera, sia per la miseria, la condizione sociale in cui egli vive (si deve adattare ad un impiego mortificante, cioè a quello di bibliotecario nella biblioteca del paese, un lavoro che non gli piace e che lui vive come una frustrazione. Mattia cerca di rompere questa situazione di frustrazione e di oppressione con la fuga dal paese alla ricerca di fortuna. Tuttavia, due casi casuali intervengono a modificare la situazione: 1. Una vincita significativa alla roulette del Casinò di Montecarlo, che gli assicura una somma sostanziosa per andare avanti; 2. La notizia della propria morte: la moglie e la suocera hanno riconosciuto un cadavere a Miragno come quello di Mattia. Mattia si trova così libero da questa duplice trappola, cioè sia quella famigliare che quella del lavoro e può quindi cambiare vita. Egli tuttavia commette un errore: una volta uscito dalla forma, cioè dalla famiglia in cui si trova e dalle aspettative degli altri, Mattia non si accontenta di vivere libero da ognuna di queste limitazioni, ma vuole invece crearsi una nuova identità, quella di Adriano Meis. Per questo motivo Mattia comincia a mutare radicalmente il suo aspetto fisico: si taglia la barba, si fa crescere i capelli, cerca di nascondere l'occhio strabico con delle lenti scure, cambia modo di vestire e si trova un nuovo nome; inoltre Mattia si inventa tutto il suo passato. Adriano Meis, ben presto, inizia a sentire una sensazione di solitudine e soffre ad essere escluso dalla vita delle altre persone, perché essere libero significa anche essere completamente estraniato, “forestiere” della vita. La nuova identità è una costruzione falsa, perfino peggiore della prima perchè non esiste ufficialmente e non gli permette di stabilire legami con gli altri, di avere una famiglia e di lavorare; l’errore dell’eroe non consiste nell’aver scelto la libertà assoluta, ma al contrario nel non essere stato capace di vivere davvero la sua libertà. Adriano Meis decide di immergersi nuovamente nel flusso vitale: si trasferisce a Roma prendendo in affitto una stanza presso la famiglia di Anselmo Paleari. Adriano/Mattia si innamora della figlia di quest’uomo, Adriana. Tuttavia, pur amando Adriana, l'eroe non può stabilire un legame con lei, perchè socialmente non esiste. Così, derubato dal cognato disonesto, Papiano, non può denunciarlo perché l’identità falsa non gli consente di immergersi nella vita comune. Adriano Meis scopre quindi la sua condizione di essere escluso da quella vita sociale a cui è rimasto strettamente legato. Si libera quindi della falsa identità di Adriano Meis, simulando un suicidio e tentando di riprendere la vecchia identità di Mattia Pascal. La ripetizione ossessiva del nome e del pronome “io” rivela quanto l'eroe sia rimasto attaccato all'idea di identità personale. Tornato alla sua identità originaria, prende il treno per Miragno. Ma, ripresentandosi a casa, scopre di non poter rientrare nella vecchia “forma”: la moglie si è risposata con il suo migliore amico, Pomino, e ha avuto una figlia. Ora l'eroe non può più avere alcuna identità. Per necessità assume allora quell'atteggiamento di estraniato (forestiere della vita) e inizia a vivere in pace, senza quelle smanie e sofferenze che l'avevano spinto a tentar di rientrare nella trappola originaria. Riprende il suo posto nella biblioteca, che diventa il suo osservatorio della vita, che scorre ormai lontana da lui, dedicandosi a scrivere la propria singolare esperienza. Questo memoriale steso dal protagonista alla fine della sua vicenda costituisce appunto il romanzo. “LO STRAPPO NEL CIELO DI CARTA” e “LA LANTERNINOSOFIA” di L. Pirandello pg.756 Paleari, il padrone di casa di Adriano Meis, ha una formazione filosofica che lo porta a fare diversi interventi di tipo filosofico. Sta chiacchierando con Adriano e decide di raccontare nella prima parte del discorso dello “strappo nel cielo di carta” e nella seconda parte parla della sua teoria del “Lanternino”, cioè che dentro ognuno di noi c’è un lanternino che illumina una parte della nostra coscienza. 1. parte: Quel cielo di carta che si strappa è una metafora per dire che finchè il cielo non si strappa noi non abbiamo la consapevolezza della forma in cui ci troviamo. Nel momento in cui questo cielo si rompe, ci rendiamo conto che siamo manovrati come delle marionette. La nostra vita è quindi una finzione, che non è quella che vorremmo, diventiamo dubbiosi della nostra esistenza. Perciò sarebbe meglio essere come le marionette, ma non averne la consapevolezza, cioè avere tutto un mondo calibrato su di te e non avere mai la possibilità che questo mondo si apra e che ci sveli quello che c’è dietro le apparenze, così da porci meno domande ed essere più felici; 2. parte: Mattia decide di eliminare l'ultimo legame con la sua precedente identità, facendosi operare l'occhio storto; dopo l'intervento deve restare 40 giorni al buio; I VECCHI E I GIOVANI Nel romanzo successivo “I vecchi e i giovani”, pubblicato nel 1909, Pirandello fa un passo indietro rispetto alle innovazioni de “Il fu Mattia Pascal”: la narrazione è vicina a quella del romanzo naturalistico. È un romanzo storico: rappresenta le vicende sociali e politiche della Sicilia e dell'Italia negli anni 1892-93, tra la rivolta dei fasci siciliani guidati dai socialisti e lo scandalo della Banca Romana. Al centro della vicenda vi è una famiglia nobile di Girgenti (di Agrigento) e, come suggerisce il titolo, l'intreccio si basa sul confronto tra due generazioni: da un lato i vecchi che hanno fatto l'Italia, che vedono i loro ideali risorgimentali negati dalla corruzione politica dell’epoca; dall’altro i giovani appaiono smarriti e incerti sul loro futuro e le loro azioni si rivelano sempre fallimentari (Esemplare è il caso di Lando Laurentano, divenuto socialista, ma che dinanzi alla dura repressione della rivolta dei Fasci si chiude in una delusione). I QUADERNI DI SERAFINO GUBBIO OPERATORE Il romanzo “I quaderni di Serafino Gubbio Operatore” viene pubblicato nel 1925, dopo essere stato precedentemente pubblicato (nel 1915) con il titolo “Si gira …”. Il romanzo è costituito dal diario del protagonista, che lavora come operatore cinematografico. Serafino è il tipico eroe “filosofo”, estraniato dalla vita. La sua professione, ovvero il suo stare sempre dietro alle macchine da presa, diviene la metafora di questo distacco dalla vita. Pirandello, in questo romanzo, mette a frutto la sua conoscenza della nuova industria cinematografica e ha modo di affrontare “il trionfo della macchina”. Pirandello dinanzi alla realtà industriale e alla macchina è diffidente e ostile: prova repulsione per la macchina, che contribuisce a rendere meccanico il vivere degli uomini. UNO, NESSUNO E CENTOMILA Mentre Pirandello inizia a dedicarsi al teatro; lavora ancora ad un romanzo: “Uno, nessuno e centomila”, che viene pubblicato nel 1926. Il romanzo si ricollega a “Il fu Mattia Pascal”, riprendendo il tema centrale della crisi dell'identità individuale. Il protagonista, Vitangelo Moscarda, scopre casualmente che gli altri si hanno di lui un'immagine diversa da quella che egli ha creato di sé stesso, scopre cioè di non essere uno (= quello che aveva creduto di essere sino a quel momento), ma di essere centomila (= nel riflesso delle prospettive degli altri), e quindi nessuno (= perché nessuna di quelle centomila realtà è quella vera). Vitangelo ha orrore delle forme in cui lo vedono gli altri e non ci si riconosce, e ha anche orrore della solitudine in cui piomba allo scoprire di non essere nessuno. Decide perciò di distruggere tutte le immagini che gli altri si fanno di lui, in particolare quella dell'usuraio (il padre infatti gli ha lasciato in eredità una banca), per cercare di essere una stessa persona per tutti: ricorre così ad una serie di gesti folli e sconcertanti, come vendere la banca che gli assicura l'agiatezza. Viene poi ferito gravemente da un'amica della moglie, colta da un raptus inspiegabile di follia e, al fine di evitare lo scandalo, cede tutti i suoi averi per fondare un ospizio per poveri, dove egli stesso si fa ricoverare, estraniandosi completamente dalla vita sociale. In questa LA “TRILOGIA” METATEATRALE Nel 1921, con “Sei personaggi in cerca d'autore” Pirandello porta allo scoperto il rifiuto. I sei personaggi a cui allude il titolo sono: un Padre, una Madre, un Figlio, una Figliastra, una Bambina e un Giovinetto. Questi personaggi sono nati vivi dalla mente di un autore, ma questi si è rifiutato di scrivere il loro dramma, che è proprio un “dramma borghese”, basato sul classico triangolo adulterino, su conflitti familiari, su lutti strazianti e su colpi di scena. Pertanto, i personaggi si presentano su un palcoscenico, dove una compagnia sta provando la commedia “Il giuoco delle parti” di Pirandello, affinché gli attori diano al dramma quella forma che l’autore non ha voluto dare. Così Pirandello, invece del dramma dei personaggi, mette in scena la sua impossibilità di scriverlo a causa del suo carattere troppo “romantico”. Emerge però anche l’impossibilità di rappresentarlo: non solo per la mediocrità degli attori, ma per l’incapacità del teatro di rendere sulla scena ciò che uno scrittore ha concepito. I “Sei personaggi” costituiscono così un testo metateatrale (= cioè sul teatro) in cui, attraverso l'azione scenica, si discute del teatro stesso. Il dramma, alla sua prima rappresentazione a Roma nel 1921, suscitò l’indignazione furibonda del pubblico, impreparato a un discorso d'avanguardia, ma in seguito andò incontro ad un trionfale successo, anche su scala mondiale. Le soluzioni d'avanguardia del “teatro nel teatro” sono poi proseguite in altri due testi: “Ciascuno a suo modo” (1924) e “Questa sera si recita a soggetto” (1929). Se nei “Sei personaggi” veniva affrontato il problema del conflitto tra personaggi e attori, in “Ciascuno a suo modo” viene proposto il conflitto tra gli attori e il pubblico, in cui si mostra il pubblico che irrompe in scena. In “Questa sera si recita a soggetto” si affronta il conflitto tra gli attori e il regista (= una figura nuova che si era affermata in ambito europeo: era colui che dirigeva gli attori coordinando lo spettacolo in tutti i suoi aspetti, secondo un'interpretazione unitaria). Il regista Hinkfuss vuole ridurre gli attori a puri strumenti, ad esecutori passivi della sua volontà, ma gli attori si ribellano e lo cacciano. ENRICO IV “Enrico IV”, pubblicato nel 1922, si collega al ciclo del “teatro nel teatro” (1922), che si stacca dal “grottesco” per un'ambizione alla “tragedia”. In una villa solitaria nella campagna umbra vive rinchiuso da vent’anni un uomo che, impazzito da una caduta da cavallo durante una mascherata, si è fissato, immedesimato, nella parte che rappresentava, quella dell’imperatore medievale Enrico IV. Da allora continua a vivere immerso in quella lontana vicenda storica, assecondato da tutti quelli che lo circondano. Nella villa si introduce la donna che egli un tempo amava, Matilde, con l'amante Tito Belcredi e la figlia Frida. Un dottore, attraverso una specie di psicodramma, cioè mascherando la figlia come era un tempo la madre, durante la cavalcata storica, vuole provocare nel pazzo uno shock che lo riconduca alla ragione. Ma “Enrico IV” rivela di essere rinsavito da molti anni e di essersi chiuso nella sua parte per disgusto di una società corrotta e vile. Così facendo, però, è anche rimasto escluso dalla vita. Ora vorrebbe riappropriarsene, vivere ciò che non ha vissuto, possedendo la donna che non aveva potuto avere, nella forma di allora, cioè non Matilde ormai vecchia, ma la giovane Frida. Belcredi interviene per difendere la fanciulla, ma “Enrico IV” lo uccide con la sua spada. Così, da quel momento, sarà costretto a chiudersi di nuovo nella sua pazzia. Il dramma si collega al ciclo del “teatro nel teatro” perché anche qui avviene una recita in scena, quella di “Enrico IV”. La finzione dell'eroe non è altro che la prosecuzione cosciente, rigorosa, portata all'estremo, della finzione che è di tutti, costretti dal meccanismo sociale ad indossare delle maschere. “Enrico IV”, con la sua “recita”, costringe anche gli altri a mascherarsi, a recitare, per assecondarlo, ma proprio così mette in luce la finzione di cui tutti sono prigionieri nella vita quotidiana. ITALO SVEVO Italo Svevo è lo pseudonimo di Hector Schmitz, nato nel 1961 a Trieste, quando ancora faceva parte dell’Impero asburgico (sarà liberata soltanto durante la 3°guerra d'indipendenza). Questo nome d’arte che si sceglie vuole simboleggiare l’unione delle due culture, italiana e sveva (= tedesca), di cui si sente parte. Svevo è di origine ebraica, passatagli dalla madre Allegra Moravia, per cui anche questa cultura fa parte dello scrittore. Per i suoi studi viene mandato in un collegio in Germania, insieme ai suoi fratelli e questo gli permetterà di approfondire la conoscenza di alcuni autori tedeschi che diventano fondamentali per la sua formazione. Successivamente, torna a Trieste e si iscrive ad un istituto tecnico, perché la sua formazione non è orientata alla letteratura, ma all’attività commerciale del padre. È un autodidatta, perché comincerà a scrivere senza avere una formazione mirata per la letteratura: inizia a scrivere per alcuni giornali, in particolare il triestino L'indipendente, che ha una posizione irredentista, cioè che ha come desiderio quello di liberarsi dalla presenza austriaca. L’attività del padre però fallisce pochi anni dopo e quindi, da una condizione abbastanza agiata passa a una più difficile. Svevo deve perciò cercare un lavoro. Lavora per una banca e questo rappresenterà per lui un problema: fin dall’inizio si sente costretto a lavorare in un ambito che non gli piace e per lui è piuttosto frustrante, perché vorrebbe invece diventare uno scrittore. Il problema principale sarà che, dei suoi tre romanzi, i primi due, che sono “Una vita” del 1892 (all'inizio intitolato “Inetto”) e “Senilità” del 1898, non hanno per niente successo. Questa sconfitta dal punto di vista letterario non è solo un problema economico, ma è anche un problema di sostanza (= cioè io posso continuare a fare lo scrittore se quello che scrivo funziona, altrimenti vuol dire che non è il mio mestiere). Svevo vivrà sempre questo dissidio interiore tra il desiderio di essere uno scrittore e la consapevolezza di non avere le qualità necessarie. Tutto questo cambierà con il terzo romanzo: “La coscienza di Zeno” che pubblica nel 1923 dopo un periodo di silenzio letterario di circa vent’anni. Prima di pubblicarlo lo mostra all'amico James Joyce, il quale lo convince a pubblicarlo e lo recensisce positivamente. La stessa cosa farà Eugenio Montale, che a sua volta lo recensisce in modo positivo e avrà così il successo della critica. Per la prima volta avrà anche un discreto successo con il pubblico, vendendo molte copie del suo romanzo. Questo romanzo è molto diverso dai due precedenti, perché Svevo ottiene una fama non solo italiana, ma anche europea, grazie all'intervento di Joyce. Svevo muore nel 1928 a causa di un incidente automobilistico. I TRE ROMANZI I tre romanzi hanno come tema dominante l’inettitudine, cioè il non essere adatti alla vita, non avere la forza di volontà sufficiente per affrontare tutte le difficoltà, tutti dolori che la vita ci propone, ma essere capaci solo di fuggire, di scappare dalle difficoltà, senza affrontarle. Secondo Svevo questa è una malattia che caratterizza l'uomo del ‘900, quindi caratterizza anche l’eroe, che diventa l’antieroe nei suoi romanzi. L’eroe non sa gestire gli eventi e lui soffre di questa sua incapacità, che lo porta in molti casi a fuggire dalle sue responsabilità. Tutti gli eroi dei romanzi vivono lo stesso disagio nel confronto del mondo che non sono in grado di affrontare, ma che li rende incapaci di affrontare la vita, diventando perciò degli antieroi. La differenza è molto spesso nella lingua e, soprattutto nel 3° romanzo, nella struttura: il terzo romanzo di Svevo si differenzia in modo significativo per l’uso quasi esclusivo del monologo interiore e per la struttura in capitoli molto diversa. I primi due romanzi sono molto più vicini al Verismo, cioè hanno ancora una trama cronologica e un narratore esterno, che cerca di non far trasparire la propria visione. • Il primo romanzo (“Una vita”) rappresenta un romanzo di passaggio dal Verismo al romanzo novecentesco. Il protagonista del primo romanzo si chiama Alfonso Nitti ed è un impiegato di banca, che vive il suo lavoro come un qualcosa di frustrante. Questo si innamora della figlia del proprietario della banca: le fa la corte e, quando è sul punto di fidanzarsi con lei, scappa. Abbandona Annetta (la figlia del banchiere) e va a lavorare a Trieste, utilizzando come pretesto che deve correre dalla madre che sta morendo, che è effettivamente malata. Dopo la morte della madre, Alfonso decide di riavvicinarsi ad Annetta, la quale nel frattempo si è fidanzata con Macario. Alfonso, ferito da questo errore che ha compiuto e dal disprezzo che tutti provano verso di lui, decide di togliersi la vita. Il protagonista è un inetto che non trova scampo e che arriva alla soluzione più tragica e definitiva: la morte • Il secondo romanzo ha come protagonista Emilio Brentani: anche qui vediamo numerose similitudini con Svevo. In questo caso Emilio è un trentacinquenne, che lavora in una società di assicurazioni, ma gode di una discreta reputazione. Ha una sorella che si chiama Amalia, con cui vive e che lo accudisce come se fosse la madre. Il suo amico Stefano Balli invece fa lo scultore (probabilmente è ispirato al pittore Umberto Veruda, amico di Svevo). Emilio vede in Balli una figura paterna che a lui manca. Balli è un grande donnaiolo, amato dalle donne, al contrario di Emilio, che è molto timido e fa fatica a mantenere una relazione. Emilio, insoddisfatto della sua esistenza frustrante, va alla ricerca di qualcosa che possa cambiargli la vita: conosce Angiolina, una prostituta di cui si innamora. A lei non interessa niente di lui, anzi lo sfrutta chiedendogli soldi, lo imbroglia e lo inganna senza che lui se ne renda conto, perché in realtà Angiolina è innamorata di Balli. Quando Emilio lo scopre caccia l'amico da casa sua e si rifugia dalla sorella, molto malata, e chiama Angiolina deciso ad abbandonarla definitivamente in modo civile, ma quando la incontra la insulta e la aggredisce e quindi anche questa possibilità di riprendere l’amicizia con queste due persone fallisce. Dopo la morte di Amalia, Emilio si rinchiude definitivamente nei suoi sogni, insieme a queste due figure femminili, entrambe innamorate di Balli. A differenza del primo protagonista di Svevo, che si uccide, questo fugge in una dimensione di solitudine, di separazione dal mondo. In questo secondo romanzo vediamo già una struttura diversa da quella del primo, cioè la trama va avanti e indietro, non è più lineare e si passa dal narratore in terza persona a quello in prima. Anche questo romanzo, forse persino più del primo, è un fiasco, nel senso che nessuno sa dell'esistenza di questo libro • Il terzo romanzo è molto diverso dai primi due: ha come protagonista sempre un inetto, Zeno Cosini, che però guarisce dalla sua inettitudine, ma non attraverso la psicoanalisi, che sembra invece l’unico modo per guarire, bensì attraverso il lavoro. Molta diversa è la struttura, unica nel suo genere, perché anche dopo non ci saranno romanzi simili. La struttura è tematica: il romanzo è suddiviso in capitoli, ciascuno che tratta un tema diverso. Il protagonista è Zeno, il quale parla in prima persona. Zeno va dal dottor S., che incontriamo solo nella prefazione, in cui scrive che il dottore gli ha detto di annotare in un diario tutti suoi
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