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Le avanguardie letterarie del primo Novecento in Italia, Appunti di Italiano

Le principali correnti letterarie del primo Novecento in Italia, tra cui il Futurismo, il Crepuscolarismo e l'Ermetismo. Vengono descritte le caratteristiche di ogni movimento, le innovazioni linguistiche e stilistiche introdotte e i principali autori che ne fecero parte. In particolare, si approfondisce la figura di Giuseppe Ungaretti, considerato il padre dell'Ermetismo. un quadro completo delle principali correnti letterarie del periodo e delle loro influenze sulla poesia contemporanea.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 11/09/2023

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Scarica Le avanguardie letterarie del primo Novecento in Italia e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! IL PI NONO→il cos cure Nel primo Novecento, la lingua italiana subì profondi mutamenti che contrastavano con la tradizione poetica ottocentesca, di cui l’ultimo esponente fu Giosuè Carducci. Già la lingua di D’Annunzio era fortemente innovativa, per la capacità di sperimentare forme diverse e di creare parole nuovo; con Pascoli, inoltre, era caduta la distinzione tra parole poetiche e parole non poetiche: tra le prime erano entrate anche le parole del parlato quotidiano e del dialetto. Sulla scia di questa spinta all'innovazione, all’inizio del Novecento, nacquero le avanguardie: il termine, che in ambito militare indica i soldati che avanzano alla teste dell’esercito, faceva riferimento a gruppi di artisti che si opponevano con energia alla letteratura tradizionale, intenzionati a demolire i miti del passato e ad affermare nuove forme espressive, spesso con aperti atteggiamenti di sfida. Il Futurismo fu un movimento d’avanguardia teorizzato da Filippo Tommaso Marinetti in un testo programmatico del 1909, Il Manifesto del Futurismo, a cui seguì , nel 1912, il Manifesto tecnico della letteratura futurista. I futuristi esaltavano l’idea di futuro e tutto ciò che si collegava al progresso: le macchine, la velocità, il dinamismo, ma anche la guerra, perché produceva inevitabilmente trasformazione e cambiamento. Nei loro manifesti letterari essi dichiararono la volontà di rompere con la letteratura del passato per sperimentare nuove modalità espressive: uno dei motti più celebri del Futurismo fu “Uccidete il chiaro di luna!”, che esprimeva il rifiuto per la poesia lirica tradizionale, nella quale spesso ricorreva il motivo della contemplazione del cielo notturno. Il Futurismo contribuì a rivoluzionare il lessico e la forma della prosa e della poesia, attraverso una massiccia introduzione di vocaboli “del progresso tecnico e scientifico” e mediante la poetica delle “parole in libertà”. Quest’ultima tecnica consisteva nell’eliminazione dei legami sintattici tra le parole, disposte in libertà sulla pagina, fino a realizzare testi poetici di puro suono, con parole onomatopeiche tali da ricreare suoni della guerra o rumori meccanici. Il Crepuscolarismo non fu un movimento unitario, ma con questo nome si indicano le esperienze diverse di poeti che avevano in comune la predilezione per un repertorio di temi e atmosfere in cui prevalevano toni malinconici e sommessi: da qui il riferimento alla luce tenue del crepuscolo, il momento che segue il tramonto. Alla tendenza verso il sublime e ai toni solenni, i poeti crepuscolari opposero vaghe inquietudini e distaccata ironia nei confronti dell’esistenza. Essi si ispiravano alla vita modesta della piccola borghesia e adottavano uno stile volutamente semplice, discorsivo, con molte parole tratte dalla lingua parlata. Dal secondo decennio del Novecento, in Italia, oltre alle esperienze del Futurismo e del Crepuscolarismo, pubblicarono le prime opere tre autori non più riconducibili a scuole o correnti poetiche, ma che lasceranno un segno indelebile nella poesia dell’intero secolo: Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale e Umberto Saba. Montale e Saba avevano in comune il rifiuto: 1. degli sperimentalismi programmatici, esibiti e gridati, in campo metrico e formale, caratteristico dei movimenti d’avanguardia; 2. la ripresa, seppure in chiave ironica e ormai moderna, di elementi tipici della tradizione poetica, come la rima o la misura dei versi. Ungaretti, invece, si distinse per lo sperimentalismo linguistico e stilistico, finalizzato a ricercare la parola “pura”, capace nella sua essenzialità di cogliere i pensieri e le emozioni più intime e di trasmettere il mistero e il senso dell’esistenza. Le liriche di Ungaretti, dagli anni Trenta e per tutto il periodo fascista, influenzarono una nuova corrente poetica, chiamata Ermetismo, che segnò il definitivo passaggio dalla tradizione letteraria precedente alla poesia contemporanea. Le due caratteristiche principali di questo nuovo modo di intendere la poesia furono: ● la brevità del testo poetico, in cui le poche parole utilizzate vengono scelte con estrema cura per i loro effetti di suono e per la loro capacità evocativa; ● l’utilizzo di analogie tra immagini diversissime e distanti. Il risultato fu una poesia dai significati talvolta oscuri, spesso difficile da comprendere, in cui il poeta voleva esprimere la solitudine, la difficoltà di comunicare e la sofferenza che accompagnano l'esistenza umana. L’esperienza poetica dell’Ermetismo rappresentò anche il modo con cui molti autori presero le distanze dall’ideologia fascista senza doverlo dichiarare a chiare lettere. Nell’impossibilità di parlare apertamente, infatti, a causa della censura, questi poeti scelsero la strada della “poesia pura” che non descrive, non racconta e non spiega nulla ma rappresenta, con poche e scarne parole, la difficoltà di esistere. Perchè “ermetico”? Il termine ermetismo deriva dal nome del dio greco Ermes (Mercurio per i latini) e dal dio Ermete Trismegisto, fondatore dell'alchimia, e indica qualcosa di “misterioso”, “difficile da capire”. Il termine fu usato la prima volta dal critico letterario Francesco Flora nel 1935 in senso dispregiativo per indicare un linguaggio poetico oscuro, ricco di analogie e metafore complesso, e fu poi ripreso dagli stessi poeti per esprimere il significato profondo della loro poetica. L'Ermetismo fa coincidere la poesia con la «vita», intesa come esperienza intima e profonda del soggetto. La verità ricercata dai poeti ermetici è dunque una verità di tipo assoluto, che riguarda cioè i fondamenti stessi dell'esistenza e non gli aspetti superficiali della realtà. Di conseguenza la letteratura non va considerata come uno svago o un semplice mestiere, ma come una scelta di tipo etico, una passione che deve essere vissuta con totalità di impegno. GIUSEPPE UNGARETTI LA VI: Ungaretti è il primo lirico del Novecento da cui discende l’Ermetismo. Non era un ermetista ma intraprese un percorso di “rivoluzione della parola”, dando il via ad una rivoluzione ermetica. Nasce da genitori toscani, ad Alessandria d’Egitto nel 1888, considerata da lui la sua prima patria (in cui c'è un porto sepolto). L’esperienza in Egitto sarà fondamentale per la sua formazione, essa è esperienza della fragilità e dell’inconsistenza dell’uomo, emblema dello sradicamento e quindi spinta ad un incessante nomadismo alla ricerca delle proprie origini. Nella sua vita subisce vari traumi, il primo può essere ricondotto alla morte del padre all’età di soli due anni. La madre continua a sostenerlo dal punto di vista scolastico, infatti avrà una formazione europea, soprattutto francese. Scopre Leopardi, Nietzsche, Poe, Baudelaire, Mallarmé. Dopo un soggiorno di tre anni al Cairo, arriva a Parigi 2)FAL La poesia “Fratelli”, come ci comunica il poeta stesso, viene composta durante la Prima Guerra Mondiale, il 15 luglio del 1916, e si apre con una domanda (“Di che reggimento siete fratelli?”) che viene rivolta ai soldati che, nell’oscurità della notte, non sono immediatamente riconoscibili al poeta e ai suoi commilitoni, i quali desiderano conoscere il reggimento d’appartenenza dei militari che si ritrovano di fronte. Il punto interrogativo del verso 2 è, come spesso accade in questa fase della poetica ungarettiana, l’unico segno d’interpunzione presente nella lirica. Compare subito la parola chiave della poesia che coincide col titolo stesso ed assume particolare rilevanza anche perché viene posta in fondo alla frase, in un verso isolato, attraverso l’iperbato: si tratta del termine fratelli. Il vocabolo in questione assume una connotazione diversa dal solito e rappresenta un segno di speranza e di nuovo vigore: il sentimento di fratellanza s’istituisce fra i soldati che sono accomunati dalla paura di perdere la vita. Con una forte ed efficace analogia, la parola “Fratelli” viene paragonata a “una foglia appena nata”, rimarcando così la fragilità della vita, sconvolta dalla follia drammatica della Prima guerra mondiale. Nel componimento, infatti, si parla della fragilità umana, della precarietà della vita e del timore primordiale, dovuto all’aleggiare costante della morte. I soldati, avendo sempre davanti ai propri occhi immagini di morte, sono ben consapevoli della tragedia alla quale stanno prendendo parte e di quanto siano fragili, tuttavia riescono anche a comprendere che la caducità è una caratteristica peculiare dell’intera condizione umana e accomuna tutti gli uomini in un sentimento di dolorosa fraternità. Gli uomini prendono coscienza di ciò e desiderano ribellarsi all’orrore della guerra attraverso un’”involontaria rivolta” che possa permettere loro di tornare gradualmente alla vita. Per quanto riguarda le figure retoriche, troviamo: 1. la personificazione = "tremante" (v. 3)→la parola viene vista come se fosse una persona che trema per l'emozione e per la paura. 2. metafora = "foglia appena nata" (v. 5). Si riferisce sempre alla parola "fratelli" che "trema" come una fogliolina appena nata. 3. allitterazione di F - R = "fragilità fratelli" (vv. 9-10). 4. enjambement 3) SA MAN DE CA “San Martino del Carso” tratta degli effetti devastanti della guerra, che non risparmia nulla, dello strazio che la morte porta nel mondo e nel cuore del poeta. All’inizio prevale l’immagine della distruzione del paese, ormai fatto solo di macerie di rovine; poi, il poeta si focalizza maggiormente sul proprio stato d’animo: Ungaretti, come gli è tipico, trova una forte analogia tra le immagini del mondo esterno e il sentimento interiore del suo cuore. La condizione del paese devastato è, infatti, del tutto analoga a quella del cuore del poeta, come confermano i due versi finali (“È il mio cuore il paese più straziato”). La struttura del componimento è circolare: l’immagine finale del cuore straziato richiama quella iniziale del “brandello di muro”, così come si richiamano a vicenda le “case” del primo verso e il “paese” dell’ultimo. La guerra si è portata via anche i suoi amici e, infatti, l’unico luogo in cui di essi resterà traccia è il cuore dell’autore, che come un cimitero ne accoglierà le croci. È così il cuore, luogo di vita, si fa luogo di morte e memoria. L’analogia creata da Ungaretti è quindi doppia: ● da un lato, le case distrutte sono associate ai tanti cari scomparsi e abbattuti dalla guerra, anch’essi ridotti in cenere; ● dall’altro, la distruzione del paese di San Martino corrisponde alla distruzione del cuore del poeta, devastato dalla guerra e dalle perdite subite. Per quanto riguarda le figure retoriche, troviamo: 1. anafora = "di" e "di" (vv. 1 e 5); "non è rimasto" (vv. 2 e 7); “cuore” (vv. 9 e 11). 2. metafora = "brandello di muro" (v. 4)→ il muro richiama l'immagine di un corpo lacerato, ovvero i brandelli di carne. 3. analogia = "E' il mio cuore il paese più straziato" (vv. 10-11)→cuore=paese: con ciò il poeta afferma allegoricamente che la sua anima è martoriata quanto il paese stesso. 4)SOT Originariamente, la lirica “Soldati” aveva per titolo il sostantivo “Militari”. Il poeta “racconta” la condizione dei soldati, paragonandoli alle foglie degli alberi in autunno. Le parole-chiave della lirica sono proprio «autunno» (v. 2) e «foglie» (v.4). L’analogia nasce dalla somiglianza che s’instaura fra la fragilità delle foglie d’autunno, destinate inesorabilmente a cadere e ad essere spazzate via dal vento, e la precarietà della condizione dei soldati al fronte che, in qualsiasi momento, possono cadere a terra per un colpo di arma da fuoco. La condizione dei soldati al fronte è particolarmente difficile, sia dal punto di vista fisico che da quello psicologico. Sono uomini fragili (come le foglie) perché sono lontani dai propri affetti più cari e costretti a rischiare la propria vita, oltre che a vedere ogni giorno immagini lugubri negli occhi dei propri compagni. Tuttavia, Ungaretti sembra dirci che non è necessario essere soldati per vivere una situazione di precarietà: la riflessione pare universalizzarsi perché i soldati potrebbero essere tutti gli uomini e la guerra, in un certo qual senso, potrebbe rappresentare la vita stessa che è assurda, come ogni conflitto. A riprova di ciò, notiamo l’utilizzo della forma impersonale «Si sta» (v. 1) che rende la situazione universale, in quanto tutti abbiamo un equilibrio precario e su ognuno di noi aleggia la presenza della morte. 5)NA La lirica “Natale” viene composta da Ungaretti il 26 dicembre del 1916, quando l’Italia è entrata in guerra da più di un anno e lo stesso poeta ha già conosciuto gli orrori della guerra ed ora si trova a Napoli. La dura esperienza bellica ha finalmente un momento di tregua, ma il poeta non riesce ad immergersi nella normalità della vita di tutti i giorni perché non riesce a cancellare dalla sua mente le immagini lugubri del conflitto bellico. I brevi versicoli del componimento Natale, tipici di Ungaretti, danno l’impressione di un singhiozzo, evidenziando la sofferenza dell’uomo che è ancora impressionato dagli orrori visti e vissuti in trincea. Ungaretti è stanco, sia fisicamente che mentalmente, e non ha voglia di tuffarsi nel gomitolo delle strade che gli richiama alla mente il caos della trincea. Si paragona ad un oggetto, privo di coscienza, desideroso soltanto di restare al caldo del focolare in una casa che può regalargli un po’ di pace. Ha bisogno di stare momentaneamente solo con se stesso, senza coscienza di esistere e senza coscienza del dolore, perché sa che dovrà tornare a combattere. Vorrebbe provare a non soffrire, ma la stessa immagine della «cosa posata in un angolo e dimenticata», in realtà, gli ricorda i suoi compagni torturati e abbandonati sui campi di battaglia. Prova a pensare al momento che sta vivendo contrapponendo il “qui” del luogo in cui si trova al momento, dove riesce a sentire il caldo buono e rassicurante del focolare al “là” (sottinteso) della trincea, dove si possono percepire solo freddo e crudeltà. Desidera, dunque, rimanere vicino al camino, osservando le capriole fatte dal fumo per godere di pochi attimi di pace e tregua, approfittando del caldo buono che gli offre l’illusione di trovarsi in un “nido” accogliente. Per quanto riguarda le figure retoriche, troviamo: 1. metafora = "gomitolo di strade" (vv. 3-4); "ho tanta stanchezza sulle spalle" (vv. 5-7); "sto con le quattro capriole di fumo" (vv. 19-23). 2. allitterazione della s = "stanchezza sulle spalle" (vv. 6-7). 3. similitudine = "come una cosa posata" (vv. 9-10-11). 4. sinestesia = "caldo buono" (v. 18). 5. allitterazione della f = "fumo del focolare" (vv. 22-23). 6. enjambements
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