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La Pubblica Amministrazione: Diritto, Organizzazione e Relazioni con il Privato - Prof. Ca, Sbobinature di Diritto Amministrativo

Una panoramica del diritto amministrativo e della pubblica amministrazione in italia. Viene discusso il ruolo della liberalizzazione del mercato, la divisione tra diritto pubblico e privato, le norme costituzionali e legislative, l'organizzazione di pubblici uffici, il rapporto tra pubblica amministrazione e privato, e le autorità amministrative indipendenti. Il documento illustra anche la nozione allargata di pubblica amministrazione e l'attività amministrativa.

Tipologia: Sbobinature

2022/2023

In vendita dal 06/03/2024

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Scarica La Pubblica Amministrazione: Diritto, Organizzazione e Relazioni con il Privato - Prof. Ca e più Sbobinature in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! 25 set 2023 Il diritto amministrativo è l’insieme di norme che disciplinano l'organizzazione e la funzione amministrativa, non soltanto quella di carattere autoritario (es. polizia municipale che fa una sanzione amministrativa) ma anche quella che si esercita attraverso la prestazione di servizi pubblici (es. servizi nelle scuole) che lo Stato e le pubbliche amministrazioni erogano per soddisfare le richieste che vengono dai cittadini. Queste attività, ovviamente, variano a seconda dei valori che lo Stato assume e tutela. Ad esempio, in Italia l’istruzione è -pubblica e gratuita (salvo alcuni pagamenti) per superare quelle diseguaglianze di origine economica e sociale. Stesso principio vale per la salute che costituisce un diritto fondamentale (articolo 32) ed obbliga, di conseguenza, lo Stato mette in atto tutte quelle azioni che vanno a tutelarla. Perciò, sia l’istruzione che la salute, come la beneficenza e l’assistenza sociale, entrano a far parte dell’insieme dei servizi pubblici erogati dallo Stato. Ecco perché il diritto amministrativo ha un importante ruolo per coloro che andranno a ricoprire incarichi all’interno di pubbliche amministrazioni (ospedali, scuole, università,...). Inoltre, cambia anche il regime di impiego. All’interno degli enti o delle società (enti privati), il rapporto di lavoro è regolato dal codice civile che regola il rapporto tra soggetti privati (norme di diritto privato o diritto comune). Allo stesso modo, l’acquisizione di un posto di lavoro presso una società o un’ente (soggetto di diritto privato) è regolata dal diritto privato o diritto comune. Mentre, il rapporto di lavoro che si instaura nelle pubbliche amministrazioni è regolato da particolari fondi (decreto legislativo 165 del 2001, Testo unico sul pubblico impiego) perché per accedergli bisogna superare un concorso. L’obbligo di accesso mediante concorso si trova all’interno della Costituzione imponendo al datore di lavoro (in questo caso, la pubblica amministrazione) di mettere quel posto a concorso, cioè di prestabilire i requisiti in base ai quali sarà possibile accedere ad un determinato posto di lavoro. Ciò va a creare una sana competizione tra i soggetti, la quale sarà micro-regolata preventivamente, ad esempio, dal bando di concorso, giocandosi le stesse chance di accedere a quel posto, a differenza del colloquio con enti privati che valutano con criteri stabiliti (voto di laurea, per conoscenze, per merito). Accedere ai posti di lavoro tramite concorso costituisce un presidio, cioè una garanzia, di imparzialità amministrativa: ciascun pubblico funzionario deve trovarsi in una posizione di equidistanza rispetto agli interessi in gioco che, successivamente, dovrà valutare. Quando parliamo di diritto amministrativo ci riferiamo, sotto il profilo soggettivo, alle norme che regolano lo Stato (tre parametri: territorialità, potere/sovranità, popolo. Noi lo definiamo tramite i tre poteri: amministrativo, esecutivo, giudiziario con le proprie figure istituzionali), gli enti territoriali (dotati di un certo grado di autonomia, anche decisionale, ad esempio: le regioni, le province, i comuni, le città metropolitane) e tutte le pubbliche amministrazioni. Ad esempio, ANAS S.p.a ha una natura giuridica complessa: da un lato è una società per azioni perciò un ente privato, ma allo stesso tempo è concessionaria (è il soggetto che gestisce per conto dello Stato la rete autostradale, quindi un bene pubblico perciò un’attività pubblicistica). Quale normativa applicare sul concessionario ANAS S.p.a? Quando agisce per nome dello Stato, la si tratta come pubblica amministrazione con il diritto amministrativo (es. un privato cittadino vuole sapere come ANAS S.p.a gestisce le tariffe autostradali tramite un’istanza d’accesso, cioè che il cittadino può sapere con limpidezza le informazioni richieste); in altri casi, la si tratta con diritto privato quando i soggetti sono, a loro volta, enti privati (es. automobilista non paga il pedaggio). Queste zone ibride sono il risultato della liberalizzazione del mercato con la perdita del monopolio statale e l’avvio della concorrenza: ad esempio, fino al 1990 esisteva solo la Telecom, mentre oggi ci sono svariati operatori a disposizione. Sotto il profilo definitorio, il diritto amministrativo rientra nel diritto pubblico (è una branca) che studia l’organizzazione e l’attività amministrativa, cioè studia le norme che riguardano le competenze, le attività, le 1 funzioni e l’organizzazione delle pubbliche amministrazioni (persone, mezzi, strumenti). Nelle funzioni troviamo: - quelle autoritative, ad esempio l’ordine di demolizione e di espropriazione con il pagamento di un indennizzo (valore del mercato senza togliere valore); - di prestazioni pubbliche/servizi pubblici; - di attività contrattuale: se la pubblica amministrazione ha bisogno di vendere un bene immobile, lo fa stipulando un contratto (= atto di natura privatistica). Il diritto amministrativo è regolato dal diritto pubblico, quindi da norme di natura speciale, ma talvolta abbiamo un’ibridazione, cioè l’applicazione del diritto pubblico anche nelle norme di diritto privato. Questo accade, per esempio, negli appalti pubblici delle amministrazioni: la fase della gara di appalto è pubblicistica (l’amministrazione opera in base al diritto pubblico), una volta stipulato il contratto con la ditta che dovrà fare i lavori, quest’ultimo sarà regolato tendenzialmente dalle norme di diritto civile, salvo alcune eccezioni di carattere pubblicistico. QUANDO E COME NASCE? Il diritto amministrativo nasce con l’affermazione dello Stato di diritto, dopo la Rivoluzione francese (1789). Con essa (rivoluzione borghese), si passa dalla concentrazione dei poteri nel sovrano ad una distribuzione del potere ai diversi organi dello Stato (dal monarca “superiore ad ogni legge” alla sovranità che appartiene al popolo). Il popolo, infatti, con l’esercizio del diritto di voto, nomina i propri rappresentanti in Parlamento che, a sua volta, si occuperà delle leggi (potere legislativo). Emergono, inoltre, altri due poteri dello Stato: - potere esecutivo (esercitato dal Governo): indica il complesso di soggetti che, all’interno dello Stato di diritto, sono titolari di amministrare la cosa pubblica portando ad esecuzione le decisioni legislative. Il legislatore è la figura istituzionale che deve eseguire le decisioni prese dalla sovranità popolare; - potere giudiziario: è il potere di tutela giurisdizionale, cioè il potere dei giudici che tutelano i soggetti privati applicando la legge nelle diverse controversie. I giudici, perciò, applicano la legge del Parlamento. I burocrati sono i soggetti che erano preposti, in ambito territoriale, ad amministrare in concreto la cosa pubblica con poteri speciali (chiamati anche esorbitanti o di supremazia speciale perchè vallo oltre rispetto a quelli che spetterebbero ad un cittadino privato). Per limitare il loro potere, è presente la legge che media tra libertà ed autorità, servendo anche a garantire una tutela giudiziaria contro gli abusi di potere. Il diritto amministrativo nasce con la separazione dei poteri e con l’istituzione di questi giudici speciali ai quali veniva data la competenza di risolvere le controversie e le lamentele dei privati contro i burocrati e le amministrazioni. Piano piano, vengono creati i principi del diritto amministrativo di natura giurisprudenziale, cioè un diritto che nasce dall’istituzione di giudici speciali che decidono e gestiscono queste controversie e che hanno elaborato delle garanzie per tutelare il privato nei confronti dell’autorità pubblica dello Stato (tutelare la libertà del privato). Esiste, però, un’ordinanza del 1439: “Ordinava al mugnaio (quello che lavorava nel mulino) di macinare i grani nel momento e nella misura in cui sono apportati al mulino, senza preferenza (principio di eguaglianza) e soprattutto senza esigere nulla per la molitura (era obbligato a macinare il grano senza referenza e senza esigere nulla per la molitura). L'addetto al mulino deve assicurare un servizio continuo e di qualità, altrimenti può essere dichiarato decaduto dal diritto di gestire il mulino. L'addetto al mulino è collocato in permanenza sotto il controllo della collettività (il mulino veniva riconosciuto come un bene pubblico, lui doveva metterlo a disposizione gratuitamente garantendo qualità (es. condizioni igieniche), con una sanzione: qualora non lo avesse fatto, il re avrebbe potuto togliergli il mulino). 2 Art. 34 La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi (applicato il principio di eguaglianza sostanziale dell’art. 3, comma 2) La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso. Per quanto riguarda l’assistenza ed il diritto al lavoro: Art. 38 (norma di riferimento) Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera. Se una persona non è in condizione di produrre reddito (quindi di essere autosufficiente), ha il diritto al mantenimento ed all’assistenza sociale. A questo diritto corrisponde un obbligo per la Repubblica, lo Stato e gli apparati pubblici di erogare le prestazioni sociali necessarie. “L’assistenza privata è libera”, parte della norma speculare a quella dell’istruzione in cui si definisce nuovamente come l’assistenza privata è libera (sussidiarietà orizzontale, cioè un principio che regola i rapporti tra i soggetti pubblici ed i soggetti privati). Questo principio viene indicato all’interno dell’articolo 118: (...) Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. Ciò significa che gli enti pubblici non devono impedire, bensì favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini (soggetti privati) nello svolgimento delle attività di pubblico interesse. Questo principio lo abbiamo visto applicato: - articolo 38 con “l’assistenza privata è libera”; - articolo 33 con “i soggetti privati possono istituire scuole…” Cosa succederebbe se il sistema privato và a soppiantare il sistema pubblico? Ciò non è possibile perché lo Stato ha il compito e l’obbligo di erogare determinate prestazioni. I diritti sociali, però, costano per lo Stato: quest'ultimo per soddisfare questi diritti, impegna somme di denaro, che derivano dal proprio bilancio, per finanziare servizi e prestazioni pubbliche. Si pone, così, un problema tra le risorse disponibili per lo Stato e l’erogazione della prestazione: questi diritti, infatti, sono chiamati diritti finanziariamente condizionati, in quanto dipendono dalla disponibilità economica-finanziaria dello Stato. Nei periodi di ristrette economiche, si pone il problema del fino a che punto le esigenze e l’equilibrio di bilancio possano incidere sull’erogazione concreta delle prestazioni: qual è il giusto punto di bilanciamento? Lo Stato, in passato, è intervenuto con tagli lineari di prestazioni pubbliche per prestazioni di bilancio: tra il 2008 ed il 2010, l’Europa fu colpita da una grave crisi economico-finanziaria (crisi dei beni sovrani) imponendo agli Stati membri una serie di misure di natura economico-finanziaria per poter arginare quella crisi che rischiava il fallimento (default) di alcuni Stati membri europei. L’Unione Europea mise a disposizione dei fondi salva-stato, cioè dei meccanismi per finanziare i vari ordinamenti in difficoltà, chiedendo in cambio misure di condizionalità, come la spending review (cioè dei tagli alla spesa pubblica). Proprio in questi anni, in Italia, si pone il problema di garantire l'equilibrio di bilancio, cioè il rispetto dei parametri di sana e prudente gestione finanziaria, tanto che nel 2012 viene riformata la Costituzione, aggiungendo proprio il principio dell’equilibrio di bilancio e della sostenibilità del debito pubblico (di matrice 5 economica). Negli anni successivi, molti Governi hanno iniziato a mettere in atto la normativa della spending review (la razionalizzazione della spesa pubblica incidendo sulle prestazioni pubbliche che servono a soddisfare i servizi pubblici). La Corte Costituzionale doveva mediare tra il compito della Repubblica di garantire le prestazioni sociali ed il tema dell’equilibrio di bilancio. Essa individua il punto di equilibrio nella nozione del nucleo incomprimibile dei diritti: esso non può essere condizionato da esigenze o contingenze di bilancio, bensì è il nucleo stesso ad influenzare le scelte finanziarie (è completamente neutrale). Qualche indicazione a lui riguardante la troviamo nell’articolo 117, comma 2, lettera m (“determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”). Questa norma si preoccupa di individuare quali sono le materie di competenza legislativa-statale e quali sono le materie di competenza legislativa-regionale perché l’ordinamento italiano è composito (Stato, regioni, …). La Costituzione dà il compito esclusivo allo Stato la determinazione delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, cioè sono le prestazioni che devono essere garantite su tutto il territorio (principio di eguaglianza sostanziale) per soddisfare i diritti civili e sociali (prestazioni sociali, sanitarie, in materia di istruzione). Ciò spetta lo Stato perchè esiste un principio di eguaglianza sostanziale per effetto del quale il godimento di questi diritti deve essere assicurato a tutti, allo stesso modo e su tutto il territorio nazionale. Inoltre, non esclude che in particolari regioni possano essere messe in atto delle prestazioni supplementari; quei livelli essenziali non significa livello minimo, ma indica tutte quelle prestazioni per cui il diritto venga pienamente goduto. LE FONTI DEL DIRITTO Sono tutti gli atti e i fatti idonei a produrre norme giuridiche vincolanti all’interno dell’ordinamento. Per organizzare le fonti del diritto, possiamo immaginare una piramide: - Costituzione, si trova all’apice nell’ordinamento statale italiano (fonte sovraordinata); - Leggi dello Stato e gli atti equiparati alla legge. Quest’ultimi sono divisi in decreti legislativi (sono delegati) e decreti legge (adottati dal Governo laddove ricorrono esigenze straordinarie ed eventualmente convertiti in legge dal Parlamento). Essi si chiamano “atti equiparati” così perchè sono diversi dalle leggi (cioè quelle adottate dal Parlamento), avente comunque la stessa forza giuridica; - Regolamenti (fonti secondarie): sono atti, sotto il profilo amministrativo, adottati dai ministeri (es. regolamenti ministeriali, interministeriali, governativi), quindi dal potere esecutivo. Essi si pongono al di sotto delle leggi, perciò se dovessero essere in contrasto, prevale la legge. - Leggi regionali e statuti delle regioni ordinarie: per queste, vale il criterio della competenza. Hanno lo stesso valore delle leggi del Parlamento, ma vengono applicate solo nelle materie in cui è competente la regione (stessa cosa vale per le leggi statale). Infine, ci sono le fonti europee che, in realtà, si collocano al di sopra di tutte le fonti di diritto espresse in precedenza perchè nelle materie nelle quali è competente l’UE, viene applicato il diritto dell’UE che prevale sul diritto nazionale, perciò anche sulla Costituzione (principio della primazia del diritto dell’UE). La Costituzione Entra in vigore il 1° gennaio 1948. In quanto fonte giuridica più elevata, le leggi del Parlamento devono essere conformi con essa (la Corte Costituzionale è l’organo che si occupa di valutare la coerenza delle leggi e degli atti con forza di legge). La nostra Costituzione è: - rigida: per la sua qualificazione, è necessario un procedimento di revisione rafforzato; - lunga: presenta i principi fondamentali, rapporti economico-sociali, l’ordinamento della Repubblica. Qual è l’approccio della Costituzione come fonte fondamentale dello Stato rispetto al diritto amministrativo? 6 La Costituzione contiene due norma essenziali in materia del diritto amministrativo: - Art. 97, definisce lo statuto costituzionale della pubblica amministrazione, quindi i principi della sua organizzazione. Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. Le pubbliche amministrazioni devono operare nel rispetto di un criterio di economicità che comporta l’uso della minore quantità di risorse per il raggiungimento degli scopi prefissati. Ha un atteggiamento prudenziale nella gestione delle finanze pubbliche (principio di equilibrio di bilancio). I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nella versione del 1948, il principio di equilibrio di bilancio non esisteva (introdotto nel 2012), perciò questo comma era in origine il comma 1. Da questo, ricaviamo tre regole: riserva di legge in materia di organizzazione dei pubblici uffici (=spetta ad una legge l’organizzazione degli uffici. Da questa norma nasce il principio di legalità, principio di buon andamento e il principio di imparzialità. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. La legge disciplina l’organizzazione degli uffici, individuando i poteri, le competenze, le attribuzioni e le responsabilità del pubblico funzionario. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge. Impone l’obbligo di concorso pubblico, salvo eccezioni stabiliti dalla legge. La norma applica il principio di imparzialità dei pubblici dipendenti, assunti mediante concorso. (sezione I, disciplina del Governo 92-96 / sezione II, disciplina la pubblica amministrazione 97-98) Dall’articolo 97 si ricavano i 3 principi fondamentali in ambito dell’organizzazione amministrativa: LEGALITÀ, BUON ANDAMENTO ED IMPARZIALITÀ. Perciò è la norma costituzionale che delinea le caratteristiche della pubblica amministrazione. Esistono altre norme che riguardano in generale la pubblica amministrazione: dalle norme collocate prima dell’art. 97 (riguardo il Governo, poiché l'amministrazione è il braccio esecutivo del potere governativo), le norme che riguardano gli enti territoriali e l'articolo 28 (collocato nella I parte della Costituzione riguardante la responsabilità dei funzionari). - Art. 98, detta le previsioni normative e le funzioni sui pubblici impiegati nell’ordinamento. I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. Se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità. Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero - Art. 118, la Repubblica si articola in diversi livelli di governo del territorio (Stato-regioni.province.comuni-città metropolitane). Per regolare i rapporti tra i diversi livelli di governi, viene definito il principio di sussidiarietà che può essere orizzontale (regola i rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini) o verticale (regola il rapporto tra lo Stato e gli enti territoriali -regioni, comuni). Le funzioni amministrative spettano all’ente territoriale più prossimo al cittadino (comune), salvo che non sussistano esigenze di unitarietà, pari per cui la funzione amministrativa deve essere esercitata a livello superiore (Stato-regione); - Art. 95, riguarda il Governo e definisce che i ministri sono responsabili dell’attività dei propri ministeri, quindi rispondono all’attività della pubblica amministrazione. Da questa norma ricaviamo il principio di derivazione democratica e politica dell’amministrazione del governo. Se l’amministrazione è un apparato che appartiene al potere esecutivo, allora essa è legata al Governo. Nonostante questo, 7 - Legge 241/1990, legge generale sul procedimento legislativo; - Testo unico sugli enti locali (decreto legislativo 267/2000); - Testo unico sul pubblico impiego (decreto legislativo 175/2001); - Norme in materia edilizia e di espropriazione; - Decreto legislativo 33/2016 in materia di accesso civico-generalizzato, strumento che consente ai cittadini di acquisire documenti alla pubblica amministrazione senza dover giustificare la propria richiesta; Le fonti secondarie: i regolamenti I regolamenti sono subordinati alla Costituzione, perciò dovranno essere conformi ad essa, altrimenti sono regolamenti illegittimi. Questi si caratterizzano, sotto il profilo oggettivo, perché sono adottati da pubbliche amministrazioni (dal Governo, dai ministeri, dal Consiglio dei ministri) oppure dagli enti locali, provinciali o regionali. Perciò, sotto questo profilo, sono atti amministrativi perché vengono appunto adottati da pubbliche amministrazioni, non dal legislatore. Sono tuttavia delle fonti del diritto in quanto contengono regole generali, astratte ed obbligatorie. I regolamenti più importanti sono quelli governativi (adottati dal Governo) disciplinati dalla legge 400/1988, in particolare dall’art.17: individua ed attribuisce al Governo il potere di adottare delle norme giuridiche attraverso dei regolamenti, che devono essere rispettosi della legge perché sono fonti di tutte le leggi, in quanto fonti subordinate. L’art.17 attribuisce la potestà amministrativa al Governo, quindi legittima il Governo ad esercitare i regolamenti, tra cui: - Regolamenti di esecuzione: sono quelli necessari per consentire l’attuazione delle leggi o degli atti ad essa equiparati. Con esso, il Governo adotta un atto che è necessario per portare in esecuzione una legge (es. nel codice penale è presente una norma sull’uso degli stupefacenti. La norma non specifica quali sono le sostanze stupefacenti, bensì il regolamento tecnico che, sulla base della scienza, le specifica); - Regolamenti di attuazione ed integrazione delle leggi: il regolamento governativo và ad integrare la legge, per colmare alcuni vuoti lasciati dalla legge. Ciò è possibile soltanto se la materia non è coperta dalla riserva assoluta di legge: se la Costituzione riserva solo alla legge del Parlamento la disciplina di una certa materia, il Governo non può adottare regolamenti di attuazione perché altrimenti sarebbe violata la riserva assoluta di legge. Se, invece, la riserva di legge è solo relativa (cioè che basta che la legge dello Stato individui i principi generali), allora sono ammessi i regolamenti di attuazione. Il concetto di riserva assoluta e relativa di legge è strettamente legato al principio democratico: se si tratta delle libertà fondamentali del cittadino, la Corte Costituzionale interpreta la riserva di legge come assoluta (solo il Parlamento può incidere, non il Governo); se si tratta di disciplina dell’amministrazione, la Corte Costituzionale la interpreta in maniera relativa, perciò anche il Governo può mandare degli atti organizzativi; - Regolamenti indipendenti: possono essere adottati quando manca integralmente una legge in materia, cioè che la materia non è coperta nè dalla riserva assoluta nè da quella relativa; - Regolamenti di organizzazione delle pubblica amministrazione; - Regolamenti di delegificazione: intervengono quando la norma di legge delegittima una materia. Ad esempio, una materia non coperta da riserva di legge bensì regolata da una norma del Parlamento molto vecchia. Il Parlamento, perciò, adotta una legge che consente al Governo la delegificazione, quindi dispone espressamente dall’entrata in vigore del regolamento la cessazione della riserva di legge precedente. Le fonti europee 10 Oltre alle fonti del diritto interno prodotte dagli organi dello Stato, le fonti del diritto sono anche quelle extra-statali, cioè prodotte fuori dallo stato nazionale e quindi negli ambiti nazionali o sovranazionali. L’artt. 10-11 della Costituzione consentono le cessioni di sovranità alle organizzazioni sovranazionali quando ciò è necessario per garantire pace e giustizia tra le nazioni. L’art. 117 comma 1 afferma che la funzione legislativa statale è esercitata dal rispetto degli obblighi internazionali assunti dallo Stato, perciò esiste l’idea dell’apertura delle leggi statali a quelle esterne all’ordinamento nazionale. Le fonti europee sono quelle più importanti (principio del primato del diritto dell’UE) in quanto l’UE è un ordinamento sovranazionale, il quale ha delle proprie istituzioni (Commissione europea, Parlamento europeo) con una propria organizzazione nazionale. Inoltre gli Stati membri hanno ceduto dei propri spazi, cedendo così anche parte della loro sovranità. Il diritto nazionale và così ad integrarsi con il diritto europeo. Il diritto dell’UE è importante per il diritto amministrativo perché riguarda la realizzazione del mercato unico (finanza pubblica, concorrenza, appalti, ambiente). Inoltre, le norme dell’UE hanno effetto immediato all’interno dell’ordinamento giuridico nazionale. Le fonti dell’UE si dividono in: - Primarie, cioè i trattati istituiti dall'UE: Trattato sull’UE e Trattato sul funzionamento dell’UE. - Secondarie, cioè i regolamenti europei e le direttive europee. Le norme di diritto dell’UE, contenute nei trattati delle fonti primarie, se hanno un contenuto specifico e autosufficiente sono immediatamente applicabili negli stati membri (es. diritto di circolare liberamente nei territori). Riguardo alle fonti secondarie: - I regolamenti europei sono immediatamente applicabili in tutti gli stati dal momento della loro adozione (es. regolamento europeo nell’ambito della privacy); - Le direttive, invece, obbligano gli stati membri al raggiungimento di un determinato risultato, lasciando libero lo stato membro riguardo le modalità ed i mezzi per raggiungerlo. Le direttive perciò non sono immediatamente applicabili perché richiedono l’adozione di uno Stato membro di un atto di diritto interno che deve recepire quella direttiva. Tra le norme importanti troviamo l’art.41 (diritto ad una buona amministrazione) della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Essa contiene un’elencazione dei diritti fondamentali ed assicurati dall’UE, tanto che ha lo stesso valore dei trattati istitutivi dell’UE. Art. 41 Ogni persona ha diritto che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni, organi e organismi dell'Unione. Tale diritto comprende in particolare: a) il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio (diritto al contraddittorio procedimentale*, prima della decisione finale); b) il diritto di ogni persona di accedere al fascicolo che la riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale e commerciale (diritto di accesso ai documenti amministrativi); c) l'obbligo per l'amministrazione di motivare le proprie decisioni (obbligo di motivazione i provvedimenti amministrativi*). Ogni persona ha diritto al risarcimento da parte dell'Unione dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni, conformemente ai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri. Ogni persona può rivolgersi alle istituzioni dell'Unione in una delle lingue dei trattati e deve ricevere una risposta nella stessa lingua. *Può essere collaborativo (partecipo al procedimento amministrativo per esprimere il mio punto di vista) o difensivo (difendersi rispetto ad un atto di contestazione degli addebiti in cui viene definito il capo di incolpazione). 11 *Deve avere una finalità persuasiva del privato (quando è ben motivato) oppure deve consentire il ricorso giurisdizionale (sanzione disciplinare non motivata) Ogni persona ha diritto che quelle questioni che la riguardano siano trattate in modo equo ed imparziale, entro un termine ragionevole dalle istituzioni, organi ed organismi dell’UE. La differenza con l’art. 97 della Costituzione è che quest’ultimo non attribuisce il diritto al singolo, ma prescrive una modalità i essere dell'organizzazione amministrativa. La pubblica amministrazione deve essere organizzata in modo che sia assicurato il buon andamento e l'imparzialità, a differenza rispetto al dire che ogni persona singolarmente (approccio soggettivo). 2 ott 2023 I principi generali del diritto amministrativo I principi generali sono delle clausole di natura generale che guidano l’interprete nell’analisi della normativa del diritto amministrativo. Questi principi sono importanti in quanto diritti giuridici, e quindi vincolanti per la pubblica amministrazione, costituiscono un criterio guida per la funzione amministrativa. Ogni pubblica amministrazione, quando gestisce un procedimento amministrativo (di autorizzazione, ablatori=che incidono negativamente sulla posizione dei soggetti privati, come i provvedimenti di espropriazione) deve rispettare i seguenti principi. Nell’art.97 della Costituzione (norma fondamentale in materia di pubblica amministrazione) afferma che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurate il buon andamento e l’imparzialità della p.a. I tre principi fondamentali del diritto amministrativo sono: - principio di legalità; - principio di buon andamento; - principio di imparzialità; Essi assumono un ruolo essenziale perché nel diritto amministrativo manca un codice di riferimento, ma esistono tanti testi normativi di riferimento, in quanto ci sono tante materie interessate. 1) PRINCIPIO DI LEGALITÀ Significa rispetto della legge (=atto adottato dal Parlamento, organo espressione della sovranità popolare perché eletto direttamente dal popolo), nel nostro ordinamento tutti i pubblici poteri (soggetti titolari di poteri autoritativi) devono trovare loro fondamento in una norma di legge. Le pubbliche amministrazioni (legge 91/1990) perseguono i fini determinati dalla legge, cioè che persegue a fini determinati da altri (eteronomia dei fini). Questa è una conseguenza alla tripartizione dei poteri: funzione legislativa al Parlamento, funzione esecutiva (Governo) e funzione giudiziaria (Magistratura). Il potere esecutivo, a cui appartiene la p.a., esegue il progetto legislativo definito dal Parlamento. Perciò nessun potere pubblico può operare se non in base ad una legge, che deve essere predeterminata (cioè deve preesistere rispetto all'esercizio del potere) e non deve limitarsi ad attribuire un potere, ma anche definirne i presupposti e le modalità di esercizio concreto. Le caratteristiche del principio di legalità sono: - è strettamentamente connesso al principio democratico: laddove impone che ogni pubblico potere debba essere esercitato in base alla legge, costituisce una garanzia per la libertà dei singoli, che può essere mediata solo mediante un atto che proviene dal Parlamento; - richiede che la regola dell’azione amministrativa sia precostituita: principio della certezza giuridica. La circostanza che esiste una legge che predetermina i poteri pubblici significa che ciascuno di noi conosce già prima dell'adozione di un provvedimento quali sono i presupposti di esercizio di quel potere e le eventuali conseguenze (passa attraverso la prevedibilità dell’azione pubblica). Ad esempio, non bisogna rubare perché altrimenti ci sarebbero delle conseguenze penali. Tutti 12 Con questi tre criteri, il principio di buon andamento è diventato un principio che regola rapporti tra amministrazioni e privati come principio giuridico. Questi criteri deduco che siano giuridici dall’art. 1 della legge 91/1990: “L’attività amministrativa è retta da criteri di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza secondo le modalità prescritte dalla seguente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano i singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”. La legge generale sul procedimento amministrativo (241/1990), nell’art. 1, contiene l’elencazione dei principi generali dell’azione amministrativa (principi giuridici): economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza. Rispetto al principio di buon andamento, non viene riportata l’espressione di “buon andamento” ma troviamo due dei criteri citati ed i principi di pubblicità e trasparenza. Inoltre, la norma fa riferimento ai principi dell’ordinamento comunitario (importanza ai diritti ed ai principi dell’UE come quello di proporzionalità). 3) PRINCIPIO DI IMPARZIALITÀ Lo ricaviamo direttamente dalla Costituzione (art. 97 comma 2), rivolto al legislatore che deve regolare l’organizzazione amministrativa per garantire la sua imparzialità.). In realtà non fa parte della nostra tradizione giuridica, ma lo abbiamo ricavato dall’ordinamento anglosassone che aveva elaborato una regola che permette ai soggetti dell’ordinamento di porsi nella condizione di interloquire con l’autorità pubblica per l’adozione di un provvedimento finale (=diritto al contraddittorio procedimentale). Cosa significa "imparzialità"? Significa equidistanza rispetto agli interessi: la pubblica amministrazione deve essere imparziale, cioè equidistante rispetto agli interessi in gioco. Ovviamente è un’equidistanza qualificata, cioè che ogni pubblica amministrazione porta con sé i propri interessi (oltre che gli interessi del privato). L'imparzialità non riguarda solo l’azione amministrativa, ma anche l’organizzazione amministrativa (art. 97 comma 4 e obbligo di astensione in caso di conflitto di interessi per, ad esempio, legami familiari). Stessa cosa riguarda anche le gare pubbliche (bandi di concorso, …): la p.a. non può acquistare dei beni in maniera autonoma, ma attraverso procedure di gara. Art. 1: imparzialità tra criteri della funzione amministrativa; Art. 12 (legge 241/1990, legge generale sul procedimento amministrativo): riguarda le sovvenzioni o le attribuzioni di vantaggi economici nei confronti dei soggetti privati che possono avvenire tramite predeterminazione dei criteri, cioè attraverso procedure pubbliche di concorso che si svolgono sulla base di criteri stabiliti in cui ciascun soggetto può chiedere la sovvenzione o il vantaggio economico. Questa norma assicura l’imparzialità perchè pongo tutti i cittadini sullo stesso livello, predeterminato i criteri su cui si concederà il vantaggio. Art. 6-bis (legge 241/1990): prevede l’obbligo di astensione del responsabile del procedimento (=persona che all’interno della p.a. è responsabile di gestire un dato procedimento) in caso di conflitto di interessi. Non esiste una norma che individui quando c’è un conflitto di interessi: in genere, lo si dice quando c’è un soggetto che ha un interesse personale, economico, patrimoniale e familiare all’interno di un procedimento. La decisione di non specificare, all’interno dell’articolo, cosa sia il conflitto di interesse è perché esso può venire in rilievo in molti modi. Nel nostro ordinamento è presente un’autorità pubblica che ha poteri di vigilanza e sanzionatori nella materia dell’anticorruzione e nella trasparenza amministrativa: ANAC (autorità nazionale anti-corruzione). Questa norma è stata introdotta dalla legge anticorruzione (legge 190/2012): con essa, il legislatore introduce nel sistema normativo delle misure preventive e repressive contro la corruzione dei pubblici uffici. La corruzione è presente quando un soggetto preposto ai pubblici uffici svolge azioni per benefici privati e non per la pubblica amministrazione. Oltre alle norme di natura penale che vanno a colpire la corruzione, il legislatore ha inserito delle misure amministrative volte a prevenire e ridurre le ipotesi di corruzione. 15 Art. 41 della Carta di Nizza: tutela il diritto ad una buona amministrazione, mentre l’art. 97 comma 2 della Costituzione parla di buon andamento. Il buon andamento corrisponde ad una buona amministrazione? Il diritto ad una buona amministrazione, inteso come il diritto di ciascun soggetto all’interno dell’UE, è molto vicino a quello che noi chiamiamo principio di imparzialità. Mentre, è più lontano rispetto a quello che noi chiamiamo principio di buon andamento. Perciò, il buon andamento (art. 97) non corrisponde al diritto di buona amministrazione (art.41): l’espressione è simile, ma il contenuto è diverso. Il principio di imparzialità, in quanto richiede l’equidistanza nei confronti delle parti, è espressione del principio di eguaglianza sostanziale. 3 ott 2023 SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE (115/2011) Questa sentenza, pronunciata dalla Corte Costituzionale (a volte, produce ordinanze), è importante per il principio di legalità ed il principio di imparzialità. Essa è stata pronunciata nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 54 comma 4 del Testo Unico dell’ordinamento degli enti locali. Nel caso specifico, il Tribunale amministrativo-regionale per il Veneto ha sollevato dinanzi alla Corte Costituzionale la questione relativa alla possibile illegittimità costituzionale dell’art. 54 comma 4 in relazione ad una serie di norme costituzionali (art. 97, art. 23). Secondo il TAR, questa norma aveva un contenuto indeterminato, cioè era attribuiva al sindaco un potere non rispettoso della legalità sostanziale. Il sindaco, quale ufficiale del governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti, rispetto dei principi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Le sentenze si dividono in due parti: le premesse (viene descritto il fatto) e la parte “considerato in diritto” (con le valutazioni del giudice che deciderà, in questo caso la Corte Costituzionale). La Corte Costituzionale riporta: 1. Il TAR ha sollevato in relazione a molte norme della Costituzione (artt. 2-3, art. 23, art. 97) dubitando della coerenza dell’art. 54 comma 4; 2. Le censure del Tribunale, cioè il motivo per cui il Tribunale ritiene che l’art. 54 comma 4 violi quelle norme costituzionali; 3. La Corte dice che questa norma consente al sindaco di adottare ordinanze non contingibili e urgenti (ammesse perché temporanee), ma anche di ordinaria amministrazione (anche provvedimenti restrittivi delle libertà) al fine di eliminare pericoli che minacciano l’incolumità pubblica. 4. La Corte ha affermato in più occasioni l’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi sia osservato il principio di legalità sostanziale posto a base dello Stato di diritto. Tale principio non consente l'assoluta indeterminatezza del potere conferito dalla legge ad un’autorità amministrativa che produce l’effetto di attribuire in pratica una totale libertà al soggetto organo investito nella funzione. Non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente copertura elastica della funzione amministrativa dell’azione legislativa. La Corte, perciò, si sta interrogando se sia costituzionalmente legittima una norma (art. 54 comma 4) che, al di fuori dei bisogni di necessità ed urgenza (fuori dalle ordinanze contingibili ed urgenti), consenta in via ordinaria al sindaco di adottare provvedimenti al solo fine di tutelare l’incolumità pubblica. 5. Le ordinanze sindacali oggetto del presente giudizio incidono, per la natura delle loro finalità (incolumità pubblica e sicurezza urbana) e per i loro destinatari (le persone presenti in un dato territorio), sulla sfera generale di libertà dei singoli e delle comunità amministrate, ponendo 16 prescrizioni di comportamento, divieti, obblighi di fare e di non fare, che, pur indirizzati alla tutela di beni pubblici importanti, impongono comunque, in maggiore o minore misura, restrizioni ai soggetti considerati. La Costituzione italiana, ispirata ai principi fondamentali della legalità e della democraticità, richiede che nessuna prestazione, personale o patrimoniale, possa essere imposta, se non in base alla legge (art. 23). La riserva di legge appena richiamata ha indubbiamente carattere relativo, nel senso che lascia all’autorità amministrativa consistenti margini di regolazione delle fattispecie (...). Il carattere relativo della riserva de qua non relega tuttavia la legge sullo sfondo, né può costituire giustificazione sufficiente per un rapporto con gli atti amministrativi concreti ridotto al mero richiamo formale ad un prescrizione normativa “in bianco”, genericamente orientata ad un principio-valore, senza una precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell’azione amministrativa limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini. La Corte sta dicendo che il principio di legalità sostanziale non può dirsi soddisfatto attraverso norme in bianco ordinate ad un principio parziale: dire che un’autorità pubblica può adottare qualunque tipo di provvedimento a tutela dell'incolumità, significa individuare una norma in bianco che non declina modalità e contenuti dell’azione, ma che è solo ispirata ad un fine pubblico. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’espressione «in base alla legge», contenuta nell’art. 23 Cost., si deve interpretare «in relazione col fine della protezione della libertà e della proprietà individuale. Questo principio «implica che la legge che attribuisce ad un ente il potere di imporre una prestazione non lasci all’arbitrio dell’ente la determinazione della prestazione» (sentenza n. 4 del 1957). Quella legge non deve lasciare all’arbitrio dell’autorità pubblica l'individuazione della prestazione. Lo stesso orientamento è stato ribadito in tempi recenti, quando la Corte ha affermato che, per rispettare la riserva relativa di cui all’art. 23 Cost., è quanto meno necessario che «la concreta entità della prestazione imposta sia desumibile chiaramente dagli interventi legislativi che riguardano l’attività dell’amministrazione» (sentenza n. 190 del 2007). La legalità sostanziale richiede la determinazione dei contenuti di quel potere. 6. Si deve, in conclusione, ritenere che la norma censurata, nel prevedere un potere di ordinanza dei sindaci, quali ufficiali del Governo, non limitato ai casi contingibili e urgenti viola la riserva di legge relativa, di cui all’art. 23 Cost., in quanto non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello della imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati. Questi ultimi sono tenuti, secondo un principio supremo dello Stato di diritto, a sottostare soltanto agli obblighi di fare, di non fare o di dare previsti in via generale dalla legge. Questa è la prima conclusione della Corte Costituzionale riguardo alla norma attributiva di potere in contrasto con il principio di legalità sostanziale, in quanto non definisce il contenuto e le modalità concrete dell’esercizio del potere. 7. Si deve rilevare altresì la violazione dell’art. 97 Cost., che istituisce anch’esso una riserva di legge allo scopo di assicurare l’imparzialità della pubblica amministrazione, la quale può soltanto dare attuazione a quanto in via generale è previsto dalla legge. La pubblica amministrazione, che deve rimanere imparziale, deve solo attuare quanto previsto dalla legge. Tale limite (=cioè che l’amministrazione deve eseguire quanto previsto dalla legge) è posto a garanzia dei cittadini, che trovano protezione, rispetto a possibili discriminazioni, nel parametro legislativo, la cui osservanza deve essere concretamente verificabile in sede di controllo giurisdizionale. 17 2) PRINCIPIO DI LEGITTIMO AFFIDAMENTO Lo abbiamo ricavato dall’ordinamento tedesco, in quanto in esso esiste una tutela del legittimo affidamento dei privati quale espressione di un principio della certezza dei rapporti giuridici. Questo principio afferma che i soggetti privati debbano essere tutelati, a fronte di ipotesi di ripensamento da parte di amministrazioni. I soggetti pubblici si pongono in una posizione qualificata, perciò la loro azione è in grado di determinare una sorta di affidamento del privato. Se l’amministrazione o il legislatore stesso, dopo alcuni anni, cambia la propria condotta, ciò incide sul legittimo affidamento, cioè và ad incidere sulla posizione del privato che aveva confidato in buona fede in ordine al mantenimento di una posizione giuridica che gli era stata concessa dall'amministrazione. Affinché possa essere consolidato un legittimo affidamento, devono ricorre alcuni presupposti: - deve esistere un provvedimento amministrativo favorevole (un vantaggio economico o di una facoltà) in favore del soggetto privato; - che il privato fosse in buona fede al momento dell’attribuzione del beneficio; - deve essere passato un lasso di tempo adeguato (12 mesi) da aver determinato il consolidamento di quel vantaggio del soggetto privato. Al ricorrere di questi tre presupposti, potrà ricorrere un legittimo affidamento del privato in ordine al mantenimento di quel vantaggio. Ciò significa che le p.a. non potranno, ad esempio, revocare quel vantaggio o annullare il provvedimento attributivo perché il consolidamento del legittimo affidamento và a costituire un limite rispetto all’esercizio del potere di ripensamento da parte dell’amministrazione (il principio di legittimo affidamento costituisce una garanzia per il privato). Il rapporto tra pubblica amministrazione e privato è regolato dal diritto privato: la Corte costituzionale riconduce il principio di legittimo affidamento al principio generale della buona fede e correttezza perché nel diritto civile esse costituiscono principi generali a cui sono vincolate tutte le parti del contratto (legge costituzionale 8/2023). 9 ott 2023 L’organizzazione amministrativa Nel nostro ordinamento manca una riforma di legge che definisce cosa si intende per pubblica amministrazione. Esistono, però, delle norme settoriali che definiscono le pubbliche amministrazioni, ma che, in quanto settoriali, non sono valevoli generalmente. Ad esempio, il Testo unico sul pubblico impiego (d. lgs. 165/2001) contiene un’elencazione tassonomica, quindi precisa e puntuale, dei soggetti pubblici nei confronti dei quali trova applicazione la normativa. Nel settore dei contratti pubblici, il d. lgs. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici) è presente un’altra definizione delle p.a. perché la definizione è condizionata dalla normativa dell’UE che impone di considerare p.a. anche soggetti diversi che nel nostro sistema giuridico non sono considerati enti pubblici (organismi di diritti pubblico). Perciò, la definizione di pubblica amministrazione funge da una definizione unitaria e risente, quindi, della diversa funzionalità rispetto al settore di riferimento o dell’influenza del diritto dell’UE (neutrale rispetto alle qualificazioni soggettive date dall’ordinamento italiano). La nozione di pubblica amministrazione si divide in: - soggettiva: si riferisce all’insieme di strutture organizzative e burocratiche costituite per l'esercizio e lo svolgimento di pubbliche funzioni. L’amministrazione in senso soggettiva indica, quindi, l’apparato amministrativo (organizzazione di persone, mezzi e strumenti per lo svolgimento di attività pubbliche). ENTE/APPARATO (es. ministeri) - oggettiva: si riferisce all’amministrazione attività, cioè amministrare e curare gli interessi pubblici che la legge affida alla cura ai soggetti di diritto pubblico. ATTIVITÀ. Nella nostra Costituzione fa riferimento alla concezione soggettiva di pubblica amministrazione, in quanto: nell’art. 97 vengono in rilievo i principi della funzione amministrativa (i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge) e nell’art. 95 disciplina i misteri (apparato burocratico a servizio dello Stato). 20 Cos’è un’organizzazione? L'organizzazione è una unità di persone e di mezzi strutturata e gestita in modo continuativo al fine di conseguire degli scopi comuni, che i singoli non sarebbero in grado di raggiungere individualmente (vale anche per un’organizzazione privata). Ogni organizzazione trova la sua disciplina nella Costituzione, nelle norme di fonte primaria (leggi ed atti equiparati alla legge) e nelle norme subordinate (regolamenti) che disciplinano la struttura dei pubblici uffici. Queste norme e principi sono: - art. 97 con i principi di buon andamento ed imparzialità (comma 4: accesso ai pubblici uffici solo tramite concorso pubblico, garanzia ex-ante); - art. 5 principio autonomistico: la Repubblica italiana è costituita dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni. Il principio riconosce, così, la presenza di una pluralità di forme di governo all’interno della Repubblica; - art. 118: principio di sussidiarietà (regolano i rapporti tra le parti), differenziazione ed adeguatezza; - art. 95, riguarda la disciplina dei ministeri e del Presidente del Consiglio dei Ministri; - leggi che disciplinano l’organizzazione dei ministeri delle p.a.; - regolamenti che disciplinano l’organizzazione di pubblici uffici: art. 97 comma 2 quando dice che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge introduce una riserva di legge relativa, cioè che gli aspetti di dettagli dell'organizzazione amministrativa possono essere disciplinati dai regolamenti (cioè fonti subordinati dalla legge), adottati dal Governo. - legge 241/1990 e d.lgs 33/2016 in materia di trasparenza amministrativa. Questo principio di trasparenza impone a tutte le p.a. di adottare misure organizzative puntuali che rendano l’amministrazione come “una casa di vetro”, cioè accessibile al cittadino. La legge 190/2012 anticorruzione ha introdotto una serie di misure organizzative di prevenzione della corruzione all’interno dell'amministrazione. - principi di leale collaborazione, riguarda i rapporti tra le p.a. per poter cooperare tra loro per raggiungere gli obiettivi prefissati. Ad esempio, la conferenza Stato-Regioni è un organo collegiale in cui operano i rappresentanti dello Stato e delle Regioni che collabora al procedimento di formazione delle leggi, per assicurare l’equilibrio complessivo del sistema; - principio dell’equilibrio di bilancio e della sostenibilità del debito pubblico: sono principi costituzionali perché, con la riforma costituzionale n° 1 del 2012 denominata “Introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione”, è stato introdotto a nuovo. Attraverso la modifica di alcune previsioni costituzionali (artt. 81, 97, 117, 119), è stato previsto che le p.a. devono assicurare il principio di equilibrio di bilancio. Sono state modificate tutte queste norme, in quanto si è intervenuti su tutte le amministrazioni pubbliche: art. 81 disciplina lo Stato (il bilancio statale deve rispettare l’equilibrio), art. 97 comma 1 disciplina come le p.a. assicurano questo principio per sostenere il debito pubblico, art. 119 disciplina l’autonomia finanziaria degli enti territoriali. In generale, perciò, riguarda le entrate e le spese pubbliche stabilendo il pareggio contabile (no + spese che entrate). Il regime giuridico degli enti pubblici Non esiste una legge formativa generale, ma possiamo ricavare alcune regole dal sistema normativo generale: - art 11 del Codice civile, in cui si afferma che le province, i comuni e gli enti pubblici godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati dal diritto pubblico. Questa norma riconosce che gli enti pubblici godono di uno speciale regime (quello del diritto pubblico), ma, allo stesso tempo, godono di diritti secondo le norme di diritto comune (quello del codice civile). Da questa previsione normativa si ricava il riconoscimento in capo agli enti pubblici di una generale capacità giuridica: gli enti pubblici, al pari di qualsiasi altro ente di diritto privato o di qualsiasi altro soggetto, sono titolari di diritti ed obblighi. 21 Gli enti pubblici che soggiacciono a queste discipline sono, in genere, quelli riconosciuti dalla legge: lo Stato (ente pubblico per eccellenza), i ministeri, enti pubblici nazionali (es. ISTAT). La teoria dell’organizzazione amministrativa ruota attorno a 3 concetti: - personalità giuridica; - organo e d’ufficio; - persona fisica titolare dell’organo; 1) PERSONALITÀ GIURIDICA Indica l’attitudine dei soggetti a diventare titolare di diritti e di doveri. Essa viene riconosciuta sia dalle persone fisiche sia alle persone giuridiche (=organizzazioni diverse dalle persone fisiche che la compongono e dotate di propria capacità giuridica). Le pubbliche amministrazioni (enti pubblici) e le società di capitali sono persone giuridiche in quanto si riconosce l’attitudine di essere titolare di diritti e doveri, diversi da quelli di cui sono titolari le singole persone fisiche di cui l’organizzazione si compone. Il concetto di personalità giuridica è una finzione necessaria per separare l’organizzazione dalle singole persone che operano al loro interno (distinzione tra l’organizzazione ed i singoli soggetti che operano per essa). Le persone giuridiche pubbliche sono quelle costituite per legge o in base alla legge. La personalità giuridica ci richiede di riconoscere in capo all'ente pubblico l’attitudine ad essere titolare di diritti e di doveri, ma ciò non toglie che l’ente pubblico agisca per mezzo di persone fisiche impiegate al loro interno. Bisogna, perciò, distinguere due nozioni: quella di organo e d’ufficio. 2) ORGANO E D’UFFICIO All’interno delle pubbliche amministrazioni esistono organi ed uffici. Gli organi sono quei soggetti che hanno il potere di esprimere all’esterno la volontà dell'amministrazione, imputando direttamente all’amministrazione gli effetti del provvedimento adottato. Ciò si ottiene mediante il rapporto di immedesimazione organica: rapporto che si instaura tra la pubblica amministrazione e la persona fisica, titolare dell’organo, per effetto del quale l’organo può manifestare all’esterno la volontà amministrativa. Questo rapporto si realizza al momento dell’investitura. Gli uffici sono unità operative interne che non hanno il potere di svolgere attività di rilevanza esterna, in quanto si occupano di tutte quelle attività propedeutiche (rilevanza interna). La quantità di uffici viene stabilita dall’organigramma presente nell’ente. Si possono effettuare alcune classificazioni in riferimento agli organi ed agli uffici: - organi esterni: lo strumento attraverso il quale l’amministrazione opera nei rapporti con gli altri soggetti; - organi interni: non hanno capacità di impegnare all’esterno l’amministrazione perchè svolgono solo le attività propedeutiche alla formazione della volontà amministrativa (uffici); Inoltre, un’altra distinzione che si basa sulla presenza o assenza di una legge che imponga l’esistenza di un determinato organo o ufficio: - organi ed uffici necessari (es. nel comune è obbligatoria la presenza di un sindaco, giunta e consiglio comunale); - organi ed uffici non necessari (es. Ministeri senza portafoglio, istituiti di volte in volta per determinate funzioni). Un’altra differenza è: - organi monocratici: se, ad esso, è preposta una persona fisica che ne assume la titolarità (es. direttore generale dell’azienda della sanità locale); - organi collegiali: è preposta una pluralità di soggetti, i quali devono collegialmente assumere le deliberazioni (es. Consiglio comunale). Questi organi possono distinguersi in perfetti o meno perfetti, quando ai fini dell'assunzione delle sue deliberazioni devono essere presenti tutti i 22 Le relazioni tra organi ed enti pubblici I tipi di rapporto organizzativo-amministrativo che si possono instaurare tra gli organi e gli enti pubblcii sono: - rapporto gerarchico/verticistico: quando due organi cardinali all’interno della stessa struttura condividono le stesse funzioni, ma uno dei due organi ha qualifica superiore (esiste solo nell’ordinamento militare); - rapporto di direzione: si a quando, sebbene esistano degli organi subordinati, il rapporto non può essere definito gerarchico perché le competenze sono diverse, non sono tutte assorbite dal superiore. Questo rapporto si estrinseca attraverso atti di indirizzo da parte dell’organo superiore ed elogia attraverso atti di sostituzione o vocazione; - rapporto di controllo: controlli interni di vigilanza, controlli esterni di regolarità nei confronti delle amministrazioni statali; - rapporto di coordinamento: amministrazioni suddivise per competenze, nessuna delle quali prevale sull’altra. Ripetizione di competenze tra organi. Può essere politico-amministrativo (riguarda i rapporti tra il governo, stato e regioni e sistema delle autonomie locali) o amministrativo in senso stretto (tende a coordinare attività relative a nuovi procedimenti amministrativi). Il rapporto che, oggi, connota quello dell’amministrazione è quello del coordinamento in quanto esistono molte amministrazioni suddivise per competenze, senza che una sovrasti l’altra. Esso può essere: politico-amministrativo (riguardo il rapporto tra il Governo, lo Stato) oppure amministrativo in senso stretto (mira a coordinare la reattività di più processi amministrativi). Un primo fenomeno da tenere in considerazione è quello delle società partecipate, cioè soggetti di diritto privato con personalità giuridica di diritto privato, regolate dal codice civile, perciò da enti pubblici (lo Stato, le regioni, gli enti locali). 11 ott 2023 Nozione allargata di pubblica amministrazione Sono enti pubblici quelli istituiti come tali dalla legge, spetta a lei individuare (principio di legalità) ed attribuire i compiti per poter realizzare l’interesse pubblico. Ad esempio, nel nostro ordinamento, esiste la legge sul parastato che individua una serie di enti qualificati come enti pubblici. Quando la legge riconosce che un certo soggetto è una persona giuridica pubblica, si applica direttamente il regime politico di diritto pubblico: ad esempio, verrà applicato l’art. 97 della Costituzione, cioè per accedergli servirà un concorso. In un sistema improntato alla pluralità di interessi pubblici o in cui emergono soggetti di diritto privato (es. società), non ci si può accontentare della solo qualificazione legislativa dei soggetti come enti pubblici. Per questo, assume rilevanza la normativa di diritto dell’UE, in quanto impone una dimensione allargata delle pubbliche amministrazioni e non solo l’essere soggetti pubblicistici. Inoltre, l’UE ingloba una molteplicità di stati con l’obiettivo di superare le differenziazioni formali e qualificatorie che ciascuno stato membro fa all’interno del proprio ordinamento imponendo un’unica disciplina di pubblica amministrazione, in maniera omogenea. È chiaro, quindi, che nella normativa europea le qualificazioni formali degli stati membri sono irrilevanti. Come può raggiungere questo obiettivo? Attraverso delle nozioni di carattere sostanziale. Al diritto dell’UE non interessa la qualificazione formale del soggetto perché per poter concludere che si tratti di p.a. bisogna andare ad analizzare sotto il profilo sostanziale la ricorrenza di una serie di indici dai quali si ricava che tali enti, seppur qualificati dallo stato membro come privati, hanno la sostanza di enti pubblici perché, ad esempio, sono sottoposti a forme di controllo pubblico, sono integralmente finanziati dallo stato e perseguono finalità di interesse pubblico. In buona sostanza, essi presentano degli indici di pubblicità di natura sostanziale che ne consentono il loro inquadramento nella nozione di p.a. Nell’UE le singole discipline sono settoriali: per riuscire a superare le barriere formali interne degli stati membri, lo fa attraverso normative che riguardano settori di sua competenza. Ad esempio, l’UE è 25 competente nella libera circolazione delle persone, in quanto esiste una norma che garantisce come essa non può essere limitata dagli stati membri, se non per motivi straordinari di interesse generale. In riferimento a questa norma, ci afferma che è ammessa una deroga alla libertà di circolazione con riferimento al lavoro presso alle autorità pubbliche. Com’è stata interpretata la nozione di autorità pubblica? La Corte di Giustizia dell’UE ha fornito un’interpretazione fortemente restrittiva di autorità pubblica, in quanto doveva perseguire l’interesse di limitare la circolazione degli stati membri: tanto più ristretta era la nozione di autorità pubblica, più la Corte di Giustizia avrebbe cercato di evitare che una deroga potesse essere ampliata agli stati membri per tutelare la deroga di libertà di circolazione. Quindi l’autorità pubblica è un ministero, la giurisdizione e la funzione legislativa. Viceversa, nel settore dei contratti pubblici è regolato dal diritto dell’UE, in cui vuole garantire nell’ordinamento degli stati membri che vi sia un libera concorrenza (disciplina di concorrenza). Al di sotto, è presente la normativa agli acquisti delle p.a con appalti di lavoro, servizi e forniture (es. servizi di pulizia). Secondo le direttive europee, le p.a, prima di stipulare il contratto di appalto, devono presentare una procedura di gara ad evidenza pubblica, in quanto tutti i soggetti possono concorrere, secondo principi di imparzialità ed eguaglianza, allo stesso modo. In questo caso, la definizione di p.a. elaborata dalla Corte di Giustizia è una nozione ampia. L’UE supera le qualificazioni giuridiche e formali degli stati membri ed elabora una nozione molto ampia, e di natura sostanziale, che è quella di organismo di diritto pubblico. Questa nozione ha derivazione europea giurisprudenziale (=elaborata dalla Corte di Giustizia dell’UE) e, successivamente, codificata e formalizzata all’interno delle norme di diritto dell’UE. Viene elaborata dalla Corte di Giustizia per garantire un’applicazione, il più estesa possibile, della normativa formativa degli enti pubblici. La p.a. deve avere: - personalità giuridica (anche privata), cioè un soggetto separato dagli altri soggetti ed avente attitudine alla titolarità di diritti ed obblighi; - l’attività deve essere finanziata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico. La sua gestione deve essere soggetta a controllo o il suo organo di amministrazione/organizzazione/vigilanza deve essere costituito da membri designati, per più della metà, dallo Stato (influenza dominante). Inoltre, vengono verificati gli enti di finanziamento; - requisito teleologico o finalistico (istituzione della persona giuridica per il soddisfacimento di esigenze di interesse generali, avente carattere industriale o commerciale). Questa nozione è una nozione allargata di p.a. perchè non è basata sulla qualificazione della legge, ma è basata sulla ricorrenza di momenti sostanziali dai quali ricaviamo che il soggetto opera come soggetto pubblico, tenuto a rispettare il regime pubblicistico (opera solo in ambito di contratti pubblici). Nel settore della finanza pubblica (regolamento del 549/2013), la p.a. viene agganciata a dei criteri economico-statistici: il soggetto (anche società privata) è sottoposto ad un controllo pubblico per verificare se vengono svolte attività market o non market. La nozione di amministrazione ai fini della rilevazione del conto economico consolidato si basa su indicatori economici parzialmente coincidenti con quelli di organismo di diritto pubblico. Nell’ambito della disciplina di società, ci sono diverse tipologie di società di partecipazione pubblica. Non solo ci sono società nazionali nate da enti pubblici economici (es. poste italiane), ma anche società a livello regionale ed enti locali per poter soddisfare l’esigenza di erogazione dei servizi. Perchè le p.a possono costituire società pubbliche? Le p.a hanno capacità giuridica di diritto privato e, in quanto tale, possono compiere atti di diritto privato utilizzando strumenti di diritto privato (società), funzionale al conseguimento dell’interesse pubblico (principio di finalizzazione dell’attività amministrativa al conseguimento dell’interesse pubblico). L’interesse pubblico c’è quando il soggetto pubblico deve erogare dei servizi (di trasporto, di comunicazione), che spetta all’amministrazione pubblica. Tutto questo utilizzo delle società partecipate, ha portato alla creazione del Testo Unico sulle società partecipate che tende a restringere le possibilità degli enti pubblici di utilizzare il modello societario: 26 1. non possono essere istituite società pubbliche se non per il raggiungimento di finalità essenziali del soggetto pubblico (Comune, provincia, …) e mediante una stringente motivazioni di queste esigenze pubbliche; 2. annualmente le p.a devono provvedere alla razionalizzazione delle società partecipate, cioè devono analizzare il quadro delle società partecipate. Devono, perciò, verificare se ci sono società inutili (che non servono), se sono doppie e quindi da accorpare oppure se hanno dei deficit che falliranno. Cosa succede se una società sta per fallire? Fino a qualche anno fa, interveniva la mano pubblica con una quantità di denaro; il Testo Unico interviene, invece, con una norma che sancisce il divieto di soccorso finanziario per le p.a nei confronti delle società partecipate. Ciò significa che le società possono fallire, salvo in caso società che si occupano di funzioni essenziali ed irrinunciabili. Le società a partecipazione unica, regolate dal Testo Unico, sono diverse. Tra queste, la più importante è il modello della società in-house, elaborata dalla Corte di Giustizia dell’UE in una sentenza degli anni 90’. Quali sono i requisiti per far si che una società sia in-house? 1. Controllo analogo: l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla società un controllo uguale a quello esercitato sui propri servizi, potendone influenzare gli obiettivi strategici e le decisioni più significative; 2. Attività prevalente: la società in-house deve poter svolgere almeno l’80% della propria attività in favore dell’amministrazione aggiudicatrice (il 20% residuo può essere operato sul mercato); 3. Totale partecipazione pubblica: la società in-house deve essere totalmente partecipata dall’ente pubblico, senza avere capitali privati in quanto distoglie la società dal totale controllo pubblico. Le società in-house sono una prosecuzione dell’ente pubblico e si differenziano soltanto sotto il profilo formale in quanto società, ma in realtà sono la pubblica amministrazione controllante. 16 ott 2023 LE AUTORITÀ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI Esse sono enti pubblici (hanno personalità giuridica di diritto pubblico) i quali si chiamano indipendenti perché non sono incardinate nel meccanismo di responsabilità politica (art. 95 della Costituzione) e di derivazione dell'amministrazione del diritto politico-amministrativo. Perciò, si parla di enti pubblici indipendenti dal governo, la cui indipendenza è legata all’elevato tasso di competenze tecniche. Queste autorità nascono durante gli anni 90’ con la liberalizzazione del mercato per regolare e gestire alcuni settori sensibili dell’ordinamento (della concorrenza o della tutela della riservatezza), in cui il legislatore non riesce ad intervenire in tempi brevi imposti dalle esigenze del mercato. Inoltre, rappresentano una posizione di neutralità rispetto agli interessi in gioco: quando agiscono è per assicurare un valore dell’ordinamento, senza raggiungere un interesse pubblico in quanto indipendenti dal governo. Le autorità indipendenti applicano la legge in concreto, ponendosi perciò il problema del se fossero amministrazioni: la Cassazione ha definito la loro entità di pubbliche amministrazioni con caratteristiche peculiari sia sotto il profilo amministrativo (indipendenza e professionalità) che sotto il profilo funzionale (non si limitano a svolgere funzioni amministrative in senso proprio, ma svolgono anche funzioni arbitrali e di regolazione). Le autorità amministrative indipendenti presenti in Italia sono, ad esempio, quelle che operano nel sistema bancario-creditizio, Banca d’Italia, CONSOB (commissione nazionale per la società e la borsa), IBAS (istituto per la vigilanza delle assicurazioni). - Funzioni Sono diverse a secondo del tipo di autorità. Queste funzioni sono: 1. amministrativa in senso proprio; 2. arbitrali o contenziose: l'autorità risolve una controversia mediante l’applicazione della legge al caso concreto; 27 - DIRITTI SOGGETTIVI Sono le posizioni giuridiche soggettive che i privati hanno nei rapporti con gli altri consociati. Ciascuno di noi è titolare di diritti soggettivi che possono: appartenere al soggetto (es. libertà personale, diritto di riservatezza), riguardare i rapporti con i beni (es. diritti di proprietà, i cosiddetti diritti reali), riguardare i rapporti di prestazione obbligatoria con i terzi (es. diritti del creditore nei confronti del debitore, i cosiddetti diritti relativi). Il diritto soggettivo si connota in quanto il suo riconoscimento in capo del titolare è condizione necessaria e sufficiente affinché possa dirsi realizzato l’interesse del soggetto privato. Si possono distinguere in: - diritti soggettivi perfetti: sono attribuiti in modo incondizionato al soggetto, il cui esercizio è libero e non richiede alcuna mediazione da parte dell’amministrazione. Essa, infatti, non può estinguere questi diritti, come il diritto alla salute; - diritti soggettivi condizionati: il loro esercizio è subordinato ad un provvedimento amministrativo autorizzatorio (diritti in attesa di espansione) oppure quei diritti che la pubblica amministrazione estingue con un provvedimento (diritti suscettibili). I diritti in attesa di espansione indicano tutti quei diritti in cui c’è bisogno della mediazione della pubblica amministrazione per il loro esercizio: ad esempio, l’autorizzazione per l’esercizio di attività di impresa, il diritto di proprietà fa parte del privato ma ha comunque bisogno della pubblica amministrazione per poter svolgere la propria attività. I diritti suscettibili rappresentano quei diritti in cui la pubblica amministrazione ha la capacità di estinguere un diritto. - INTERESSI LEGITTIMI Si ha tutte le volte in cui l’interesse che voglio realizzare dipende dall’esercizio di un potere amministrativo. L’interesse legittimo può essere di due tipi: - oppositivo: si ha quando il privato vanta un interesse ad opporsi all’esercizio del potere pubblico in quanto vorrebbe conservare la situazione giuridica soggettiva, di cui è già titolare, contro un’intrusione della pubblica amministrazione. Ad esempio, nel caso del potere di espropriazione. - pretensivo: si ha quando il privato richiede all’amministrazione l’adozione di un provvedimento espansivo della sua situazione giuridica. L’interesse legittimo è pretensivo perchè è agganciato alla pretesa di ampliamento della sfera giuridica del privato attraverso l’adozione di un provvedimento amministrativo. Ad esempio, nel caso dei provvedimenti autorizzatori . La storia dell’interesse legittimo è strettamente connessa all’esigenza di riconoscere una tutela del privato perché, originariamente, si riteneva che l’interesse del privato fosse l’interesse di natura processuale. L’interesse del privato non è mera legittimazione dell’interesse processuale, ma la conservazione (interesse legittimo oppositivo) o il conseguimento (interesse legittimo pretensivo) di un bene della vita, di un interesse proprio del soggetto che può non coincidere con quello dell’amministrazione. Se l’azione dell’amministrazione è lesiva nei confronti del privato, ci può essere un risarcimento. Si parla di interessi procedimentali per indicare gli interessi ed i diritti che emergono durante il procedimento amministrativo: le parti che devono partecipare al processo amministrativo sono titolari di facoltà (es: diritto di presentare memorie ed osservazioni). La distinzione tra diritto soggettivi e interessi legittimi, oltre ad essere rilevante sul piano generale in quanto diversi nelle loro caratteristiche, si rileva anche sul piano processuale: nel nostro ordinamento ci sono due giurisdizioni (ordinaria e amministrativa) le quali sono competenti in base alla situazione giuridica presentata. Il giudice amministrativo si occupa degli interessi legittimi, mentre il giudice ordinario è il giudice naturale dei diritti soggettivi. 30 Le norme di relazione sono quelle che assegnano i diritti soggettivi, mentre le norme di azione sono quelle che regolano l’esercizio del potere riguardo gli interessi legittimi. Che tipo di attività pone nelle attività giuridiche-soggettive la pubblica amministrazione? L’attività amministrativa può essere distinta in due tipologie: - autoritativa: quella attraverso cui l’amministrazione esercita un potere pubblico mediante l’adozione di provvedimenti amministrativi che si impongono nei confronti dei soggetti privati costituendo, modificando ed estinguendo situazioni giuridiche soggettive. L'autorità autoritativa è quella in cui l’amministrazione agisce in iure imperii, cioè agisce in posizione di supremazia speciale rispetto al privato in base alle regole pubblicistiche che la legge le attribuisce. - non autoritativa: l’amministrazione si pone su un piano di parità con il soggetto privato. L’attività non autoritativa, in cui l’amministrazione agisce secondo modelli paritetici e non di superiorità, è anch’essa finalizzata all’interesse pubblico, ma che si svolge secondo moduli diversi. Ad esempio: gli accordi amministrativi, sostitutivi o integrativi di provvedimenti amministrativa attraverso i quali l’amministrazione applica la sua funzione pubblica mediante un modulo tipicamente consensuale, cerca il consenso del cittadino; diritto comune in senso stretto, cioè tutte le attività per il privato (contratti di affitto, ecc..). Quando l’amministrazione si spoglia della sua autorità per svolgere attività non autoritative, tendenzialmente, si applicano le norme del codice civile e non dalle leggi del diritto pubblico. Ci sono, però, molte eccezioni (può applicare leggi del diritto privato): sia che agisca secondo il processo amministrativo sia attraverso moduli contrattuali, sempre questa attività è funzionalizzata alla cura dell’interesse pubblico. L’art. 1 della legge sul procedimento amministrativo (legge 241/1990) parla di principi generali dell’attività amministrativa. L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princípi dell'ordinamento comunitario. 1-bis. La pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente. 18 ott 2023 IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO L’attività amministrativa, in particolare quella autoritativa, è funzionale all’adozione di provvedimenti amministrativi attraverso i quali l’amministrazione costituisce, modifica o estingue situazioni giuridiche e soggettive in capo al privato. Per pervenire all’adozione di tale provvedimento amministrativo, la pubblica amministrazione deve seguire un procedimento il quale assume una rilevanza fondamentale nel nostro ordinamento in quanto il procedimento è il luogo nel quale viene assicurato il giusto contraddittorio con il soggetto privato. Il procedimento amministrativo è la forma di esercizio della funzione amministrativa autoritativa. L’esercizio del potere pubblico avviene in una forma peculiare che si chiama procedimento amministrativo. L’importanza di quest’ultimo risiede nella circostanza che vengono assicurati i principi cardine dell’azione amministrativa: - quello del contraddittorio: nel procedimento si assicura la partecipazione del soggetto privato all’iter che condurrà all’adozione del provvedimento; 31 - si garantisce altresì l’imparzialità dell’azione amministrativa: essa risiede nel giusto temperamento degli interessi in gioco da parte della p.a. e il suo rispetto presuppone quindi l’acquisizione da parte della p.a. di tutti gli elementi necessari ai fini dell’adozione del provvedimento amministrativo. Tra questi elementi, non-solo quelli di fatto, ci sono anche elementi riconducibili a quegli interessi di cui possono essere portatori i diversi soggetti interessati al procedimento. Poichè nel procedimento esiste la fase istruttoria, nella quale l’amministrazione deve acquisire tutti gli elementi di fatto e di diritto utili per poter poi assumere il provvedimento, il procedimento amministrativo costituisce anche garanzia di imparzialità e trasparenza amministrativa perché nel procedimento deve essere garantita l’accessibilità al soggetto interessato, di tutti gli atti e documenti che sono confluiti all’interno del fascicolo e che sarà oggetto di analisi da parte dell’amministrazione. Il procedimento amministrativo subisce il vero momento essenziale dell’esercizio della funzione amministrativa nel quale vengono contemplati diversi interessi in gioco ai fini dell’adozione del provvedimento amministrativo finale. Sotto il profilo descrittivo, il procedimento è una sequenza di atti tra loro collegati funzionalmente diretti all’adozione del provvedimento amministrativo. Esso nasce con l’esigenza di garantire al cittadino al quale viene assicurata la partecipazione al procedimento attraverso il contraddittorio che si svolge in sede procedimentale e attraverso l’accesso agli atti del fascicolo. Il procedimento amministrativo si articola in diverse fasi: 1. Fase d'iniziativa: fase iniziale del procedimento amministrativo, il momento nel quale il procedimento prende avvio e può essere: d’ufficio, quando esso viene avviato direttamente dalla p.a. senza forma di sollecitazione, esercita in base alla legge e al ricorrere delle circostanze di fatto (es. I procedimenti disciplinari e di natura sanzionatoria) o su istanza di parte, quando il soggetto privato pretenda dall’amministrazione un ampliamento della propria posizione giuridica soggettiva. L’amministrazione, come ha il potere di adottare un provvedimento amministrativo, ha anche il potere di revocare o annullare l’ufficio nello stesso provvedimento, questo è potere di autotutela: potere d’ufficio dell’amministrazione esercitato di propria iniziativa e non su istanza di parte. 2. Fase istruttoria: costituisce il cuore del procedimento amministrativo, momento basato sull’accertamento dei fatti e all’acquisizione degli elementi rilevanti alla fine del decidere. L’amministrazione raccoglie gli elementi di fatto (documenti, accertamenti ed elementi di diritto) necessari affinché possa essere assunta una motivata decisione finale. È la fase nella quale vengono acquisite le memorie procedimentali, cioè osservazioni scritte che i soggetti interessati producono, i documenti necessari ai fini dell’adozione del provvedimento finale e dove vengono assunti I pareri da parte di altri organi tecnici o amministrazioni competenti. Vige il principio di non aggravamento (art 1. comma 2 della legge sul procedimento) dispone che la p.a. non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria. La regola generale è il principio di non aggravamento dell'istruttoria, il quale è un corollario del criterio della economicità e del buon andamento dell’azione amministrativa, non bisogna fare nulla che non sia strettamente necessario a conseguire l’obiettivo. 3. Fase decisionale: momento nel quale, esaurita l’istruttoria, si adotta il provvedimento amministrativo, ossia la decisione della pubblica amministrazione. Ci possono essere casi in cui un soggetto, il responsabile del procedimento, gestisce l’istruttoria, ma non è colui che adotta il provvedimento. Soltanto I soggetti preposti ad un organo possono adottare I provvedimenti. La decisione finale deve essere coerente con l’istruttoria: art 3 della legge sul procedimento, reca la disciplina della motivazione del provvedimento, dice che la motivazione del provvedimento deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione in relazione alle risultanze dell’istruttoria. Nella fase decisionale, nella quale viene adottato il provvedimento amministrativo, si deve fare attenzione alle risultanze dell’istruttoria 32 23 ott 2023 Gli istituti di partecipazione nel procedimento amministrativo Gli istituti di partecipazione sono quelli che assicurano che il privato possa interloquire con l'amministrazione nel corso del procedimento, quindi prima della mozione da parte dell'amministrazione del provvedimento finale, in funzione collaborativa, nonché difensiva. La partecipazione al procedimento amministrativo può avere una funzione collaborativa, cioè se attraverso di essi si pone il soggetto privato nelle condizioni di poter far confluire all'interno del procedimento documenti ed informazioni di cui egli è a disposizione e che possono guidare la pubblica amministrazione nella determinazione del provvedimento finale. Inoltre, la partecipazione può avere anche dei connotati difensivi: consente al soggetto privato, prima che l’amministrazione adotti il provvedimento finale, di potersi difendere. Gli istituti di partecipazione al procedimento amministrativo sono espressione del diritto al contraddittorio (uno dei diritti diritti fondamentali dell'Unione europea, riconosciuti in capo al privato). Questo diritto, infatti, contempla una serie di facoltà, tra le quali appunto, quella di poter interloquire con l'amministrazione prima che quest'ultima adotti un provvedimento nei confronti del soggetto privato. Inoltre, il diritto al contraddittorio è un'aggiunta del principio di imparzialità dell'azione amministrativa: l'imparzialità presuppone un'attenta valutazione da parte della p.a. di tutti gli interessi in gioco, consentendo al privato di esprimere il proprio punto di vista all'interno del procedimento perché, solo così facendo, l'amministrazione potrà adottare un provvedimento finale che costituisca il giusto bilanciamento tra gli interessi in gioco. Per permettere la partecipazione del privato all'interno del procedimento è fondamentale la comunicazione di avvio del procedimento, prevista dall'articolo 7 della legge 241/1990: “Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'avvio del procedimento è comunicato ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e da quelli che per legge devono intervenire” La norma ci dice che la p.a. deve comunicare ai soggetti, a cui il provvedimento è destinato a produrre effetti, nonché agli altri che devono intervenire per legge, l'avvio del procedimento. Questa comunicazione deve essere sempre formulata dall'amministrazione, salvo, ci dice la norma, che non sussistano ragioni impeditive, cioè ragioni che impediscono all'amministrazione di poter comunicare l'avvio del procedimento. L'amministrazione deve comunicarlo sia se si tratta di procedimenti d'ufficio (cioè i procedimenti d'ufficio che l'amministrazione deve avviare in base ad un proprio potere ufficioso) sia di procedimenti ad istanza di parte (cioè quelli che presuppongono la proposizione di un'apposita istanza da parte del soggetto privato). La comunicazione è destinata al destinatario del provvedimento, cioè colui a cui il provvedimento è indirizzato a produrre degli effetti. Un'altro soggetto nei cui confronti è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento è il cosiddetto controinteressato, cioè colui che potrebbe subire un pregiudizio derivante dall’adozione del provvedimento (ovviamente diverso dal destinatario del procedimento). “Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell'inizio del procedimento”. Fondamentale, perciò, è saper distinguere la figura dell'interessato (cioè il destinatario del provvedimento finale) ed il controinteressato (cioè il soggetto diverso dal destinatario del provvedimento, ma che potrebbe subire un pregiudizio per effetto del provvedimento finale). Ci sono anche dei casi più complessi in cui è difficile individuare il controinteressato, a volte può non esserci. Sia l'interessato che il controinteressato sono parti necessarie del procedimento amministrativo, la loro assenza dal luogo all'indizio di illegittimità del provvedimento finale che, a volte, determina la caducazione, cioè l'annullamento del provvedimento. 35 L’art. 9 della legge 241/1990 riguarda l'intervento del procedimento, intervento di parti cosiddette eventuali. Nei confronti delle parti necessarie, l'amministrazione deve effettuare la comunicazione di aprire il procedimento. L'intervento presuppone che la comunicazione non ci sia stata, perché magari non necessaria. L'articolo 9 dice che: “Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento” Quindi, chiunque, sia esso un soggetto pubblico o un soggetto privato, ha la facoltà di intervenire nel procedimento amministrativo, se, appunto esso può concludersi con un pregiudizio dal provvedimento. Ci possono essere dei soggetti che rappresentano parti eventuali perché non sono dei destinatari del provvedimento, quindi, nei loro confronti non viene formulata la comunicazione, ma c’è la possibilità del loro intervento. L'articolo 8 individua il contenuto della comunicazione di avvio del procedimento, in cui devono essere indicati una serie di elementi semplici: - l'amministrazione competente; - l'oggetto del procedimento promosso; - l’ufficio (presso il quale è possibile prendere visioni ed estrarre copia dei documenti), il domicilio digitale dell'amministrazione e la persona responsabile del procedimento; - il termine di conclusione del procedimento. Nei procedimenti ad iniziativa di parte, dice la norma, occorre indicare nella comunicazione la data di presentazione dell'istanza, entro quanto si chiude il procedimento e, inoltre, che tipo di silenzio si forma nel caso della mancata adozione del provvedimento espresso entro i termini di legge. Quali sono i diritti di partecipazione dei soggetti che hanno ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento o perché sono intervenuti, e legittimati ai sensi dell’art. 9, nel procedimento? L'articolo 10 afferma che i partecipanti al procedimento (i soggetti dell'articolo 7, cioè quelli nei confronti dei quali è stato comunicato l'avvio del procedimento, e i soggetti intervenuti ai sensi dell'articolo 9) hanno diritto di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare, ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento. All'interno di quel procedimento, l'accesso agli atti è il presupposto della produzione delle memorie, altrimenti non sarei in grado di produrre una memoria senza utilizzare l’accesso endoprocedimentale. Nella fase istruttoria, il privato, attraverso le proprie memorie di osservazioni, introduce all'interno del procedimento elementi che altrimenti l'amministrazione non potrebbe avere, ma può avere anche una funzione più prettamente difensiva. Quand'è che la partecipazione al procedimento ha una funzione difensiva? Quando l'amministrazione avvia, nei miei confronti, un procedimento amministrativo che è diretto a concludersi con un provvedimento sacrificato e disciplinare. La comunicazione di avvio del procedimento è il primo istituto che assicura la partecipazione del privato. Il secondo istituto è la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza., detto anche preavviso di rigetto, disciplinato dall'art. 10 bis della legge 241 del 90: “Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda”. Mentre la comunicazione di avvio del procedimento viene fatta dall'amministrazione all'inizio del procedimento e riguarda a tutti i procedimenti, sia quelli ad istanza di parte che quelli d'ufficio, il preavviso di rigetto guarda solo i procedimenti ad istanza di parte, collocandosi nella fase finale del procedimento, cioè all'esito dell'istruttoria. 36 La norma ci dice che nei procedimenti ad istanza di parte prima della formale adozione del provvedimento negativo, il che significa appunto che io ho già esaurito l'istruttoria, l’amministrazione devo comunicare al soggetto i motivi che non consentono l’accoglimento della sua istanza. Dal momento in cui gli comunica i motivi che non consentono l'accoglimento della sua domanda (preavviso di rigetto), decorre un termine di 10 giorni entro il quale il privato, che ha ricevuto l'avviso di rigetto, potrà depositare una memoria o delle osservazioni per dimostrare che i motivi presentati sono erronei ed infondati per far si che venga accettata la sua istanza (partecipazione prettamente difensiva). Può succedere che riesca a convincere l’amministrazione, ottenendo il provvedimento di accoglimento. Può darsi anche che l'amministrazione, lette le mie osservazioni, invece continui a ritenere che la mia istanza non possa essere accolta. “Qualora gli istanti abbiano presentato osservazioni, del loro eventuale mancato accoglimento il responsabile del procedimento o l'autorità competente sono tenuti a dare ragione nella motivazione del provvedimento finale di diniego indicando, se ve ne sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni”. La norma prescrive che, in sede di provvedimento finale, l'amministrazione debba spiegare per quali ragioni ritiene inidonee le osservazioni del privato, senza indicare un nuovo motivo ostativo di diniego diverso rispetto a quelli confluiti nel preavviso di rigetto perché si sarebbe reso inutile quest’ultimo. Infatti, la legge qualifica il preavviso di rigetto come un vizio che non può essere superato in ragione del principio del raggiungimento dello scopo, proprio perché il preavviso è considerato particolarmente importante nella sua funzione difensiva e di garanzia del soggetto privato. Le regole sulla partecipazione hanno un'applicazione che riguarda tutti i provvedimenti amministrativi puntuali (comunicazione di avvio del procedimento, preavviso di rigetto). Le norme sulla partecipazione al procedimento amministrativo trovano applicazione per tutti i procedimenti e provvedimenti puntuali, ma non si applicano agli atti amministrativi generali. Inoltre, per le autorità indipendenti si riconosce, in capo a quest'ultimo, un potere normativo, cioè quello di adottare regolamenti con apertura del procedimento di adozione del regolamento ai soggetti esterni, in modo tale che, tutti gli interessati, una volta aperte le consultazioni, possano depositare memorie, osservazioni e quindi, in qualche modo, interloquire con l'autorità prima che questa adotti una delibera. ISTITUTI DI PARTECIPAZIONE comunicazione di avvio del procedimento, facoltà partecipative e preavviso di rigetto. Andiamo ora nel dettaglio della fase istruttoria del procedimento amministrativo. Nella declinazione delle fasi avremo: - la fase di iniziativa, corrisponde con la comunicazione di avvio del procedimento; - la fase istruttoria, rappresenta la base centrale; - la fase decisoria, corrisponde all’adozione del provvedimento. Il preavviso di rigetto si colloca a metà tra la fase istruttoria e decisoria (fase pre-decisoria, a metà): per adottare il preavviso di rigetto bisogna aver già esaurito l'istruttoria perché altrimenti non saremmo in grado di dire i motivi per cui si rigetta l'istanza. La disciplina dell'istruttoria è governata dal responsabile del procedimento che la deve condurre e gestire nel rispetto di alcuni principi generali (principio del non aggravamento dell'istruttoria, art.1 comma 2 della legge sul procedimento). L'istruttoria deve essere completa ed improntata in cui il responsabile del procedimento deve effettuare richieste, integrazioni ed ispezioni. Il legislatore si preoccupa, perciò, di individuare delle modalità per garantire il superamento di ipotesi di stallo, derivanti da una condotta di altre 37 Nell’ambito degli istituti di semplificazione collochiamo la disciplina dei pareri, valutazioni tecniche e delle autocertificazioni, essa è improntata all’esigenza di superamento delle fasi di stallo che possono realizzarsi nel corso di un procedimento. Sono altresì istituti di semplificazione: - quelli relativi al silenzio delle p.a.; - la conferenza dei servizi; - parzialmente la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA). Il silenzio delle p.a. e la conferenza dei servizi sono istituti disciplinati dalla legge generale sul procedimento che collochiamo all’interno degli istituti di semplificazione. La segnalazione certificata di inizio attività che semplifica il sistema è collocabile tra gli istituti di liberalizzazione, significa che il regime giuridico di quelle attività non è più autorizzatorio, cioè non soggiace più ad una forma di mediazione preventiva da parte dell’amministrazione che deve quindi autorizzare il privato all’esercizio dell’attività, ma è un’attività liberalizzata perché non esiste più un controllo preventivo da parte dell’amministrazione. IL SILENZIO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Ai sensi dell’art 2 della legge sul procedimento, la p.a. ha l’obbligo di concludere il procedimento amministrativo con un provvedimento espresso. - Cosa accade se l’amministrazione non adotta il provvedimento? Il silenzio dell’amministrazione indica l’inerzia della p.a., cioè la mancata conclusione del procedimento attraverso un provvedimento espresso. Se l’amministrazione non risponde all’istanza del privato, quel silenzio è solo un silenzio, cioè è una mera inerzia dell’amministrazione, che può cagionare un grave danno nei confronti del privato, il quale non può rimanere esposto senza termine ad una condotta o ad una omissione dell’amministrazione che non adotta il provvedimento finale. La legge intervenuta al fine di porre rimedio avverso l’inerzia della p.a., la disciplina sul silenzio della p.a. è improntata all’esigenza di mitigare gli effetti negativi derivanti dalla non risposta dell’amministrazione. Interviene il legislatore attribuendo a quel silenzio un certo significato. L’inerzia dell’amministrazione, che non ha auto significato se non quello della mera inerzia priva di senso, viene trasformata in un fenomeno significativo perché la legge gli attribuisce un determinato effetto. La prima distinzione da tenere in considerazione è quella tra silenzio assenso e silenzio diniego. L’art 20 della legge sul procedimento è la norma generale in materia di silenzio assenso, dice che fatta salva l’applicazione dell’art 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, il silenzio dell’amministrazione competente equivale al provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide se la medesima amministrazione non comunica all’interessato nel termine dell’art 2 comma 2-3 il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2. - Qual è l’ambito applicativo della norma? La norma si applica ai procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, si si applica generalmente a tutte le ipotesi in cui il soggetto privato abbia presentato un’istanza alla p.a. per il rilascio di un provvedimento. Si ha dei casi in cui il privato fa valere un interesse legittimo pretensivo, il privato sottopone un’istanza all’amministrazione perché da quest’ultima vuole ottenere un provvedimento ampliativo della sua sfera giuridica. La norma afferma che in tutti questi casi in cui il privato sottopone all’amministrazione un’istanza diretta all’ottenimento del provvedimento, il silenzio dell’amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento della domanda; quindi, al silenzio dell’amministrazione viene attribuito un significato che è quello 40 dell’accoglimento dell’istanza, se l’amministrazione non chiude il procedimento con un provvedimento espresso entro il termine di sua conclusione. Questa norma è stata disciplinata al fine di rendere l’istituto del silenzio assenso, quindi la qualificazione dell’inerzia dell’amministrazione, un istituto di natura generalizzata. Ci sono anche delle eccezioni: - Non opera il silenzio assenso se l’amministrazione entro il termine di conclusione del procedimento indice la conferenza dei servizi; - Il silenzio assenso non si applica agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la tutela da rischio idrogeologico, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità; - Non si applica nel caso in cui la normativa europea impone all’amministrazione la nozione di un provvedimento espresso; - Non si applica nei casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto della domanda; - Non si applica nei casi in cui esiste un decreto del ministero. Sebbene l’istituto sia generalizzato e si tratta di un'importante forma di semplificazione, bisogna guardare bene alle diverse eccezioni della formazione del silenzio assenso. Per semplificare, il silenzio assenso non opera nel caso in cui si tratta di procedimenti amministrativi nei quali vengono in rilievo interessi particolarmente sensibili. Il silenzio delle amministrazioni specie degli organi consultivi o degli istituti che devono rilasciare accertamenti tecnici, non hanno mai funzione di assenso se vengono in rilievo interessi sensibili. Quando si tratta di procedimento amministrativo rispetto ai quali vengono in rilievo amministrazioni preposte alla cura e all’interesse pubblico particolarmente rilevanti, si pretende che queste amministrazioni si pronuncino espressamente in una qualche forma poco sorvegliata di silenzio amministrativo possa poi portare ad una lesione di quegli interessi pubblici. Questi ultimi sono tanto importanti da prevalere sulle esigenze di celerità e di semplificazione amministrativa; quindi, nei loro confronti non opera meccanismi di semplificazione e non opera nemmeno il silenzio. Dall’art 20 comma 4 si ricava che il silenzio assenso non si applica quando la legge qualifichi espressamente il silenzio come diniego. Accanto al silenzio assenso, che è regolato come ipotesi di carattere generale dall’art 20 della legge sul procedimento, esiste anche una forma diversa di silenzio significativo che è il silenzio diniego. A differenza del silenzio assenso, che è disciplinato come idea generale dall’art 20, il silenzio diniego deve essere espressamente previsto dalle singole disposizioni normative perché ha carattere eccezionale. La regola generale è il silenzio assenso, mentre il silenzio diniego ha carattere eccezionale. La sua mancata conclusione entro il termine previsto dalla legge equivale a diniego dell’istanza. ➔ Un esempio lo si trova nell’ Art 241 del 1990 in particolare tratta delle norme sul diritto di accesso, dice che il silenzio della p.a. sull’istanza dell’accesso documentale equivale a un rigetto della domanda, dettato soprattutto dall’art 25 che disciplina le modalità dell’esercizio del diritto di accesso documentale e dice che decorsi i 30 giorni dalla richiesta di accesso, questa si intende respinta. È una norma eccezionale che se l’amministrazione non risponde entro i termini di 30 giorni alla richiesta di accesso, l'istanza viene respinta. Quindi si ha il silenzio diniego nell’ipotesi in cui la legge prevede che la mancata conclusione entro il termine procedimentale del procedimento amministrativo con provvedimento espresso, equivale ad un rigetto dell’istanza. L’ipotesi pratica del silenzio di diniego si trova nella legge sul procedimento che qualifica il 41 silenzio dell’amministrazione sulla richiesta di accesso ai documenti amministrativi come rigetto della domanda. - Che cosa accade nei casi in cui non opera né il silenzio assenso né il silenzio diniego? Non opera il silenzio assenso perché l’art 20 comma 4 dispone che esso non si applica nei procedimenti nei quali viene in rilievo un interesse sensibile (ambiente, salute, immigrazione ecc...). In questo tipo di procedimenti non opera per legge il meccanismo del silenzio assenso e diniego. Queste sono ipotesi residuali, quindi diverse dal silenzio assenso e diniego, che vengono qualificate come silenzio inadempimento. Esso ricorre in via residuale quando l’inerzia dell’amministrazione non equivale né all’accoglimento dell’istanza né a rigetto dell’istanza, ma costituisce un mero inadempimento della p.a. rispetto all’obbligo di concludere il procedimento entro i termini di legge con un provvedimento espresso. La qualificazione di questo silenzio di inadempimento apre la strada all’esperimento da parte del privato di rimedi successivi per superare questo inadempimento dell’amministrazione. Una volta che il silenzio della p.a. viene qualificato come silenzio inadempimento, il privato avrà a disposizione degli strumenti per poter contestare questo inadempimento, esiste uno strumento processuale che è l’azione avverso il silenzio inadempimento che consente al privato di adire il giudice amministrativo affinché accerti che l’amministrazione aveva l’obbligo di concludere il procedimento con provvedimento espresso e nei casi di attività vincolata si può chiedere al giudice di adottare lui il provvedimento che l’amministrazione ha omesso di adottare, quindi di sostituirsi all’amministrazione obbligando quest’ultima all’adozione del provvedimento che accoglie l’istanza. Oltre all’azione contro il silenzio inadempimento, il privato può far valere le norme dell’art 2 sul suo diritto dell’indennizzo da ritardo: - potrà chiedere somme di denaro all’amministrazione per ogni giorno di ritardo; - potrà sollevare il problema di fronte all’organo in modo da sollecitare l’esercizio di poteri di natura sostitutiva; - potrà attivare le forme risarcitorie del danno da ritardo. La qualificazione del silenzio amministrativo come inadempimento è residuale perché ci collochiamo nei casi in cui non rientra il silenzio assenso e diniego, e consente al soggetto privato di preparare una serie di rimedi successivi per superare l’inerzia amministrativa. Una peculiare azione giurisdizionale è l’azione contro il silenzio inadempimento con la quale il privato chiede al giudice di accertare la violazione da parte dell’amministrazione l’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso e la fondatezza della sua richiesta; quindi, la sua istanza deve essere accolta dalla p.a. se si tratta di attività amministrativa vincolata. Comma 2 bis dell’art 20 dice che nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale al provvedimento di accoglimento della domanda, l’amministrazione è tenuta su richiesta del privato a rilasciare in via telematica un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e dell’intervenuta accoglimento della domanda. Nel 2021 il legislatore interviene disponendo che nei casi in cui si sia formato il silenzio assenso, l’amministrazione deve rilasciare un’attestazione al privato circa l’intervenuto accoglimento della domanda. Si tratta di una mera attestazione, quindi non ha efficacia costitutiva, non è un provvedimento di accoglimento perché l’accoglimento dell’istanza deriva dall’inutile decorso del termine di conclusione del procedimento. Una volta decorsi i 30 giorni si forma il silenzio assenso, che ci dà l’autorizzazione. Il problema pratico è che i soggetti terzi in qualche modo richiedevano un certificato che attestasse che questa autorizzazione ci fosse senza ritenere sufficiente la mera affermazione del silenzio assenso. Il legislatore intervenuto prende atto di questa difficoltà e introduce la norma che obbliga l’amministrazione a rilasciare un attestato. 42 - Come partecipa? Partecipa in via telematica in diversi modi: - la legge prevede che ciascuna amministrazione deve nominare un rappresentante abilitato ad esprimere la volontà di quell’ amministrazione; - Lo stesso rappresentante può rappresentare più amministrazioni. Il rappresentante deve esprimere in modo vincolante la posizione dell’amministrazione su tutte le decisioni che sono di competenza della conferenza. All’esito della conferenza dei servizi simultanea, quindi delle varie riunioni che devono svolgersi entro 45-90 giorni, l’amministrazione procedente deve adottare la determinazione conclusiva. La peculiarità è che la determinazione conclusiva viene adottata sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza tramite i rispettivi partecipanti. Il concetto di posizioni prevalenti non viene indicato con la maggioranza perché potrei soppesare diversamente la rilevanza degli interessi. È quindi un problema di bilanciamento con obbligo di motivazione e analisi del peso dei diversi interessi. Qui consideriamo acquisito l’assenso se il rappresentante dell’amministrazione non ha partecipato alle riunioni, ovvero se ci ha comunque partecipato, ma senza esprimere una posizione chiara ovvero se ha espresso un dissenso immotivato o inconferente, riferito ad altre posizioni. - Cosa succede una volta che l’amministrazione procedente adotta la determinazione conclusiva sulla base delle posizioni prevalenti? La determinazione positiva di conclusione della conferenza di servizi potrà avere efficacia immediata se c’è stato un consenso unanime di espressione di atti di assenso in sede di conferenza. Se la determinazione conclusiva di approvazione del progetto è avvenuta in base alle posizioni prevalenti l’efficacia dell’approvazione finale è solo sospesa nel caso in cui siano stati espressi dissensi qualificati, cioè nel caso in cui in sede della conferenza dei servizi le amministrazioni preposte alla cura e interessi pubblici sensibili abbiano manifestato un dissenso qualificato. ● In questo caso la determinazione resta sospesa perché entro 10 giorni le amministrazioni che hanno espresso il dissenso qualificato, possono proporre opposizione al presidente del consiglio dei ministri. Qualora il consiglio dei ministri non accolga l’amministrazione può rigettare la mia opposizione e la determinazione motivata di conclusione della conferenza acquista efficacia; ● Se l’amministrazione del consiglio accoglie parzialmente l’opposizione può modificare il contenuto della determinazione della conclusione della conferenza; ● Se viene accolta l’opposizione senza modifiche la determinazione diventa inefficace. Viene introdotto un meccanismo che da un lato serve a tutelare il dissenso qualificato delle amministrazioni preposte alla tutela degli interessi pubblici particolarmente sensibili. La conferenza dei servizi è un meccanismo procedurale, un modulo organizzativo che non dà luogo ad un soggetto istituzionale diverso dalle singole amministrazioni, ma è solo un momento nel quale le amministrazioni vengono coinvolte al fine di poter esprimere il modo più efficace la propria posizione. Quando la determinazione finale della conferenza dei servizi sostituisce tutti gli atti di assenso, pareri, nullaosta dobbiamo fare attenzione ad un punto. Che cosa succede se la sovraintendenza o al ministero dell’ambiente si rende conto di aver sbagliato a rilasciare l’atto di assenso? Si pone il problema del ripensamento cumulativo. Nel momento in cui non rilascio più il parere perché il mio atto di assenso viene assorbito e sostituito da una diversa determinazione di una diversa amministrazione, la regola è che io non posso agire in autotutela perché quel provvedimento non è mio, ma di un’altra amministrazione. Quindi si prevede che le 45 amministrazioni che hanno partecipato alla conferenza di servizi possono sollecitare in unico soggetto competente che è l’amministrazione che ha adottato la determinazione finale, all’esercizio dotato dei poteri di ripensamento e autotutela. Non eseguo lo stesso procedimento che ho seguito per adottare il provvedimento finale, ma va indetta una nuova riunione nella quale le amministrazioni discuteranno dell'opportunità o illegittimità di quella determinazione alla luce di nuove ragioni emerse solo successivamente. LA SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI INIZIO ATTIVITA’ Si colloca solo parzialmente tra gli strumenti di semplificazione perché si tratta di un vero e proprio strumento di liberalizzazione. Questo ultimo termine si intende che le attività soggette alla segnalazione certificata di inizio attività non soggiacciono più ad un regime autorizzatorio preventivo, sia il silenzio assenso che la conferenza dei servizi sono modalità semplificate e procedurali che riguardano procedimento diretti all’adozione di provvedimenti di autorizzazione, senza i quali il privato non può esercitare l’attività. La segnalazione certificata di inizio attività non è un’autorizzazione, quindi non abbiamo un regime autorizzatorio preventivo, non c’è un regime amministrativo perché l’attività è libera, deve essere solo segnalata. per questo è un istituto di liberalizzazione e attraverso questo viene meno il regime di autorizzazione preventiva da parte dell’amministrazione perché sostituito da un atto del privato che segnala l’amministrazione che inizierà a intraprendere una certa attività, senza attendere alcuna autorizzazione perché l’attività è liberalizzata. Regime di diritto amministrativo: le attività liberalizzate sono quelle per le quali non è necessaria l’autorizzazione amministrativa. In quel caso l’attività è libera perché non serve il preventivo provvedimento dell’amministrazione che li abilita all’esercizio di quella determinata attività. Poiché la segnalazione certificata di inizio attività è un atto con cui il soggetto privato segnala la p.a. che inizierà quella attività si dice che questo regime è un regime liberalizzato, perché nel momento in cui io segnalo posso immediatamente intraprendere l’attività senza dover aspettare l’autorizzazione amministrativa. - Quando è possibile che l’inizio di una certa attività possa essere realizzato solo mediante la presentazione di un atto privato? L’art 19 comma 1: ogni atto di autorizzazione, licenza, permesso nulla osta comprese le domande per le iscrizioni in albi, richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipende dall’accertamento dei requisiti e presupposti richiesti dalla legge, è sostituito da una segnalazione dell’interessato con la sola esclusione dei casi in cui sussistono vincoli ambientali, paesaggistici, culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla cura della pubblica sicurezza, immigrazione ecc... È una norma di liberalizzazione perché ci dice che nei casi in cui è prevista un’autorizzazione per l’esercizio di un’attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda dall’accertamento dei requisiti di legge, essa è sostituita una segnalazione del privato. - Quali sono i presupposti di questa segnalazione? Deve trattarsi di un’attività vincolata, perché il rilascio di quell’autorizzazione è subordinato solo al ricorrere dei requisiti e presupposti richiesti dalla legge. In tutti i casi in cui esiste una legge di autorizzazione, la quale presuppone soltanto la comprova dei requisiti previsti dalla legge, l’autorizzazione, cioè il regime di autorizzazione preventivo del regime di diritto amministrativo è sostituito da una segnalazione certificata di inizio attività, cioè da un atto del privato che dichiara che l’amministrazione dal giorno X inizierà quella attività. 46 Ciò non è possibile nei casi in cui l’autorizzazione coinvolga un interesse sensibile. In questi casi l’autorizzazione è sostituita da un atto del privato, ossia una segnalazione, la quale deve essere presentata all’amministrazione corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazione e atti di notorietà (autocertificazioni) nelle quali il privato attesti il possesso dei requisiti e dei presupposti richiesti dalla legge per quello che era il rilascio dell’autorizzazione. Quindi presento un atto che si chiama segnalazione di inizio attività, esso deve essere corredato da tutte le autocertificazioni con le quali io vado a comprovare il possesso dei requisiti previsti dalla legge per poter intraprendere quella attività. L’attività può essere iniziata dal giorno di presentazione della domanda. Presento la segnalazione - presento i documenti al corredo a comprova dei requisiti di legge per l’esercizio dell’attività - nel momento in cui presento la segnalazione - inizio dell’attività - Quali poteri ha l’amministrazione? Abbiamo tolto il potere autorizzatorio preventivo, perché abbiamo sostituito l’autorizzazione con una segnalazione del privato. Resta in campo il potere di controllo successivo, una volta presentata la segnalazione e iniziata l’attività la p.a. può effettuare i suoi controlli, cioè verificare se il soggetto privato abbia i requisiti per poter svolgere l’attività. Il termine entro il quale l’amministrazione competente deve esercitare i propri poteri di controllo è il termine di 60 giorni. Entro 60 giorni dal ricevimento della segnalazione, l’amministrazione deve verificare la sussistenza dei requisiti e dei presupposti per l’esercizio dell’attività. - Che cosa può accadere? A certa insussistenza dei presupposti si adotta un provvedimento con il quale dispone la cessazione dell’attività e il ripristino della situazione anteriore. Può anche accadere che quella attività per poter essere proseguita debba, però, adeguarsi a delle prescrizioni, in questo caso l’amministrazione non vieta la prosecuzione dell’attività, ma chiede al cittadino privato entro un certo termine di adeguarsi alle prescrizioni. Se l’amministrazione non esercita il controllo entro 60 giorni verranno limitati i suoi poteri di controllo. Decorsi i 60 giorni, l’adozione di questi atti è subordinata al ricorso dei presupposti dell’autotutela, essa non può avvenire decorsi i 12 mesi dal provvedimento attributivo del vantaggio. Ciò vuol dire che entro 60 giorni posso spedire qualsiasi atti di decozione, dopo 60 giorni devo adeguarmi alle condizioni legittimanti l’esercizio del potere di autotutela, non potrò più adottare divieti di prosecuzione dopo 12 mesi (problema del legittimo affidamento). Può accadere che abbia presentato autocertificazioni false. 25 ott 2023 Se l’amministrazione si accorge che il privato non è conforme a ciò che stabilisce la legge, adotta atti inibitori, cioè di divieto di prosecuzione dell’attività e demolire le opere costruite. Se è possibile rendere conforme l’attività attraverso prescrizioni, l’amministrazione applica degli atti di prosecuzione dell’attività, dando un tempo stabilito al privato per adattarsi. Trascorsi i 60 giorni, l’amministrazione non perde il potere di controllo, ma potrà esercitare il potere dell'inibizione solo se decorrono i presupposti della norma che disciplina l’annullamento d’ufficio. Perciò, la natura giuridica è rappresentata dalla segnalazione che è un atto del privato, quindi non è un provvedimento amministrativo. La norma dice che il terzo, colui che è leso dall'attività iniziata dal privato per effetto della segnalazione, deve sollecitare i poteri di verifica dell’amministrazione per tutelarsi. Ciò permette di risolvere il problema della tutela del terzo in quanto manca un provvedimento amministrativo. 47
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