Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Le città italiane nel Medioevo, Prove d'esame di Storia Medievale

Riassunto del libro Le città italiane nel Medioevo

Tipologia: Prove d'esame

2017/2018
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 19/11/2018

Vespa_50_Special
Vespa_50_Special 🇮🇹

4.7

(182)

43 documenti

1 / 23

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Le città italiane nel Medioevo e più Prove d'esame in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! LE CITTÀ ITALIANE NEL MEDIOEVO XII – XIV SECOLO Franco Franceschi - Ilaria Taddei Parte prima. Il dinamismo demografico ed economico Cap.1 Uomini in movimento 1. La grande urbanizzazione I secoli compresi tra la fine del X e l’inizio del XIV furono, in Italia come in tutta Europa, un’epoca di deciso aumento della popolazione grazie ad una generale fase di crescita economica. Si determinò, contemporaneamente, un incremento del tasso di urbanizzazione: le grandissime e le grandi città Italiane si concentravano quasi tutte al Centro-Nord, soprattutto in Lombardia, Veneto, Emilia e Toscana. Proprio la Toscana, all’ inizio del ‘300 spiccava come l’ area più urbanizzata d’ Italia e molto probabilmente d’ Europa. Nell’Italia centro-meridionale, invece, si trovavano solo 4 città con più di 20.000 abitanti, ovvero: L’Aquila, Napoli, Palermo e Messina. Il fenomeno crescente dell’inurbamento della popolazione si puoi spiegare in generale con il fatto che le città rappresentavano un ambiente più favorevole rispetto alla campagna, con possibilità maggiori di ascesa economica, sociale e politica, proprio per questi motivi gli abitanti delle città aumentarono grazie al trasferimento, entro le mura, di individui e di famiglie venuti dall’ esterno in cerca di prestigio (aristocratici, ecclesiastici,borghesi) o di fortuna (contadini liberi o servi). Un altro elemento da non sottovalutare è il ruolo internazionale che rivestivano alcune città maggiori: Genova e Venezia si proiettavano ben oltre i confini della città-Stato grazie ai loro ‘imperi coloniali’, Roma era il cuore della cristianità, Palermo e Napoli, al centro delle vicende delle monarchie meridionali, erano collegate all’impero e successivamente alla Provenza e all’Aragona. Fra i protagonisti dell’inurbamento, soprattutto all’inizio, spiccavano gli enti ecclesiastici, i quali nei flussi demografici vedevano la possibilità di valorizzare i loro patrimoni fondiari attraverso le lottizzazioni edilizie, ma anche l’opportunità di acquisire nuovi fedeli per le loro chiese. Quanto ai governi, in linea generale cercavano di favorire l’immigrazione, che consideravano una preziosa risorsa per lo sviluppo urbano, e lo facevano concedendo privilegi, incentivi fiscali, concessioni di cittadinanza. Ma l’ atteggiamento delle autorità non era univoco, soprattutto dalla metà del ‘200, quando si delinearono chiaramente gli aspetti negativi del 1 sovraffollamento urbano, a questo punto i governi intervengono per controllare e selezionare i flussi limitando l’ accesso alla città ad esempio a coloro che non avevano un manodopera specializzata o ai mendicanti e ai nullatenenti. 2. Il nuovo volto delle città Il segno più evidente della straordinaria crescita demografica delle città fra l’XI secolo e i primi decenni del XIV è rappresentato dai ripetuti ampliamenti delle cerchie murarie. Ovviamente anche l’aspetto interno delle città subì nette trasformazioni con l’edificazione di nuove abitazioni, botteghe, la costruzione o il rifacimento di chiese, palazzi pubblici, ponti, logge, ospedali, acquedotti, ampliamento delle piazze e la pavimentazione del suolo pubblico, allargamento delle strade, ecc. La dinamica era abbastanza semplice: salvo casi sporadici, i proprietari di suolo entro la cinta muraria non investivano i loro capitali per la realizzazione di edifici, essi si limitavano ad offrire, con contratti di varia natura, i loro terreni a dei concessionari i quali si incaricavano in prima persona dell’ onere della costruzione di edifici. In qualche caso, tuttavia, l’ iniziativa fu presa dai governi cittadini che vararono dei veri e propri “piani regolatori” (come ad esempio Bologna e Ferrara nel corso del XII secolo). 3. Inversione di tendenza Sembra ormai certo che anche in Italia, così come in Europa, l’ incremento demografico si fosse arrestato già prima della crisi demografica provocata dalla peste del 1348. Una delle cause sicuramente più importanti furono le carestie che caratterizzarono quasi tutta la prima metà del ‘300. Gli storici però ipotizzano come vera causa del decremento demografico la disfunzione del rapporto che c’era tra popolazione e risorse: numero basso di produttori agricoli e numero elevatissimo di consumatori (cittadini). Si ebbe per così dire un effetto domino: la diminuzione o l’assenza di cibo comporto un calo della salute o morte tra i giovani, che quindi a sua volta si tradusse in riduzione delle nuzialità e quindi delle natalità. Cap.2 Le città come poli di sviluppo mercantile 1. Al centro della vita economica Nei decenni a cavallo fra XI e XII secolo aveva già preso avvio il processo che avrebbe fatto delle città italiane il centro della vita economia della penisola ed il cuore degli scambi dell’ intero spazio euro-mediterraneo. Nel periodo successivo infatti l’ espansione economica Europea trovo infatti in queste realtà urbane il loro fulcro ed il loro moltiplicatore. L’elevato numero degli abitanti nelle città presupponeva la capacità dei territori rurali di assicurare l’approvvigionamento alimentare urbano e di conseguenza un incremento della produzione agricola 2 Le ragioni di questo successo furono molteplici: uno sviluppo demografico eccezionale (e quindi manodopera a basso costo); una struttura economica che integrava attività commerciali, bancarie e manifatturiere; l’ introduzione del fiorino d’oro (coniatura iniziata nel 1252); l’abilità di sfruttare al meglio la congiuntura politica delineatasi con la morte di Federico II e la successiva vittoria dei guelfi in tutta la penisola. A cavallo fra Due e Trecento anche la fortuna dette una mano ai fiorentini: il fallimento dei senesi Bonsignori e dei lucchesi Ricciardi, assicurarono alle compagnie fiorentine ulteriori spazi di attività, soprattutto in Inghilterra. Fra XIII e XIV secolo gli organismi aziendali fiorentini divennero ancora più grandi. Questa fortuna si protrarrà fino al 1340 quando il re inglese Edoardo III non fu più in grado di restituire ai mercanti-banchieri fiorentini oltre un milione di fiorini che gli erano stati prestati per la guerra che aveva messo su contro la Francia. Questa crisi oltre all’attività bancaria, travolse anche quella mercantile e manifatturiera, l’impatto della crisi sull’economia urbana fu globale. 4. I circuiti di scambio Nei decenni a cavallo fra XIII e XIV secolo, all’apogeo dello sviluppo medievale, le città italiane erano al centro di un sistema commerciale intercontinentale che si estendeva dal mare del Nord all’Africa, dalla Penisola iberica al Levante, con diramazioni in Asia. Le spezie costituivano l’ elemento centrale che dall’ oriente arrivava in occidente ma anche tessuti, tappeti, il sapone, la carta,ecc, senza dimenticare gli schiavi (articolo di punta dei commercianti genovesi). L’ ampiezza delle reti commerciali e la supremazia italiana, costruita dalle maggiori città italiane, era intimamente legata al ruolo che ricoprivano i centri minori e ai circuiti di scambio regionale ed interregionale che essi avevano messo su. Gli scambi nel mediterraneo avvenivano principalmente via mare, solo dopo la metà del ‘200, con la formazione dell’ impero mongolo e l’ unificazione dei popoli dell’ Asia, poterono essere sfruttati gli itinerari terrestri che facevano capo al mar Nero. 5. I mercanti al lavoro I secoli dell’espansione commerciale videro la diffusione di forme aziendali collettive, in particolar modo quelle delle società commerciali tipiche delle città marittime e quelle caratteristiche dei centri dell’interno. Nelle città costiere la tipologia più diffusa di tali sodalizi era la commenda. La commenda si fondava sull’accordo tra un socio fornitore di capitale che restava a terra (accomandante) e un socio che, in piena autonomia decisionale, effettuava il viaggio per mare e le relative transazioni commerciali (accomandatario). Più complesse, perché destinate a operare stabilmente, erano le compagnie, le società costituite dagli uomini d’affari delle città dell’interno. Esistenti fin dal XII secolo, sono ben conosciute solo a partire dalla fine del secolo successivo, innanzitutto grazie agli studi sulle attività commerciali dei fiorentini. Si trattava di associazioni di durata pluriennale, con possibilità di rinnovo come di scioglimento prematuro. Avevano un’origine familiare, che conservarono anche quando si aprirono alla partecipazione di soci esterni. Sotto il 5 profilo giuridico erano assimilabili alle odierne società in nome collettivo, poiché la responsabilità dei soci era solidale e illimitata, e questo costituiva uno dei fondamenti della fiducia di cui esse godevano nel mondo degli affari. Sebbene in proporzione diversa secondo l’ampiezza del loro giro d’affari, le compagnie svilupparono un sistema di filiali localizzate nelle piazze commerciali più importanti e strettamente legate alla casa madre. L’aumento del volume dei traffici e la prevalenza di un commercio di un tipo ‘sedentario’ (dove il mercante non aveva più la necessità di scortare la propria merce perché aveva degli incaricati), furono all’origine dell’affinamento delle tecniche mercantili e il progressivo innalzamento del livello di istruzione degli uomini d’affari; si delineò sempre più chiaramente, infatti, un percorso di formazione (delle vere e proprie scuole) specifico per gli aspiranti mercatores . Abbiamo conoscenza di manuali destinati agli uomini d’affari detti ‘Pratiche di mercatura’. Venne poi introdotto il “libro mastro” in cui tutte le transazioni trovavano la loro registrazione. Ancora, venne introdotta la ‘lettera di cambio’, nata dall’esigenza di trasferire denaro a distanza senza farlo materialmente viaggiare. Da sottolineare che in Toscana, per la prima volta, fa la comparsa anche l’istituto dell’assicurazione, creato per coprire il rischio connesso al trasporto delle merci sulle rotte marittime. Cap.3 Le attività produttive 1. Mestieri e corporazioni A partire dal XII secolo, sotto lo stimolo dell’ espansione dei consumi, nelle città italiane si assiste ad un massiccio perfezionamento degli strumenti e dei processi di lavorazione (es. introduzione dei mulini ad acqua), si registrò inoltre, un innalzamento del livello di specializzazione delle maestranze i cui riflessi sono riconoscibili nel miglioramento della qualità dei prodotti e nella sempre maggiore varietà delle attività produttive intraprese. Alla spettacolare espansione dell’economia urbana corrispose, nel corso del XII secolo, lo sviluppo delle ‘associazioni di mestiere’ o ‘corporazioni’, il loro numero fu generalmente molto più contenuto rispetto alle reali attività svolte dagli artigiani, questo perché vi era la diffusa tendenza di raggruppare in un unico organismo più specializzazioni secondo criteri abbastanza elastici di affinità professionale. L’ elemento fondante di questi sodalizi era il giuramento che ogni membro faceva davanti agli altri, questo li impegnava reciprocamente alla tutela degli interessi comuni. La prima e la più generale preoccupazione di ogni corporazione era la difesa del monopolio di esercizio del mestiere contro i non iscritti (chi lavorava clandestinamente, praticava tariffe più basse quindi concorrenza sleale); un secondo caposaldo consisteva nella tutela dell’uguaglianza economica tra i membri (tariffe stabilite, numero massimo di garzoni prestabilito,ecc.). Fra le 6 priorità della politica economica delle corporazioni vi era poi la disciplina a tutela della qualità dei manufatti prodotti e dei servizi erogati. Atro caposaldo dello statuto delle corporazioni era il controllo sulla formazione dei nuovi maestri, essa avveniva solo dopo diversi anni di apprendistato. Ma le corporazioni non erano solo associazioni di artigiani, esistevano infatti anche corporazioni di mercanti,giudici, notai, medici, ecc. queste ultime, al contrario delle prime assunsero funzioni di natura pubblica come ad esempio il controllo dei pesi e delle misure o la sorveglianza della sicurezza delle strade ed in alcune città furono addirittura distinte in due categorie: Ordini (mercanti, giudici, notai, medici, ecc.) e Arti (artigiani). Completamente diversa era, invece, la situazione nel Mezzogiorno, ove ogni forma organizzativa venne duramente proibita. Solo verso la metà del ‘300, si iniziò ad incontrare, ad esempio nel regno di Napoli, menzioni di associazioni professionali. 2. L’Italia dei tessuti Nella vasta gamma delle attività svolte nelle città italiane quelle connesse alla produzione dei tessuti e dell’ abbigliamento rivestivano un importanza centrale. La lavorazione della lana, del cotone e della seta rivestiva un’ importanza centrale e assicurava la sopravvivenza a migliaia di nuclei familiari. Nei secoli XII e XIII la manifattura dei tessuti di cotone (coltivato nel Mezzogiorno) era concentrata nelle città della pianura padana. Poi a partire dal XIV secolo la produzione di questi manufatti in cotone si sposto anche in molte città del centro Italia come ad esempio Firenze, Pisa, Perugia, Roma, ecc. Lucca era invece il centro serico più importante di tutta la penisola, Firenze e le città lombarde (Milano in testa) invece era specializzate nella produzione dei capi di lana. 3. Altri settori di punta La straordinaria crescita demografica delle città italiane comportò, di conseguenza, una maggiore richiesta di abitazioni e il cantiere divenne uno dei tanti tratti distintivi dell’ immagine urbana. Il fatto che pellami e metalli costituissero la materia prima per molti oggetti d’ uso comune, fece si che in ogni centro urbano avesse al suo interno una consistente rappresentanza di artigiani dei due settori. A Pisa ci sono i maggiori conciatori italiani, mentre la Lombardia (soprattutto a Milano) eccelleva per la produzione di una vasta gamma di prodotti metallurgici (es. scudi, armature, filo di ferro, ecc.). La manifattura della carta non può essere comparata a quanto sopra, ma rappresentava comunque una lavorazione specializzata nella quale l’ Italia avrebbe mantenuto per circa tre secoli il primato, la città che spiccava per produzione e innovazione di prodotto era Fabriano (Marche). 4. L’ organizzazione del lavoro 7 Parte seconda. La società urbana nell’Italia comunale Cap.4 L’esperienza politica 1. Il primo secolo di storia comunale Tra la fine dell’XI secolo e i primi decenni del XII l’esperienza comunale si diffuse ampiamente nel regno d’Italia e le città adottarono la magistratura consolare, tradizionalmente considerata come il segno inequivocabile dell’avvenuta costituzione del comune e della marginalizzazione del ruolo politico dei vescovi, che avevano assicurato le funzioni di governo in età precomunale. Fin dall’ epoca dei re italici (fine del ‘900) infatti i presuli (vescovi) avevano consolidato poteri giurisdizionali, agendo in nome della collettività essi garantivano il buon funzionamento ed il buon andamento della comunità urbana. Al fianco del vescovo veniva crescendo una classe dirigente che collaborava con lui per la gestione dei settori strategici della vita pubblica, come l’ amministratore della giustizia e la difesa militare. Questi interlocutori all’ inizio partecipavano alle decisioni assieme al vescovo, successivamente riuscirono a sostituirsi a lui. I due poteri, consolare e vescovile, finirono spesso per coesistere per tutto il primo secolo di vita comunale. La nascita del comune, dunque, deve essere considerata come un processo di lunga durata, diverso da città a città in ragione dei rapporti di forza tra i principali attori sulla scena e fortemente influenzato dalla grande opposizione fra papato e impero. Il conflitto fra questi due poteri “universali” prese il nome di lotta per le investiture e condizionò in Italia più che altrove il destino della società civile. Questo antagonismo infatti spinse l’ imperatore a stabilire un rapporto di dominazione diretta sulle città per assicurarsi il loro sostegno contro il papa. Verso il 1150 il regime dei consoli si era imposto in tutte le città dell’Italia centrosettentrionale, con le rilevanti eccezioni di Roma (per via del Papa) e Venezia (per via del Doge). Al momento dell’ entrata in carica i consoli (il numero variava da città a città a seconda delle esigenze) pronunciavano un giuramento (detto breve) in virtù del quale si impegnavano a svolgere con giustizia le principali funzioni di governo. Alla fine del mandato (da pochi mesi ad un anno) venivano sottoposti alla verifica del loro operato da parte di appositi sindaci. A prescindere dal modo (nomina diretta, acclamazione o elezione da parte di chi è ancora in carica - cooptazione) l’ elezione dei consoli avveniva raramente in modo pacifico ed era di solito il risultato tra alleanze, negoziati o conflitti tra diversi lignaggi. L’ accesso alla carica di console era infatti un obbiettivo fondamentale per le famiglie dell’ elite urbana per assicurarsi il potere e un’ 10 ingente quota delle risorse collettive. Le lotte per il potere, tuttavia, non mettevano in discussione il principio di rotazione della carica, vero e proprio cardine del sistema comunale e garanzia di una partecipazione pluralistica al consolato. Il comune, in sostanza, nacque dal compromesso da una parte del desiderio di rappresentare gli interessi dell’ intera collettività (una res pubblica) e dall’altra dall’ aspirazione egemonica delle grandi famiglie che non esitarono a combattere tra di loro per la conquista del potere. Tuttavia la conflittualità per l ‘investitura a console con cancellava i senso di appartenenza alla res pubblica, un sentimento che si manifestava in tutta la sua forza quando il comune era minacciato da un pericolo esterno. Lo sviluppo istituzionale del comune rafforzò l’idea della superiorità della città rispetto al territorio circostante e ciò si tradusse nella sempre più esplicita volontà di assumere il controllo giurisdizionale del contado. Questa tendenza era dovuta a motivi militari ed economici: per garantire la sicurezza della città venne creata un vasta area di rispetto attorno alla città, la creazione di questa area garantiva anche una libertà degli scambi commerciali e di approvvigionamenti urbani. Si tentava con ogni mezzo di estendere la propria sfera d’influenza nei territori limitrofi, provocando spesso conflitti fra comuni vicini e talvolta l’assoggettamento dei centri più deboli. I contadi circostanti accettavano qualche volta di sottomettersi o aderire alla giurisdizione urbana in cambio di un compenso in denaro; in altri casi, invece, la sottomissione assumeva un carattere feudale: i signori cedevano i loro poteri giurisdizionali al comune riottenendole poi come vassalli in cambio del servizio armato. 2. I Comuni, l’ impero e uno scontro inevitabile Nel 1152 l’ascesa al trono di Federico I di Svevia detto il Barbarossa (1125-1190), dopo 30 anni di eclisse del potere imperiale, dette avvio nel regno d’Italia a un lungo conflitto con le città comunali che volevano difendere con tenacia la propria libertà sia di scegliere i governanti sia di esercitare gli iura regalia, ossia le prerogative tradizionalmente riservate al sovrano: l’amministrazione della giustizia, riscossione delle imposte, controllo dell’esercito e la facoltà di emanare leggi. Per riaffermare il proprio potere Federico si rifece alla tradizione carolingia, utilizzando cioè lo strumento del diritto feudale. Il Barbarossa dunque cercò di imporre la propria sovranità, pur legittimando le autonomie locali, spingendo le città ed i comuni ad aderire a legami vassallatici nei suoi confronti. Seguirono ovviamente scontri armati tra l’ imperatore e i comuni italiani. La dieta del novembre del 1158 convocata da Federico I a Roncaglia, dopo l’assedio di Milano e la sottomissione della città, segnò la momentanea realizzazione dei progetti dell’imperatore e l’apogeo della potenza imperiale in Italia: l’assemblea ribadì che gli iura regalia erano prerogative esclusive 11 dell’imperatore, la cui autorità doveva essere rappresentata in ogni città da un magistrato di sua nomina. La situazione politica si complicò con l’elezione del nuovo papa, Alessandro III (1159-1181), che preoccupato del potere che stava assumendo l’ imperatore, si schierò apertamente con le città. Nel 1160 il Barbarossa cinse d’assedio Crema, e successivamente, nel 1162, fu nuovamente assediata Milano. In questa situazione i comuni lombardi, veneti ed emiliani, con l’aiuto del pontefice, dettero vita ad un largo sistema di alleanze che sfociò nella costituzione della ‘Societas Lombardiae’, la Lega lombarda (1167). Nel 1176 l’esercito imperiale fu sbaragliato dalle truppe della Lega a Legnano. La pace di Costanza, siglato a Venezia nel 1183, sancì la fine delle guerre tra Federico I e la Lega, ridefinendo anche i rapporti tra l’ impero ed i comuni. Questi ultimi ottennero di esercitare la iura regalia a condizione però di ottemperare al pagamento del fodrum l’ imposta per le campagne militari dell’ imperatore in Italia. Si trattò dunque di un’ innegabile vittoria dei comuni i quali riuscirono a garantirsi autonomia sia dai vescovi (i loro poteri erano stati ormai limitati da tempo) che dall’ imperatore il quale aveva dovuto, suo malgrado, riconoscere la sovranità delle città. Con la pace di Costanza i comuni acquisirono un riconoscimento istituzionale, divenendo un ente politico-amministrativo legittimo e giuridicamente inserito nelle strutture del regno d’Italia. 3. L’ esperimento podestarile Il passaggio dall’organismo consolare alla magistratura unica (ossia il podestà, un magistrato straniero che si impose come istituzione permanente) si realizzò fra XII e XIII secolo e viene ricondotta all’incapacità del primo comune di frenare la competizione tra i vari gruppi sociali (populus, militia, grandi proprietari, ecc.) che si scontravano fra di loro per accedere ai privilegi e vantaggi delle cariche pubbliche, in un continuo susseguirsi di lotte che laceravano le città. Luoghi privilegiati dello scontro furono le torri, la cui massiccia mole divenne uno dei tratti peculiari del paesaggio cittadino: veri e propri emblemi di potere della potenza signorile e formidabile strumento militare che permetteva di assicurarsi il controllo di interi settori del territorio urbano. Il podestà era un funzionario straniero o meglio era un tecnico remunerato per i compiti istituzionali che svolgeva, per gli storici egli rappresentava “il primo politico di professione” della società comunale. Eletto dal consiglio cittadino (generalmente per un anno) egli si impegnava ad amministrare la città e accettava a fine mandato di essere giudicato per il suo operato. Il podestà aveva un ruolo essenzialmente esecutivo: egli traduce in azioni concrete le decisioni prese dai consigli cittadini, nei quali risiedeva l’ effettivo potere del comune. Egli era al tempo stesso garante della pace e capo dell’ esercito cittadino, ma anche il responsabile della politica urbanistica ossia della costruzione di nuovi edifici, opere pubbliche (strade, acquedotti, ecc.). Per assolvere a tutti questi compiti egli si circonda di un nutrito numero di collaboratori, notai, giudici, milites, ecc. anch’ essi rigorosamente 12 acclamazione da parte del popolo. A rendere poi il potere signorile giuridicamente irreprensibile arrivava poi la legittimazione da parte di un’ autorità superiore (l’ imperatore o il papa) attraverso la concessione del titolo di vicario. Nel corso del Trecento l’esercizio del potere personale (e poi familiare) soppiantò di fatto il tradizionale impianto politico ed ideologico del comune, rimettendo in discussione uno dei principi base sul quale si era fondato: la rotazione delle cariche politiche. Il signore infatti tendeva a conservare a vita le sue prerogative e alla sua morte a trasmetterle ai suoi discendenti, conferendo in tal modo al suo potere un carattere dinastico. Un altro elemento che caratterizzò fortemente la signoria fu la volontà del “signore” di espandere i propri domini territoriali, fino ad allora incentrata sulla città e sul contado subito nei pressi, la signoria invece diede vita a nuove entità politico-giuridiche più estese aggregando grandi realtà urbane con centri minori, in una sorta di odierne “provincie”. Cap.5 Culture, identità religiosa, autocoscienza cittadina 1. Gli intellettuali e il comune Lo sviluppo della vita urbana, i mutamenti della politica comunale ebbero un forte impatto anche sull’ organizzazione e sulla concezione del sapere, stimolando la progressiva affermazione dell’ intellettuale laico, la cultura dunque non è più prerogativa esclusiva del clero, essa si estende invece anche al popolo permettendo di esprimere ed impegnare il proprio sapere al servizio della comunità. Giuristi, notai, medici divennero quindi elementi indispensabili nello sviluppo della società in cui vivevano. 2. Retorica e politica La preparazione retorica, al pari di quella militare, costituiva una tappa obbligata della formazione del magistrato forestiero, il saper scrivere o parlare secondo uno specifico linguaggio divennero indispensabili per dirigere e governare. La parola in questo periodo assume una importanza fondamentale: come strumento di comunicazione, a disciplinare la violenza e più in generale a persuadere un pubblico sempre più vasto molto spesso aggregato in consigli. L’ incontro tra retorica e politica diede vita alla trasformazione della figura stessa dell’ intellettuale. Da questo momento in poi queste nuove figure si fecero paladini del bene comune esercitando la retorica come loro arte. 3. Ethos repubblicano e religione civica Uno dei tratti distintivi della società urbana italiana fra XII e XIII sec. risiede nella “civiltà comunale”, ossia la diffusione di modelli politico-culturali e quindi una conseguente elaborazione di un sentimento ed ideologie legate ad una cultura urbana “repubblicana”. La città dell’ alto Medioevo era una res publica basata sulla libertas dei suoi abitanti dove il vescovo esercitava la sua 15 autorità spirituale e giurisdizionale. Il comune ereditò dalla civitas i principali tratti costitutivi dell’ identità urbana, come i valori della libertà e del bene comune, ma è con l’ avvento del consolato che l’ idea preesistente di res publica diviene espressione peculiare di un organismo politico autonomo dall’ autorità episcopale. Questo processo portò una visione più laica all’ universo cittadino andando a mutare gli equilibri tra divino e terreno. Questo mutamento però non deve essere letto come una “desacralizzazione” delle città anzi assistiamo ad crescente richiesta religiosa proveniente dai ceti urbani ai quali nuovi ordini come quello dei Francescani o dei Domenicani diedero risposta attraverso un forte ruolo pastorale nei confronti dei fedeli. In un simile contesto nacque ad esempio il culto del santo patrono, attorno al quale si aggregavano i cittadini ed attorno al quale si svolgevano i rituali cittadini. 4. La costruzione della memoria urbana Il culto dei santi, così come altre manifestazioni dell’ identità civica, impregnava di un vero e proprio sentimento patriottico le cronache comunali. Ogni città dunque tendeva a glorificarsi per la sua bellezza, la sua potenza e per l’ antichità delle sue origini in una sorta di gara con le altre. Alle tradizionali rivalità economiche e politiche si sovrapponevano quindi quelle culturali, spingendo le città nemiche a primeggiare nell’ edificazione di una memoria urbana. 5. I monumenti e il sentimento identitario Questo nascente patriottismo civico trovò terreno fertile nell’edilizia pubblica: infatti da qui in poi i governi cittadini furono sempre più impegnati in progetti architettonici dal forte valore civico e simbolico. Non è certo un caso che gli edifici religiosi (in primo luogo le cattedrali) o i palazzi pubblici, sedi stabili degli organi governativi, venissero costruiti attorno alla piazza principale della città, andando così a rimodellare la struttura cittadina. Gli ultimi decenni del ‘200 segnarono indelebilmente le città, divenute dei veri e propri cantieri permanenti in cui “si costruiva appassionatamente”. Fu sempre allora che si diffuse più largamente la pratica di affrescare le porte, le pareti interne e le facciate degli edifici pubblici con icone dal carattere fortemente politico (stemmi e blasoni). Così i nuovi palazzi pubblici, al pari degli edifici religiosi divennero fulcro dell’ identità civica e motivo di orgoglio per l’ intera comunità (in questo periodo viene ad esempio costruito il palazzo della signoria a Firenze). Cap.6 Solidarietà, conflitti, progetti di disciplinamento 1. Il gruppo familiare 16 Fin dall’età carolingia la potenza di un aristocratico si misurava non solo in base al numero dei componenti della sua unità domestica, ma anche in base al numero dei parenti e di tutti gli altri individui che componevano il suo clan. Mantenendo gli usi dell’ aristocrazia rurale si continuò quindi nella successione in linea maschile allo scopo di salvaguardare il patrimonio familiare. Anche in ambiente urbano quindi si diffuse il lignaggio, ossia un gruppo di familiari formato da tutti coloro che discendevano da un antenato comune illustre. Pratica molto comune era infatti quella in cui il capofamiglia decideva a chi far sposare il proprio figlio/a sulla base di criteri che esulavano dai sentimentali e che invece avevano precise strategie di potere. Comune infatti era l’ intento dei capofamiglia di accrescere l’ importanza politica ed il lignaggio della propria famiglia. La struttura patrilineare, sopra descritta, rischiava di mettere in pericolo il patrimonio familiare qualora si fosse presentata la generazione successiva senza eredi maschi o con più eredi maschi (in Italia infatti non vi era ancora l’ uso della primogenitura, come in altri paesi europei). Poteva infatti succedere, alla morte del capofamiglia, che avvenisse sfaldamento della famiglia a causa dei lunghi litigi per l’ eredità dei beni posseduti, ciò nuoceva inevitabilmente alla stabilità del lignaggio. Il solo modo per evitare la frammentazione dell’eredità consisteva nel mantenerla indivisa fra tutti gli aventi diritto e ciò si realizzò attraverso i “consorzi” (dal latino consortium – condivisione della stessa sorte), organismi su base pattizia la cui istituzione era convalidata da una scrittura notarile che fissava le forme collettive di gestione dei beni, istituendo un fondo comune e regolando i conflitti interni assicurando così il mantenimento della pace all’interno del lignaggio. Ne seguiti il fatto che i consorzi assunsero precocemente un ruolo determinante nei conflitti cittadini, molto spesso infatti i consorzi si fondevano tra loro per allargare le alleanze politico- militari mirate al controllo della città. 2. I legami di vicinato Al contrario delle famiglie nobiliari, le famiglie dei ceti inferiori come quelle degli artigiani ad esempio, erano strutturate in unità domestiche molto più piccole che contava un numero limitato di figli. Questa mancanza di un clan familiare molto ampio era molto spesso compensata con una maggiore valorizzazione degli affetti familiari e dall’ importanza che avevano gli amici ed i vicini. Il vicinato quindi, rappresenta la naturale estensione della famiglia. Nascono così le viciniae, quartieri di vicinato, prezioso strumento di aiuto e organizzazione dei compiti comuni quali ad esempio lo smaltimento dei rifiuti, la manutenzione della chiesa parrocchiale, il mantenimento dell’ordine pubblico; per svolgere al meglio questi compiti eleggevano propri consoli e redigevano appositi statuti. 3. Amicizia e inimicizia I rapporti di vicinato si sovrapponevano spesso ai legami di amicizia. Con il vicino o l’ amico si concludevano affari, si otteneva o si prestava denaro o più in generale ci si appoggiava in cerca di 17 delle signorie territoriali. La giustizia, interamente soggetta all’autorità del re, divenne il perno centrale del governo e il suo ruolo fu esaltato insieme a quello del sovrano. Tale rafforzamento della sovranità provocò quasi immediatamente la reazione di numerose città a partire dal 1229. Federico II reagì duramente a queste insurrezioni. La punizione esemplare per le città ribelli, fu la distruzione delle mura di cinta e la costruzione di castelli destinati al controllo militare, questo avvenimento rappresentò un duro colpo per l’identità urbana (es. Foggia e Messina). Nella stessa Foggia, Federico II fissò il suo luogo privilegiato di residenza e a Napoli nel 1224 fondò lo “studium generale”, la prima università creata da un sovrano. Alla morte di Federico II (1250) gli successe il figlio Manfredi che si trovò ad affrontare un vasto malcontento tra il popolo dovuto alla politica troppo repressiva del padre. Eletto re a Palermo per iniziativa dei baroni siciliani (1258), Manfredi affrontò i conflitti applicando una decisa politica di decentramento del potere accattivandosi così i favori sia dei baroni sia delle città. Pur senza cedere alle richieste di autonomia provenienti dall’ ambiente urbano, le riforme attuate da Manfredi portarono cambiamenti profondi nella composizione del ceto dirigente urbano e instaurarono nuove relazioni tra la città e la corona, gettando le basi per le profonde trasformazioni che arriveranno nell’ età angioina e aragonese. 4. La politica angioina e la rivolta del Vespro L’ elezione di Urbano IV, un papa di origine francese, fu alla base dell’ avvento degli Angioini in Italia e fu il preludio dell’ investitura al trono di Sicilia di Carlo, fratello del re di Francia Luigi IX e conte di Angiò. Il protetto del pontefice, forte delle ingenti risorse economiche, riuscì a sconfiggere a Benevento lo schieramento ghibellino e uccise Manfredi (1266), assumendo rapidamente il controllo del regno di Sicilia. Nei confronti delle città il nuovo sovrano riaffermò la politica di accentramento che ebbe Federico II, limitando quindi gli spazi di autonomia urbana, nell’ intento di esercitare un controllo molto serrato sulle amministrazioni locali. Ciò provocò ovviamente tra il popolo un forte malumore avendo avuto con Manfredi, fino ad allora, una forte autonomia cittadina. Una vera e propria svolta per le sorti del regno, e in particolare nei rapporti tra la corona e le forze locali, si ebbe in seguito all’insurrezione siciliana del Vespro. Scoppiata il 30 marzo 1282 a Palermo, la rivolta, che si diffuse rapidamente in quasi tutte le città siciliane, costrinse gli Angioini ad abbandonare l’isola. Successivamente si costituì una lega di città ,la Communitas Siciliae. Un parlamento influenzato dalle famiglie aristocratiche offrì la corona del regno di Sicilia a Pietro III, re di Aragona, marito dell’erede sveva Costanza, e quindi genero di Manfredi. Una volta salito al trono Pietro di Aragona si impegnò a rispettare i costumi e le libertà dei tempi mitici in cui regnava Guglielmo II. L’insurrezione del Vespro, che aveva provocato una lunga serie di guerre tra gli Aragonesi e gli Angioini, portò alla rottura dell’unità statuale meridionale sancita dalla pace di 20 Caltabellotta del 1302. In Sicilia si instaurò poco dopo un regno autonomo sotto lo scettro di Federico III, figlio cadetto di Pietro III, mentre il Mezzogiorno continentale rimase sotto la dominazione degli Angioini. 5. Nuove relazioni fra città e corona Dopo il Vespro, in seguito alla morte di Carlo I (1285) e con l’avvento del suo successore Carlo II (1285-1302), Napoli acquisì il ruolo di vera e propria capitale del regno. La monarchia angioina, indebolita dalla costante guerra contro gli aragonesi, si dimostrò sempre più attenta ai dissensi interni, cercando di evitarli riconoscendo nuovi spazi di autonomia sia ai signori feudali che alle città. In questo contesto la monarchia manteneva un ruolo politico di mediazione, tra le diverse compagini sociali, riaffermando quindi costantemente l’ autorità regia di fronte ad un ceto nobiliare che si andava rafforzando. In questo periodo le città del Mezzogiorno angioino e aragonese, almeno quelle più importanti , non solo ottennero spazi più ampi di indipendenza ma estesero anche il loro controllo sui territori circostanti. Dopo la morte di Federico III nei centri urbani divennero sempre più cruenti gli scontri fra i ‘catalani’ e i ‘latini’. Approfittando di un indebolimento del potere monarchico, alcune famiglie nobili ne approfittarono per imporre il proprio dominio nel regno, inducendo quindi il nuovo re Federico IV (1355-1377) a riconoscere, sotto il controllo formale della corona, la legittimità dei poteri di governo che l’aristocrazia locale si era arrogata; L’ascesa poi al trono di Martino I (1392-1409) dette avvio alla definitiva acquisizione di un’identità comunale. Per il regno di Sicilia si apriva dunque “il secolo delle città”. Cap.8 Conoscenza cittadina e vocazioni culturali 1. un’ identità composita Come già detto, nel Mezzogiorno, l’ universo monarchico condizionò inevitabilmente la costruzione di un’ identità urbana delle città. Ciò si tradusse, tra le altre cose, anche in una scarsa produzione dal punto di vista storiografico. Quanto alle cronache, la produzione urbana restò assai scarna e il più delle volte privilegiò il punto di vista del sovrano o dell’ aristocrazia. In questi scritti, i luoghi privilegiati della memoria storica coincidevano con quelle città che, come l’Aquila e Benevento, erano situate ai margini del controllo regio a contatto diretto con le esperienze comunali delle città dell’Italia centrale e che godevano di una maggiore autonomia politica. Anche dal punto di vista architettonico si manifesta una differenza netta tra le realtà urbane dei regni meridionali e le città comunali dell’Italia centrosettentrionale: mentre queste ultime, a partire dalla fine del XII secolo, edificarono palazzi comunali destinati ad ospitare il cuore pulsante del potere politico, solo nel ‘300 e nel ‘400 alcune città del Mezzogiorno come Palermo, Catania, Amalfi conobbero la costruzione di apposite sedi di governo. Nel Mezzogiorno troviamo in prevalenza 21 castelli, queste fortezze edificate dai normanni sul modello di quelli della Francia settentrionale, che ospitavano gli organi centrali del potere imponendosi visivamente come manifesta ed esplicita potenza del sovrano. Nel corso del Trecento le distanze culturali che avevano separato l’universo urbano dell’Italia centrosettentrionale da quello del Mezzogiorno si attenuarono notevolmente. 2. La vivacità delle città in età normanno-sveva A Palermo, sotto la reggenza di Ruggero II, si sviluppò una raffinata civiltà di corte favorita dalla posizione geografica dell’isola naturale crocevia delle culture greca, latina e araba. Successivamente Federico II potenziò ulteriormente il ruolo della corte come polo culturale che riuniva attorno ad un sovrano colto capace di promuovere gli studi e di contribuire in prima persona al loro sviluppo. L’ imperatore si circondò di valenti astrologi, matematici, filosofi, esperti di medicina, ma soprattutto di traduttori greci e arabi che contribuirono alla diffusione delle opere degli antichi filosofi greci come Aristotele. Nella stessa ottica si inserì la fondazione dell’ università di Napoli, avvenuta nel 1224, che aveva il compito di formare in loco i futuri collaboratori della monarchia (notai, giuristi, ecc.). Questa università infatti non si formò spontaneamente attraverso l’ unione tra studenti ed insegnanti, bensì fu interamente finanziata da Federico II con l’ intento di evitare che le menti più brillanti lasciassero il suo regno per dirigersi a Bologna o in una delle altre università europee. 3. La circolazione dei modelli Presso la corte federiciana prese forma anche la ‘scuola siciliana’, una nutrita cerchia di poeti attivi fra il 1230 e il 1250, i quali inventarono il sonetto (forma poetica in 14 versi) i più celebri poeti erano anche stretti collaboratori amministrativi dell’imperatore. La maggior parte delle opere della scuola è arrivata fino a noi grazie alla tradizione dei copisti toscani che tradussero le canzoni e i sonetti siciliani nella loro lingua. La circolazione dei modelli poetici tra la Sicilia e i comuni dell’Italia centrosettentrionale fu favorita dalle relazioni politiche che i vicari imperiali mantennero con i ghibellini toscani. L’amore, la cortesia e la nobiltà, motivi costanti della poesia siculo-toscana, ispirarono anche la lirica del ‘Dolce Stil Novo’, tra i più famosi autori stilnovisti ricordiamo: Dante e Guido Cavalcanti. I modelli culturali, letterari e i riferimenti ideologici circolavano da un ambito territoriale all’altro, la natura diversa dei regimi politici non creò mai spazi chiusi: i poeti, come i pittori, passarono senza difficoltà da un sistema politico all’altro e le città italiane furono laboratori capaci di creare, assorbire, reinterpretare e sintetizzare i diversi bagagli concettuali; Giotto è l’ esempio paradigmatico degli artisti del periodo: lavorò ad Assisi e a Rimini, a Roma per il papa, a Firenze, a Napoli e a Milano. 4. Napoli angioina: il volto di una capitale 22
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved