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Le Crociate: cristiani e musulamni, Appunti di Storia

Lavoro svolto personalmente unendo appunti presi in classe e libro di testo.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 09/07/2019

leti-bonfanti
leti-bonfanti 🇮🇹

4.4

(82)

94 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Le Crociate: cristiani e musulamni e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! Cristiani e musulmani Durante il periodo della presenza araba in Sicilia e in Spagna i rapporti economici e culturali tra il mondo islamico e quello cristiano erano stati intensi. Gli arabi avevano trasmesso all’Occidente tecniche, gusti, forme artistiche, idee scientifiche che avevano arricchito notevolmente il bagaglio culturale delle popolazioni europee. Molte di queste acquisizioni della cultura materiale e intellettuale gli arabi le avevano ereditate – in Siria come in Egitto, in Africa come in Spagna e in Sicilia – dal millenario patrimonio della tradizione greco- romana. I contatti, gli avvicendamenti e anche gli scontri tra i popoli avevano determinato, nel tempo, un intreccio molto proficuo, che fece del Medioevo, dal punto di vista culturale, un’epoca aperta e ricettiva. 
 I musulmani non amavano frequentare l’Europa, ma gli europei, in compenso, percorrevano il mondo musulmano. Il risveglio economico dell’Occidente spinse i mercanti cristiani a frequentare i principali porti musulmani e di lì anche le città dell’entroterra: gli italiani per primi, ma poi anche gli spagnoli, i francesi, i fiamminghi, gli inglesi. La figura del mercante “franco” (così i musulmani chiamavano gli europei) divenne familiare in molte città africane e orientali. Oltre ai manufatti artigianali, i mercanti cristiani si procuravano su queste piazze tutte quelle merci che i musulmani facevano affluire dall’Oriente e dall’Africa: dalla Cina, dall’Asia centrale, dall’India, i musulmani importavano sete, pietre preziose, spezie, piante aromatiche, legname pregiato, ceramiche, metalli; dall’Africa soprattutto schiavi e oro. Molte di queste merci finivano poi in Europa, grazie all’intraprendenza dei mercanti cristiani. I mercanti musulmani in Europa erano invece rarissimi. L’Occidente, infatti, non aveva molto da offrire all’Islam, e la maggior parte delle sue esportazioni riguardava tre generi principali: schiavi, armi, lana inglese. Come tutte le grandi civiltà dell’epoca, anche quella musulmana utilizzava il lavoro degli schiavi. Poiché la legge islamica proibiva di ridurre in schiavitù i musulmani o quegli “infedeli” che pagavano il tributo al governo musulmano, i mezzi di reclutamento della manodopera schiavile si riducevano a due: • L’allevamento degli schiavi • Il rifornimento dall’estero, che avveniva in due modi, cioè tramite razzie o tramite acquisti regolari. Soprattutto nei secoli dal X al XII i corsari musulmani della Spagna, della Sicilia, dell’Africa settentrionale effettuarono incursioni periodiche lungo le coste del Mediterraneo, catturando migliaia di prigionieri (si racconta che una sola spedizione lungo l’Adriatico ne procurò circa 12 mila) che i trafficanti musulmani smistavano in tutto il mondo islamico ricavandone abbondanti guadagni. Ma c’era un’altra via di rifornimento, meno impegnativa dal punto di vista militare. Gli europei, con i veneziani in prima fila, non disdegnavano di vendere ai musulmani gli schiavi provenienti dall’Europa orientale e soprattutto dalle popolazioni slave: lo slavo divenne a tal punto l’oggetto privilegiato di questo commercio da dare il suo stesso nome alla parola “schiavo”: sclavus da slavus, in sostituzione del latino servus. Invano i papi cercarono di impedire questo sordido commercio che sottraeva anime alla Cristianità per consegnarle agli infedeli. Altra merce richiesta abbondantemente erano le armi. La qualità delle spade franche, che mantenevano l’altissima tradizione della splendida metallurgia germanica, era apprezzata in tutto il Mediterraneo e alimentava un traffico in continua espansione. Anche in questo caso i pontefici tuonavano contro chi vendeva strumenti di morte che gli infedeli avrebbero usato contro il popolo cristiano; ma anche in questo caso l’attrattiva del guadagno si rivelò più forte del timore religioso. L’ultimo importante prodotto richiesto dai paesi islamici era il panno inglese, già allora rinomato e celebrato in tanti documenti islamici, che ne vantavano la grande qualità. Questi contatti, tuttavia, non bastavano a superare le barriere mentali e culturali che separavano i due mondi. Per i cristiani, i musulmani erano sempre gli “infedeli”; per i musulmani, infedeli erano invece i cristiani. Queste antiche diffidenze e incomprensioni sono alla base di tanti pregiudizi che ancora oggi seminano odio e violenza. Per i musulmani l’umanità si divideva in due: la Casa dell’Islam e la Casa della guerra; la prima comprendeva tutti i paesi in cui si seguiva la legge islamica, cioè quelli rientranti nel loro diretto dominio; l’altra comprendeva il resto del mondo. Compito di ogni musulmano degno di questo nome era lottare con ogni mezzo per estendere la Casa dell’Islam su tutta l’umanità. La divisione del mondo in paesi e popoli, che nel pensiero cristiano aveva tanta importanza, nel mondo islamico era debolissima. Le denominazioni veramente importanti erano Casa dell’Islam e Casa della guerra, e le altre non contavano molto.
 La concezione del mondo caratterizzata dalla divisione tra terre islamizzate e non ancora islamizzate aveva dominato la coscienza dei musulmani all’epoca della loro grande espansione (VIII secolo) e aveva animato l’entusiasmo dei guerrieri arabi. La successiva divisione dell’Impero musulmano in più Stati e il colpo di freno imposto agli eserciti musulmani dai nemici più potenti (la Cina, Bisanzio, i regni cristiani dell’Europa occidentale) introdusse, però, elementi di maggiore elasticità in quella visione così rigida. La conquista del mondo non fu più vista come imminente, ma rinviata a un’epoca lontana, mentre si cominciarono a diffondere regole di convivenza con gli infedeli più sfumate. Si affermò, così, riguardo ai devoti, una distinzione tra gli atei e i politeisti da una parte, gli ebrei e i cristiani dall’altra. Per i primi c’era una sola alternativa: convertirsi all’Islam o essere uccisi. Per gli altri c’era, invece, una terza possibilità. Ebrei e cristiani erano infatti ritenuti seguaci di religioni superiori, perché monoteiste come quella islamica. I musulmani riconoscevano inoltre al cristianesimo e all’ebraismo la dignità di religioni “rivelate”. L’avvento di Maometto nel 622 e la diffusione del Corano erano stati, per i musulmani, l’ultima e definitiva di una serie di rivelazioni attraverso le quali Dio si era manifestato agli uomini: ebrei e cristiani erano “infedeli” nel senso che, pur avendo ricevuto a suo tempo la rivelazione del vero Dio, si erano poi rifiutati di riconoscerne la volontà ultima e perfetta (quella appunto rivelata da Maometto). 
 Agli ebrei e ai cristiani che vivevano sotto l’Islam era permesso di praticare la loro religione, di frequentare i luoghi di culto, di svolgere le loro attività. Dovevano però riconoscere la superiorità islamica attraverso il pagamento di un tributo speciale, di carattere personale. Con l’ascesa del califfato abbaside, nel 750, aveva avuto inizio la frammentazione politica del mondo islamico. I musulmani inoltre non erano rimasti a lungo indisturbati nei loro possedimenti europei di Sicilia e di Spagna. Tra il 1061 e il 1091 i normanni, guidati da Ruggero d’Altavilla, conquistarono la Sicilia. Parallelamente le città marinare italiane di Amalfi, Pisa e Genova erano passate da una politica difensiva nei confronti dell’Islam a una politica offensiva, aprendo nuove vie di traffico alle proprie navi, effettuando incursioni, strappando ai rivali empori e piazze commerciali. Il Mediterraneo era ridiventato un mare anche italiano. Non diversamente si era evoluta la situazione nella Penisola iberica, dove i regni avevano dato inizio dal IX-X secolo alla Reconquista dei territori occupati dai musulmani. Fu un’operazione lenta ma inarrestabile, che a tratti assunse quasi i caratteri di una crociata. Infatti, numerosi furono i cavalieri normanni e francesi che accolsero l’invito del papa e giunsero in Spagna per combattere contro i musulmani. Alla presa di Toledo nel 1085 seguirono quelle di Saragozza nel 1118, di Cordova nel 1236, di Valencia nel 1238, di Siviglia nel 1248. Granada sarebbe invece caduta molto tempo dopo, nel 1492. I nuovi dominatori cristiani procedettero a conversioni forzate in tutta la penisola, e ai musulmani di Spagna non restò altra scelta che convertirsi o emigrare. 
 L’Europa cristiana, aggressiva e in ripresa, usciva dunque da secoli di passività e prendeva l’iniziativa contro un Islam che appariva militarmente spento e sulla difensiva. In questo periodo l’Islam attraversava in effetti una grave crisi che ne minava l’antica compattezza. Il primo fattore di debolezza era di carattere religioso: uniti nel contrapporsi agli “infedeli” e consapevoli di essere tutti seguaci dell’unico e vero Dio, i musulmani erano però divisi dall’appartenenza a innumerevoli sètte, più o meno importanti, che si contendevano la supremazia, anche con lo scontro armato. Queste contrapposizioni religiose si nutrivano di motivi teologici e di contrastanti interpretazioni e applicazioni del Corano, ma esprimevano anche gli antagonismi sociali che certo non mancavano nella società islamica. A tutto questo si aggiunse la rivalità religiosa tra Est e Ovest. I musulmani d’Oriente si ritenevano infatti molto più puri e osservanti degli altri e non nascondevano di sentirsi culturalmente superiori. Per loro i musulmani di Spagna, i berberi e i maghrebini (del Nord Africa) erano una specie di sottoprodotto islamico. Questi fattori di divisione finirono indubbiamente per pesare sul destino del mondo musulmano. Nel corso dei concili di Piacenza e di Clermont-Ferrand (in Francia), svoltisi rispettivamente nel marzo e nel novembre del 1095, il pontefice Urbano II (1088-1099) additò alla Cristianità il vero nemico da combattere: da troppo tempo, ormai, i cristiani si dilaniavano tra loro in guerre fratricide, mentre i nemici di Cristo prosperavano e occupavano sacrilegamente i luoghi santi che avevano visto la nascita, la predicazione e la morte di Gesù, i luoghi dove si trovavano il Santo Sepolcro e un’infinità di preziosissime reliquie. Combattere i miscredenti e rioccupare la Palestina era il dovere prioritario di ogni vero cristiano, che in tal modo espiava anche i propri peccati. Da buon politico, il papa non aveva mancato di aggiungere a questo richiamo religioso una chiara allusione ai vantaggi di carattere economico che i guerrieri cristiani avrebbero tratto dalle loro spedizioni in Oriente. I paesi orientali, si ripeteva, erano terre ricche, ricolme di tesori, e dunque prede ideali per guerrieri coraggiosi. Il fenomeno della crociata nasce, quindi, dall’incrocio tra motivazioni di entusiasmo religioso e aspettative di ricchezze e di avventure. 
 Migliaia di uomini in Europa cominciarono, dunque, a guardare alla Palestina come alla meta suprema della loro esistenza. La Palestina era, ed è, una regione piccola e di scarsa rilevanza economica, ma la sua importanza ideologica è sempre stata enorme. Ben tre religioni l’hanno scelta come punto di riferimento simbolico: per gli ebrei, la Palestina è la Terra promessa, il luogo dove sorgono il Muro del pianto e il Tempio; per i cristiani, è la regione dove è nato Gesù Cristo e dove si trova il suo Santo Sepolcro; per i musulmani, è il paese della montagna di Abramo, da dove Maometto salì al cielo. Questa peculiare caratteristica spiega anche il valore di “epopea” che le crociate assunsero nella storia dell’Occidente, un significato sproporzionato rispetto all’entità degli eventi militari veri e propri.
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