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le donne nella seconda guerra mondiale, Appunti di Storia

il ruolo delle donne nella seconda guerra mondiale

Tipologia: Appunti

2016/2017

Caricato il 26/09/2017

ciaociao444
ciaociao444 🇮🇹

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Scarica le donne nella seconda guerra mondiale e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! Le donne nella Seconda Guerra Mondiale Il ruolo delle donne della Seconda Guerra Mondiale è stato di un’importanza vitale. Gli uomini, impegnati al fronte, non potevano svolgere le loro funzioni abituali. Mussolini, da sempre contrario al lavoro femminile, accordò alle donne il permesso di lavorare. Queste diventarono postine, impiegate, fornaie, conducenti di tram o coltivatrici. Non c’era una posizione lavorativa che non poteva essere occupata da una donna. Fino al 1941 tutto sembrava andare bene. Le donne erano finalmente riscattate dopo tutti gli anni in cui nessuno credeva che potessero farcela. Quando la guerra iniziò a prendere sviluppi decisamente più critici, anche le donne smisero di combattere. Il razionamento di cibo e la scarsità dei prodotti rendevano impossibile la vita. Mancavano gli indumenti, i beni di prima necessità, mancava il burro, lo zucchero, il caffè. Non c’era rimasto più nulla da coltivare, sebbene Mussolini durante la campagna avesse sostenuto di aver vinto tutte le battaglie del grano. I primi pensieri antifascisti iniziarono a far capolino nella mente delle persone. Nel 1943 l’Italia firmò l’armistizio con gli anglo-americani e mise al potere Pietro Badoglio. Le italiane e gli italiani pensarono di aver finito di soffrire, ma si sbagliavano. I tedeschi occuparono le città italiane cercando in tutti i modi di fermare l’avanzata degli alleati. In quel periodo le donne aiutavano gli uomini a scappare dai militari tedeschi, nascondendoli e impedendogli di diventare prigionieri di guerra o di venire deportati in Germania. Il 22 Gennaio Radio Londra annuncia lo sbarco degli alleati americani ad Anzio, ma i tedeschi riuscirono a tenergli testa per cinque mesi. Cinque mesi in cui la popolazione non faceva altro che cadere in rovina, giorno dopo giorno. Sfollati e affamati gli italiani non possono far altro che aspettare. Il 4 Giugno 1944 le truppe alleate, finalmente, entrano a Roma. Da quel momento in poi inizia una guerra nascosta in cui le donne hanno un ruolo fondamentale. Non solo diventano infermiere, cuoche e tuttofare, ma iniziano a prendere parte alla guerra aiutando gli uomini. Diventano partigiane; distribuiscono armi e stampano in modo clandestino. Nell’inverno nel 1945 le staffette partigiane smettono di funzionare. Non si ricevono ordini e non si contattano altre brigate. In primavera gli alleati riprendono la marcia e, con l’aiuto dei partigiani e delle staffette partigiane, liberano le città occupate dai tedeschi e dai fascisti. Finalmente la libertà. La guerra finisce dopo cinque lunghi anni di strazio, di tragedie e di tormenti infiniti. Le donne tornarono a vivere normalmente, con molto più credito di quanto ne avessero mai avuto prima e con una nuova forza in fondo al cuore, data dal sacrificio delle loro compagne morte per la patria, per amore e per la forza delle loro idee. Non ci sarebbe stato più nessuno in grado di impedire loro di fare qualsiasi cosa. La Seconda Guerra Mondiale IL RUOLO DELLE DONNE La politica fascista mantenne nei confronti della donna una sorta di atteggiamento ambivalente. Da un lato le donne venivano considerate come gli angeli del focolare, dall’altro il regime cercava di coinvolgerle per ottenere anche il loro consenso. La donna doveva ricoprire i ruoli di madre, moglie e massaia, fino a farsi portavoce della missione patriottica. In altre parole, “una donna fascista per l’Italia fascista” . Negli anni del fascismo fu istituito l’O.M.N.I., l'Opera Nazionale per la protezione della Maternità e dell’Infanzia. La donna venne istruita nell’economia domestica, nell’educazione all’infanzia e nell’assistenza sociale. Furono anche introdotti l’educazione fisica e lo sport femminile. Nel 1942, nel Codice Civile, il giurista Rocco definì la famiglia un’ “istituzione sociale e politica”. All’interno della politica di incremento demografico, stabilita da Mussolini, lo slogan “Madri nuove per i figli nuovi” esaltava la funzione sociale della donna in ogni occasione. Da sempre ignorata dal potere, la donna fu particolarmente sensibile all’appello del Duce, nonostante la visione molto gerarchica del rapporto fra i sessi: il fascismo esaltava infatti il culto della virilità. Il diritto di famiglia, disciplinato nel 1865 dal Codice Pisanelli, precludeva alla donna qualsiasi tipo di decisione che avesse natura giuridica o commerciale, se non previa autorizzazione del marito o del padre. La stessa tutela dei figli era considerata una prerogativa esclusivamente maschile. Con il Concordato del 1929, la Chiesa aveva dato il proprio sostegno al consolidamento del “modello di famiglia unita e fondata su un sistema di potere asimmetrico fra i sessi e le generazioni”. L’ideologia fascista dava alla donna l’illusione di sostenere le sue aspirazioni ma, di fatto, la relegava nei suoi ruoli tradizionali, varando misure contrarie al lavoro femminile. Con la guerra di Etiopia del 1935, il nazionalismo razzista ed antifemminista si fece ancora più accentuato. Furono sciolte le associazioni femminili più importanti e soppresse alcune riviste, tra cui: “Rassegna”, “Almanacco della donna italiana” e “Donna Italiana”. Vennero eliminate tutte le attività che potevano in qualche modo allontanare la donna da quello che il fascismo vedeva come suo unico scopo: sposarsi e mettere al mondo il maggior numero di figli possibile. Al fine di incrementare le nascite, lo Stato vietò l’uso di anticoncezionali ed il ricorso all’aborto. Un manuale di igiene degli anni Trenta recita: “Lo scopo della vita di ogni donna è il figlio. […] La sua maternità psichica e fisica non ha che questo unico scopo”. Le bambine per accedere alla scuola media dovevano pagare una tassa doppia rispetto a quella stabilita per i bambini. Un Decreto Legge del 05/09/1938 impose una riduzione al 5% del personale femminile impiegato nella Pubblica Amministrazione. Le donne del regime dovevano loro malgrado accettare di vivere secondo lo slogan del Duce: “per obbedire, badare alla casa, mettere al mondo figli e portare le corna”. LA STORIA DELLE DONNE L’IMMAGINE DELLA DONNA E LA SUA EVOLUZIONE NEL MONDO OCCIDENTALE LE DONNE NEL PERIODO FASCISTA IL LAVORO FEMMINILE NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE crimine contro lo Stato, la messa al bando del controllo delle nascite, la censura sull’educazione sessuale e una speciale imposta sui celibi. Per questo in questo periodo molte donne corsero elevati rischi d’infezioni invalidanti, di danni fisici permanenti e di morte, a causa degli aborti clandestini. Il fascismo, inoltre, teorizzava una rigida divisione del lavoro: gli uomini si occupavano della produzione e del sostentamento della famiglia; le donne invece della riproduzione e dell’amministrazione della casa. Il regime, inoltre, sviluppò una legislazione per non permettere alle donne di competere con gli uomini sul mercato del lavoro e per tutelare le madri lavoratrici. Lo scopo era di impedire che le donne considerassero il lavoro retribuito il trampolino di lancio per l’emancipazione. Mentre il lavoro era indispensabile alla costruzione di una solida identità maschile, come dichiarò Mussolini ”il lavoro distrae dalla generazione, fomenta un’indipendenza e conseguenti mode fisiche- morali contrarie al parto.”: Importante è notare che, la politica fascista, nei confronti del lavoro femminile mostrò, una serie di paradossi. Il regime cercò di saziare la fame industriale di manodopera a basso prezzo, la quale avrebbe potuto essere soddisfatta tanto dalle donne che dagli uomini. Intendeva però assicurare il mercato del lavoro ai capi famiglia maschi, per non rischiare di intaccare l’amor proprio di coloro che si trovavano disoccupati e per non incidere sulla sanità della razza e sulla crescita demografica. I legislatori fascisti affermavano di voler escludere dal lavoro le donne, ma sapendo che ciò non sarebbe accaduto, si misero a proteggere le lavoratrici nell’interesse della stirpe. Contando sui vecchi pregiudizi sessuali del mercato del lavoro, la dittatura emanò norme protettive, diffuse atteggiamenti discriminatori e promulgò leggi d’esclusione. Il primo effetto fu di riservare agli uomini i posti di alto prestigio e sempre meglio retribuiti all’interno della burocrazia statale, frenando la tendenza verso la femminilizazione dei lavori di ufficio almeno nelle amministrazioni centrali dello stato. Incapaci di difendere il proprio diritto al lavoro sulla base della parità sessuale, le lavoratrici ridimensionarono aspirazioni e rivendicazioni. Per giustificare il bisogno di lavorare addussero a pretesto la”necessità famigliare”, o il fatto che si trattava solo di un ripiego temporale, oppure che i posti da loro occupati erano troppo umili o troppo segnatamente femminili per essere adatti agli uomini. Le professioniste stesse, che una volta avevano fatto causa comune con le donne della classe operaia e adesso erano organizzate in istituzioni fasciste del tutto separate, legittimarono questi atteggiamenti. Esse difendevano il diritto femminile di accedere alle carriere purché questo non contrastasse con i doveri familiari e sostenevano la formazione professionale delle donne nei ruoli d’assistente sociale, d’infermiera e d’insegnante, tutte occupazioni che oltre ad addirsi in modo particolare alle qualità femminili davano maggior assicurazione di promuovere il progresso nazionale. Le donne che si opposero al fascismo furono relativamente poche, e quasi tutte finirono in carcere o al confine, esattamente come gli uomini, con cui condivisero i rischi nell’appartenere ad organizzazioni antifasciste clandestine. La stragrande maggioranza delle italiane non fu ne fascista ne antifascista: esse accettarono il regime perché erano state educate a sopportare e ad adattarsi e perché la chiesa lo aveva accettato per prima definendo Mussolini”l’uomo mandato dalla provvidenza”. La mobilitazione femminile cominciò solo all’inizio degli anni ’30. Il primo appello per aumentare l’iscrizione ai fasci femminili fu lanciato all’inizio della depressione, le volontarie appartenenti alle classi superiori dovevano”andare verso il popolo” prestando la propria opera nelle cucine popolari e negli uffici dell’assistenza sociale, per nutrire o assistere i poveri. Il successivo appello fu rivolto alle”donne d’Italia” al tempo della guerra d’Etiopia, allo scopo di rendere ogni famiglia resistente contro le sanzioni imposte dalla società delle nazioni. Il terzo appello tentò di trasformare”l’amore di patria” delle donne in una più penetrante e attiva”sensibilità nazionale”; ciò avrebbe dovuto prepararle alla guerra totale e far crollare ogni distinzione tra dovere privato e servizio pubblico, tra abnegazione personale, interessi della famiglia e sacrificio sociale. Alla fine il sistema fascista di organizzazione delle donne fu messo alle strette da un paradosso… il compito delle donne era la maternità. Come”custodi del focolare” la loro vocazione primaria era quella di procreare, allevare i figli e amministrare le funzioni familiari nell’interesse dello Stato. Ma per potere eseguire questi doveri occorreva che fossero coscienti delle aspettative della società. Se non fossero state tratte fuori dell’ambito familiare dai nuovi impegni, sarebbero state incapaci di congiungere gli interessi singoli a quelli della collettività. In linea di massima, durante il fascismo la via che conduceva fuori del focolare domestico non portò all’emancipazione, ma a nuovi doveri nei confronti dello stato, non all’autonomia ma ad obbedire a nuovi padroni. Il fascismo decise fin da principio di trattare le donne come un’entità unica, legando il loro comune destino biologico di”madri della razza” alle ambizioni dello stato nazionale. Le leggi, i servizi sociali e la propaganda affermavano la suprema importanza della maternità; tuttavia la povertà, il magro sistema di assistenza sociale e infine la guerra resero l’essere madre un’impresa assai ardua. Il patriarcato fascista fu quindi il prodotto di un’epoca in cui la politica demografica s’identificava strettamente con la potenza nazionale. Attraverso il mercato e le gerarchie d’autorità all’interno dell’unita familiare, esso scaricò il maggior peso possibile sulle donne. La dittatura di Benito Mussolini riservo, comunque, alle donne un trattamento migliore rispetto a quello raccapricciante, usato dal partito nazionalsocialista in Germania. I nazisti ricacciarono le donne entro le mura di casa facendone le custodi della razza, della famiglia, della tradizione, e mobilitarono le organizzazioni di massa del regime totalitario per penetrare nel profondo della loro vita sociale e familiare. Il Terzo Reich non esitò a lanciare campagne eugenetiche, destinate a culminare in un’orribile guerra razziale, il cui scopo ultimo, la cancellazione della minaccia bolscevica e l’estirpazione del popolo ebraico dall’Europa, implicò il massacro sistematico di donne e bambini. IL LAVORO FEMMINILE NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE Nel secondo conflitto mondiale le donne vennero massicciamente inserite negli ambiti produttivi per ricoprire i posti lasciati vacanti dagli uomini e il loro inserimento, nel mondo professionale, conobbe un certo incremento. La struttura interna del lavoro femminile conobbe grossi cambiamenti grazie ad una nuova concezione del lavoro stesso, visto come realtà necessaria che dava dignità alla donna. Le donne del ceto operaio, abbandonavano il lavoro salariato, solo quando le condizioni economiche lo consentivano. A partire dalla II guerra mondiale, la presenza delle lavoratrici si concentrò in quei settori di attività già occupati all’inizio del secolo; per contro si verificò un calo nella percentuale di donne impegnate nel servizio domestico e come nutrici, a causa dei cambiamenti avvenuti nella vita privata: molte domestiche si avviavano al lavoro in fabbrica. Il terziario conobbe un aumento progressivo di lavoratrici, grazie all’inserimento di operaie più qualificate e sopratutto di donne di classe media. Nella seconda guerra mondiale, inoltre, le donne furono impiegate presso le unità dei servizi logistici di eserciti impegnati in operazioni belliche, inquadrate in corpi ausiliari femminili, generalmente addette ai servizi sanitari, amministrativi, territoriali, ecc., raramente riunite in reparti combattenti. La Gran Bretagna attuò la coscrizione femminile dal dicembre 1941 al gennaio 1947, incorporando, come gli Stati Uniti, numeroso personale femminile. Il corpo d'armata polacco, che operò in Italia negli anni 1944-1945, inquadrava nelle unità dei servizi e dei trasporti un'elevata percentuale di donne. In Francia l'immissione nelle formazioni dell'esercito, della marina e dell'aeronautica fu ufficialmente sancita nel 1945. Le forze armate italiane non hanno mai incorporato personale femminile; solo in periodo bellico fu previsto che, presso gli ospedali militari da campo e territoriali, sulle navi e sui treni ospedale, prestassero servizio le infermiere del corpo ausiliario femminile inquadrato nel corpo militare della Croce Rossa italiana. Negli anni 1944-1945 la Repubblica Sociale Italiana diede vita alla costituzione di alcuni reparti armati femminili (non andarono oltre la fase di addestramento). La discriminazione non scomparve nel mercato del lavoro: le donne continuarono ad occupare le categorie inferiori, i lavori routinari e peggio remunerati nella scala professionale. Mestieri che in precedenza erano stati degli uomini si andavano “femminizzando”, perdendo il loro prestigio sociale e allo stesso modo vennero create nuove professioni femminili. Solo i paesi socialisti ruppero questo schema di valori e le donne poterono accedere a professioni più qualificate in competizione con gli uomini. Durante quel periodo, e più precisamente, nel 1946 le donne italiane e quelle francesi riuscirono ad ottenere il diritto di voto. IL MIOVIMENTO FEMMINISTA DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE E OGGI Negli anni ’60 accanto alle proteste di alcune minoranze: neri, pacifisti, studenti, si inserisce il movimento di liberazione femminile, con la sua lotta per cambiare il ruolo assegnato alla donna nella società. Il”risorgimento” femminista fu accompagnato dalla pubblicazione di due testi teorici: 1-IL SECONDO SESSO di Simone de Beauvoir, analizza le cause storiche che avevano reso la donna l’altro sesso rispetto al mondo maschile e rivendicava la differenza all’interno dell’uguaglianza tra soggetti liberi. 2-LA MISTICITA’ DELLA FEMMINILITA’ di Betti Friedan, denunciava la schiavitù del focolare e l’isolamento della donna americana, rinchiusa in casa e circondata dalle comodità moderne che invece di liberarla la incatenavano con una forza sempre crescente. società. Venivano messe in discussione le cause della distribuzione dei ruoli tra uomo e donna, fonte di ogni discriminazione, le relazioni di potere tra i sessi, con tutti i conflitti che ne derivavano. All’interno del movimento coesistevano varie tendenze: -la corrente riformista, che sosteneva la lotta per la parità sessuale in tutti i campi dell’attività sociale. -la corrente socialista, che considerava necessaria la fine del capitalismo per la liberazione della donna. -la corrente radicale, che individuava nel patriarcato l’origine dell’oppressione femminile. Nei vari paesi, però, il movimento femminista si sviluppò in modi differenti, che è bene illustrare: -in AMERICA si fondarono associazioni come le Witch (=streghe). Questo movimento rappresentava la coscienza che le streghe e le zingare furono le prime combattenti contro l’oppressione attraverso i secoli, furono le prime alchimiste, le prime a praticare l’aborto, non s’inchinavano davanti ad alcun uomo, erano le sole a sopravvivere alla più antica cultura, quella in cui uomini e donne si dividevano equamente gli incarichi in una società realmente cooperativa, prima che la repressione della società fallocratica non avesse il sopravvento, distruggendo la natura e la società umana. Inoltre, in quel periodo, continuarono a sopravvivere”vecchie” associazioni, come il N.O.W., che oggi è diventato un’associazione molto potente che lotta con successo affinché le donne possano accedere ai posti in cui si prendano le decisioni. Sono sorte, inoltre, negli ultimi anni banche con capitale e personale esclusivamente femminile, cliniche in cui le pazienti sono curate solo da dottoresse e infermiere, centri d’assistenza legale o sanitaria, gestiti da donne, riviste dirette e redatte solo da giornaliste. -in FRANCIA il nuovo femminismo arrivò sull’onda del famoso Maggio 1968, quando durante la rivolta studentesca, molte ragazze poterono”prendere la parola” nelle assemblee ed esprimersi liberamente per la prima volta. Il movimento di liberazione, nacque dunque, in Francia, nelle aule scolastiche, ma passò del tempo prima che si estendesse alle casalinghe e alle operaie. Fu verso la metà del 1970 che il movimento uscì allo scoperto. Era il giorno in cui si ricordava il Milite ignoto, e varie delegazioni si recarono a deporre corone d’alloro sotto l’arco di trionfo. Ad un tratto si vide un gruppo di ragazze avvicinarsi al famoso arco con una grande corona di fiori e contemporaneamente si aprì sulle loro teste, un enorme striscione con la scritta”la metà degli uomini sono donne”. I poliziotti accorsero, convinti che si trattasse di un insulto, e solo allora si accorsero che anche la corona non era dedicata al Milite ignoto, ma alla”donna del milite ignoto”. Le femministe furono caricate sul furgone della polizia e portate precipitosamente in questura, dove poterono finalmente spiegare il significato del loro gesto: richiamare cioè l’attenzione sul fatto che metà del genere femminile è composto da donne, le quali vengono continuamente ignorate, come accade appunto all’ignota compagna del più”oscuro eroe”. Dopo quell’accadimento anche la stampa francese più nota cominciò a interessarsi del femminismo. Un’altra azione spettacolare fu quella del manifesto delle 343 in cui altrettante donne sì auto denunciarono per aver abortito. Il manifesto con tutte le firme fu pubblicato da uno dei più conosciuti settimanali francesi (Le nouvel observateur) e questo fu il breve testo che suscitò tanto scalpore: ” Un 1000000 di donne abortisce ogni anno in Francia. Esse lo fanno in condizioni pericolose a causa della clandestinità alla quale sono costrette, mentre questa operazione effettuata sotto il controllo medico è tra le più semplici. Si fa il silenzio su questi milioni di donne. Io dichiaro di essere una di loro: ho fatto ricorso all’aborto. Come reclamiamo di poter usare liberamente i mezzi anticoncezionali, così reclamiamo l’aborto libero”. Poco dopo la pubblicazione di questo manifesto ne -nei PAESI DELL’EST, negli ultimi trenta anni la donna ha raggiunto dei buoni risultati per quanto riguarda la parità dei sessi, ma è stato ignorato del tutto il discorso dei ruoli. Infatti, sebbene in quei paesi non vi siano discriminazioni sul lavoro e ogni donna possa accedere a qualsiasi professione, i posti più importanti sono regolarmente occupati da uomini. Se questo avviene, però, non è per una forma di sessismo. Ma perché in casa, in Russia come negli altri paesi dell’est, sono ancora le donne che si occupano del ménage e dei figli. Il vero problema per le donne di questi paesi e che esse non sono organizzate in nessun movimento rivoluzionario e anche quando, durante la rivoluzione Russa, alcune di loro tentarono di affrontare la “questione femminile”, vennero accusate di essere borghesi e le loro proposte furono rifiutate. Fortunatamente, negli anni ‘70, il movimento femminista è arrivato anche nell’ex Unione Sovietica. Nel 1979 uscì il primo numero della rivista “donne e Russia”, che affrontava in un’ottica nuova e non conformista, i problemi della donna nella società russa. Purtroppo non si sa molto sull’attuale movimento femminista russo tranne che esso è diviso in due filoni diversi: -quello che si rifà ad una tradizione laica -quello che richiama i valori mistici religiosi. -in AUSTRALIA la donna è vista soprattutto come “consumatrice”, in veste di “produttrice” invece è mal vista, infatti, sono poche le donne che lavorano fuori casa e ancora meno quelle relegate in posti di primo piano. Fu per questo che nel 1970, nacquero i primi gruppi femministi di cui lo slogan era “Donne unitevi: non avete altro da perdere che le vostre catene”. Poi i gruppi si sono diffusi, hanno proliferato, alcuni sono più politicizzanti, altri, invece, affrontano i problemi specifici e concreti della condizione femminile. Grazie all’analisi della storia dei movimenti femministi nei vari paesi è possibile comprendere come il movimento di liberazione della donna ha conosciuto una nuova fase di sviluppo negli anni Settanta, riprendendo tutte le sue rivendicazioni e radicalizzandole sotto il titolo globale di lotta contro “lo sciovinismo maschile”, intendendo con ciò che la società attuale è una società diretta esclusivamente da maschi. Compito della donna sarebbe dunque prendere coscienza di quest’oppressione e liberarsene, poiché la differenziazione dei ruoli sessuali che privilegia quello maschile è frutto di un'ideologia oppressiva, ottenuta e consacrata attraverso un'educazione condizionante. L'originalità del movimento consiste nell'essersi situato al di fuori della politica e delle ideologie tradizionali, prodotti della cultura autoritaria maschile, e nell'aver legato le teorie al vissuto, partendo dall'esperienza singola come base per analizzare la situazione comune a tutte le donne. All'esigenza di una controcultura femminista hanno risposto numerose pubblicazioni, costituite non da articoli generici ma da testimonianze di oppressione sessuale, sociale, giuridica e politica. Tra queste si citano Aphra, Women negli Stati Uniti, Sottosopra, Effe in Italia, Le torchon brûle in Francia, ecc. Parallelamente e in contrapposizione alle organizzazioni di tipo riformista che chiedevano il rinnovamento del diritto di famiglia, la libertà d’aborto, ecc., si sono formati numerosi gruppi di femministe radicali che vedevano la liberazione della donna nella negazione della società strutturata secondo valori tipicamente maschili e nel rovesciamento del sistema. Tale radicalizzazione si è poi andata alquanto modificando, perdendo le forme più acute ed estremistiche per mirare non tanto a tale rovesciamento quanto a un’effettiva uguaglianza nel potere decisionale nei vari campi (della famiglia, del lavoro, dell'ambiente) in cui la donna si trova quotidianamente a operare a fianco dell'uomo. Questo nuovo femminismo trova sempre più numerosi simpatizzanti anche fra gli uomini, o almeno fra coloro i quali sono convinti che una vera democrazia non possa ormai conciliarsi con la disuguaglianza dei sessi. E’ incontestabile che le donne abbiano superato una dopo l’altra le barriere imposte dagli uomini. E’ cambiata la loro mentalità: ormai è accettato che una donna debba preoccuparsi del proprio futuro professionale allo stesso modo di un ragazzo; il matrimonio non’è più l’unico scopo della vita, l’indipendenza economica e la possibilità di disporre liberamente del proprio corpo e della propria anima.Il cammino da percorrere delle donne è ancora lungo, persistono ancora discriminazioni nel mondo del lavoro, sia per i salari che per le assunzioni., e non sono scomparsi gli ostacoli che sbarrano l’accesso a certe professioni, anche se alcune coraggiose riescono a superarli. I rapporti umani generati da questi profondi mutamenti pongono nuovi problemi ad entrambi i sessi. LA CONDIZIONE DELLA DONNA ISLAMICA La condizione delle donne non è, purtroppo, la stessa in tutti i paesi del mondo. Ci sono ancora donne costrette a vivere in una condizione d’inferiorità e di”schiavitù”. Questo è il caso delle donne islamiche, la cui posizione, assunta nel corso dei secoli all’interno della società, non’è facile da definire. La situazione più tragica e più conosciuta è senza dubbio quella delle donne afgane, che dopo l’avvento dei talebani, hanno dovuto rinunciare alla loro libertà. E’ veramente difficile, per noi, capire e riportare la loro attuale condizione ed è per questo che facciamo uso di una testimonianza per mostrare nel modo più obiettivo possibile, una tragica situazione. Ecco come descrive la propria esperienza Latifa, una ragazza ventunenne di Kabul, nata in una famiglia afghana della media borghesia, padre libero professionista e madre ginecologa, fuggita dal suo paese grazie all’appoggio di un’organizzazione francese "Afghanistan libre": “Svegliarsi un mattino, a Kabul, e scoprire che, improvvisamente, la propria vita di ragazza è stata spezzata dalla mano dura dei Talebani. Niente più scuola, niente più svaghi, niente più sport, niente più jeans, niente più rossetto, niente più scarpe da ginnastica, ma solo il burqa dentro il quale sparire: << I divieti si susseguono senza curarsi della coerenza, eppure mi sembra rispondono a una loro logica: lo sterminio della donna afghana >>…Ore 9 del mattino, 27 settembre 1996. Qualcuno bussa con violenza alla porta. Tutti sussultiamo; é dall’alba che abbiamo i nervi a fior di pelle;mio padre si alza di scatto e mia madre, angosciata, lo segue con gli occhi; è esausta, ha il viso stravolto per la notte passata in bianco. Nessuno è riuscito a chiudere occhio. Il lancio di missili attorno alla città è cessato solo alle due del mattino. Io e mia sorella Soraya non abbiamo mai smesso di parlottare nel buio; anche quando è tornato il silenzio ci é stato impossibile prendere sonno. Eppure, noi di Kabul siamo ormai abituati ai missili. Anche se ho solo sedici anni, mi sembra di averli sempre sentiti. Papà ritorna in cucina, seguito dal nostro giovane cugino Farad, pallido e senza fiato. << Sono venuto.. per avere vostre notizie! Va tutto bene? Non avete visto niente? Non sapete nulla?Ma sono arrivati. Hanno preso Kabul. I talebani sono a Kabul! Non sono venuti qui ? Non hanno reclamato le vostre armi?>>.<< No, non è venuto nessuno, ma abbiamo visto la bandiera bianca sventolare sulla moschea. L’ ha vista Daoud stamattina. Temiamo il peggio >>. Ciò che ha visto Farad è talmente spaventoso, talmente terrificante che lo annuncia tutto ad un fiato: << Hanno impiccato Najibullah e suo fratello nella Piazza Ariana <<E’ orribile! Orribile!>>. Si rivolge a mio padre, poi a Daoud, e guarda noi ragazze con occhi sgomenti. Girano voci terribili su ciò che i talebani fanno alle donne nelle province già occupate. Non ho mai visto Farad così agitato, con uno sguardo tanto atterrito. Soltanto ieri la vita era “normale” a Kabul, nonostante le rovine e la guerra civile. Ieri sono andata con mia sorella dalla sarta a provare gli abiti da indossare ad un matrimonio che doveva essere celebrato proprio oggi. Ci sarebbe stata la musica, avremmo ballato! La vita non può fermarsi così, un anonimo 27 settembre 1996! Ho solo sedici anni e tantissime cose da fare, sostenere l’esame di ammissione per la facoltà di giornalismo…No, non è possibile che i talebani si insediano a Kabul, è solo una soluzione provvisoria. Sento la necessità, insieme a mia sorella, di raggiungere la Piazza Ariana per vedere che cosa sta succedendo. Ci vogliamo convincere che i talebani sono veramente qui, che hanno veramente impiccato Najibullah e suo fratello, che la catastrofe alla quale ancora ieri mi rifiutavo di credere si è realmente abbattuta su di noi. Per precauzione, io e Soraya ci siamo vestite con un abito lungo e un chador, che usiamo a casa quando preghiamo. Io, di solito, indosso pantaloni da jogging, una polo o un maglione, scarpe da ginnastica. Papà va a prendere la macchina parcheggiata vicino alla moschea accanto al palazzo. Farad ci segue per le scale con la bici in spalla. Con la macchina giriamo all’angolo del viale della Pace, dove sorge la sede dell’Onu. Di fronte a noi si erge il ministero della Difesa, che ospitava l’ufficio del comandante Massud. E là, di fronte all’hotel Ariana, il più lussuoso di Kabul, riservato principalmente ai turisti e ai giornalisti occidentali, vi è una sorta di torretta d’osservazione utilizzata di solito dai poliziotti di guardia per sorvegliare il ministero. I due cadaveri sono appesi a questa forca improvvisata. Papà ci avverte di guardare adesso perché non farà due volte il giro della piazza. E’ uno spettacolo ignobile, talmente raccapricciante che, come mia sorella, mi sciolgo in lacrime per la paura e il disgusto, ma nonostante tutto, non riesco a distogliere lo sguardo dai due impiccati…La stanza di noi ragazze era un rifugio segnato dalle piccole passioni della mia adolescenza. Al muro avevo appeso un poster di Brooke Shields, l’attrice americana diventata modella. Soraya mi ha fatto ridere parecchie volte fingendo di fare l’indossatrice: arrampicati sui tacchi alti, con le mani sui fianchi, il trucco vistoso, sfilava nella stanza, piroettava, si metteva in posa… Fin da quando ero bambina si vestiva per me con gli abiti e le scarpe di mia madre. Un poster di Elvis Presley, accanto a quello di Brooke Shields, indica il mio genere musicale preferito: il rock. Ho un mucchio di nastri e di film indiani in cassetta che Daoud prende in città, nel negozio del padre di Farad: noi lo sfruttiamo per quanto possiamo. Ma oggi non ho voglia di ascoltare musica; non riesco a leggere ho bisogno di parlare. Soraya è più provata di me. Più pessimista. La sua uniforme di hostess di volo riposta nell’armadio non le servirà più, ne sono sicura. Ore undici. Radio Sharia riprende le trasmissioni per annunciare che il primo ministro del governo interinale composto da sei mullah ha così decretato: << Il Paese verrà govern ato da un regime completamente islamico. Tutti gli ambasciatori all’estero sono sospesi dalle loro funzioni. I nuovi decreti sono seguenti, secondo la sharia: << Tutti quelli che possiedono un’arma devono portarla alla postazione militare o alla moschea più vicina; le ragazze e le donne non hanno il diritto di lavorare al di fuori dalle mura domestiche; tutte le donne che saranno costrette a uscire di casa dovranno essere accompagnate da un marham (padre, fratello o marito); i trasporti pubblici hanno predisposto un autobus per le donne e uno per gli uomini; gli uomini devono lasciarsi crescere la barba e tagliare i baffi secondo lo sharia; gli uomini devono portare in testa un turbante o un berretto bianco; divieto d’indossare completi e cravatta; obbligo di portare il costume tradizionale afghano; le donne e le ragazze porteranno il chadri; si vieta alle donne e alle ragazze di indossare vestiti di colore vivace sotto il chadri; si vieta di portare lo smalto o il rossetto o di truccarsi; tutti i musulmani devono recitare le preghiere alle ore stabilite nel luogo in cui si trovano >>. Il giorno seguente i decreti piovono alla stessa ora su Radio Sharia, scanditi dalla stessa voce minacciosa nel nome dello sharia:<< E’ vietato appendere foto di persone e animali; la d onna non ha il diritto di prendere il taxi se non accompagnata da un marham; i medici uomini non hanno il diritto di toccare il corpo di una donna con il pretesto di effettuare una visita; la donna non ha diritto di andare da un sarto per uomini, le ragazze non hanno il diritto di tenere una conversazione con i ragazzi loro coetanei; i contravventori verranno fatti sposare immediatamente a seguito di questa trasgressione; le famiglie musulmane non hanno il diritto di ascoltare musica, nemmeno durante una cerimonia nuziale; è vitato alle famiglie scattare foto e riprese video, anche durante un matrimonio; è vietato alle fidanzate di frequentare saloni di bellezza anche per prepararsi al matrimonio; è vitato alle famiglie musulmane attribuire a nomi non islamici ai loro figli; tutti coloro che non sono musulmani, gli induisti e gli ebrei devono portare vestiti gialli o un tessuto giallo. Devono contrassegnare la loro casa con una bandiera gialla perché siano riconoscibili; è vietato ai commercianti vendere bevande alcoliche; è vietato ai commercianti vendere biancheria intima femminile; nel momento in cui la polizia punisce un trasgressore, a nessuno è concesso fare polemiche o criticare; tutti i contravventori ai decreti della sharia, verranno puniti sulla pubblica piazza…Sparisco dentro il mio chadri e, in compagnia di Farida e di Saber, comincio la mia “passeggiata” molto particolare. Non ho messo piede fuori casa per quattro mesi. Un po’ più in là, incrociamo quattro donne. Improvvisamente, un fuori strada nero frena alla loro altezza con un rumore infernale. Dei talebani saltano giù dai sedili brandendo i loro cavi metallici a mò di fruste e, senza dire una parola, senza una spiegazione, si mettono a frustare queste donne che pure sono nascoste dal chadri. Loro gridano ma nessuno le soccorre. Allora cercano di scappare, ma i talebani le inseguono picchiandole, senza fermarsi. Vedo il sangue colare sulle loro scarpe. Paralizzata, incapace di muovermi, mi sembra di essermi trasformate in un sasso. Vengono di qua, e con me che vogliono prendersela, adesso! Farida mi afferra bruscamente per un braccio << Corri! Dobbiamo scappare! Corri! >>. Saber ha capito che cosa è successo e lo spiega a sua sorella inorridito: << Le hanno picchiate perché indossavano delle scarpe bianche..>>. << Come? E’ un nuovo decreto? >>.<< E’ il colore della bandiera talebana, le donne non hanno il diritto di portare cose bianche. Sarebbe come calpestare la bandiera >>… Le bancarelle vendono gadget di Titanic nel letto del fiume di Kabul, che la siccità ha la pratica continua a essere diffusa con una media di due milioni l'anno. La pratica è diffusa soprattutto nell'Africa sub-sahariana, dalla Mauritania alla Zambia fino alla Somalia, all'Eritrea e al Kenya (dall'Atlantico al Mar Rosso, dall'Oceano Indiano al Mediterraneo Orientale). Al di fuori del territorio africano le recisioni sono praticate anche in Asia. Yemen del Sud e negli Emirati Arabi Uniti. Inoltre la circoncisione è praticata anche dalle popolazioni musulmane dell'Indonesia e della Malesia e dai musulmani Bhora in India e in Pakistan. Possiamo notare che non si tratta di una zona omogenea dal punto di vista religioso e, infatti, questo tipo di pratiche non sono proprie di una particolare tradizione religiosa, come spesso erroneamente si pensa, ma si possono incontrare in popolazioni di fede musulmana, cattolica, protestante, copta e animista. Le ragioni fornite sul motivo per cui vengono praticate tali operazioni sono stupefacenti, spesso contraddittorie e comunque contrarie a fattori biologici. Possono definirsi di tipo psicosessuale, psicosociale e psicoreligioso. A) Ragioni legate a credenze: in alcune zone, specialmente in Etiopia e Somalia, la gente crede che se i genitali femminili non vengono recisi, assumeranno una forma anatomica simile a quella dell'uomo. In altre zone è radicata la convinzione che ambedue i sessi, maschile e femminile, convivano nella stessa persona al momento della nascita. La clitoride rappresenta l'elemento mascolino di una ragazza e il prepuzio quello femminile di un ragazzo. Ambedue devono essere recisi per definire inequivocabilmente il sesso di una persona. Una leggenda narra che un tempo una donna di nome Araweelo regnava sulla Somalia: per mantenere il suo impero castrava tutti i maschi: in questo modo credeva che l'uomo non avrebbe insidiato il suo dominio. Secondo la leggenda Araweelo fu uccisa dall'unico bambino che lei stessa aveva voluto sottrarre alla castrazione . E da allora i maschi per vendicarsi, iniziarono a mutilare le donne. B) Ragioni "etiche": molto spesso la ragione fornita è quella di attenuare il desiderio sessuale. La clitoride è infatti il punto focale di tale desiderio e la recisione viene ritenuta come protettiva contro l'ipersessualità femminile, salvando la donna dalle tentazioni, dal dubbio e dalla "perdizione", favorendo la castità. C)In tutte le regioni dove tale pratica viene eseguita la verginità femminile è un indispensabile requisito per il matrimonio e le relazioni sessuali extraconiugali sono bandite dalla legge stessa. In tali zone, quindi, una donna non recisa (ma non infibulata, in Somalia) viene ridicolizzata, considerata indegna e spesso cacciata dalla comunità o, se vi rimane, non ha praticamente alcuna possibilità di matrimonio. D)Viene spesso citato dai racconti popolari il nome del profeta Maometto come colui che avrebbe ordinato di ridurre la clitoride, ma non di distruggerla. Un comandamento di questo tipo non può ritenersi autentico in base ad alcuna fonte affidabile e tuttavia, anche se non vi è nessun precetto religioso che imponga l'infibulazione, nella maggioranza dei paesi musulmani si crede che le donne non escisse siano religiosamente "impure" (najasa). PROPOSTE LEGISLATIVE SULLE MUTILAZIONI, NEI PAESI OCCIDENTALI Una legge che proibisce la mutilazione femminile, indipendentemente dal fatto che la donna che deve subirla, sia consenziente o meno, entrò in vigore in Svezia nel luglio 1982, comminando una pena di due anni a che continuasse a praticarla. In Norvegia, nel 1985, tutti gli ospedali furono messi in allerta riguardo a tale pratica. Il Belgio si è associato nella messa al bando di tale pratica. Molti stati degli USA hanno incluso nel proprio codice penale la condanna della mutilazione genitale femminile. Nel Regno Unito una legislazione specifica che proibisce la circoncisione femminile entrò in vigore nel 1985, una persona ritenuta colpevole di tale reato rischia fino a cinque anni di prigione. Le mutilazioni genitali femminili sono state inserite nella legislazione per la protezione dell'infanzia a livello di autorità locali. A tutt'oggi nessuno è stato processato dai tribunali inglesi per questo tipo di reato ma dal 1989 vi sono stati almeno sette interventi di autorità locali per evitare che i genitori facessero mutilare le loro figlie o le loro ancelle. La Francia non possiede una legislazione specifica riguardo alle mutilazioni sessuali femminili ma in base all'art. 312-3 del codice penale francese la mutilazione genitale femminile può essere considerata come un'azione criminale. In base a questo articolo, chiunque faccia violenza o aggredisca un minore di 13 anni può essere punito con la carcerazione che varia da un minimo di 10 ad un massimo di 20 anni, se tale violenza ha come conseguenza la mutilazione, l'amputazione di un arto, la perdita di un occhio o di altre parti del corpo o se tale atto di violenza abbia causato preterintenzionalmente la morte del minore.In Italia non esistono specifiche leggi in proposito, tuttavia l'art. 32 della Costituzione Italiana afferma che: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse delle collettività.", "Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana". L'art. 5 del Codice civile vieta "gli atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente dell'integrità fisica o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico e al buon costume". BIBLIOGRAFIA V. De Grazia “le donne nel regime fascista” , Marsilio , Venezia 1993 A. Camera, R. Fabietti,”elementi di storia”, pag. 1110-1111, Zanichelli, quarta edizione, Bologna 1999 Gabriella Parca, “l’avventurosa storia del femminismo”, Mondadori Oscar, 1981 Enciclopedia Multimediale,Rizzoli Larousse, 2000 Donna afghana. Htm; la condizione della donna in Afghanistan.htm
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