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Le fiabe - Marazzini, Sintesi del corso di Antropologia

Il riassunto è ben curato e completo fino al capitolo 4, dopo, invece, contiene solo un'infarinatura dei contenuti del capitolo (le restanti 15 pag. circa del libro) perché non erano richieste per il mio esame

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Le fiabe - Marazzini e più Sintesi del corso in PDF di Antropologia solo su Docsity! Le fiabe – Marazzini 1. Origini e scoperta delle fiabe Le fiabe generalmente si riferiscono a uno spazio ristretto e circoscritto, ben definito (nazione, regione…), ma spesso scopriamo che lo stesso racconto esiste anche a migliaia di km di distanza e ha un corrispondente nella letteratura/mito. Di fronte alla presenza di fiabe analoghe possiamo formulare più ipotesi: 1. ORIGINE COMUNE – ARCHIFAVOLA: dalla quale sono poi derivate le altre attraverso un processo di interferenze e contaminazioni. 2. SVILUPPO POLIGENETICO: l’invenzione di storie analoghe sarebbe casuale, o meglio, basata sull’identica capacità di invenzione e combinazione propria degli uomini in quanto tali (in qualsiasi luogo). • Già nell’ ‘800 Bédier rideva di questa ipotesi: era verosimile che si sviluppassero racconti simili, ma non racconti che presentavano una storia identica con particolari precisi e specifici. • Nello stesso periodo, Clodd affermava che si potesse ammettere un’origine comune qualora ci fossero coincidenze in minuti particolari. 3. TEORIE PSICOANALITICHE: da un lato si sosteneva che l’origine risiedesse nella sfera onirica e nell’inconscio (prescindendo quindi dalla storicità dei racconti); dall’altro, forme di analisi psicoanalitica ispirate a Jung riportavano l’origine della fiaba ad ARCHETIPI PSICOLOGICI COLLETTIVI. Tutte le teorie contengono probabilmente in parte la verità. Dobbiamo considerare che insieme al problema delle origini della fiaba, spesso troviamo quello delle origini della lingua, dei miti, della capacità di narrare e attribuire alle storie significati simbolici e religiosi. L’interesse per le fiabe nacque nel XIX sec. (romanticismo) soprattutto grazie a Jacob e Wilhelm Grimm che allestirono varie edizioni di Kinder und Hausmärchen. Inizialmente furono molto fedeli al materiale raccolto, ma poi si concessero alcune rielaborazioni che coinvolgevano lo stile e la combinazione delle varianti. Il lavoro dei Grimm, quindi, non era solo di tipo folclorico, ma costituiva un’opera d’arte. Jacob letteratura, lingua, diritto (leggi nazionali), costumi e credenze. In questi anni si stava imponendo la linguistica comparata che dimostrava la parentela delle lingue europee tra loro e con il sanscrito, antica lingua dell’India, che insieme costituivano le lingue indoeuropee. Il punto di vista che si era adottato per secoli era cambiato: non si guardava più all’antica Grecia/Roma. Questa linguistica guidò i Grimm nella spiegazione della fiaba popolare, Wilhelm si pose il problema della loro origine e pensò che le fiabe potessero avere un’origine poligenetica (pensiamo al prestito linguistico). Infatti, era riuscito a identificare una connessione evidente tra fiabe indiane, persiane, olandesi, inglesi, scandinave… Benfey, nella sua introduzione alla traduzione del Pancatantra, espose la teoria dell’origine indoeuropea di tutte le fiabe in modo radicale teoria monogentica (una sola zona di origine). Per lui era sufficiente ripercorrere a ritroso il percorso di ogni racconto per giungere alla prima versione, indiana. 1.2. Fiabe e mitologia comparata Alla fine dell’‘800 la mitologia comparata ebbe una certa fortuna, studiosi come Müller (editore del Rigveda indiano) e De Gubernatis (gli va riconosciuto il merito di aver collegato lo studio della fiaba a quello del mito) al momento della dispersione delle tribù ariane, il patrimonio indoeuropeo era già formato e divenne fonte dei miti e dei racconti dei popoli di questa razza. Il metodo consisteva nel comparare narrazioni diverse e lontane sulla base di singole analogie. D.G. considerava la mitologia vedica (Rigveda) archetipo di moltissimi racconti epici e fiabeschi. Ad esempio, Cenerentola per D.G. era il racconto del passaggio dall’alba al tramonto (due immagini femminili). Nella mitologia vedica all’origine del mondo, tutto era acqua. Bédier nel suo Fabliaux ridimensionò le esagerazioni che volevano ricondurre tutto a un’influenza orientale. L’orientalismo rimase comunque attivo, anche perché contiene elemtni di verità: persino Propp fece ricorso al Ragveda. 1.3. Radici storiche e antropologiche Vladimir Propp elaborò un procedimento che illustrò nel 1946 ne Le radici storiche dei racconti di fate (di magia) individua l’origine delle fiabe, dopo aver già pubblicato Morfologia delle fiabe definisce il genere. Nelle premesse delle R., Propp invoca certi principi del marxismo, alcune citazioni addirittura sembrano necessarie per intendere la genesi e le caratteristiche del racconto di magia. Non è facile dire se queste citazioni siano strumentali, cioè in omaggio al potere politico del tempo o se l’autore credesse realmente nella loro utilità ai fini della ricerca. Affermava di interpretare la fiaba sulla base delle “forme di produzione” la fiaba riporta a un mondo arcaico in cui era importante la caccia più dell’agricoltura. A differenza dei suoi predecessori, operò all’interno di una visione unitaria, storica e strutturale. All’inizio della fiaba ricorrono forme di divieto rivolte ai figli (non devono uscire di casa) divieti e tabù imposti nelle società primitive ai membri delle famiglie reali. Altri passaggi tipici vengono spiegati ricorrendo ai riti di iniziazione delle società tribali (abbandono del bambino nel bosco, rapimento/incontro con la strega) 1. il cavallo, infuocato o legato al fuoco, viene spesso interpretato come intermediario tra i due mondi (vivi e morti) 2. gli animali magici delle fiabe sono animali totemici e il loro aiuto all’eroe va ricondotto ad antichi riti di iniziazione 3. Il drago, nemico e antagonista dell’eroe, deriva dai riti di iniziazione sebbene la sua forma sia moderna, infatti l’inghiottimento è un’azione che esisteva nei riti. 4. L’eroe rinchiuso in una botte/albero/cesta e abbandonato sull’acqua. 5. Il regno in capo al mondo raggiunto dopo un lungo viaggio, sottoterra o in cima a una montagna (Hercules) regno dei morti 6. Nozze tra l’eroe e la principessa, con il protagonista che diventa re (residuo di una società in cui l’eredità del potere passava per via femminile). 7. Falso eroe capro espiatorio che assume le funzioni del vecchio re a cui toccava morire o essere detronizzato. LA FIABA RISULTA ESSERE PROPRIA DI UNA SOCIETÀ DI CACCIATORI TOTEMICI I CUI ELEMENTI SI SONO TRASFORMATI E HANNO PERSO LE MOTIVAZIONI ORIGINARIE E SU CUI SI SONO STRATIFICATI SIGNIFICATI MODERNI. Alcune delle sue teorie non sono radicalmente diverse da altre formulate da studiosi dell’Europa occidentale: 1. Taylor mise in relazione le culture primitive e il contenuto magico rituale della fiaba. 2. Naumann aveva messo in relazione le fiabe soprattutto con le credenze religiose dei primitivi che miravano a impedire il ritorno dei defunti. • Grimm: raccolta più importante di tutta la storia del folclore per la funzione propulsiva: Biancaneve, Rosaspina, Cenerentola, Pollicino, Raperonzolo, Cappuccetto Rosso, I suonatori di Brema, Barbablù. • Afanas’ev: conobbe l’opera dei Grimm e ne seguì le tracce (Russia). • Hartland e Yeats: fiabe inglesi. • Douglas: fiabe scozzesi. • Perrault: best seller della letteratura infantile, anche se il pubblico iniziale era la corte (Fr come Cosquin, Delarue, Sébillot, Fleury). • Espinosa: raccolta in 3 volumi degli anni Venti del Novecento in Spagna. Nel nostro territorio nessuno ha mai combattuto le fiabe popolari, nemmeno coloro che guardavano con diffidenza ai dialetti cosa che avveniva, ad esempio, in Galles. 2.2 Raccolte italiane • Tommaseo: canti popolari, età romantica. • Comparetti: in collaborazione con diversi studiosi, restano testi raccolti e inutilizzati. Mirava a una raccolta nazionale priva del riscontro del dialetto iniziale. • Pitré: fiabe siciliane. Indica nome, età e mestiere degli informatori. • De Gubernatis e Vittorio Imbriani (uso della stenografia, più fedeltà): entrambi toscani. • Gherardo Nerucci • Bernoni: fiabe veneziane. • Mango: fiabe sarde. • Busk: miglior raccolta di folclore romano e laziale. • Finamore e De Nino: fiabe abruzzesi. • Maria Luisa Rivetti: fiabe piemontesi (Langhe e Roero), raccolta degli anni Ottanta. • Giuseppe Ferrero nell’’800 fece una raccolta di fiabe (prov. di Alessandria), ma rimase inedita. Nel Novecento mancava ancora un volume complessivo nazionale: • Calvino: tenta di realizzarlo. La motivazione però è meno forte di quella dei fratelli Grimm che cercavano le radici della coscienza germanica (no credo ideologico). • Scegliere le narrazioni disponibili. • Tradurre i testi dal dialetto, aggiustandolo dove necessario. • Rappresentare tutte le regioni italiane e tutti i tipi di favola. Il risultato dal punto di vista scientifico non fu ineccepibile, ma risvegliò l’interesse per la fiaba (cosa che Calvino auspicava) ed è tutt’ora la raccolta più ampia, conosciuta e letta d’Italia. Seguirono la sua strada vari autori, tra cui Arpino e Cucchi che hanno collaborato alla realizzazione delle collane che contenevano fiabe regionali. 2.3 Tecnica della raccolta: il problema della fedeltà In passato, la scarsa fedeltà al dettato popolare dipendeva dalla mancanza di mezzi tecnici adeguati che si sono resi disponibili solo in tempi recenti oltre che a una concezione diversa del materiale folclorico. Alcuni si schieravano con la fedeltà al dettato originale (Müller, Pitré), altri erano meno rigidi (D’Ancona). Bisogna comunque ammettere che alcune grandi raccolte europee riuscirono ad essere tali anche senza la trascrizione rigorosa e puntuale che pretendiamo oggi. 1. Per secoli, l’unico modo per fissare la narrazione orale è stato la scrittura. Purtroppo, però, per quanto si possa essere veloci, è praticamente impossibile scrivere alla stessa velocità del narratore. Quindi più che una trascrizione fedele del parlato, si otteneva una ricostruzione del testo con risultati verosimili, ma ovviamente non oggettivi. 2. Nel XIX si poteva usare la stenografia, ma era raro che i raccoglitori di materiale folclorico fossero in grado di usarla. (Vittorio Imbriani). Un tempo chi si interessava al genere spesso si rivolgeva al personale che lavorava per lui e proveniva dalle campagne, quindi non doveva ricorrere alle manovre necessarie oggi ai ricercatori. Attualmente si raccomanda al ricercatore di servirsi di un mediatore che è un esponente della comunità stessa e quindi gode la fiducia degli altri. Altrimenti il ricercatore potrebbe vedersi respinto con diffidenza. Il ricercatore dovrà cercare la situazione opportuna per facilitare il rapporto ricreando le condizioni di una “veglia” come quelle in uso nei tempi passati. Già da tempo si dà importanza anche ai gesti (prossemica) e alla cinesica (movimento di viso, corpo, mani), cioè alla paralinguistica: velocità di esecuzione, pause, esitazioni, intonazione… In ogni caso l’attenzione all’informatore e al suo modo di raccontare è moderna, per lungo tempo prevalse la concezione romantica della natura anonima e collettiva della fiaba. Chi era dotato di una posizione autorevole, poteva servirsi dell’aiuto di collaboratori, preti, insegnanti e funzionari dello Stato che avevano contatto diretto con il mondo rurale. La scrittura era comunque la fase finale quindi non era la riproduzione fedele del racconto. Chi raccoglie materiale popolare orale oggi, può servirsi di strumenti diversi rispetto alla semplice penna. I vantaggi della registrazione (magnetofono) sono diversi: intanto lo strumento è discreto, quasi invisibile e non disturba o imbarazza il narratore mentre la telecamera può suggerirgli una pericolosa analogia con la televisione e potrebbe invitare involontariamente il narratore a imitare modelli estranei alla sua tradizione. Si tende a sconsigliare la registrazione all’insaputa dell’informatore, per ragioni morali oltre che scientifiche. Gli strumenti digitali sono ancora migliori: ci permettono di riascoltare più volte una frase o una parola, rendono possibile il passaggio rapido da un punto all’altro della registrazione, la duplicazione è semplice ed è possibile manipolare la registrazione per ridurre gli eventuali disturbi. Nel caso specifico dell’italiano, è molto probabile che il raccoglitore si trovi di fronte a testi dialettali e spesso non si tratta delle loro forme urbane, ma di forme molto arcaiche di zone impervie (quindi poco contaminate). La fiaba tradotta dal dialetto ha l’unico scopo di essere studiata dal punto di vista narratologico poiché perde le caratteristiche stilistiche originali e non documenta il vero parlare del popolo. L’ideale sarebbe poter disporre della traduzione a fronte, ma non è semplice scrivere il dialetto perché esistono diversi modi. Intanto siccome esiste una forma letteraria dei dialetti, si manifesta la dannosa tendenza ad addomesticarli (ad esempio scrivere il dialetto di Cuorgné con le regole del torinese). Una buona soluzione per sottrarsi alle polemiche contingenti sulla miglior grafia del dialetto locale è servirsi dell’IPA, ma lo svantaggio sta ovviamente nella complessità del procedimento e del risultato il pubblico a cui si rivolge l’opera non è composto (solo) da dialettologi, fonetisti o linguisti che hanno familiarità con l’IPA e questo alfabeto difficilmente è in uso per testi lunghi. Infine, esiste una trascrizione IPA “stretta” tecnica e difficile e una più larga. Enrica Delitala e Chiarella Rapallo hanno messo in atto (al convegno Tutto è fiaba), il tentativo di fare a meno della punteggiatura sostituendola con un sistema di barre, ma in realtà i linguisti si preoccupano molto di più di introdurre segni aggiuntivi che indichino elementi prosodici e di intonazione che la punteggiatura non è in grado di segnalare ( /= esitazione o interruzione del narratore; + ++ +++= pause di durata crescente, %%= volume della voce basso, !!= enfasi…). In generale l’importante è che lo studioso eviti di introdurre elementi di complicazione pensando che in ciò consista la scientificità. Quindi il passaggio dal testo orale al testo scritto implica una perdita anche nel caso di una trascrizione fedelissima la fiaba viene comunque trasformata in oggetto filologico e museale, in cambio guadagniamo una maggiore conoscenza e la garantita durata dell’oggetto. 2.5. Fiabe dei popoli evoluti La fiaba popolare autentica e tradizionale muore quando una nazione diventa moderna e ricca e quando il benessere omogenea la vita tra città e campagna. Infatti, spesso sopravvive solo lo sfruttamento della fiaba da parte dell’industria culturale nei libri/film ecc che spesso attuano adattamenti anche forti che snaturano l’oggetto, sebbene a volte diano origine a prodotti di per sé molto validi. Nel caso dei “popoli ricchi” bisogna ricordare che la fiaba popolare fu vitale quando la ricchezza non era ancora diffusa e nelle campagne c’erano le condizioni di miseria che oggi ritroviamo nei paesi meno sviluppati. Le interpretazioni come quelle di Propp riconducono a una società di cacciatori allo stato primitivo. La fiaba, passando di generazione in generazione, si è adattata a nuove condizioni non ci devono attrarre solo gli elementi arcaici e primitivi perché questi per sopravvivere si sono fusi con altri. Il passaggio attraverso il Medioevo è stato determinante per molte fiabe cristianizzazione di temi e motivi (personaggi come il Diavolo o la Madonna). L’autore riporta l’esempio delle fiabe nelle Langhe in cui è avvertibile la stratificazione di altri 2 elementi: la pressione della scuola e l’effetto dei media. La cultura europea spesso ha attinto dal materiale popolare arrivando talvolta a sopravvalutarlo. Joseph Desparmet si occupò della cultura popolare algerina con la collaborazione di un taleb modificava la lingua scrivendo in arabo classico perché la cultura araba non è propensa a dare credito a queste narrazioni nonostante la loro diffusione persino le Mille e una notte furono più stimate in Occidente che in Oriente. 2.6. Fiabe dei popoli primitivi • Racconti della tradizione occidentale che si sono diffusi tra i popoli primitivi colonizzazione Thompson: fiabe europee tra gli Indiani d’America Fiaba tradizionale popolare Hänsel e Gretel è presente con 6 versioni in Indonesia, 8 in Africa, 10 tra gli Indiani ricondurre la fiaba all’unità e all’ordine. 2. Nel sistema, la successione delle funzioni è sempre la stessa. 3. Tutte le fiabe sono monotipiche. La sua analisi è stata condotta da 100 fiabe raccolte da Afanas’ev, ma Propp era convinto che un corpus più esteso non avrebbe dato risultati ≠. Le funzioni sono 31 in tot e sono in grado di descrivere tutte le fiabe di magia possibili, anche se non spesso non sono tute presenti classificano la fiaba in modo strutturale, senza riferimento al contenuto specifico. 1. Situazione iniziale: la situazione precede le varie funzioni. 2. Parte preparatoria: 1. Uno dei membri della famiglia si allontana da casa; 2. All’eroe è imposto un divieto; 3. Il divieto è infranto; 4. L’antagonista tenta una ricognizione; 5. L’antagonista riceve informazioni sulla vittima; 6. L’antagonista tenta di ingannare la vittima; 7. La vittima cade nell’inganno; 3. Esordio della fiaba: 8. Danneggiamento (o mancanza); 9. Momento di connessione (la sciagura/mancanza è resa nota, c’è un bando/un congedo…); 10. Reazione incipente; 11. Partenza da casa dell’eroe; 4. Seguito e conclusione (interviene nella fiaba un “donatore”): 12. Prima funzione del donatore (aggredisce o mette alla prova il protagonista prima di aiutarlo; 13. Reazione dell’eroe di fronte al futuro donatore; 14. L’eroe entra in possesso del mezzo magico; 15. Trasferimento sul luogo di destinazione; 16. L’eroe lotta con il cattivo; 17. Marchiatura dell’eroe; 18. Vittoria dell’eroe sul cattivo; 19. Liquidazione del danno o della mancanza; 20. Ritorno dell’eroe; 21. Persecuzione dell’eroe; 22. L’eroe scampa alla persecuzione; 23. Arrivo in incognito; 24. Pretese infondate del falso eroe; 25. All’eroe viene affidato un compito difficile; 26. Il compito viene eseguito; 27. L’eroe viene riconosciuto; 28. Il falso eroe viene smascherato; 29. Trasfigurazione: l’eroe assume un nuovo aspetto; 30. Punizione del falso eroe o del cattivo; 31. Nozze e incoronazione: l’eroe si sposa e diventa re; 3.3 Prova di analisi Ovviamente Propp ha svolto prove di analisi sulle fiabe. Grazie a queste si è accorto di dover ammettere che l’ordine delle funzioni può variare o che la stessa funzione può ripetersi. Il concetto di “raccordo”, invece, spiega i passaggi che non rientrano nel sistema regolare. Il metodo di Propp ha dato vita a una branca della ricerca letteraria che si definisce “narratologia”. 3.4 Linguaggio della formula e prosodia dell’oralità Il linguaggio per formule (formule prefissate e spesso prevedibili) non è esclusivo della fiaba, ma si ritrova nei testi popolari, nei canti, nei poemi epici…Un tipico meccanismo ripetitivo della fiaba è la ripetizione triadica degli eventi: 3 e 7 sono numeri magici, spesso i fratelli delle storie sono 3 o 7. Anche nella religione cristiana questi numeri hanno mantenuto un valore simbolico Trinità e peccati capitali. La ripetitività è sfruttata per far durare la storia e assume valore rituale, ma serve anche per aiutare la memoria del narratore che non rischia di perdere il filo. Nel caso dei fratelli, il successo è sempre del più piccolo (+ debole e disprezzato) e il pubblico accetta questa prevedibilità. Questo meccanismo non va confuso con il sottogenere di fiabe a formula, molto specifico, in cui una situazione si ripete all’infinito in modo ciclico. al di fuori della letteratura popolare, esiste anche una letteratura colta in cui la ripetitività è molto apprezzata: ad es il giallo. Il divertimento del lettore sta nel gustare ciò che avviene tra l’inizio e la fine (spesso avvenimenti ripetitivi e prevedibili) e il pubblico si aspetta un finale chiuso con la risoluzione del mistero. Il giallo interrotto, infatti, costituisce un sottogenere di alto livello e fuori dalla letteratura di consumo. Nella fiaba, la formula solitamente è in dialetto e viene pronunciata con una particolare scansione ritmica, spesso è soggetta a iterazione triadica diventando una formula magica/rituale. Le formule sono presenti anche all’avvio e alla conclusione della fiaba (C’era una volta…): è un segnale che la conversazione normale cessa e inizia una narrazione di tipo fantastico spesso preceduta da ulteriore “State zitti e non muovetevi”. Nelle fiabe colte si trova “Stretta la foglia, larga la vita, dite la vostra che ho detto la mia”: oltre a essere il segnale conclusivo invita, in modo formale, un altro a prendere parola, ma allo stesso modo riporta il pubblico alla realtà. 4.1 Impiego letterario della fiaba: le tracce Il reimpiego delle fiabe ha prodotto risultati di grande qualità. Bisogna distinguere tra il rimpiego casuale e la riscrittura di una serie di fiabe (Basile, Perrault). Reimpiego casuale: Bibbia (Mosé salvato dalle acque e Giona inghiottito dalla balena), Apuleio (Amore e Psiche la ricerca del marito perduto).
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