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Le guerre d'Italia, Pellegrini, Sintesi del corso di Storia Moderna

riassunto dettagliato e guidato dal capitolo 1 al 5

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Le guerre d'Italia, Pellegrini e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! Periodizzazione: Alto Medioevo ( ​476​ - 1000 d.C) Basso Medioevo (​1000​ - 1492 d.C) 476: caduta impero romano d’Occidente 1000: fase di splendore 1337 - 1453 ​Guerra dei cent’anni cause scatenanti: 1) Il controllo delle Fiandre 2) La presenza degli inglesi in territorio francese Fase 1 Francesi​: Filippo Valois Inglesi ​: Edoardo III ( ha la meglio in una prima fase) 1369 Francesi​: Carlo V (riconquista territorio) Fase 3 Francesi​: Carlo 6 (viene fatto prigioniero) Inglesi ​: Enrico 5 Fase 4 Francesi​: Giovanna d’Arco risolleva il morale dei francesi (Carlo 7) Inglesi ​: Enrico 6 perde l’alleanza con i Borgognoni ​e perdono la guerra GLI ANTEFATTI MEDIEVALI Dopo la Guerra dei Cent’anni i paesi più forti erano: - Francia (anche il più ampio) - Spagna dei Re Cattolici Varie potenze europee nella seconda metà del 400 si affacciarono sullo scenario italiano. In competizione tra di loro e contro l'indipendenza degli stati italiani lo fecero a più riprese: - Francia - Borgogna - Impero Germanico - Ungheria - Spagna dei Re Cattolici che dal 1469 si componeva dalle due corone d’​Aragona + di Castiglia Le forze europee si litigano l’Italia, cosa le rende così forti? 1) un più alto livello ​demografico​. 2) una redditività dell’apparato fiscale tale da investire molte ​ricchezze ​in imprese di conquista all’estero. In Italia non c’era la stessa voglia di espansione? No. In Italia si era sviluppata la cosiddetta “politica dell’equilibrio”, ossia, l’arte della prevenzione e dei contenimento dei conflitti. Gli italiani erano consapevoli dell’insostenibilità dei costi delle guerre. Qual era il Paese che ​più di tutti​ ardeva di conquista? La ​Francia​: essa nel giro di pochi decenni aveva rafforzato l’apparato amministrativo e militare in funzione della politica di conquista. Gli strascichi della Guerra dei Cent’anni, conclusasi a suo favore, si protrassero fino al 1475. LA FRANCIA TRA POTERE E CONFLITTI INTERNI Alcuni ​principati regionali cominciano a temere di perdere la propria indipendenza sotto il potere della Corona. Ben presto le resistenze dei principati indipendenti vennero schiacciate e il regno di Francia nell’ultimo quarto del secolo accrebbe la propria estensione, a seguito dell’incorporazione di province sulle quali esso vantava diritti di sovranità: - dalla ​Borgogna ​(occupato militarmente approfittando della morte in battaglia del duca Carlo Il Temerario nel 1477). - alla ​Provenza ​(ottenuta per devoluzione alla morte senza eredi del buon re Renato d’Angiò nel 1480). - alla ​Bretagna ​(assegnata, dopo la morte di Francesco II, alla duchessa Anna la quale venne costretta a sposare il re di Francia, Carlo 8). LA FRANCIA SI ASSICURA LA SICUREZZA Con l’annessione di questi principati, la Francia si assicura la chiusura di quei varchi (Normandia, Fiandre) attraverso i quali in passato il regno d’Inghilterra era penetrato. LE RIFORME in FRANCIA Nel trentennio successivo Ferrante si trovò a dover ostacolare la ​guerra dei Baroni (1485-86): ossia la seconda rivolta del partito nobiliare filoangioino, che stavolta potè giovarsi dell’appoggio della ​Chiesa romana ​(VOLTAFACCIA DELLA CHIESA), adesso convinta dell’opportunità di detronizzare il ramo napoletano degli Aragona che non rispettava le sue direttive. UNA COMPETIZIONE PER IL PRIMATO DELLA CRISTIANITÀ D’OCCIDENTE Il ​1453​ è una data da ricordare per ​due motivi: 1) viene collocata la ​fine​ della Guerra dei 100 anni. 2) viene collocata la ​caduta​ di Costantinopoli e la fine dell’Impero romano d’Oriente. --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- In breve, la caduta di Costantinopoli dagli Spilli: Dal 1261 Costantinopoli era nelle mani dei Bizantini. Bizantini + ​Franchi + ​Musulmani si scontrano per il controllo del Vicino Oriente. La città cade nelle mani di ​Maometto II (Costantinopoli diventa Instanbul) e le chiese si trasformano in moschee. --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- L’impero bizantino era ritenuto inespugnabile perché doppiamente protetto dall’ubicazione geografica e dalle possenti mura. Dopo il disastro in cui incorsero le due spedizioni crociate inviate a soccorso nei Balcani (i Turchi minacciano i Balcani e Otranto) nel 1396 e nel 1443-44, i sovrani europei deposero le armi e abbandonarono al suo destino l’Imperatore d’Oriente. A nulla servì il gesto umiliante che questo compì nel 1439 al Concilio di Firenze, quando firmò il decreto di unione con la Chiesa romana nella speranza di ricevere gli aiuti occidentali. GLI OTTOMANI L’assedio di Costantinopoli: Maometto II si mosse sia via terra sia via mare mettendo così in chiaro che la potenza ottomana aveva saputo compiere un processo di adattamento (forti via terra, cominciarono ad attrezzarsi anche via mare). Venne istituito da parte degli ottomani un corpo di fanteria scelta, i cosiddetti giannizzeri, composto da giovani reclute che venivano fatte affluire da paesi tributati, le quali crescevano separate dal resto del mondo e venivano addestrate unicamente per sacrificarsi in guerra. Seppero così imporsi come i nuovi dominatori sopra le altre etnie turche; nel contempo si lanciarono alla conquista della ​penisola balcanica​, che ​sottomisero entro la prima metà del 400. Restarono loro preclusi il mar Egeo e Costantinopoli che per la sua conformazione risultava imprendibile mediante il solo assedio terrestre. Maometto II promosse così la trasformazione del suo impero in potenza marittima. LE CONSEGUENZE DELLA CADUTA DI COSTANTINOPOLI: La conquista turca comportò 1) la fine del millenario Impero bizantino e 2) ​la scomparsa del vertice della Chiesa Ortodossa​, per opera di una potenza di fede islamica. LA RICONQUISTA DEI TERRITORI EX-BIZANTINI Tra il 1480 e il 1520 prese forma ​alla corte francese un progetto di ​intervento dello scenario mediterraneo finalizzato al recupero dei territori ex bizantini​, con un occhio a un'eventuale restaurazione del titolo imperiale d’Oriente​ in favore della casa di Valois. Questa soluzione avrebbe avuto il pregio di comporre la rivalità che da secoli opponeva il mondo francese (vs) ​al ​mondo germanico a proposito della detenzione del titolo di sacro romano imperatore. Entrambe si consideravano depositarie dell’eredità ideale di Carlo Magno e dei Franchi; ma la nazione tedesca aveva strappato a quella francese il privilegio del titolo imperiale fin dal X secolo. Però nel tardo Medioevo la potenza del mondo germanico si indebolì. Tra il 1516 e il 1519, ​Francesco I ​si adoperò per ottenere dal Papa l’indizione di una crociata ​che avrebbe previsto la compartecipazione dei maggiori stati della cristianità, Sacro romano impero compreso, ma che sarebbe stata guidata dal regno di Francia. L’impresa francese di conquista era diretta contro un nemico che era percepito come un avversario religioso​. Il principale inconveniente di una ​guerra santa condotta dalla nazione francese per proprio esclusivo tornaconto stava nel fatto che essa avrebbe destato la ​gelosia ​dell’altra grande potenza: la ​Spagna​. LA SPAGNA Quando si parla di Spagna si allude all’unione dinastica dei due maggiori dei cinque stati cristiani: la ​Castiglia + l’​Aragona​. Essa avvenne in seguito al ​matrimonio ​tra i due sovrani, Isabella​ e ​Ferdinando​, che dal 1496 assunsero il titolo di ​Re cattolici​. La loro azione politica aveva un obiettivo: quello di tenere aperto in permanenza uno stato di guerra totale contro gli infedeli. Fu in nome di tale situazione che poterono gettare nel 1494 le basi di uno stabile esercito nazionale, reclutato per mezzo della coscrizione obbligatoria di una quota costante della popolazione. - La regina Isabella​, sovrana di un regno come la Castiglia, la cui stessa genesi si doveva alla ​guerra santa​, premette per spingere a fondo l’offensiva crociata, presagendo il recupero dell’ultimo lembo ancora in mano musulmana, il regno di Granada​. LA SPAGNA GUARDA ALL’ITALIA La penisola italiana cominciò ad acquisire un peso ​strategico crescente. Contemporaneamente, anche alla corte di Francia si guardò con nuovo interesse all’Italia. - I PIANI DI CARLO 8 - A partire dal 1491 Carlo 8 diede prova di aver anteposto nei suoi piani espansionistici la direttrice meridionale a quella nordica: una scelta criticata poiché il giovane sovrano dissipò le risorse del Regno, quando ancora occorreva completare l’acquisizione del controllo delle arterie di comunicazione tra le Fiandre e Parigi. Ma ​Carlo 8 ritenne l’Italia meridionale una preda troppo facile e lucrosa per lasciarsela sfuggire. Carlo 8 è inoltre influenzato dal suo entourage e dall’idea che gli Aragonesi siano prede facili. ​Lo scoglio che si ergeva davanti al miraggio italiano di re Carlo era di natura giuridica​: fin dal XII secolo, la Sede apostolica esercitava sul Mezzogiorno un'alta sovranità di tipo feudale, fattore che rendeva indispensabile l'approvazione del Papa. Come risolve questo scoglio? La Francia presenta una “scusa” al Papa per occupare Napoli: ​il re di Francia riteneva di poter ottenere l’avallo papale con relativa facilità, presentando la sua acquisizione di Napoli come mossa preparatoria di una spedizione crociata, a vantaggio e utilità della Chiesa. SPAGNA VS FRANCIA Questa mossa mise in allarme ​Ferdinando d’Aragona​. Dopo la rivolta dei baroni del 1484-86, aveva cominciato a valutare la possibilità di spodestare i deboli cugini del ramo napoletano, al fine di ricondurre il Mezzogiorno d’Italia alla diretta dipendenza della monarchia barcellonese, come era stato ai temi di suo zio Alfonso il Magnanimo. Anche il re Ferdinando d’Aragona ​contò sul beneplacito del Papa​: il motivo stava nel progetto di una guerra santa contro i turchi. --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Le guerre d’Italia non furono un semplice confronto militare tra superpotenze europee, né ebbero per fine quello di soggiogare e rovinare l’Italia. Nacquero dallo scontro tra visioni diverse d’Europa e del suo destino, anche in relazione al mondo extraeuropeo e non cristiano; ​ebbero nell’Italia il loro teatro, ma soprattutto il loro pretesto​. Ebbero come posta in palio un primato morale e politico all’interno della cristianità occidentale. LA RIFORMA DELLA CHIESA Sia la Spagna sia la Francia ambirono a imporsi come potenze dominatrici in Italia anche al fine di costringere il papato romano (considerato corrotto ed indegno) a compiere la riforma della Chiesa Questo schema di una riforma ecclesiastica patrocinata da un sovrano vittorioso fu evidente fin dal loro momento di inizio nel 1494, quando Carlo 8 discese in Italia facendosi promotore di un programma riformatore che gli servì a ricattare il Papa 2) Asti Il 9 settembre Carlo 8 si reca ad Asti per incontrare Ludovico il Moro ed Ercole d’Este, i quali con elargizioni monetarie confermarono la loro partecipazione. LA “DIFESA” DEGLI ITALIANI Nessuno stato italiano poteva presumere di resistere da solo all’impatto con l’armata transalpina, ​ma una coalizione a tre sarebbe stata sufficiente a determinare una situazione di stallo. Bloccare l’armata, soprattutto con l’inverno alle porte, avrebbe comportato il fallimento dei piani di Carlo 8, il quale non disponeva dei mezzi monetari sufficienti a mantenere i suoi effettivi in un paese straniero. Sulla carta la coalizione tra tre stati esisteva: Napoli - Firenze - Papato Ma nel momento di sferrare una risposta all’aggressore francese, le divergenze tra gli alleati si accrebbero fino al punto di rendere impossibile un coordinamento unitario sul piano militare. IL PROCESSO DI (DIPLOMA)TIZZAZIONE DEI CONFLITTI ITALIANI VS GUERRA LAMPO E BRUTALE DEI FRANCESI I FRANCESI SE NE “FREGANO” DELLA DIPLOMAZIA ITALIANA E PARTONO IN QUARTA Nel 400 la ​strategia logoratrice era stata portata alla più alta perfezione dai condottieri della Penisola, fino a diventare sinonimo di arte della guerra all’italiana. Si affermò il principio della distruzione limitata​: ossia si raggiunse un alto grado di integrazione tra guerra e diplomazia​. Era semplice per i partecipanti a un conflitto usare i ​canali negoziali per porre sotto costante monitoraggio il confronto militare ed attenuarne gli esiti sul campo. Negli ultimi anni del 400, la ​tattica guerresca in Italia divenne sempre meno offensiva e sempre più ​difensiva ​e dilatoria. Quando nel 1494 Carlo 8 si affacciò in Italia, questo approccio strategico si rivelò improvvisamente ​perdente​. Egli sapeva che gl italiani tendevano a privilegiare la guerra negoziata rispetto alla guerra guerreggiata, ma non gli sfuggiva che assecondare una simile tendenza avrebbe significato allungare i tempi dell’impresa. Optò per una ​guerra lampo ante litteram nella quale la diplomazia sarebbe stata relegata ai margini, almeno fino alla conquista di Napoli. I francesi volevano esibire la loro schiacciante superiorità militare. 3) Val Padana 4) Val di Taro 2. ​LA FURIA FRAN​Z​ESE E L’ARTIGLIERIA PESANTE 5) Mordano Un grosso contingente di armati venne spedito da Carlo 8 in Romagna, area nella quale il re di Napoli aveva dislocato una parte consistente del proprio esercito, nella speranza di sbarrare ai francesi l’accesso alle frontiere abruzzesi del Regno. La mossa era improduttiva poiché era bastato un corpo di spedizione milanese, inviato da Moro nella regione a mandare in fumo i ​piani dei difensori: 1) Avevano sperato di spostare nell’Italia settentrionale il teatro di guerra. 2) Avevano pianificato un’irruzione preventiva in Lombardia. Unitosi alle truppe milanesi presenti in Romagna, i francesi vollero dare una lezione agli italiani che avevano provato a “ribellarsi”. La vittima fu: ​Mordano, dove, si era ribellata anche la popolazione contadina. ​Il 19 ottobre Mordano venne conquistata e tutti i suoi abitanti vennero massacrati: la cosiddetta furia franzese. Quanto ai soldati nemici, la furia franzese prevedeva il loro sterminio: alla fine di una battaglia vinta si cercavano i feriti per dare loro il colpo di grazia. Gli ​italiani qualificarono gli avversari con l’epiteto di barbari. Il contingente napoletano in Romagna non osò più cercare il contatto con le forze nemiche. 6) Sarzana Il 22 ottobre Carlo giunse a Sarzana, la porta del dominio fiorentino nella Toscana Litoranea. La cittadina di Sarzana era stata riconquistata nel 1487 ​dai fiorentini​, che nel giro di pochi anni vi avevano edificato un complesso difensivo modernissimo. Firenze possedeva: - Pisa - Livorno Firenze si stava così trasformando da potenza terrestre a potenza anche marittima. La Firenze dell’età di ​Lorenzo il Magnifico intraprese una dispendiosa opera di ​ricostruzione di tutto il sistema difensivo della sua cintura litoranea che partiva da ​Livorno​, proseguiva per ​Pietrasanta ​- dove venne innalzata la rocchetta a presidio dell’ingresso alla città - e culminava a ​Sarzana. Il centro abitato era protetto da una ​robusta cerchia muraria​, sulla quale si innestava una fortezza​, tuttora ben conservata, l’edificio era in grado di ospitare una ​folta guarnigione dotata di scorte. Gli accorgimenti costruttivi che i fiorentini avevano adottato nell’edificare la fortezza di Sarzana tenevano conto dell’artiglieria pesante. Le loro ​mura erano ​basse ma ​spesse​; i larghi torrioni angolari presentavano delle ​curve in modo da smorzare l’effetto dei tiri; un largo fossato ​precludeva agli aggressori l’avvicinamento alle cortine murarie. Contro le fortissime muraglie, non sarebbe risultato decisivo neppure l’impiego del celebre parco d’artiglierie che Carlo 8 recava con sé. IL CANNONE La calata francese del 1494 è famosa per la comparsa del cannone. Nella guerra dei 100 anni, gli stati europei cominciarono a fare ricorso dell’​artiglieria pesante​; per la ​Francia furono ​fratelli Bureau​ ad allestire il primo grande parco di artiglierie del regno. IL PARADOSSO è che, la messa a punto del cannone un contributo fondamentale provenne dalla tecnologia italiana, nella persona di ​Basilio della Scola, ​famoso ingegnere vicentino. Perché nacque il cannone? Per risolvere i problemi logistici dell’impresa napoletano di Carlo 8. Come si poteva trasportare l’artiglieria pesante? Si pensò di creare bocche da fuoco più piccole e più maneggevoli. Si vide che un dosaggio ben calcolato di polvere da sparo consentiva di ​lanciare palle di metallo del diametro di 10 cm​, le quali sparate dalle bombarde (parte attaccata al cannone) si rivelarono capaci di percuotere un muro con una forza di penetrazione molto alta. Il cannone fu concepito come un grosso cilindro di bronzo, il cui fondo era parte costitutiva dell’insieme, e non un elemento aggiunto. Carlo 8 portò in Italia nel 1494 ben 40 cannoni trainato da due coppie di cavalli. 3. ​IL CEDIMENTO DELLA FIRENZE MEDICEA La spedizione francese era stata programmata come una discesa attraverso l’Italia rallentata dal ​minimo numero ​possibili di soste: Sarzana rappresentò il primo intoppo. SARZANA: PRIMO OSTACOLO DEI FRANCESI - NUOVA TATTICA Carlo 8 e i suoi consiglieri si resero conto che sarebbe stato impossibile occupare la città, ma che occorreva assicurarsi che il nemico non fosse libero di usarla come base per tagliare le linee dei rifornimenti. Un assedio sarebbe stata la soluzione più ovvia, ma questo avrebbe implicato l’arresto della marcia e trascorrere l’inverno bloccati. commento:​ tutti si aspettavano un assedio ma i francesi furbamente cambiano meta 7) Fivizzano Essi ​cercarono un obiettivo più vulnerabile​: FIVIZZANO, ossia, una borgata che 20 anni prima era stata ceduta a Firenze dall’ultimo suo signore appartenente a un ramo dei Malaspina. Con questa acquisizione Firenze era scomoda per i marchesi Malaspina di Lunigiana e per gli Este di ferrara della Garfagnana. difensori, che furono costretti a desistere dalle ​ostilità ​senza avere neppure preso in mano la spada. Mentre Carlo 8 si trovava a Viterbo, ​la cittadinanza di Roma cominciò a tumultuare​, protestando per i disagi dell’interruzione delle vie di comunicazione verso nord. Divenne impossibile per le truppe napoletane mantenere il controllo dell’Urbe. Ferrandino il 25 dicembre lasciò Roma alla testa della sua armata, mentre Alessandro 6 si barricò a ​Castel sant’Angelo​. LE VICENDE DI CASTEL SANT’ANGELO Il ​31 dicembre 1494 il re di Francia fece il suo ingresso in Roma, vestendo l’armatura da parata e tenendo la lancia sulla coscia. ​Quello di Carlo 8 era un ​esercito ​composito e al suo interno era forte la ​componente italiana (in particolare di origine abruzzese, reclutata dai Colonna). + componente facente parte della Confederazione elvetica: ​fanterie mercenarie svizzere. La Confederazione era divenuta il laboratorio della trasformazione della natura e dell’impiego delle truppe appiedate, che diede luogo alla ​prima fanteria pesante nella storia dell’Europa moderna. + I fanti svizzero appresero l’uso dello ​schoppietto + divennero esperti nel maneggio della ​picca lunga + portarono alla massima perfezione la ​formazione a falange​, nella forma del ​quadrato svizzero​: 6 mila uomini allineati su 60 righe.Il ritmo e la direzione degli spostamenti venivano impartiti dal suono di pifferi. Uno spettacolo che impressionò gli italiani, rafforzando il loro convincimento di avere a che fare con barbari selvaggi e privi di umanità. Cos’è la Confederazione elvetica? E’ uno stato che nacque dall’iniziativa di comunità di liberi contadini delle regioni alpine che, nel 1291, si riunirono in una lega per contrastare il potere degli Asburgo nella regione. 1499= indipendenza. 5.​ UNA PRODIGIOSA AVANZATA CONTRO IL NULLA Diversi tra i cardinali nemici di Alessandro 6 saltarono sul carro del sovrano. LE VICENDE DI CASTEL SANT’ANGELO (2) Alessandro 6 cerca di difendersi I cannoni vennero puntati contro Castel sant’Angelo per costringere Alessandro 6 alla resa; ma questI chiarò che in caso di bombardamento avrebbe posto sugli spalti le ​reliquie più preziose in suo possesso, compreso il sudario della Veronica, per vedere se i francesi avrebbe avuto l’empietà di colpire. A scongiurare un simile disastro intervenne il ​maltempo. IL POTERE DELLE SUPERSTIZIONI Uno scroscio di pioggia provocò il crollo di un segmento delle muraglie di Castel Sant’Angelo. Questo fu interpretato come un segnale di ​volere divino. Le ​Memorie di Philippe de Commynes, il celebre gentiluomo e diplomatico che si trovava al seguito di Carlo 8 fu ​testimone oculare dei fatti occorsi in Italia. ​Descrisse il clima miracolistico che circondò le imprese italiane del giovane sovrano. Quando anche tra la popolazione della Penisola prese piede questa stessa propensione a scorgere il giudizio di Dio dietro il principio di dissoluzione, il re di Francia cominciò ad essere considerato invincibile perché favorito dal Cielo. A Firenze Savonarola salutò Carlo 8 come nuovo Ciro, figura biblica di cui Dio si servì per restaurare la sua casa. Alessando 6 sottoscrisse l​’11 gennaio un trattato con il quale accordò il libero passaggio alle truppe di Carlo 8, il quale ricambiò il favore lasciandolo al suo posto. Alessando 6 esultante, si preparò a ristrutturare l’organizzazione della Chiesa romana, innalzando figli e nipoti e facendo piazza pulita dei cardinali oppositori. Carlo 8, meravigliandosi delle temperature invernali miti incontrate lungo la strada verso la Campania, vi scorse un sicuro presagio di benedizione. NAPOLI Sul versante interno ​Ferrante ​e ​Alfonso II si riproposero di istituire una monarchia sul modello iberico, che avrebbe dovuto ridurre alla subalternità un baronaggio eccessivo. Tuttavia la durezza dei mezzi impiegati compromisero questa possibilità. Il risultato fu un indebolimento del corpo politico che si difese frantumandosi e distaccandosi dall’autorità del sovrano. Benchè inferiore di numero e demoralizzato, l’esercito napoletano restava dotato di effettivi tali da abilitarlo a una tattica di contenimento dell’avanzata nemica. Ferrandino poteva ancora schierare 5-6 mila cavalli e circa 12 mila fanti. MA alla notizia che l’esercito di Carlo 8 si trovava entro i confini del Regno le popolazioni locali si sollevarono invocando i francesi come liberatori. ​Ferrante fu costretto ad arretrare sempre di più: ​la casa di Aragona sarebbe stata detronizzata senza che la sua forza militare venisse mai messa alla prova sul campo di battaglia. LA FUGA DI ALFONSO II Il 21 gennaio 1495 egli abdicò in favore del figlio Ferrandino, che divenne così re di Napoli con il nome di Ferrante II. L’ex re, travestito da frate, fuggì dalla capitale, imbarcandosi su una nave diretta in Sicilia insieme al tesoro regio e agli oggetti di maggior valore. La fuga del re ebbe luogo mentre gli abitanti di città e villaggi spalancarono le porte agli invasori. Carlo 8 mise in risalto il deficit di maestà che affliggeva i sovrani aragonesi e tutti i signori della Penisola, la cui capacità di farsi obbedire trovava il suo principale fondamento nella reputazione di ferocia, anziché nell’ammirazione e nell’attaccamento dei sudditi. Si rese evidente nella politica italiana la distanza tra programmi/azioni dei governanti + i bisogni e le attese dei governati. MANCANZA DI COESIONE: Di fronte al pericolo ciascuna componente della società e del territorio elaborò una propria strategia ​mai di solidarietà​ con il sovrano minacciato. ECCEZIONI: In Ciociaria, gli Aragonesi annoveravano baroni e comunità loro fedeli. Qui l’esercito di Carlo 8 trovò l’occasione di impartire una dimostrazione della propria ferocia. L’obiettivo fu ​Monte San Giovanni che commise la colpa di opporre resistenza. Persero la vita 700 persone di estrazione contadina. Ferrandino condusse l’esercito Aragonese a Capua. I capuani attesero che Ferrandino partisse per Napoli in cerca di rinforzi, dopo di che scatenarono e chiamarono i francesi, aprendo loro le porte. L’aggressività che le popolazioni locali non mostravano verso gli invasori venne riversata contro gli ex dominatori. I capuani assalirono loro stessi i difensori e li misero fuori combattimento. Il 18 febbraio 1495 Capua accolse il re di Francia con la sua armata; lo stesso giorno la febbre della ribellione salì anche tra la popolazione di Napoli: la furia popolare qui si accanì anche contro le case e le botteghe degli ebrei, devastole e facendo vittime. La rivolta di Napoli fu diretta: 1) verso il sovrano 2) vero la struttura amministrativa creata anche grazie al prestito ebraico. Il 22 febbraio 1495 Carlo fece il suo ingresso a Napoli reggendo uno dei suoi ​falconi da caccia ​a significare che la conquista del Mezzogiorno era stata per lui una gita di piacere. CAPITOLO 2 La fine del regno di Napoli La riscossa antifrancese Davanti alla calata francese, Venezia dov’era? Venezia aveva optato per la neutralità: una scelta dettata dal desiderio di vedere la rovina della stirpe aragonese di Napoli, la rivale maggiore. Una scelta che le si ritorce contro: La potenza napoletano non era stata cancellata; semplicemente, a governarla era subentrato un monarca più temibile dei precedenti sovrani. Milano reagisce allo stesso modo ma sbaglia i suoi conti: non si aspettava la resa di Firenze Ludovico il Moro si dichiarò adesso desideroso di espellere il re di Francia dall’Italia: aveva accompagnato personalmente Carlo 8 durante la sua discesa verso sud. Secondo i suoi piani la difesa a oltranza di Sarzana e Sarzanello da parte fiorentina sarebbe dovuta terminare con un arbitrato, che sarebbe stato rimesso allo stesso Ludovico il Moro in qualità di fiduciario delle parti. In cambio Ludovico avrebbe preteso per sé la signoria su ​Pisa​, avendo cura di far restituire Sarzana ai genovesi. La casa d’Aragona sarebbe stata salvata ma costretta ad accettare Ludovico il Moro come nuovo duca di Milano. a rallentare. L’armata francese preferì attenderla allo sbocco della vallata, in un punto pianeggiante nel quale il corso del fiume si allarga: la scelta del terreno fu controproducente; il peggio fu che l’opzione del Gonzaga lasciò indifesa ​Pontremoli (Massa-Carrara)​, che i francesi saccheggiarono. FORNOVO (1495) LA TATTICA DEL MARCHESE DI MANTOVA Il marchese di Mantova elaborò una manovra tattica che intendeva evitare l’impatto frontale. L’esercito di Carlo 8 marciava ripartito in tre segmenti corrispondenti a: 1) avanguardia 2) centro 3) retroguardia percorrendo la strada che costeggia la riva destra del fiume Taro. In corrispondenza dell’esercito nemico, il Gonzaga divise le proprie forze in tre parto che presero posizione sulla riva sinistra del fiume e che attesero il passaggio dei francesi. Il marchese immaginò un attacco su ambedue i fianchi dell’intero convoglio nemico: sulle alture sovrastanti la riva destra del Taro appostò la cavalleria leggera veneziana, costituita da reparti detti “stradiotti” di nazionalità ​albanese​. La battaglia ebbe luogo il 5 luglio 1495, presso ​Fornovo ​sul Taro ma fallì. A compromettere la riuscita della manovra dai lati intervenne il ​maltempo​. Sulla riva opposta comparve un esercito che aveva adottato una formazione a maglio percussore con il parco artigliere in testa, difeso dalle fanterie svizzere e pronto ad aprirsi la strada a colpi di cannone. Seguivano il centro, nel quale era compreso il re+ la guardia regia, e una retroguardia poco misurata costituita dalle salmerie che trasportavano la parte più preziosa del bottino fatto a Napoli. L’avanguardia francese non ebbe problemi a ributtare indietro gli attaccanti. Un principio di cedimento si aprì al centro, dove la persona del re si trovò esposta alla carica che francesco Gonzaga condusse alla testa della sua cavallerie mantovana. La vittoria fu completa sulla retroguardia francese che venne sopraffatta e abbandonò i suoi tesori. Gli stradiotti anziché calare sull’avanguardia francese e riaprire lo scontro, si gettarono sulla retroguardia per depredarla. Il segmento centrale potè unirsi all’avanguardia per riprendere la marcia verso nord. A completare il fallimento l’ambigua condotta del contingente milanese, che avrebbe dovuto chiudere il transito verso la val Padana, ma che li lasciò passare senza mettersi loro di travers. ​Ludovico il Moro ​pensava di propiziarsi un accordo con Carlo 8 per riavere Novara. Seppur molto inferiori di numero e costrette a stare sulla difensiva, le truppe di Carlo 8 riuscirono a rompere le file degli assalitori. Colsero l’obiettivo di oltrepassare l’ostacolo e guadagnare la pianura Padana. Per quanto rivendicata come una vittoria da Francesco Gonzaga e dalla propaganda veneziana. Il 15 luglio Carlo 8 entrava ad Asti. Egli continuava a disporre di numerosi addentellati nella Penisola, che spremette per finanziare il suo viaggio di ritorno in Francia. Riuscì a estorcere denaro a Firenze e Ludovico il Moro - dopo aver recuperato Novara - compì l’ennesimo voltafaccia e si precipitò a concludere con la Francia un trattato di pace a Vercelli. La Serenissima figurava come l’unica in grado di contrastare le ambizioni di dominio dei transalpini. LA RESTAURAZIONE ARAGONESE Nella primavera del 1495 re Ferrandino d’Aragona sbarcò in Calabria e intraprese la risalita verso Napoli. La sua azione fu salutata con favore dalle popolazioni locali. Il presidio che Carlo 8 aveva lasciato non fu sufficiente a mantenere il possesso di napoli. Le truppe francesi dovettero abbandonare la Campania e riparare verso la Puglia, attendendo rinforzi. Nella sua lotta potè contare su Ferrandino il Cattolico e su Venezia. In cambio dell’aiuto la Serenissima si fece cedere da Ferrandino un buon numero di città portuali della costa pugliese. L’intraprendenza veneziana e il riscatto della casa aragonese di Napoli funsero da stimoli per lo sviluppo di un orientamento politico-ideologico all’interno dei ceti dirigenti della Penisola, i “buoni italiani”. Una linea diretta a riportare in vita gli schemi vigenti nella Penisola ai tempi della “politica dell’equilibrio”: un programma che prevedeva l’espulsione degli oltremontani dall’Italia e la ricostituzione di un assetto governato da principi e signori autoctoni. Nei primi decenni del 500, con l’evidenziarsi dell’impossibilità di un ritorno alla situazione del 400, la corrente dei “buoni italiani” si rivelò perdente ma divenne egemonica sul piano culturale Molti suoi adepti, tra i quali Guicciardini, cercarono nella riflessione sul passato una via di “fuga” dal presente, elaborarono così il tema storiografico della “libertà d’Italia” intesa come autogoverno. La libertà d’Italia torna in auge con il ritorno di Carlo 8 in Francia. La restaurazione aragonese intese essere l’apertura di un capitolo nuovo nella storia dei rapporti tra monarchia e baronaggio. Concesse il perdono agli oppositori e curò di spegnere le dispute di successione interne alla propria casata. Decise di sposare la diciassettenne zia, in modo da non permettere ai parenti del ramo iberico di intromettersi nelle trattative. Intendeva relegare ai margini Giovanna d’Aragona sorella di re Ferdinando il Cattolico. Ferdinando aveva manifestato l’intenzione di riunire sotto di sé tutti i possedimenti detenuti dallo zio Alfonso il Magnanimo, e dunque di riaccorpare il Mezzogiorno alla monarchia barcellonese. Il disegno di Ferrandino intendeva avvalersi della solidarietà di Venezia per riattribuire al Mezzogiorno d’Italia la condizione di uno stato autonomo e sovrano. Tuttavia Ferrandino morì prematuramente senza eredi diretti. Una frazione del baronaggio napoletano, determinata a estromettere Ferdinando il Cattolico offrì la corona a Federico d’Aragona, zio del defunto re. L’ala del baronaggio non si piegò a un compromesso. Il principe di Salerno, seguito dal conte di Conza, dal duca di Sora costrinse il nuovo re Federico ad aprire una campagna repressiva. La rivolta del principe di Salerno venne stroncata con l’espugnazione della sua roccaforte di Diano. Federico d’Aragona si ritrovò in isolamento sul piano internazionale e la mancanza di legittimazione da parte della Chiesa romana. Sulla debolezza della sua posizione speculò Alessandro VI che puntò a strappargli Taranto. Federico non diede spazio al pontefice mail risultato fu che papa Borgia cominciò a vagheggiare l’ipotesi di un’alleanza con la Francia, al fine di arricchire la propria casata. Dopo aver represso la sollevazione baronale, Federico aprì le ostilità contro gli ultimi residui dell’esercito francese ancora presenti sul suolo italiano. Alla corte di Carlo 8 si era già messo nel conto l’invio nel Mezzogiorno di una nuova armata. Ma morì improvvisamente nel 1498. L’esercito che egli aveva allestito sarebbe stato utilizzato dal suo successore, Luigi 12 per conquistare Milano. Luigi 12 rese noto di ambire al posesso sia del nord sia nel sud della Penisola; l’incorporazione del ducato di Milano nel regno di Francia fu portata a compimento nel 1500. FEDERICO VS FERDINANDO IL DECLASSAMENTO A VICEREGNO Il modo in cui Federico pervenne al trono indispettì Ferdinando il Cattolico​, il quale notificò che dal punto di vista giuridico il Mezzogiorno era da considerarsi vacante e doveva essere devoluto alla corona catalana. IL sovrano iberico era convinto che fosse tempo di spodestare i cugini di ramo napoletano. A determinarlo a ciò fu soprattutto lo slittamento in direzione della Francia, compiuto fra il 1498 e il 1499 da papa Alessandro VI. Bisognoso di appoggi, ​Luigi XII strinse un patto con ​Venezia​, promettendole una parte della Lombardia se avesse partecipato a un assalto ai danni di Ludovico il Moro. Riuscì ad attrarre a sé anche il ​papa​, assicurandogli il sostegno militare necessario alla conquista di uno stato per ​Cesare Borgia​ in Romagna. L’adesione di Venezia e del papa mise in allarme Ferdinando il Cattolico. LA SPARTIZIONE DEL REGNO DI NAPOLI Il Cattolico allacciò con Luigi XII un’intesa che trovò espressione nel trattato di Granada. Stabilirono la soppressione della dinastia aragonese di Napoli e la spartizione del Mezzogiorno in due grandi aree, una francese e una spagnola. Alessandro VI aveva nel frattempo scomunicato re Federico per mettere in lista la famiglia Borgia. LA DIFESA DI RE FEDERICO Un prezioso elemento di vantaggio, che il Gran capitano seppe sfruttare, fu dato dalla superiorità navale della Spagna: un fattore che gli consentì di applicare la strategia dilatoria, grazie ai rifornimenti provenienti dal mare. Si avvalse così della ​consulenza dei suoi massimi assistenti italiani: i baroni romani Fabrizio e Prospero Colonna. Il genio militare del primo fu celebrato nell’​Arte della guerra di Machiavelli. Consalvo comprese che la superiorità dei francesi era data: 1) dalla loro cavalleria pesante 2) dalle truppe appiedate 3) le fanterie elvetiche avevano aggiornato le loro strategie. Non era facile trovare il modo di imitare gli svizzeri, nell’intento di arrivare a sconfiggerli utilizzando i loro stessi metodi. Ci avevano provato per primi i corpi di fanteria della Germania meridionale: i ​lanzichenecchi​. Ossia, bande di mercenari che nell’ultimo ventennio avevano adottato la picca lunga e la tattica degli svizzeri. A incoraggiare questa crescita di qualità delle fanterie lanzichenecche furono gli Asburgo, che le stipendiarono per combattere contro la Confederazione elvetica o per presidiare le città delle Fiandre o per combattere contro i veneziani. Ai sovrani dell'impero germanico divenne indispensabili trovare tra i loro sudditi un contraltare alle fanterie della Confederazione elvetica, da quando si collegò al regno di Francia. Fu un contingente di fanterie lanzichenecche a essere inviato da Massimiliano d’Asburgo in Puglia nella primavera del 1503. A Cerignola, la sera del ​28 aprile 1503 Consalvo e i due Colonna optarono per una posizione per difendibile sulle sue alture. Fecero scavare un fossato e innalzare un terrapieno; Tra la sorpresa generale, queste precauzioni bastarono a sbriciolare l’impeto degli assalitori. Il disastro si fece completo quando gli spagnoli applicarono la tattica di cambio repentino dalla difensiva all’offensiva. Consalvo e i Colonna diedero il via al contrattacco: immediatamente i fanti spagnoli saltarono oltre il fossato, scannando i malcapitati che si trovarono di fronte. La ​battaglia durò mezz’ora e i francesi persero più di 3 mila uomini. Di fronte alla “​furia franzese​” gli spagnoli non si lasciarono intimidire, ma replicarono con eguale ferocia. Dall’esercito transalpino si salvò solo la retroguardia, che battè in ritirata verso la città-fortezza di Gaeta, il 16 maggio, Consalvo di Cordova entrò a Napoli, acclamato dalla folla; la guarnigione francese in città si rinchiuse in ​Castel Nuovo ​e in ​Castel dell’Ovo​, preparandosi all’assedio. Per nulla deciso a gettare la spugna, Luigi XII si affrettò a raccogliere una nuova poderosa armata nella Francia meridionale e in Val Padana. Venne spedita nel Mezzogiorno contro un esercito spagnolo inferiore. GARIGLIANO Mentre l’esercito era diretto verso il Mezzogiorno, Alessandro 6 morì. Determinato a influenzare l’esito del conclave, il sovrano francese fece pervenire ai suoi capitani l’ordine di muovere verso sud, raggiungendo al più presto ROma. I cardinali non si fecero impressionare ed elessero un ​papa antifrancese​ nella persona di Pio III Piccolomini. I comandanti francesi non seppero come replicare e dovettero riprendere la marcia verso Napoli ma avevano perduto tempo. OSTACOLI : 1) ROCCASECCA - 2) GARIGLIANO - L’avanzata transalpina procedette a rilento, specialmente a ​Roccasecca​, dove venne sfatato il mito dell’irresistibilità della nuova artiglieria pesante. Le mura della cittadina ciociara crollarono in diversi punti ma le fanterie svizzere e guasconi non riuscirono a penetrare attraverso le brecce, presiedute dai difensori iberici. - Garigliano; la portata d’acqua di questo fiume era massiccia per cui venne gettato un ponte di barche presso Minturno. Invano Consalvo cercò di contrastare l’operazione. I francesi conservarono il possesso del ponte e il controllo di un accesso fortificato alla riva sinistra del Garigliano, sotto gli occhi degli spagnoli che non poterono fare altro che tenerli sotto osservazione. Dato che la cattiva stagione era alle porte, ​la prosecuzione dell’impresa venne rinviata alla primavera successiva. Le truppe vennero sparpagliate nei centri abitati dei dintorni per concedersi alcune settimane di riposo. In quei giorni però ​Consalvo di Cordova si convinse che era necessario attaccare​. L’intuizione gli venne suggerita da un condottiero umbro, Bartolomeo d’Alviano. Costui escogitò un piano consistente nel costruire un altro ponte di barche un po’ più al nord, di cui le truppe spagnole si sarebbero servite per passare sulla riva destra del Garigliano ed effettuare una controffensiva​. -> ​ALL’ALBA DEL 28 DICEMBRE 1503 -> ​scattò il dispositivo di attacco. Il ponte spagnolo quando diventò visibile fu troppo tardi per le vedette francesi, i comandanti ordinarono la ritirata. I cavalleggeri di Prospero Colonna li incalzarono, mentre Bartolomeo d’Alviano si affrettò a tagliare loro la strada. Al calare della notte del 29 dicembre l’esercito transalpino non esisteva più: una gran parte era stata sgominata, il resto aveva guadagnato Gaeta, dove si era rinchiuso in attesa di patteggiare una resa onorevole. Nel negoziare la resa i comandanti francesi dentro Gaeta misero avanti ​tre condizioni: 1) il rilascio dei prigionieri 2) la garanzia del libero transito verso nord 3) un’amnistia per i baroni napoletani che avevano parteggiato per il re di Francia. risultato: ​Consalvo di Cordova non accettò la terza richiesta. ​I nobili cavalieri francesi lasciarono gaeta prendendo il mare, grazia alla marineria genovese. Le fanterie svizzere, guasconi e normanne dovettero prendere a piedi la via di terra verso nord. Il fatto d’arme del Garigliano assegnò il possesso del Mezzogiorno d’Italia alla Spagna che lo avrebbe mantenuto per due secoli. Consalvo fu nominato vicerè di Napoli. CAPITOLO 3 La caduta di Milano 1. La porta d’Italia Ludovico il Moro aveva due obiettivi: 1) continuare la sua lotta antifrancese 2) non consentire a Venezia di accrescersi. CERCA L’ALLEANZA CON I TEDESCHI A partire dall’autunno del 1495 il duca di Milano intensificò i contatti con Massimiliano d’Asburgo, invitandolo a scendere in Italia per cingere la corona imperiale. Cosa significa cingere la corona imperiale? La consuetudine medievale voleva che il sovrano del Sacro romano impero assumesse provvisoriamente il titolo di re dei Romani, fino a che non si fosse recato a Roma per ricevere dalle mani del papa la corona e il titolo di imperatore. Sulla strada verso l’Urbe egli avrebbe dovuto compiere qualche impresa a beneficio della cristianità a difesa della giurisdizione imperiale (​lui cosa farà in particolare?​) Dal Reich, l’Italia era un coacervo di poteri abusivi: urgeva un risanamento, che un imperatore conscio dei propri doveri era chiamato a compiere defenestrando gli usurpatori e ripristinando la propria sovranità attraverso l’insediamento di vassalli e vicari di sua nomina. Massimiliano d’Asburgo fin dal 1486 aveva ricevuto il titolo di re dei Romani ma non quello di imperatore. Lo Sforza si offrì in qualità di organizzatore della calata: Il Re dei Romani avrebbe dovuto: 1) castigare la Repubblica fiorentina, che si ostinava a restare collegata con il re di Francia nella speranza di recuperare Pisa. Anche Siena e Lucca avrebbero aderito all’iniziativa, in modo da formare una federazione di città-stato che avrebbe privato Firenze del suo sbocco sul mare. MASSIMILIANO SI SENTE TRADITO Nel 1496 scese in Italia. Confidò nel sostegno militare e finanziario di Milano che gli aveva promesso anche a nome degli altri membri della Lega. Ma questo sostegno non arrivò e sub’ una serie di rovesci tra Livorno e Vicopisano. Così ​tornò in Austria​. I veneziani si scusarono allegando lo sforzo finanziario che stavano profondendo nella lotta antifrancese nel sud a favore di Ferrandino d’Aragona. La Serenissima non avrebbe contribuito 2) Venezia fosse lenta nel decidere ma, una volta conquistati dei terreni, non li perdesse. L’accordo franco-veneto fu stipulato nel febbraio 1499. Anche ​Alessandro VI ​volle allearsi con i francesi. Il progetto venne esposto dal giovane Borgia. Cesare ottenne la propria assunzione nei ranghi dell’alta nobiltà transalpina: raggiunto mediante un matrimonio combinato dal re tra ​Cesare e Charlotte d’Albret​, una principessa della stirpe di Navarra. In più gli venne assegnato il contado di ​Valentinois (da qui il duca Valentino). I piani messi a punto alla corte di Francia stabilirono che Cesare avrebbe partecipato all’impresa italiana che questi si apprestava a compiere. Il primo gradino della sua ascesa fu individuato nella Romagna, una regione nominalmente soggetta alla sovranità della Sede apostolica ma frazionata in una pluralità di signorie. Una volta tramontata la potenza sforzesca in Lombardia, sarebbe stato facile per Cesare muoversi alla conquista di Imola, Forlì e Pesaro, rette da famiglie imparentate con la casa ducale milanese. L’ORA DELLA VERITÀ - LA CADUTA DELLE CERTEZZE STRATEGICHE DI LUDOVICO IL MORO Massimiliano d’Asburgo non volle varcare di nuovo le Alpi, tutto quello che elargì allo Sforza fu la promessa di un attacco diversivo contro gli svizzeri, finalizzato a impedire a costoro di congiungersi alla Francia. Ma ​nel febbraio 1499 patì una sconfitta. Il disastro mise il re dei Romani nella reale possibilità di difendere il suo vassallo Ludovico il Moro. LUDOVICO IL MORO PERDE LA SUA DIGNITÀ: OFFRE MOLTI SOLDI IN CAMBIO DELLA “NON AGGRESSIONE” Il duca di Milano offrì a luigi 12 un donativo di mezzo milione di ducati, più la promessa di un tributo annuo di 10 mila ducati in cambio della non aggressione. ​Il sovrano francese - dal canto suo - riconfermò il piano di invasione. L’OFFENSIVA L’offensiva scattò nella seconda settimana di agosto del 1499. Comandato dal Trivulzio, mosse verso Alessandria. Il lugubre copione della “furia franzese” venne replicato anche in Lombardia e non mancò di produrre l’effetto voluto, seminando il terrore e la propensione alla resa. L’esercito milanese era inferiore a quello transalpino. ​Galeazzo Sanseverino​, genero di Ludovico il Moro, venne mandato incontro al Trivulzio. TRIVULZIO TEMEVA DI RIMANERE BLOCCATO DURANTE LA CATTIVA STAGIONE -> Trivulzio puntò dritto a Milano e mise in atto una strategia basata sulla propaganda, finalizzata a ridurre al minimo il momento del confronto bellico. Conoscendo il forte malcontento dei sudditi promise pace, giustizia e condoni fiscali grazie al retto re di Francia. Le popolazioni rurali risposero in modo entusiastico. Il Trivulzio potè così occupare il territorio che incontrò davanti a sé. Impossibilitato a predisporre un fronte difensivo nella campagne, Galeazzo Sanseverino fu costretto a portare le sue truppe dentro Alessandria, con l’intenzione di fare di questa città il cardine della resistenza; ma anche qui scoprì che gli umori degli abitanti protendevano per il patteggiamento. Smarrito fece base a Pavia; ma i francesi lo prevennero, incalzandolo ad Alessandria. - Galeazzo scappò dalla città e si rifugiò a Milano. Le truppe milanesi, quando seppero che i superiori si erano dileguati, disertò il combattimento. La ​Serenissima ​era nel frattempo entrata in azione con un’armata munita di un parco di artiglierie moderno. Le truppe dislocate alle frontiere orientali, affidate al comando di Gian Francesco Sanseverino (fratello), arretrarono permettendo ai veneziani di occupare Cremona e Treviglio. Il Trivulzio stava marciando verso Milano: Ludovico il Moro e i suoi collaboratori non presero neppure in considerazione un’azione di resistenza; Ludovico il Moro il 2 settembre scappò da Milano diretto verso le terre austriache degli Asburgo, il corteo portò via un tesoro di 200 mila ducati. UN’EFFIMERA RICOMPARSA L’esperienza insegnava che gli stati si abbandonavano e si riacquistavano con la stessa facilità, a seconda del variare delle circostanze. In vista del recupero del dominio perduto, era consigliabile mantenere il possesso di un caposaldo (una fortezza ad esempio). Il ruolo politico militare delle ​fortezze ​divenne di fondamentale importanza nella prassi di governo degli stati rinascimentali. Principi e signori fecero a gara per costruirne e ammodernarne il maggior numero possibile. Così ​Ludovico il Moro si apprestò a difendere il castello di Porta Giovia​,i cui depositi vennero riforniti di armi, munizioni e vettovaglie. IL MORO SI DIMOSTRA DI NUOVO INCAPACE DI SCEGLIERE LE PERSONE La custodia del Castello venne confermata a ​Bernardino Corti​, il quale giurò di resistere per almeno tre settimane a un eventuale assedio del Castello: entro quel termine, Ludovico il Moro contava di essere di ritorno in Lombardia, con un numero di soldati reclutati nelle terre del re dei Romani. Ma quando il 6 settembre Gian Giacomo Trivulzio entrò in Milano, Bernardino si era già disposto a mercanteggiare la ​resa​. L’assedio al Castello di Miano avrebbe potuto risolversi in uno stallo, visto che era moderno e forte, ​ma Gian Giacomo Trivulzio non ebbe bisogno di nessuna arma, entrò il 17 settembre. Corti accettò di consegnare la fortezza dietro la promessa di incolumità per sé e per la guarnigione. I sudditi lombardi accolsero Luigi 12 nel suo ingresso in Milano il 18 ottobre 1499. ​Ma ​le promesse di giustizia e di abbattimenti fiscali, di cui i conquistatori erano stati larghi finché occorreva cacciare via Ludovico il Moro, erano state dimenticate. Il 28 ottobre nella capitale scoppiò un primo tumulto. Nei giorni successivi vennero varate alcune importanti riforme: 1) La creazione del Senato incaricato di gestire gli affari. 2) La sua amministrazione venne delegata alle cure di una nobiltà locale la cui preminenza sociale venne dal re riconosciuta e garantita. Tali riforme non bastarono a creare una base di consenso. Infastidito, Luigi 12 lasciò Milano mentre tra le popolazioni lombarde dilagava il rimpianto degli antichi signori. Ludovico il Moro fu spinto così a cogliere l’opportunità​: lo Sforza decise di fare tutto da solo e verso la fine di gennaio del 1500 irruppe nel Comasco alla testa di un’armata stipendiata con il suo tesoro. Un’ondata di esultanza si propagò per il ducato di Milano. i francesi avevano evacuato le zone meno difendibili tra Novara e Alessandria. Le fortezze rimasero sotto la custodia di guarnigioni sottoposte a castellani di nazionalità transalpina, i quali si caratterizzavano per una lealtà e una tenacia ben diverse (vs italiani). Ludovico si impadronì del ducato di Milano in due settimane ma le rocche urbane erano in mano al nemico. Ludovico entrò in Milano il 5 febbraio, ricevendo un’accoglienza trionfale, ma non vi si trattenne: il giorno stesso ripartì alla volta della parte occidentale del ducato, che era urgente riportare alla sottomissione. Consumato il tesoro che si era portato dietro, lo Sforza si trovò a dipendere dal gettito fiscale del ducato appena riacquisito. Le tasse assunsero la natura di donazioni volontarie: una folata di entusiasmo patriottico portò in cassa una buona somma. Poi il gettito si affievolì e impelegato tra la Lomellina e il Novarese, Ludovico non seppe passare all’attacco. ​I contributi non bastarono neanche a coprire le spese del secondo mese di guerra. NOVARA (1500) Solo il 2 marzo Ludovico il Moro si decise a porre l’assedio a Novara, egli chiese rinforzi al suo principale alleato in terra svizzera; Shinner gli mandò un contingente folto ma di bassa qualità, formato dagli scarti delle compagnie ingaggiate dal re di Francia. Colonna strinse insieme a costoro un'intesa offensiva che mise il baronaggio laziale sul piede di guerra contro il Valentino. I maggiori condottieri delle famiglie romane si distaccarono quasi tutti dalla Francia voltando la loro fedeltà ora a Venezia ora alla Spagna. Spagna: vittoria spagnola a ​Cerignola e al Garigliano Venezia: uscì dall’immobilità e cominciò a manifestare i primi cenni di aperta ostilità contro di lui. Alessandro 6 negli ultimi mesi della sua vita sollecitò Venezia a prenderlo sotto la sua protezione e a impostare una collaborazione con la santa sede. Ma i veneziani non raccolsero l’invito, essi diedero mano ai preparativi per una guerra in Romagna. CAPITOLO 4 La sconfitta di Venezia CONTROVERSO RAPPORTO CON IL PAPATO Venezia esce dalla scena italiana dopo aver portato a termine l’occupazione di Cremona e della Ghiaradadda a spese della Milano sforzesca, la repubblica di Venezia si eclissò. ​La ragione ​fu che dovette vedersela con i ​turchi​. La Serenissima si trovò a fronteggiare l’offensiva nell’Egeo, che le costò la perdita di Modone e Corone. Dopo aspre lotte potè pervenire a una ​nuova pace con il sultano Bajazet II ​dopo tre anni. VENEZIA E IL PAPATO La Serenissima aveva ricercato il sostegno del papato, il quale deteneva il potere di indire una crociata, espediente con il quale si potevano raccogliere mezzi militari e monetari da convogliare nella lotta contro i turchi. Alessando 6 barattò l’accettazione delle loro richieste di aiuto con l’assenso che essi furono forzati a dare alla creazione di un ducato romagnolo per Cesare Borgia. Così fu siglata a Buda nel maggio 1501, un’​alleanza che vide unite la Chiesa romana + Venezia + Ungheria​. La flotta turca si affrettò a offrire una ​pace che consentì a Venezia di tornare a figurare come regina dell’Adriatico e come condomina dell’Egeo. I veneziani avrebbero potuto trovare nel papa l’interlocutore per risolvere il problema delle guerre d’Italia. Dal 1494 la Penisola era precipitata in una instabilità che aveva prodotto la presenza del regno di Francia in val Padana. Ma con la morte di Alessandro 6, il Senato diede il via alla prima fase dell’operazione di smantellamento del ducati borgiano di Romagna: venne permesso ai signori spodestati dal Valentino di partire alla riconquista dei loro stati. Nel contempo, venne disposto di attivare la fazione filoveneziana presente nelle città e nei contadi dell’area romagnola. Al fine di predisporre l’accoglienza delle truppe e dei rappresentanti della Serenissima avrebbe mandato a sancire il passaggio di sovranità. Come successore di Alessandro 6 i cardinali prescelsero Pio III, un pontefice avverso alla Francia, che si preparò a rimettere in discussione l’assetto della Penisola. Pio III morì a un mese dall’elezione. A succedergli fu ​Giuliano delle Rovere (Giulio II). Giulio II ​stringe amicizia e legami con Francia e Venezia, le quali si illusero di disporre di un papa amico. Giulio II non volle pronunciarsi in merito alla politica italiana prima di sapere quale sarebbe stato l’esito dello scontro che andava preparandosi tra Francia e Spagna alle frontiere del regno di Napoli. La sede apostolica associava il principio della ​libertas ecclesiae ​all’ideale della ​libertà d’Italia​, inteso come impegno alla conservazione di un panorama della Penisola articolato in una pluralità di stati autogovernati, aventi dimensioni di piccola e media potenza. AMBIZIONI INCROCIATE SULLA ROMAGNA - L’ALLEANZA CHIESA-VENEZIA NON ANDARONO A BUON FINE Il nuovo pontefice richiese ai veneziani la rinuncia a mettere le mani sul ducato di Romagna, che egli dichiarò di voler togliere al duca Valentino per devolvere alla Camera apostolica. In cambio avrebbero liberato insieme l’intera val Padana alla presenza francese: ​i veneziani risposero negativamente. Il Senato veneto optò per il guadagno ​immediato ​e scelse di tenersi la Romagna. A confermare la sua rivalità con il papato fu la disfatta subita dai francesi al Garigliano. Luigi 12 ebbe bisogno dell’amicizia veneziana per non porre a repentaglio la conservazione di Milano. La temporanea paralisi militare della Francia diede ai veneziani la certezza do poter procedere indisturbati all’annessione dell’ex dominio romagnolo di Cesare Borgia. La prima città dell’ex ducato borgiano di Romagna a venire occupata fu ​Rimini​. Seguì ​Faenza - Ravenna - Cervia​. Giulio II non potè fermare con la forza le annessioni compiute dalla Serenissima, poiché non disponeva di alcuna risorsa finanziaria; ma dietro una falsa promessa di liberazione, nel dicembre 1503 il pontefice riuscì a farsi consegnare dal Valentino, che teneva prigioniero in Vaticano, le fortezze di Cesena, Bertinoro, Forlì e Forlimpopoli, che l’ex duca di Romagna controllava ancora in quanto custodiva nelle proprie mani i contrassegni di riconoscimento. Una volta impadronitosi delle fortezze, Giulio II organizzò la mobilitazione del partito filoecclesiastico​. - Nell’estate del 1504 ottenne: 1) Imola 2) Forlì 3) Fano 4) Cesena LA CONTROMOSSA VENEZIANA Una contromossa veneziana fece leva sullo spirito separatista che animava gli abitanti delle aree rurali nei confronti del capoluogo. Sempre manovrando le fazioni locali, il Senato ottenne che le popolazioni dei contadi di Imola e di Cesena si distacassero dalla soggezione ai rispettivi capoluoghi e si offrissero in dedizione a San Marco. Il colpo fu duro poiché all’epoca una città senza contado era un organismo destinato a soffrire di gravi problemi. Il pontefice dichiarò che l’insolenza veneziana era meritevole dei più severi castighi. Con il Mezzogiorno in mano agli spagnoli e la Lombardia in mano ai francesi, a Giulio II conveniva coltivare l’amicizia con la Serenissima. GIULIO II CERCA ALLEANZE - UN’EUROPA ANTIVENEZIANA Nell’arco dei primi mesi del 1504 la diplomazia pontificia si mise all’opera e ventilò ai sovrani di Francia, Spagna, Impero germanico e Ungheria-Boemia la possibilità di un attacco congiunto ai danni di Venezia. - Massimiliano NON ​raccolse le sollecitazioni di Giulio II, in quanto le questioni pendenti in terra italiana erano diventare per lui materia di divergenza con il figlio Filippo il Bello​. Egli era legato per via matrimoniale con la casa reale spagnola​, si era dato a ricercare un’intesa parentale anche con il re di Francia, animato dall’intenzione di giungere a una spartizione della val Padana. Così aveva combinato il fidanzamento tra il proprio figlio Carlo (futuro imperatore Carlo V) e una figlia di Luigi XII. Alla futura sposa sarebbe stato assegnato in dote, il ducato di Milano, in modo da chiudere la disputa franco-asburgica. Filippo il Bello ERA ​d’accordo con l’intesa con il papa e la politica antivenziana. - Luigi XII: anche luigi rispose all’appello del Papa. Dopo aver propiziato l’unione tra le casate d’Asburgo e di Valois ai danni della Serenissima, il pontefice scomparve e non figurò tra i contraenti del patto, che si articolò nella forma di un triplo trattato fra Filippo d’Asburgo e Luigi 12 di Francia nel castello di Blois il 22 settembre 1504: - Con i ​primi due venne promessa a Luigi 12 l’investitura del ducato di Milano, che Luigi a sua volta si impegnò a rendere alla casa d’Asburgo in qualità di dote per il matrimonio. - Con ​il terzo trattato si prospettava un assalto congiunto alla Terraferma veneta ai fini di spartizione. La grande alleanza europea non incuteva timore: la sapevano fragile, in quanto formata da membri divisi. Così i veneziani decisero di temporeggiare aspettando che fossero gli avversari a esporsi attaccando onde individuarne i punti deboli. Una strategia professata dal capitano generale, ​Niccolò orsini​, Conte di Pitigliano. MA tale linea appariva in contrasto con il comandante in ​seconda​, ossia ​Bartolomeo d’Alviano che optava per la replica della furia franzese. AGNADELLO (1509) Nella primavera del 1509 si diffusero voci che davano Massimiliano d’Asburgo in ritardo nei preparativi. L’Alviano propose di sferrare il primo colpo ma il Pitigliano scartò l’idea. La cautela del Pitigliano teneva conto che l’esercito veneto era - con i suoi circa 30 mila uomini - nettamente inferiore a quello francese. Inoltre le sue truppe erano composte per una gran parte di novizi, reclutati dal contado. La loro preparazione militare era approssimativa ma era compensato da un forte attaccamento alla Repubblica. L’avanguardia francese passò i confini a metà aprile e conquistò Treviglio. Nel frattempo Luigi XII giunse a Cassano. Il Senato veneziano spalleggiò costantemente la concezione strategica del Pitigliano. Il Pitigliano contava di fiaccare gli assalitori: se costoro avessero optato per spingere in profondità la loro avanzata, sarebbero state tagliate le linee di rifornimento alle loro spalle, costringendoli a una difficoltosa permanenza in territorio nemico. vs La strategia logoratrice del Pitigliano era stata intuita dai francesi. Essi occuparono rapidamente Rivolta d’Adda. Il Pitigliano abbandonò la flemma e si lanciò all’inseguimento: tra i due eserciti si scatenò la rincorsa a raggiungere Pandino, la piazzaforte che rappresentava l’antemurale di tutto il territorio. Il 14 maggio l’avanguardia veneziana e gli alti comandi raggiunsero Pandino, dove attesero l’arrivo della retroguardia. Questa si trovava ad Agnadello, quando venne avvistata dall’avanguardia dell’esercito francese, comandata da Gian Giacomo Trivulzio. Prese con sé le sue squadre di cavalleria pesante, Bartolomeo d’Alviano si precipitò indietro per dar man forte ai compagni; ricevette dal Pitigliano la consegna di disimpegnare la retroguardia dal combattimento e di riportarla in salvo. Giunto nel mezzo dello scontro, l’Alviano trovò le fanterie veneziane che si erano lanciate disordinatamente all’attacco, venendo falcidiate. Bartolomeo riuscì a ributtare indietro la cavalleria avversaria e a rompere le file, aprendosi un varco verso il centro dell’esercito francese. Ma scoprì che l’esercito nemico si stava ingrossando. Saputo che l’Alviano stava tentando l’affondo, il Pitigliano si rifiutò di fornirgli qualsiasi copertura. Ciò provocò la fuga incomposta tra le fanterie dell’Alviano. La cavalleria francese poté rimettersi in ordine, lanciarsi all’inseguimento dei fuggitivi e infine accerchiare la cavalleria dell’Alviano. La sconfitta di Agnadello assommava all’incirca un quarto dell’esercito veneziano che ne uscì distrutto. A seguito della disfatta, parte dell’esercito veneziano disertò, così nel giro di un mese al Pitigliano non rimasero a disposizione più di 6 mila cavalli. L’ASSEDIO DI PADOVA Le città della Lombardia ex viscontea aprirono le porte ai francesi. Approfittando della vittoria francese, Ferdinando il Cattolico si riprese i porti pugliesi, Giulio II occupò le terre romagnole e perfino i Gonzaga di Mantova e gli Este di Ferrara si accaparrarono pezzi di territorio. A Venezia nel tracollo militare venne vista la punizione del Cielo per la hybris con la quale la Repubblica aveva tradito il proprio statuto di città del mare per inseguire il miraggio della guerra espansionistica. Nel giugno calò un corpo di spedizione asburgico mandato in avanscoperta, che occupò senza difficoltà Venezia, Padova, Bassano e Feltre. Solo Treviso si mantenne fedele a Venezia. Le popolazioni dei contadi veneti si sollevarono a favore della Repubblica di San Marco, chiedendo il ritorno sotto la sua sovranità e prestando il loro attivo contributo alla lotta di resistenza contro l’invasore oltremontano. Date le limitate dimensioni dell’avanguardia asburgica fu possibile al Pitigliano effettuare un colpo su Padova e rioccuparla il 17 luglio. All’arrivo nel Veneto del re dei Romani, venne raccolto per la difesa di Padova più di 20 mila combattenti. Al fine di ottenere aiuti da Luigi 12, Massimiliano gli fece balenare la promessa dell’investitura di Milano; MA - iniziato nei primi giorni di settembre - l’assedio non riuscì mai a chiudere il cerchio attorno alla città. I difensori si dimostrarono sempre in grado di spezzarlo. Gli assalti vennero regolarmente respinti. Massimiliano si arrese alle malattie e ordinò la ritirata. ​Il Pitigliano aveva vinto: il risultato era stato raggiunto mediante l’applicazione della strategia logoratrice. LA SVOLTA ANTIFRANCESE DI GIULIO II CAMBIA IL NEMICO: NON È PIÙ VENEZIA MA DI NUOVO LA FRANCIA Una Francia padrona dell’intera val Padana non stava bene. Nel periodo precedente Agnadello, il pontefice non aveva esitato a scagliare contro i veneziani perfino le censure spirituali; dopo il loro tracollo, si affrettò a risollevarli, mostrando che la sua intenzione era stata solamente quella di costringerli a lasciare la Romagna. Giulio II inaugurò una nuova fase basata sulla ​cooperazione con Venezia. Dopo aver trionfato su Venezia, Luigi 12 si accinse a porre la Sede apostolica sotto tutela, programmando il prossimo cambio di pontificato. Il cardinale Georges d’Amboise si era predisposto una base elettorale per tentare la scalata al papato al prossimo conclave. Se fosse morto egli sarebbe passato alla storia come il massimo artefice di un nuovo asservimento della Chiesa romana. Così ​Giulio II si precipitò a demolire per ogni via la preponderanza che egli aveva permesso al re di Francia di conseguire in alta Italia. Una conversione che lo portò a siglare un ​trattato di pace con Venezia il 24 febbraio 1510. Con questa svolta egli intese espellere il regno di Francia dalla Lombardia. 1) La prima tappa fu una campagna in Emilia dove percepiva con ostilità la presenza - al suo interno - di una vera e propria isola filofrancese, formata dagli stati di Ferrara e della Mirandola. Ma l’osso si rivelò più duro del previsto: 2) La Serenissima non aveva atteso di entrare in lega con Giulio II per attaccare Ferrara; alla battaglia della Polesella la sua flotta venne sbaragliata. La piccola signoria di Mirandola venne invece cinta d’assedio dalle milizie. 3) Giulio II il 20 gennaio 1511 ottenne la resa di Mirandola. UN DUELLO NEL TEMPORALE E NELLO SPIRITUALE LA CONTROMOSSA FRANCESE Luigi XII si preparò a colpire Giulio II proprio in Emilia. Luigi appoggiò la restaurazione dei Bentivoglio a Bologna. La perdita di Bologna fu un colpo tale da pregiudicare la riuscita finale dell’intera politica italiana di Giulio II. Dopo aver sollecitato un pronunciamento con il quale la Chiesa gallicana ribadì la sua autonomia da Roma, Luigi 12 istigò i cardinali filofrancesi a distaccarsi da Giulio II e a convocare a Pisa un concilio per la riforma della Chiesa. Il pontefice sarebbe stato chiamato a rendere conto del proprio operato. Dopo aver curato di ricevere il sostegno della ​Spagna​, il papa fece appello alla solidarietà del mondo ecclesiastico italiano per evitare la spaccatura della cristianità. Egli invocò a Roma il ​Concilio Lateranense V​: per il fatto stesso di essere celebrato nell’Urbe su convocazione papale questo secondo concilio avrebbe destituito di legittimità il primo. Giulio II promosse una coalizione italo-europea nota come ​Lega santa​, che venne stipulata a Roma il 5 ottobre 1511 tra la Chiesa, la Spagna e Venezia. Poco dopo vi accedette anche l’Inghilterra. In più si aggiunse la Confederazione elvetica, la quale gli mise a disposizione le sue reputatissime fanterie mercenarie: esse vennero impiegate dal pontefice anche come milizia personale (guardie svizzere). Il mediatore fu Shinner, fiduciario di casa Sforza e vescovo di Sion. In area veneta l’impresa fu coronata da un successo quasi totale, vennero riprese tutte le città ad eccezione di Verona; nella Lombardia orientale Cremona restò non più recuperabile e Brescia fu solo provvisoriamente riconquistata. L’andamento della campagna fu dovuto tra l’altro al doppio gioco di Mantova e Ferrara che diedero il sostegno alla Francia. Luigi 12 dalla Francia allestì una forza di quasi 25 mila uomini, destinata a ricevere ulteriori apporti in Italia, che affidò al comando del suo ventitreenne nipote ​Gaston de Foix​. Nel 1502 venne istituito il ​gonfaloniere a vita​, una figura ricalcata sul doge di Venezia. IN TOSCANA VI ERA UNA FORTE CONTRAPPOSIZIONE TRA: - CITTÀ CONTADO - CITTÀ DOMINANTI - CITTÀ SOGGETTE Lo stato fiorentino si presentava come un dominio, messo insieme dal ceto dirigente di una città dominante a spese dei ceti dirigenti delle città soggette. Questi a loro volta traevano la forza da un regime di oppressione economica dei contadini. Machiavelli pensò di rivolgersi al mondo rurale più periferico quando nel 1505, ricevette l’agognato incarico di riorganizzazione dell’apparato militare della Repubblica, in qualità di segretario dell’ufficio dei Dieci della guerra. Alla fine dell’anno entrò in vigore una legge che prevedeva che tutti i maschi adulti del contado venissero iscritti nei registri degli abili alle armi, mentre il loro impiego nelle operazioni militari sarebbe avvenuto a rotazione, così da impiegare il singolo contadino solo per alcune settimane all’anno; un risultato che tuttavia diede esca alle inquietudini del ceto ottimatizio. Il gonfaloniere Soderini venne sospettato di puntare alla tirannide. La riconquista di Pisa, avvenuta il 9 giugno 1509 grazie anche al concorso delle fanterie contadine, fu letta come una prova dell’autosufficienza ormai conseguita dalla Repubblica sul piano militare. Questa vittoria si dovette all’indebolimento di Venezia che dovette smettere di sostenere l’indipendenza della città tirrenica. Giocò a favore di Firenze anche la rinuncia di Francia e Spagna a intromettersi nella questione pisana, pagata a suon di fiorini. MA CONTRO GLI SPAGNOLI CONDOTTI DAI MEDICI… Seppur numericamente assai superiori, le truppe della Repubblica non riuscirono a coordinarsi per sbarrare il passo agli spagnoli e permisero a costoro di avvicinarsi a ​Prato che, fu sottoposta a un terribile sacco. Il brutale episodio fu un avvertimento inviato ai fiorentini affinché non si ostinassero in una contrapposizione ai piani papali. ​Il governo presieduto da Pier Soderini crollò. Machiavelli, senza lavoro, cominciò a redigere le sue opere al fine di riaccreditarsi con i nuovi padroni. I Medici badarono a mostrarsi allineati a Giulio II. Dopo la battaglia di ravenna il pontefice si concentrò sul destino della Lombardia. Lo strumento prescelto fu la restaurazione di casa Sforza, attraverso l’insediamento di Massimiliano, figlio di Ludovico il Moro, come nuovo duca di Milano. LEONE X E I DILEMMI DEL PAPATO Al fine di innalzarsi al di sopra dei sovrani di tutta Europa, Giulio II causò un complicato groviglio. Erede e prosecutore fu il cardinale ​Giovanni de’Medici. Il Medici venne eletto papa a soli 37 anni l’11 marzo 1513 con il nome di Leone X. Durante i suoi primi mesi di pontificato Leone X si attenne alla rotta stabilita da Giulio II e confermò l’indirizzo antifrancese della Chiesa romana. Fu incoraggiato dalle sconfitte che Luigi 12 collezionò nel corso del 1513, a seguito dell’aggressione multilaterale scatenata in vari punti d’Europa dai membri della Lega santa su istigazione del defunto pontefice. Gli strascichi della fallita impresa riformatrice, allo scopo di abbattere il papato come potenza territoriale, furono estenuanti, poiché da Pisa l’assemblea venne spostata a Milano, dove chiuse i lavori con l​’elezione di un antipapa. ​Entro la fine del 1513 Luigi 12 fu costretto a capitolare, sconfessando il conciliabolo e facendo atto di sottomissione alla Chiesa romana. Dato ciò non potè che approfittare del cambio di pontificato per stabilire un nuovo patto con la Sede apostolica. Leone X ambiva a qualche rivolgimento per disporre di un’occasione propizia che gli permettesse di innalzare la propria casata, consentendole di lasciarsi alle spalle l’originario status di ricchissima famiglia di mercanti-banchieri per assurgere al rango principesco. Questo anelito nasceva dalla consapevolezza delle limitazioni insite nella costituzione materiale dello stato fiorentino. LEONE X CERCA L’INNALZAMENTO E L'IMMUNITÀ DELLA PROPRIA PARENTELA La dinastia medicea non sarebbe potuta andare oltre il traguardo occupato al presente, che era quello del principato civile. La sua autorità si espletava nella funzione di guida di un regime ottimatizio, al cui vertice poteva stare un capo pubblicamente riconosciuto. I Medici avrebbero potuto provocare di nuovo la loro defenestrazione, sull’onda delle pressioni che le maggiori potenze non smettevano di esercitare su Firenze. Per rendere il primato di casa Medici indipendente dalle fluttuazioni Leone X ritenne opportuno radicare i suoi parenti come signori di un territorio situato all’esterno dei confini dello stato fiorentino. In questo modo i Medici sarebbero divenuti detentori di un duplice ruolo: 1) principi civili dentro Firenze 2) principi territoriali e padroni di eserciti privati in territori prossimi allo stato fiorentino. La loro autorità si sarebbe retta meno sugli appoggi esterni e sulle solidarietà internazionali. Leone X individuò nella francia la controparte provvista di maggiori attrattive. Leone X intavolò privatamente un negoziato matrimoniale con Luigi 12 e nel 1514 fece sposare il proprio fratello, Giuliano de Medici con Filiberta di Savoia, zia del giovane Francesco d’Angouleme erede al trono. Il sovrano francese potè ritenere di aver acquisito l’implicito benestare della Chiesa romana a un’operazione di riconquista della Lombardia. Alla morte di Ferdinando il Cattolico, evento che si intravedeva ormai vicino, Leone X intendeva revocare l’investitura del regno di Napoli alla Spagna e far valere tutti i diritti di sovranità vantati dalla Sede apostolica sopra il Mezzogiorno; in caso di opposizione da parte spagnola, sarebbe stato pronto a invocare l’intervento del regno di Francia. Alla corte di Roma si era già messo in conto che, una volta scomparso il Cattolico, tutta Italia sarebbe stata investita dal ciclone mediceo. ​Giuliano ​avrebbe condotto una spedizione nel Regno al fine di cingere la corona, ​Lorenzo de Medici ​sarebbe partito all’assalto dei ducati di Urbino e Ferrara. Ma entrambi sarebbero ​morti prematuramente. Le aspirazioni medicee alla corona di Napoli non vennero assecondate da Luigi 12 che, prossimo alla morte, preferì lasciare il Mezzogiorno alla Spagna, piuttosto che riconquistarlo per poi regalarlo al fratello del papa. Leone X ripiegò sul macrocosmo curiale, dove varò un ricambio nella composizione del Sacro collegio cardinalizio, finalizzato a garantire la successione papale al cardinal Giulio de’ Medici, suo cugino (ossia Clemente 7). FRANCESCO I E LA RIPRESA DEL PROGETTO ITALIANO Machiavelli fu infiammato dalle ambizioni di papa Medici al punto di scrivere ​Il Principe​. L’opuscolo, dedicato al giovane Lorenzo de’Medici, conteneva metodi da seguire nella costruzione di un principato che doveva avviare il riscatto del mondo italiano dalla subalternità ai conquistatori oltramontani. Il Principe venne scambiato per immorale e suscitò la riprovazione dei destinatari. Leone X peccò di megalomania per accrescere la grandezza dei Medici: 1) Usò cospicue risorse della Sede apostolica. 2) Lo si vide quando il legame parentale con la casa di Francia produsse la conseguenza indesiderata di rafforzare nella monarchia transalpina la volontà di compiere una nuova discesa in Italia, contando sulla neutralità del papato. Morto Luigi 12, l’impresa venne abbracciata dal nuovo re Francesco I. Il rilancio della politica di conquista francese in terra d’Italia ricevette il forzato benestare di Leone X. L’acquisto dei territori italiani era risultato funzionale al processo di rafforzamento del potere regio. Ai corposi interessi politici ed economici che premevano per una riapertura in grande stile della politica di espansione in terra d’italia si aggiungeva la personalità di Francesco I, il monarca più carismatico del Rinascimento francese. Francesco I mise insieme un esercito di proporzioni rilevanti e continuò a valorizzare la cavalleria pesante con cui raggiunse il numero di circa 11 mila combattenti. Accanto a essa volle porre un ​corpo di fanteria raddoppiato. Francesco I arruolò tra i propri sudditi 10 mila fanti guasconi considerati i migliori del regno di Francia + ​23 mila lanzichenecchi + un poderoso ​parco di artiglieria. Dopo un veloce attraversamento delle Alpi nell’agosto del 1515, egli si approssimò a Milano ma rinunciò a cingerla d’assedio, preferendo prima congiungersi con l’esercito che l’alleata Venezia aveva promesso di mandargli. marzo 1517, i due contraenti stabilirono con maggior precisione un calendario delle loro operazioni belliche ai danni di Venezia: anche questo accordo venne siglato senza interpellare il papato. GERMANIA VS FRANCIA Il duello con i Valois di Francia aveva registrato più sconfitte che vittorie per il sovrano dell’Impero tedesco, il quale non era mai riuscito a prevalere su Venezia. L’anziano Massimiliano decise di riversare su suo nipote carlo tutto l’arsenale del patrimonio domestico. Su di lui, sarebbe confluita anche la candidatura al titolo di sacro romano imperatore. Nell’ottica del re dei Romani l’intromissione del mondo tedesco nelle guerre peninsulari, giustificava sulla base dell’atavica rivalità con Venezia e con la Francia, doveva costituire la chiave della governabilità del mondo germanico. Il progetto non colse il successo sperato: il potere esercitato dalla casa Asburgo sopra il sacro romano impero rimase debole. Quando Massimiliano morì, nessuna garanzia formale di successione risultava in possesso di Carlo d’Asburgo. Le smagliature del tessuto politico germanico incoraggiarono Francesco I, re di Francia a porre ufficialmente la sua candidatura al trono imperiale. La consacrazione a imperatore fu l’espediente con cui Francesco I pensò di rendere irrevocabile il vantaggio detenuto al presente. Il monarca francese si convinse che il controllo dell’Italia avrebbe potuto essere mantenuto in via definitiva solo attraverso il conseguimento della più alta autorità sovrana del mondo europeo. Il denaro fu il mezzo che Francesco I escogitò al fine di aggirare lo scoglio dell’inconciliabilità tra corona francese e Impero tedesco: la massa di ricchezza da lui profusa in donativi ai principi elettori fu cospicua e gli diede l’illusione di poter contare su di un pacchetto maggioritario di voti. Carlo d’Asburgo accettò il confronto e intromise nella campagna elettorale i Fugger, banchetti fiduciari della sua casata. Gli elettori ricevettero una doppia sovvenzione: da Francesco I sotto forma di sacchi pieni di monete d’oro, da Carlo d’Asburgo sotto forma di cambiali da riscuotere dopo l’elezione. ​Essi incassarono il denaro contante del primo e votarono in favore del secondo in modo da massimizzare il guadagno. L’atmosfera dominante in Germania era allora eccitata dal risveglio del sentimento di orgoglio nazionale. L’ELEZIONE DI CARLO V CARLO V AVREBBE VINTO ANCHE SENZA SOLDI I principi elettori erano anche guardiani dell’integrità del patrimonio territoriale del Sacro romano impero con tutte le sue dipendenze e specialmente quelle ubicate in Italia: una funzione di sorveglianza avvertita con tanta forza. Non sarebbe stato possibile avallare l’elezione di un imperatore francese che, oltre a umiliare la nazione tedesca, ne avrebbe danneggiato gli interessi territoriali attraverso l’alienazione di una provincia italiana. Il fiume di denaro non causò da solo la vittoria di Carlo d’Asburgo. Poco tempo prima dell’elezione imperiale, papa Leone X si era premunito, legandosi con Carlo I di Spagna e con Francesco I di Francia. Egli era tormentato dal timore che l’Asburgo potesse nutrire del risentimento per gli intrighi con cui da Roma si era cercato di impedirgli la vittoria, appoggiando un terzo candidato: il duca di Sassonia. Ansioso di accattivarsi la benevolenza di Carlo, il pontefice gli promise una bolla di dispensa: il documento avrebbe consentito agli Asburgo di mantenere la corona di Napoli; un'eventualità che era stata proibita nei secoli addietro perché nel caso in cui ​un solo ​sovrano avesse detenuto il Mezzogiorno d’Italia vi sarebbero stati grandi problemi di indipendenza politica per il papato. Quando Carlo I di Spagna divenne Carlo V imperatore non poté rimangiarsi la promessa. Nel consegnarla, ribadì il veto papale a qualsiasi estensione del dominio in Lombardia e in Toscana. Si profilò in questo modo una convergenza tra Sacro romano impero e casa medici. Comunque Leone X non si azzardò a uscire dal solco dell’intesa preferenziale con la Francia: anzi riconfermò l’alleanza nel 1519. Capì ben presto che dal sovrano francese non avrebbe potuto spuntare alcun guadagno, in particolare -> quando volle castigare Alfonso d’Este, colpevole di insubordinazione, decretando la confisca di Ferrara: grazie a Venezia e alla Francia, che si alternarono nella protezione dell’Este, questi non patì alcun danno. Leone X si rese conto che, finché la Francia rimaneva padrona di Milano, il recente dominio della Chiesa non avrebbe conosciuto ampliamenti. Papa Medici non aveva rinunciato all’idea di allargare la sovranità della Chiesa in direzione dell’Emilia. Per questo, in cambio dell’adesione a un’alleanza antifrancese avente quale unico obiettivo in Italia quello di rimettere gli Sforza sul trono ducale di Milano, l’Asburgo promise a Leone X ​Ferrara, Parma e Piacenza​. Un’alleanza tra papato e Impero avrebbe offerto l’occasione di concentrare tra le due massime autorità cristiane una risposta unitaria alla sfida lanciata da Lutero e da quella parte di mondo germanico che lo stavo seguendo sulla via della rivolta religiosa. ​L’8 maggio 1521 fu stipulata tra Carlo V e Leone X un’alleanza di carattere offensivo, diretta contro turchi, eretici, francesi e veneziani. I piani bellici elaborati in comune prevedevano l’apertura di una campagna bellica in val Padana. A comandare l’armata venne chiamato ​Prospero Colonna​. Le truppe papali ebbero un proprio capitano nella persona di ​Federico Gonzaga. Il commissario che Leone X distaccò presso l’esercito fu ​Francesco Guicciardini. L’ERA DELLE ARMI DA FUOCO PORTATILI Nel settore della tecnologia militare ebbero luogo importanti cambiamenti. I primi decenni del 500 videro la messa a punto delle prime arma da fuoco avente dimensioni da potere essere azionata da un singolo soldato. Tale svolta fu resa possibile dalle innovazioni messe a punto nelle officine degli armaioli lombardi e tedeschi. Per essere davvero utili, le armi da fuoco portatili dovevano essere dotate di un soddisfacente grado di affidabilità e di maneggevolezza, nonché di un potere perforante tale da potere essere utilizzate contro la cavalleria pesante. Un deciso passo in avanti fu compiuto con l’introduzione di un nuovo meccanismo di accensione, detto “ a serpentina”, che consentì la trasformazione dell'archibugio in un’arma maneggiabile da un solo uomo, lunga circa un metro e pesante 5-6 Kg. Venne inventato un nuovo tipo di acciarino, che impiegava la pietra focaia(da cui la parola focile, fucile) al posto della miccia per provocare lo sparo. La pistola ​a metà 500 cominciò a essere usata dai cavalleggeri, con effetti devastanti per le fanterie. Entro il primo ventennio del 500 i comandanti iberici presero a formare gruppi selezionati di archibugieri. Costoro vennero allenati a piantare l’arma nel terreno, prendere la mira, fare fuoco e tirarsi indietro a ricaricare. Le scariche cadenzate deI tiratori iberici vennero ideate come antidoto al quadrato delle fanterie elvetiche. I tiratori potevano mettersi in salvo con rapide ritirate, mentre tale via di scampo era preclusa ai membri di un quadrato, vincolati l’uno all’altro. Un nuovo modello di archibugio: ​montato su di un cavalletto a forza, esso presentava una canna più lunga e una portata maggiore. Il suo tempo di ricarica era di meno di due minuti e la sua gittata utile era di circa 200 metri. Il bersaglio più usuale erano i cavalli. Una delle ragioni del declino della fanteria pesante: la perdita della cavalleria pesante andò a vantaggio della cavalleria leggera, che entro la metà del aumentò. La cavalleria leggera risultò più componibile con le azioni della fanteria pesante e dell’artiglieria. FINE, CAP 6-7 DOCSITY
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