Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

"Le isole del lusso" di Marcello Carmagnani (scheda di lettura approfondita), Sintesi del corso di Storia Moderna

Scheda di lettura approfondita (con note e riferimenti a Davenant, Martin, de Mandeville ecc. ecc.) del libro "Le isole del lusso. Prodotti esotici, nuovi consumi e cultura economica europea, 1650-1800" di Marcello Carmagnani. Il testo affronta da un punto di vista nuovo (dal consumo prima che dalla produzione) le trasformazioni socio-culturali che portarono a rivalutare il lusso, alla fine delle leggi sontuarie ed alla nascita del capitalismo. Esame sostenuto in Unige con votazione 30 e Lode.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 03/01/2022

AntonioE.
AntonioE. 🇮🇹

4.5

(54)

51 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica "Le isole del lusso" di Marcello Carmagnani (scheda di lettura approfondita) e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! “Le isole dal lusso. Prodotti esotici, nuovi consumi e cultura economica europea, 1650-1800” di Marcello Carmagnani. Le isole dal lusso. Prodotti esotici, nuovi consumi e cultura economica europea, 1 650-1800! di Marcello Carmagnani, professore presso l’Università di Torino e specializzato in storia economica dell’ America Latina, ha la sua radice nella ricerca di come beni inessenziali di provenienza extraeuropea (in primo luogo tè e caffè cui è dedicata la maggiore attenzione) abbiano cambiato i consumi degli europei - in un lungo processo iniziato nel XVII sec. - e con essi le politiche economiche e commerciali degli Stati degli Stati del Vecchio Continente. Sono beni, quelli penetrati nei mercati europei nella fase centrale e finale dell’Età Moderna, la cui diffusione è iniziata tra i ceti di maggior reddito e cultura ma si è poi espansa fino a comprendere pressoché ogni strato della popolazione. Quali sono stati però i meccanismi che hanno permesso a strati crescenti della popolazione di modificare l’allocazione delle diverse quote del loro reddito? E quale, invertendo l’ordine dei fattori tradizionalmente analizzati, l’influenza del consumo sulla produzione? A partire dall’introduzione Carmagnani focalizza poi la propria attenzione su quel filo che lega consumi di beni extraeuropei e fine delle politiche mercantiliste. Il passaggio ad una economia di libero scambio, è infatti la tesi espressa dall’autore, nonché la liberalizzazione dei consumi, con la progressiva abolizione delle leggi sontuarie, è resa possibile dalla diffusione dei nuovi consumi di lusso che porta, insieme alla libertà commerciale, nuovi spazi di libertà politiche. In chiusura della sua introduzione, inoltre, l’ Autore mette in luce come la marginalizzazione del giudizio etico-morale su alcuni consumi porti alla nascita dell’economia politica e cioè di una visione razionale delle forze produttive ed in generale degli attori economici. Nei primi due capitoli Carmagnani si dedica ad una disamina delle nuove opinioni sul consumo. Partendo da Smith 1’ Autore mette in luce come il tema dei consumi di lusso abbia implicazioni non soltanto economiche, per lo stretto legame che intercorre tra produzione e consumo, ma anche culturali. L’affievolirsi delle politiche mercantiliste e l’affluire sui mercati europei di beni di provenienza lontana contribuì, dunque, alla liberalizzazione dei consumi ed insieme con essa all’affermazione di nuovi orizzonti valoriali. Il lusso - definizione ricca di implicazioni di natura religiosa - nella prima metà del XVII sec. è ancora aspramente condannato da parte dell’intellettualità inglese la quale sostiene che il consumo di beni di provenienza non nazionale abbia effetti negativi non soltanto sulla bilancia commerciale ma anche sulla virtù civica. Anche tra le fazioni conservatrici del parlamento londinese si affermò però l’idea che le leggi sontuarie, e dunque la proibizione per la maggior parte della popolazione di determinati prodotti, non fossero più in grado di assicurare benefici tanto economici quanto morali in quanto difficili da far rispettare. Così in Charles Davenant, parlamentare conservatore tra le fine del XVII e l’inizio del XVIII sec., si rivolge a John Sheffield, all’epoca Lord President of Council: «[...] Se può essere dimostrato che questo divieto non ha modo per essere reso efficace e se può essere dimostrato che i suddetti divieti, da qui in avanti, danneggeranno fortemente la East-India, o qualsiasi altra compagnia, dal supportare e portare avanti il commercio a vantaggio dell'Inghilterra, Vostra Signoria penserà certamente che il disegno di legge, attualmente in discussione, avrà conseguenze pericolose e non è adatto ad essere approvato dalla Camera dei Pari»?. ! Marcello Carmagnani, Le isole dal lusso. Prodotti esotici, nuovi consumi e cultura economica europea, 1650- 1800, Torino, Utet, 2010. ? Charles Davenant, An essay on the East-India-trade by the author of The essay upon wayes and means, Ann Arbor-Oxford, Text Creation Partnership, 2009, p. 47, http://name.umdl.umich.edu/A37163.0001.001 (consultato il 16/02/2018). Traduzione propria. Per il lord inglese la strada da seguire è quella della promozione della virtù piuttosto che l’intervento legislativo. Una visione che è ancora pienamente immersa in una concezione etica dello Stato: «[...] Non c'è Paese privo di una moltitudine di Leggi Sontuarie ma difficilmente può essere individuato un posto nel quale esse siano osservate o dove producano qualche bene pubblico. Esse erano in qualche modo rispettate nell'infanzia della comunità romana, prima che ricchezze e sfarzi bandirono la virtù e l'obbedienza, ma la loro forza più importate risiedeva comunque nella santità e nella venerazione che si rivolgeva all'ufficio del Censore. In Inghilterra questi sarebbero stati certamente giudicati e derisi ed ogni magistrato sarebbe stato investito dal pubblico disprezzo se avesse pensato di metterle in esecuzione». In Davenant dunque si avverte la necessità che le norme che regolano i consumi abbiano una qualche applicabilità: «[...] Perché le leggi di tutti i Paesi devono essere adatte alle tendenze ed alle inclinazioni del popolo e, pur essendo riluttante a dirlo sono riluttante a dirlo, a volte c'è la necessità che esse siano po' accomodati verso i suoi modi depravati e le sue corruzioni»*. Carmagnani quindi già dalle prime pagine indaga su quali siano le nuove forze intellettuali capaci di mutare del tutto il giudizio, e conseguentemente le politiche, sui consumi. Pur persistendo ancora, infatti, un giudizio di riprovazione sul consumo di lusso (ed una sua netta distinzione tra questo ed il consumo di necessità) iniziò ad emergere una sua relativizzazione nel discorso pubblico (che si ritrova in particolare in Henry Martin) e la messa in luce degli aspetti positivi sulla bilancia commerciale inglese dovuti alle riesportazioni (in particolare trasformando ed esportando semilavorati), ad una maggiore propensione al consumo della quale potevano beneficiare anche i produttori nazionali. Infatti, in particolar modo quando il costo delle merci importate era inferiore agli equivalenti inglesi ciò contentiva ai consumatori di allocare una maggior quota del loro reddito all’acquisto di produzioni afferenti a diversi settori merceologici allargando la base produttiva del Paese. Il confronto, poi, con altri mercati costringe i produttori nazionali ad un miglioramento delle loro tecniche volto ad abbassare il costo di produzione e/o a migliorare qualitativamente i prodotti. Beni meno cari e di migliore fattura consentono il godimento degli stessi in un maggior numero e per una maggiore quota della popolazione. Se per Davenant le ferite alla virtù pubblica provocate dai consumi di lusso dovevano essere lenite rafforzando la loro riesportazione verso altri mercati negli autori a lui successivi tendono a marginalizzare il giudizio morale sul lusso ponendo l’accento sulla razionale utilità economica che queste merci rivestono nell’ambito della bilancia commerciale. Proprio un pamphlet, pubblicato anonimo ma attribuito a Martin, dedicato al commercio con l’India si occuperà di smentire punto per punto le obiezioni dei mercantilisti circa l'esportazione di lingotti d’argento verso l’India al fine di portare in patria cotoni indiani: «[...] L'espoitazione di lingotti ed il consumo di manufatti indiani, o per meglio dire, l'esportazione di lingotti verso manifatture indiane, è uno scambio di meno per un maggior valore...)î. Per Martin infatti i benefici in termini occupazionali e la diversificazione produttiva in Patria producono utili incommensurabilmente più grandi rispetto a quelli possibili nell’ambito di un commercio chiuso. Nella società inglese di fine ‘600 si materializzò dunque quel conflitto tra l’aristocrazia fondiaria forte dei propri interessi acquisiti, poco propensa alla perdita di posizioni di monopolio e che fondava buona 3 Ivi, p. 49. Traduzione propria. 4 Ivi, p. 48. Traduzione propria. 5 Henry Martin (attribuito a), Considerations on the East-India trade, Londra, J. Roberts, 1701, p. 8. Traduzione propria. I desideri dei consumatori, trovata la loro legittimazione normativa e morale, diventano oggetto di emulazione e dunque di future espansioni del consumo. Il commercio è motore della ricchezza della nazione ed il lusso, i nuovi bisogni di merci superflue, generano nuove manifatture, aumentano la circolazione monetaria ed, in ultima analisi il benessere. Così, Jean-Frangois Melon nel dare una definizione di commercio: «Il commercio può essere fiorente solo quando tutti usano a loro maggior vantaggio di tutto ciò che gli appartiene: terra, case, affitti, proprietà pubblica. In quanto se nessuna di queste parti è senza valore, vi è un superfluo dal quale il proprietario non acquista più il necessario ma con il quale acquisisce la merce del vicino la quale era per lui a sua volta superflua ed inutile al fine di acquisire ciò che gli mancava. [...] Da tutto ciò che abbiamo appena detto segue facilmente la definizione di commercio. Il commercio è lo scambio del superfluo per il necessario. Tutte le possibili combinazioni nella sua universalità sono riducibili ai principi stabiliti...»$. Per l'economista francese la stessa parola “lusso” va bandita dalla discussione pubblica in quanto il concetto è talmente mutevole che ciò che era considerato lusso per una generazione non lo è più nella successiva: idea questa che sarà poi ripresa da Smith ed illustrata nel suo saggio “La ricchezza delle nazioni”. Grande importanza rivestirono, e rivestono tutt'oggi, le considerazioni di Montesquieu circa il commercio come portatore di civiltà (grazie alla sua capacità di “mitigare a barbarie”) e di pace: «[...] L'effetto naturale del commercio è di portare alla pace. Due nazioni che commerciano insieme si rendono reciprocamente dipendenti: se una ha interesse di acquistare, l’altra ha interesse di vendere; e tutte le unioni sono fondate su bisogni scambievoli»?. Rimangono però nel fondatore del pensiero liberale i giudizi morali circa il consumo di lusso (in particolare in Cina Paese al quale è dedicato un paragrafo specifico della sua opera più nota) anche se ben distinto è il lusso degli Stati monarchici (che è necessario affinché i poveri abbiano di che vivere) da quello delle repubbliche nelle quali il consumo smodato può condurre unicamente alla dissoluzione dello Stato: «[...] Le repubbliche finiscono per il lusso, le monarchie per la povertà...»!°. Proseguendo nell’analisi dei movimenti culturali che produssero l’affermazione della libertà economica Carmagnani pone poi l’accento sui fisiocratici, in particolare Goumnay per il quale la libera concorrenza poteva produrre unicamente effetti benefici per il singolo e per la nazione incentivando, grazie all’abbassamento dei prezzi, il consumo e dunque nuove produzioni. Sulla scia di Gournay anche Véron de Forbonnais che definì il consumo come la ricompensa per il lavoro prestato. Il lavoro ed il soddisfacimento dei bisogni individuali stanno per Farbonnais alla base dell’economia. In buona sostanza si assistette, anche in Francia, ad un mutamento di paradigma: ruolo degli Stati deve essere quello di tutelare la libertà di tutti gli attori economici (produttori, mediatori, consumatori) e non di soffocarla. Seguendo questo processo di scardinamento degli assiomi fino ad allora invalsi si giungerà quindi, con Baudeau e Condillac all’elaborazione di una teoria del consumo di lusso come connaturata alla natura umana. Per Condillac, che espone la tesi nel Trattato sulle sensazioni, nell'uomo coesistono due “io”. Il primo, quello /stintivo, governa le passioni animali, il secondo, Riflessivo, moltiplica le necessità (‘i lussi”) e produce il desiderio di ciò che esula dalla mera sopravvivenza biologica. Il diritto alla proprietà e dunque al consumo che è l’espressione del valore della proprietà (in quanto una proprietà non utilizzabile è priva di valore) diventano quindi a partire dalla seconda metà del XVIII sec. un diritto naturale dell’uomo per tale ragione non limitabile da ostacoli normativi o tariffari. 8 Jean-Frangois Melon de Pradou, Essai politique sur le commerce, Amsterdam, Francois Chancuion, 1742, pp. 8- 9 ? Montesquieu, Lo spirito delle leggi, traduzione di Beatrice Boffito Serra, Milano, Rizzoli, 2011, p. 650. 10 Ivi, p. 249. Un totale sovvertimento delle teorie precedenti si assiste con David Hume. Il filosofo scozzese, che nel 1739-40 dà alle stampe il suo Trattato sulla natura umana, affermò che l’uomo non era mosso dalla ragione bensì dalle passioni. Da una di queste passoni, quella di eccellere, nasce la società civile che Hume distingue da quella naturale (cioè la società ove la legge non ha potere). Il lavoro è generato dalle passioni, dalla voglia di soddisfare un piacere ed esso, nella società civile, si coordina con il lavoro altrui generando le società complesse. Non vi è dunque legittimità nel limitare la possibilità di godere, tramite il consumo, del proprio lavoro. Il lusso, inoltre, riduce l’oziosità e favorisce gli investimenti. Nella sua History of England Hume afferma che la mancanza di beni da acquistare porta a lasciare un certo numero di terre improduttive in quanto non vi alcuna necessità che esse fruttino. Hume opera però una distinzione di natura razionale circa il consumo dei beni inessenziali: esso deve essere commisurato al reddito e non intaccare quella quota destinata ai consumi primari (od agli investimenti nella produzione dei beni primari) pena la decadenza della società: «Lusso è una parola di un significato incerto, e può essere preso in un senso buono o cattivo. In generale esso significa una raffinazione nella gratificazione dei sensi; e qualsiasi grado di esso può essere innocente o biasimevole, in base all'età, al Paese od alla condizione della persona. I confini tra la virtù e il vizio non possono quindi essere fissati più che in altre questioni morali. Immaginare che il soddisfacimento di ogni senso, 0 l'indulgere in qualsiasi prelibatezza della carne, delle bevande o nell'abbigliamento, sia di per sé un vizio, non può che entrare in una testa che disordinata per le frenesie dell'entusiasmo. Ho, infatti, sentito parlare di un monaco all'estero, il quale, poiché le finestre della sua cella si aprivano su un nobile paesaggio, strinse un'alleanza con i suoi occhi per non voltarsi mai e ricevere una gratificazione così sensuale. E tale è il crimine di bere champagne o borgogna piuttosto che ad birra piccola o ad una porter. Queste indulgenze sono soltanto vizi quando sono perseguite a scapito di qualche virtù, come la liberalità o la carità; nello stesso modo in cui sono follie quando per esse un uomo rovina la propria fortuna e si riduce a volere ed a mendicare. Dove non si radicano a spese di alcuna virtù ma lasciano ampio spazio per essere godute con gli amici, la famiglia e sono oggetto appropriato di generosità o compassione esse sono del tutto innocenti e sono state riconosciute così in ogni epoca da quasi tutti i moralisti. Essere completamente occupati dal lusso a tavola, ad esempio, senza alcun gusto per i piaceri dell'ambizione, dello studio o della conversazione è un segno di stupidità ed è incompatibile con qualsiasi forza di temperamento o genialità. Limitarsi interamente a tali gratificazioni, senza riguardo per gli amici o la famiglia, indica un cuore privo di umanità o benevolenza. Ma se un uomo riserva tempo sufficiente a tutti i lodevoli obiettivi e denaro sufficiente a tutti gli scopi generosi è libero da ogni ombra di biasimo o di rimprovero. Poiché il lusso può essere considerato innocente o biasimevole si può essere sorpresi da quelle opinioni assurde che sono state espresse in proposito; mentre gli uomini di principi libertini elargiscono lodi anche del lusso vizioso e lo rappresentano come estremamente vantaggioso per la società; d'altra parte uomini di morale severa incolpano perfino il lusso più innocente e lo rappresentano come la fonte di tutte le corruzioni, i disordini e le fazioni, i danni arrecati al governo civile. Dovremo qui tentare di correggere entrambi questi estremi, dimostrando, in primo luogo, che le età della raffinatezza sono sia le più felici che le più virtuose; secondo, che ovunque il lusso cessi di essere innocente, cessa anche di essere benefico; e quando è portato troppo in là, è una qualità perniciosa, anche se forse non la più perniciosa, per la società politica...»!!. Nel terzo capitolo Carmagnani passa dunque ad illustrare i presupposti teorici della nuova società commerciale. Sarà con Turgot e Verri che si affermerà definitivamente il principio secondo il quale l’economia non è frutto della provvidenza ma delle scelte umane di consumo e produzione. Nel 1766 sarà pubblicato il saggio Riflessioni sulla formazione e distribuzione delle ricchezze di Turgot mentre nel 1771 sarà la volta delle Meditazioni sull'economia politica di Verri. Per l'economista francese il commercio è frutto della ineguale distribuzione della terra la quale genera la divisione della società in produttori e stipendiati: da qui la necessità degli uomini di scambiarsi i beni. Anche per Verri, la necessità, e dunque il consumo, è alla base dello scambio commerciale. In polemica con i fisiocratici, inoltre, Verri attribuisce pari importanza tanto alla produzione agricola quanto a quella !! David Hume, Of Refinement of arts in Essays, Moral, Political, and Literary, Indianapolis, Liberty Fund, 1987, p. 32. Traduzione propria. manifatturiera: entrambe fanno parte del medesimo meccanismo economico. Fondamentale, tanto per Tugot quanto per Verti, è l’anticipazione di risorse (capitali o materie prime) ai fini della produzione di nuovo valore. Per Turgot, però, al lusso è da preferire l’investimento in quanto le spese improduttive distruggono l’accumulazione dei capitali. Similmente, ma su un piano leggermente diverso, Verri riteneva che comunque la produzione dovesse essere superiore al consumo. Se essa sarà inferiore si avrà come effetto un deperimento della società mentre nel caso contrario aumenterà la circolazione monetaria e con essa si avrà quell’aumento della produzione capace di portare ad un virtuoso abbassamento dei prezzi. Fondamentale è poi per Verri, protagonista anche per ragioni anagrafiche alla fase finale della società cetuale, la riduzione delle diseguaglianze patrimoniali in quanto l’ineguale distribuzione della ricchezza non consente l’espansione dei consumi e dunque della produzione. Verri propone per tanto l’eguale frazionamento delle eredità. Ancora più marcato è l’accento sul consumo posto da Adam Smith. Per l’economista esso è «scopo della produzione»! ed ha il proprio fondamento nella libertà del consumatore che viene vista come diritto naturale. Per Smith tale libertà, purché non violi la legge, va garantita dallo Stato. Anche per Smith a muovere l’uomo sono le passioni, mitigate però dallo spirito di giustizia che scaturisce dalla empatia che si genera nelle relazioni tra gli uomini. Lo spirito di giustizia tempera le passioni individuali affinché esse non demoliscano la società. Tra queste passioni la più potente è l’interesse privato, il self-interest, motore della fatica e del lavoro esso ottiene soddisfazione mediante lo scambio. La società di mercato, dunque, è frutto di questo complesso sistema di relazioni tra bisogni e forze produttive (ed in ultima analisi tra interessi individuali) ed è capace di autoregolarsi impedendo che un eccesso di interesse personale la distrugga. È con la città che la dimensione del consumo si espande. La realtà urbana opera una cesura netta rispetto alla precedente società pastorale: chi possiede ricchezza può spenderla in una grande varietà di beni provenienti, spesso, anche da lontano e rompendo dunque l’autarchia delle società nomadiche. Le corti dei capi diventano, con il passaggio all’urbanizzazione, più piccole ed i nuovi consumi favoriscono la distribuzione della ricchezza. Il consumo, quindi, in quanto fondamento della società, non va ostacolato con la limitazione della concorrenza anche perché il consumo consente anche ai ceti improduttivi di partecipare alla produzione della ricchezza. L’idea del lusso come un consumo non dissimile dagli altri e dunque la sua relativizzazione crea quel terreno culturale che rende possibile la sua depenalizzazione e quindi la sua diffusione. Smith distingue però i consumi di lusso in due categorie: i consumi immediati (come ad esempio i banchetti) da condannare in quanto rappresentano unicamente una dissipazione di capitale; ed i consumi durevoli (statue, gioielli etc.) che, a parità di capitale investito, danno lavoro ad un maggior numero di persone. A partire dal quarto capitolo Carmagnani illustra invece i beni che con la loro irruzione sui mercati europei hanno, in sostanza, costretto le forze intellettuali di cui si è detto sopra ad interrogarsi su produzione, consumo e bilancia commerciale. I nuovi beni coloniali (tè, caffè, cacao) che si aggiunsero a quelli già noti (tabacco e zucchero) si diffusero con grande rapidità e soprattutto ebbero la capacità di entrare a far parte del paniere di beni consumato dalle classi popolari. Quasi tutti questi prodotti, già a partire dal ‘600, vennero studiati dai medici che ricercavano in essi proprietà curative (fu così anche per il riso quando nel XIV sec. iniziò ad apparire sui mercati europei). Rumsey, Antaki, la Royal Society si espressero, ad esempio, favorevolmente al caffè. Stessa cosa avvenne in Italia col Naironi ed il farmacista De Scobi ed in Francia con il medico di corte Bleigny. Ovviamente, sempre per rimanere nell’ambito del caffè, si produsse anche una pubblicistica contraria al suo uso (Aignan) che consiglia l’astensione dal consumo di prodotti provenienti da climi differenti. Questo dibattito tra medici riflette il dibattito economico che negli stessi anni era in corso tra i sostenitori dei consumi autarchici (le aristocrazie fondiarie in primo luogo) e le nuove forze sociali in ascesa: i ceti mercantili. Nonostante l'opposizione, medica o economica che fosse, al suo consumo il !° Adam Smith, Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni, Torino, Cugini Pomba e Comp. Editori-Librai, 1851, p. 676. prodotti nei quali era impiegato accrescendo dunque il valore del prodotto. Le raffinerie finiranno per incidere in maniera non indifferente sul numero globale dei lavoratori del settore manifatturiero del Vecchio Continente. Quarto prodotto protagonista della rivoluzione commerciale sarà il tè. Coltivato dai cinesi già 2000 anni prima di Cristo si diffonderà in Asia grazie al buddismo che vi attribuiva la capacità di favorire la meditazione. Il suo consumo sarà poi incentivato dal governo imperiale in epoca Sui al fine di scoraggiare di scoraggiare l’abuso dei distillati di riso. Conosciuto dagli europei nel XVI sec. entra nei mercati occidentali, passando da Formosa, per merito degli inglesi ed in misura minore di danesi e svedesi le cui compagnie privilegiate riescono ad allacciare contatti con le controparti cinesi. L’enorme tassazione cui venne sottoposto in Europa ed il monopolio operato alla fonte dalla compagnia monopolista Co-Hong alimenterà vasti fenomeni di contrabbando che saranno limitati prima dall’abbassamento delle imposte e poi dallo scioglimento della compagnia cinese. Ultimo prodotto analizzato da Carmagnani è il caffè. Originario del Como d’Aftica esso si diffonderà nel resto dell’Africa e nel Medio Oriente grazie ad i mercanti arabi. Saranno poi soprattutto le correnti del sufismo a decretarne il successo nel mondo islamico (secondo i mistici sufi il caffè favoriva la concentrazione) anche se non tutte le scuole teologiche si espressero favorevolmente: correnti rigoriste ne scoraggiarono il consumo ritenendolo intossicante. In Europa si diffonderà a partire dalla seconda metà del ‘600 in Inghilterra ed Olanda e darà vita a quei nuovi spazi di socialità di cui si è scritto. Dall’altopiano etico e dallo Yemen le potenze coloniali diffondono la sua coltivazione nel continente americano che, alla fine del XVII sec., produrrà quasi il 95% del caffè consumato in Europa. Protagonisti di questa diffusione saranno gli olandesi che impianteranno sue coltivazioni prima a Giava ed in seguito in Suriname. L’esempio olandese sarà presto imitato da Inghilterra e Francia e provocherà l’arretramento delle piazze fino ad allora dominanti di Moka e del Cairo ridimensionando il ruolo di Venezia che proprio da quelle aree importava i chicchi destinati al consumo interno ed alla riesportazione. Sul finire del ‘700 grazie alle proprie colonie caraibiche saranno proprio francesi ed inglesi a monopolizzarne la produzione dando vita a piantagioni fondate sullo sfruttamento di manodopera schiavile. Mediante l’utilizzo di personale non libero i latifondisti francesi e britannici riuscirono a battere la concorrenza olandese che si approvvigionava da piccoli coltivatori autonomi. Con il XVIII sec., dunque, (siamo al settimo capitolo del testo di Carmagnani) si afferma una libertà di consumo che è frutto ed in parte causa della fine della società cetuale. La rivoluzione del consumo si realizza dall’incontro e scontro di tutte le aree del globo che vengono così ad integrarsi in un sistema economico le cui barriere si vanno facendo via via più flebili e nel quale la divisione. Internazionale e nazionale, del lavoro si afferma come enormemente più efficiente dei sistemi produttivi autarchici tipici dell’ Europa premoderna. L’espansione dei consumi si lega ai vasti fenomeni di inubamento (connessi a loro volta all’aumento della popolazione cui si assiste in Europa) che portano, senza significativi momenti di pausa, la popolazione urbana a divenire il 20% della popolazione totale dell’ Europa. L’inurbamento ha tra le sue conseguenze più evidenti quello di rendere lo scambio commerciale indispensabile al fine di soddisfare i propri bisogni. Se tale fenomeno interesserà tutto il continente europeo saranno però le aree atlantiche, e cioè quelle più direttamente interessate dal commercio dei prodotti extraeuropei, quelle che registreranno una crescita impetuosa. La crescita della popolazione, fenomeno contestuale all’inurbamento, non consentirà però quel calo del prezzo dei beni di prima necessità ma, nonostante ciò, importanti fasce della popolazione saranno portate ad attuare una differenziazione maggiore dei propri consumi e ad investire parte del reddito disponibile verso consumi apparentemente inessenziali come caffè, tè e tabacco le cui capacità di creare socialità ben si adattavano alle crescenti dimensioni rubane. Sarà poi con l’introduzione della patata e del granoturco che il processo di allocazione di quote maggiori del reddito verso consumi inessenziali potrà ulteriormente rafforzarsi acquisendo contestualmente elementi di dinamicità legati alle mode ed all'andamento dei prezzi. La crescita del medio cui si assiste a partire dal diffondersi delle nuove tecniche industriali, e che ci è testimoniata dagli inventari post mortem, è un altro dei fattori che decreteranno il successo dei prodotti extraeuropei e degli strumenti (in primo luogo le ceramiche) necessari alla loro fruizione. Dagli inventari francesi analizzati da Carmagnani emerge, nel corso del XVIII sec., un significativo mutamento degli oggetti manifestanti lo status sociale: diminuiscono armi e mobili mentre aumentano le ceramiche ed i ritrovati tecnologici (in particolare gli orologi). Emerge, in ultima istanza, un consumo più libero, orientato dalle réclame, dall’emulazione resa possibile dalla vicinanza fisica tra i consumatori ma anche dal nuovo reddito reso disponibile dal minor costo degli abiti che è merito (diretto ed indiretto) dei tessuti indiani. Nelle sue conclusioni 1’ Autore mette dunque in luce come siano i lussi extraeuropei a scatenare, particolarmente a partire dal ‘700, la nascita di nuove connessioni economiche e nuove possibilità di consumo delle quali beneficeranno innanzitutto le nazioni coloniali ma le cui ricadute finiranno, proprio in virtù dei processi di riesportazione di cui si è detto, per interessare l’intera Europa. Altro elemento sul quale Carmagnani si focalizza è il tasso di solidarietà, non sempre automaticamente rilevabile, esistente tra questi prodotti. Detto in altri termini, i prodotti che giungono in Europa da America ed Asia hanno un discreto tasso di consumo associato che genera crescite (o talvolta contrazioni) nel loro consumo estremamente simili. Vi è poi, come sottolineato all’inizio del libro, una relativizzazione del concetto di lusso che spostò il giudizio su questi prodotti dal terreno morale a quello economico. In Mandeville, addirittura, una società (l’alveare) che muta i propri consumi all’insegna dell’uniformità e della moderazione finisce per deperire e morire. Carmagnani conclude la sua opera con una citazione tratta dai Principi dell'economia politica e della tassazione di Ricardo che è un elogio dei consumi inessenziali: «[...] Gli amici dell’umanità non possono che desiderare che in tutti i paesi le classi lavoratrici acquistino il gusto delle comodità e dei godimenti, e che vengano stimolate con tutti i mezzi legali possibili nei loro sforzi per procurarseli» "3. Per quanto concerne le fonti utilizzate dall’ Autore nei primi tre capitoli del testo esse sono costituite principalmente da saggi degli autori qui in parte citati e trattandosi di una ricostruzione dello sviluppo del pensiero economico possono essere considerate fonti primarie. Per quanto concerne i volumi di traffico dei vari prodotti extraeuropei esaminati tra le fonti vi è una pluralità di fonti secondarie mentre tra le fonti primarie vi sono i Sound Toll Registers olandesi. !3 David Ricardo, On the Principles of Political Economy and Taxation, Londra, John Murray, 1821, ch. 5.24 http://www.econlib.org/library/Ricardo/ricP2.html (consultato il 21/02/2018).
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved