Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

“Le macchine possono pensare?”: le risposte di Alan Turing e John R. Searle, Tesine universitarie di Filosofia della Mente

In quest'elaborato verranno analizzati due esperimenti mentali molto famosi, cioè il "Turing Test" ed il "Chinese Room Argument", formulati rispettivamente da Alan Turing e John R. Searle. Entrambe queste prove mirano a rispondere, in maniera più o meno diretta, all'interrogativo "Le macchine possono pensare?": Turing afferma di essere molto fiducioso, mentre Searle si dichiara assai scettico a riguardo.

Tipologia: Tesine universitarie

2020/2021

Caricato il 07/01/2023

FilippoCerantola
FilippoCerantola 🇮🇹

4.5

(2)

8 documenti

1 / 10

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica “Le macchine possono pensare?”: le risposte di Alan Turing e John R. Searle e più Tesine universitarie in PDF di Filosofia della Mente solo su Docsity! Università degli Studi di Parma PHILOSOPHY OF MIND – PROFESSOR WOLFGANG ANDREAS HUEMER TESINA Filippo Cerantola - Matricola 317128 “Le macchine possono pensare?”: le risposte di Alan Turing e John R. Searle Introduzione La Filosofia e l'Intelligenza Artificiale (d'ora in poi IA) sono due discipline che, nel corso del tem- po, hanno interagito e si sono impegnate in un dialogo fruttuoso: è innegabile, ad esempio, che l'IA abbia plasmato il modo in cui i filosofi concepiscono la mente umana e, viceversa, le diverse conce- zioni della mente hanno avuto un impatto in merito alla ricerca nel campo dell'IA. Siffatte interazio- ni hanno avuto luogo in quanto gli obiettivi che l'IA si pone l'hanno resa una disciplina di notevole interesse per molti filosofi.1 A tal proposito, in quest'elaborato verranno analizzati due esperimenti mentali molto famosi, cioè il “Turing Test” ed il “Chinese Room Argument”, formulati rispettivamente da Alan Turing e John R. Searle. Si tratta di due esami presentati al pubblico in due frangenti storici radicalmente differenti: l'articolo nel quale vengono illustrate le caratteristiche del Turing Test venne pubblicato prima anco- re che venisse coniata la locuzione IA, mentre il Chinese Room Argument vide la luce ben 30 anni dopo, nel 1980. Entrambe queste prove, tuttavia, mirano a rispondere, in maniera più o meno diret- ta, all'interrogativo “Le macchine possono pensare?”: Turing afferma di essere molto fiducioso, mentre Searle si dichiara assai scettico a riguardo. Tale domanda non è ovviamente stata dibattuta solo da Turing e Searle, poiché ha dato vita ad una smisurata molteplicità di rivoli interpretativi: esistono infatti approcci anche radicalmente differenti alla disciplina dell'IA. Tramite questo paper non si ambisce ad una trattazione approfondita e rigo- rosa della domanda poc'anzi citata e neppure di tutti gli interrogativi suscitati dai testi presi in esa- me. Purtuttavia, l'elaborato mira a fornire alcuni spunti di riflessione limitatamente ad alcuni aspetti relativi all’intelligenza artificiale e alle implicazioni più immediate dei due esperimenti mentali che son stati esaminati. Lo svolgimento dell'elaborato può essere descritto come segue: ad una circostanziata sezione intro- duttiva, nella quale verrà analizzato il significato della locuzione “intelligenza artificiale”, seguiran- no gli approfondimenti relativi al “Turing Test” ed al “Chinese Room Argument”; l'ultima parte del- lo scritto, infine, riguarda lo stato dell'arte della disciplina e l'importanza del Test di Turing, che, pur essendo stato teorizzato nel 1950, continua nondimeno a destare vivo interesse presso la comunità scientifica. Che cosa significa “intelligenza artificiale”? Prima di entrare in medias res è necessario far luce sul valore semantico della locuzione “intelligen- za artificiale”. In merito all'aggettivo “artificiale” è alquanto difficile cadere in errore, in quanto esso significa, in maniera inequivocabile, «fatto, ottenuto con arte, in contrapposizione a ciò che è per natura»; tale aggettivo può essere inoltre attribuito a «prodotti simili o identici per aspetto, com- 1 BRINGSJORD, SELMER; GOVINDARAJULU, NAVEEN SUNDAR, Artificial Intelligence, Stanford Encyclopedia of Philosophy, Introduction. posizione, funzione, ai prodotti naturali, ma ottenuti dall’uomo con mezzi tecnici».2 Anche il signi- ficato del corrispettivo inglese “artificial” non si discosta di molto dalla definizione poc'anzi citata, in quanto, stando al Cambridge Dictionary, significa «fatto da persone, spesso come copia di qual- cosa di naturale».3 Molto più articolata è la definizione del lemma “intelligenza” e del corrispondente inglese “intelli- gence”. Stando alla definizione contenuta nel Vocabolario Treccani, l'intelligenza è il: «Complesso di facoltà psichiche e mentali che consentono all’uomo di pensare, comprendere o spiegare i fatti o le azioni, elaborare modelli astratti della realtà, intendere e farsi intendere dagli altri, giudicare, e lo rendono insieme capace di adattarsi a situazioni nuove e di modificare la si - tuazione stessa quando questa presenta ostacoli all’adattamento; propria dell’uomo, in cui si svi- luppa gradualmente a partire dall’infanzia e in cui è accompagnata dalla consapevolezza e dal - l’autoconsapevolezza».4 Il termine inglese “intelligence” contempla una sfumatura non presente nella parola italiana “intel- ligenza”, in quanto esso può significare «informazioni segrete sui governi di altri paesi, in particola- re sui governi nemici, o gruppo di persone che raccolgono e trattano queste informazioni»,5 ma, ten- denzialmente, significa anch'esso «capacità di apprendere, comprendere e esprimere giudizi o avere opinioni basate sulla ragione».6 Sorge spontanea una domanda: se l'intelligenza è «propria dell'uomo» e un artefatto artificiale è una copia (secondo il Cambridge Dictionary) o si pone addirittura in contrapposizione (secondo il Voca- bolario Treccani) rispetto a ciò che è naturale, la locuzione “intelligenza artificiale” non va a confi- gurarsi intrinsecamente come un ossimoro? La risposta non è scontata come si potrebbe pensare di primo acchito. Non ci interessa in questa sede considerare le applicazioni pratiche dell'IA: non si può negare che, al giorno d'oggi, queste ultime, «progettate per innumerevoli compiti specifici», siano «utilizzate quasi in ogni ambito della vita».7 Pur essendo dunque innegabile che esistano enti- tà artificiali in grado di eseguire operazioni concrete, ciò implica che un oggetto inanimato in grado di compiere una determinata azione (in seguito ad un determinato input) si possa definire intelligen- te?8 Basandosi su molte delle definizioni poc'anzi citate, tra l'altro, si potrebbe essere portati a ritenere che, al giorno d'oggi, ogni più recondito segreto relativo al pensiero umano sia conosciuto, quando in realtà non sono ancora noti «i meccanismi precisi che conducono alla costruzione di pensieri, alla memorizzazione dei ricordi e alla formazione dell'autocoscienza».9 Pur non sapendo cosa siano, es- senzialmente, il pensiero o l'intelligenza, e sebbene siamo molto lontani dall'essere d'accordo su chi o cosa possa fregiarsi di queste due facoltà, quasi tutti concordano sul fatto che gli esseri umani pensano.10 Per poter procedere con la trattazione si rende dunque necessaria un breve chiarimento in merito a cosa si intenda quando si usa il termine “pensiero”. Nell'Enciclopedia Treccani viene definito come: 2 Artificiale, in Vocabolario on-line Treccani. 3 Artificial, in Cambridge Dictionary. Il lemma “artificial” può anche significare «non sincero», ma esclusivamente in contesti differenti da quello ivi preso in considerazione. 4 Intelligenza, in Vocabolario on-line Treccani. 5 Intelligence, in Cambridge Dictionary. 6 Ibidem. 7 BODEN, MARGARET A., L'intelligenza artificiale, Il Mulino, Bologna 2019 (traduzione italiana di Fabrizio Calza- varini, edizione originale: AI - Its Nature and Future, Oxford University Press, Oxford 2016), p. 25. 8 Un capitolo del libro di Margaret Boden è intitolato non a caso “Ma è vera intelligenza?”; si veda Ivi, pp. 119-142. 9 Intelligenza Artificiale, in Enciclopedia on-line Treccani. 10 HAUSER, LARRY, Artificial Intelligence, Internet Encyclopedia of Philosophy, cap. 2, The Turing Test. menti mentali atti a stabilire se possono esistere macchine pensanti e, conseguentemente, intelligen- ti. Turing Test Nel 1950 Alan Turing pubblicò l'articolo “Computing Machinery and Intelligence”:31 questo lavoro può essere considerato «il fondamento dell'informatica e del programma di intelligenza artificiale».32 Tramite l'articolo in questione, l'autore inizialmente afferma di voler rispondere alla domanda “Le macchine possono pensare?”. Essendo però arduo stabilire in maniera univoca i signi- ficati dei lemmi “macchina” e “pensare”, formula un nuovo interrogativo strettamente correlato al precedente ed espresso tramite parole relativamente inequivocabili.33 Procede quindi a descrivere un esperimento mentale detto “Imitation Game” (gioco dell'imitazione). Ecco una breve descrizione del gioco in questione: «[L'Imitation Game] è giocato da un uomo (A), una donna (B) e l’interrogante (C) [...]. L’inter- rogante (C) viene chiuso in una stanza, separato dagli altri due. Scopo del gioco per l’interro - gante è quello di determinare quale delle altre due persone sia l’uomo e quale la donna. Affinché i toni di voce possano non aiutare l'interrogante (C), le risposte dovrebbero essere scritte, o me- glio ancora, dattiloscritte. [...] L'obiettivo di (A) è cercare di indurre (C) a fare l'identificazione sbagliata, [mentre] lo scopo del gioco per (B) è aiutare l'interrogante (C). [...] Poniamo ora la domanda: “Che succede se una macchina prende il posto di (A) nel gioco?”»34 Il test, come si può dedurre, può essere superato esclusivamente da una macchina in grado di con- versare in modo così umano con l'interrogante (C) tanto che quest'ultimo non è in grado di distin- guere il secondo umano dal computer. La migliore strategia adottabile da una macchina consistereb- be nel provare a formulare le risposte che sarebbero date istintivamente da un uomo.35 Se un sistema può simulare efficacemente le risposte umane tanto che il 30% degli osservatori, dopo un test di 5 minuti, non può discernere in modo affidabile se ha interagito con un computer o con una persona, allora il sistema supera il test.36 Il test è di carattere puramente ipotetico, in quanto l'autore non si chiese se tutti i calcolatori numeri- ci possano far buona figura nel gioco né se avrebbero potuto far buona figura nel gioco i calcolatori disponibili al tempo, bensì se fossero (e siano) immaginabili calcolatori in grado di superare l'esa- me.37 Viene conseguentemente tracciata una linea di demarcazione abbastanza netta tra le capacità fisiche e le capacità intellettuali di un uomo.38 L'intelligenza è considerata una questione di comportamen- to: se un sistema ha una mente, ciò è determinato da cosa il sistema in questione può e cosa non può fare.39 Ulteriore ramificazione scaturisce dal tipo di comportamento che Turing tiene in considera- zione tramite il suo test, cioè il comportamento verbale. Un sistema è sicuramente intelligente, se- condo il matematico britannico, «se può sostenere una conversazione ordinaria come una persona comune».40 31 TURING, ALAN, Computing Machinery and Intelligence, in Mind, Vol. 59, N. 236 (Ottobre 1950), pp. 433-460, riportato in Mind Design II - Philosophy. Psychology. Artificial Intelligence - Revised and enlarged edition, a cura di John Haugeland, The MIT Press, Cambridge 19972 (1a ed. 1985), pp. 29-56. 32 HODGES, ANDREW, Alan Turing, Stanford Encyclopedia of Philosophy, Introduction. 33 TURING, Computing Machinery and Intelligence, p. 29. 34 Ivi, p. 29-30. 35 Ivi, p. 31. 36 OPPY, GRAHAM; DOWE, DAVID, The Turing Test, Stanford Encyclopedia of Philosophy, visionabile all'indirizzo: https://plato.stanford.edu/entries/turing-test/, cap. 1, Turing (1950) and the Imitation Game. 37 TURING, Computing Machinery and Intelligence, p. 32. 38 Ivi, p. 30. 39 HAUGELAND, JOHN, What Is Mind Design?, in Mind Design II, p. 3. 40 Ibidem; si veda inoltre HAUSER, Artificial Intelligence, Internet Encyclopedia of Philosophy, cap. 2, The Turing Il test è stato progettato per aggirare le discussioni sulla natura del pensiero, della mente e della co- scienza e per fornire un criterio in termini di mera osservazione esterna:41 Turing infatti parte dal presupposto che ci debba essere un modo in cui la mente funziona, e che, qualunque esso sia, un computer potrebbe implementarlo o simularlo.42 Inoltre, il punto centrale dell'impostazione del test, con il suo collegamento remoto di messaggi di testo, era conseguente al fatto che Turing fosse restio a separare l'intelligenza dalle altre facoltà e proprietà umane.43 Egli riteneva infatti che la capacità di impegnarsi in una conversazione relativa ad una capacità specifica implicasse il possesso della capacità stessa. Parlare non è solo una fra le varie abilità di un essere intelligente, ma anche la capacità di esprimere in modo intelligente altre abilità intelligenti, in quanto il mancato possesso di quelle capacità implica necessariamente l'inca- pacità di parlarne in modo intelligente: «Esistono sistemi in grado di [...] pilotare aeroplani senza essere [...] intelligenti. Perché la capa- cità di portare avanti conversazioni ordinarie non può essere [equiparata a questa]? Non si pos- sono [...] far volare aeroplani parlando, ma si può certamente parlare [di] volo e, se non si sa di cosa si sta parlando, ciò diventerà presto dolorosamente ovvio».44 Il test non ha evitato di sollevare alcuni interrogativi manifestamente ostili nei confronti dello stes- so. Ad esempio, il principio di imitazione di Turing presume un linguaggio e una cultura condivisi per i suoi interrogativi, tanto che alcune persone hanno suggerito che il Turing Test sia sciovinista: riconosce l'intelligenza «solo nelle cose che sono in grado di sostenere una conversazione con noi»45 e non affronta la possibilità che possano esserci «tipi di pensiero, da parte di animali o intelligenze extra-terrestri, che non sono suscettibili di comunicazione».46 Se una macchina dovesse superare il Turing Test, dovremmo necessariamente concludere che essa mostra un certo livello di intelligenza? Il livello semantico del linguaggio sembra infatti essere ri- dotto al semplice livello sintattico: la macchina potrebbe rispondere in modi grammaticalmente cor- retti, ma da ciò dovremmo dedurre che è in grado di capire cosa sta dicendo? Tutte queste domande sono tuttora dibattute in maniera fervente. Chinese Room Argument Il Chinese Room Argument (esperimento della stanza cinese) di John Searle, è uno dei più importan- ti esperimenti mentali nella filosofia della mente del XXo secolo, ed è finalizzato a dimostrare che un computer che non comprende davvero i simboli può superare il Turing Test.47 Tale esperimento venne teorizzato in un articolo intitolato“Minds, Brains, and Programs”,48 conte- nuto nella rivista Behavioral and Brain Sciences. L'autore innanzitutto effettua una radicale divisio- ne fra quelle che lui considera essere due tipologie non assimilabili di IA: «Quale significato psicologico e filosofico dovremmo attribuire ai recenti tentativi di simulazio- ni al computer delle capacità cognitive umane? Nel rispondere a questa domanda trovo utile di - Test. 41 HODGES, Alan Turing, Stanford Encyclopedia of Philosophy, cap. 7, Machine Intelligence. 42 HAUGELAND, What Is Mind Design?, p. 15. 43 HODGES, Alan Turing, Stanford Encyclopedia of Philosophy, cap. 7, Machine Intelligence. 44 HAUGELAND, What Is Mind Design?, pp. 3-4. 45 OPPY; DOWE, The Turing Test, Stanford Encyclopedia of Philosophy, cap. 1, Turing (1950) and the Imitation Game. 46 HODGES, Alan Turing, Stanford Encyclopedia of Philosophy, cap. 7, Machine Intelligence. 47 HAUSER, LARRY, Chinese Room Argument, Internet Encyclopedia of Philosophy, cap. 5, Summary Analysis. 48 SEARLE, JOHN R., Minds, Brains, and Programs, in Behavioral and Brain Sciences, Vol. 3, N. 3 (Settembre 1980), pp. 417-457, riportato in Mind Design II, pp. 183-204. stinguere ciò che chiamerò IA forte da IA debole [...]. Secondo l'IA debole, il valore principale del computer nello studio della mente è che ci [...] consente di formulare e testare ipotesi in modo più rigoroso e preciso di prima. Ma secondo l'IA forte il computer non è solo uno stru- mento nello studio della mente; piuttosto, il computer opportunamente programmato è davvero una mente, nel senso che si può letteralmente dire che i computer dotati dei giusti programmi comprendono e hanno altri stati cognitivi. [...] Non ho obiezioni alle affermazioni di un'IA debo- le [...]. La mia discussione qui sarà diretta alle affermazioni che ho definito come IA forte».49 In cosa consiste l'esperimento mentale proposto da Searle? L’autore immagina una stanza con all’in- terno un uomo che non conosce il cinese. Nella stanza vengono introdotte, tramite dei biglietti, delle domande in lingua cinese, che ovviamente l’uomo all’interno non riesce a leggere. Egli ha però a disposizione un enorme dizionario e delle regole che gli permettono di fornire delle risposte alle do- mande che riceve: egli provvede dunque ad inviare all’esterno dei nuovi biglietti in risposta a quelli ricevuti. Secondo Searle, non si può affermare che l’uomo all’interno della stanza, pur in grado di fornire risposte corrette alle domande che gli vengono poste, conosca il cinese.50 Qual è la correlazione fra questo esperimento e l'IA forte? Ebbene, le ipotesi behaviouristic (com- portamentiste) sostengono che, affinché un artefatto possa essere definito intelligente, sia sufficiente che esso agisca in modo apparentemente intelligente. Le ipotesi functionalistic (funzionalistiche), invece, sostengono che il comportamento apparentemente intelligente debba essere prodotto dalle giuste procedure o calcoli. Si può quindi dedurre che l'esperimento della stanza cinese mira a confu- tare entrambe queste ipotesi. L'uomo nella stanza si comporta infatti come se capisse il cinese, ep- pure non lo capisce: quindi, contrariamente a quanto affermato dalla corrente comportamentista, se una macchina agisce come se fosse intelligente ciò non basta a poterla definire davvero intelligente. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dal funzionalismo, l'intelligenza non deriva da quali pro- cedure sottendono il comportamento di un essere apparentemente intelligente: l'uomo rinchiuso nel- la stanza potrebbe implementare qualsiasi programma, ma non per questo possederebbe lo stato mentale (ad esempio, la capacità di capire il cinese) che il suo comportamento sembrerebbe dimo- strare.51 Con un ragionamento lineare si può dedurre la consequenziale critica al test di Turing. Una macchi- na debitamente programmata potrebbe per l'appunto dare l'impressione di capire il linguaggio, ma ciò non presuppone una reale comprensione da parte della stessa. Quindi il test di Turing, che ver- rebbe superato dalla macchina in questione, è «inadeguato»52 a stabilire l'effettiva intelligenza di un artefatto. Searle, dopo aver criticato il test di Turing, provvede inoltre a spiegare il motivo per cui viene con- ferita intelligenza ad oggetti inanimati: ciò ha a che fare con il fatto che agli artefatti noi umani estendiamo our own intentionality (la nostra intenzionalità).53 Come si sarà potuto desumere dalle finalità del suo articolo, egli tuttavia si oppone a tale credenza, ed anzi afferma che: «La mia opinione è che solo una macchina può pensare, e in effetti solo tipi molto speciali di macchine, vale a dire cervelli e macchine che hanno gli stessi poteri causali del cervello. E que- sto è il motivo principale per cui un'IA forte ha avuto poco da dirci sul pensiero: non ha nulla da dirci sulle macchine. Per sua stessa definizione si tratta di programmi e i programmi non sono 49 Ivi, p. 183. 50 COLE, DAVID, The Chinese Room Argument, Stanford Encyclopedia of Philosophy; POSER, ANDREA, AI – Intel- ligenza Artificiale, tesi di Laurea Magistrale in Scienze Filosofiche discussa presso l'Università Ca' Foscari di Venezia (relatore: professor Enrico Jabara), a. a. 2019/2020, pp. 33-34. 51 HAUSER, Chinese Room Argument, Internet Encyclopedia of Philosophy, cap. 1, The Chinese Room Thought Expe- riment. 52 COLE, The Chinese Room Argument, Stanford Encyclopedia of Philosophy. 53 SEARLE, JOHN R., Minds, Brains, and Programs, p. 188.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved