Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Le pedagogie del Novecento Franco Cambi, Schemi e mappe concettuali di Pedagogia

Riassunto del manuale in modo dettagliato

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 08/09/2022

Michelangelo201219
Michelangelo201219 🇮🇹

4.7

(15)

8 documenti

1 / 27

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Le pedagogie del Novecento Franco Cambi e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Introduzione Il Novecento per la sua complessità è un secolo da pensare e ripensare, denso di contraddizioni: totalitarismi e democrazia, masse e elites, integralismi e globalizzazione. Un secolo capolinea e sicuramente spartiacque, un secolo di speranze, di ritorno alla ragione, agli accordi mondiali e alla fondazione di una civiltà planetaria. Hobsbawn lo definì il secolo breve (1917-1989). Al di là della politica sono state la scienza e la tecnica a stabilire la rivoluzione più profonda, cambiando forme di vita, mentalità ma allo stesso tempo aprendo a panorami di inquietudine e di manipolazione della vita. Ci sono stati ampi processi di modernizzazione sociale, la scolarizzazione, la cultura di massa, l’emancipazione femminile. Un secolo quindi plurale e complesso, dall’orrore dell’Olocausto al mito del soggetto-individuo; il secolo del trionfo del capitalismo; il secolo americano, per il ruolo che gli USA ne hanno giocato. Insomma, un secolo irrisolto e irrequieto su cui si deve continuare a riflettere. Assumere un’ottica critica e interpretativa sul XX secolo è necessario. La complessità del Novecento: alcuni eventi hanno segnato l’identità del XX secolo. ● Modernizzazione incontrollata ● Ascesa della tecnologia ● Irruzione delle masse, giovani e donne ● Olocausto ● Mondializzazione Tradizione e modernizzazione sono state l’aut aut culturale e ideologico del secolo, tra reazione e rivoluzione, tra conservatorismo e emancipazione. Da un lato la cultura, la società, la mentalità, si sono decostruite per inoltrarsi nel nuovo avvenire; dall’altro si sono saldate alle tradizioni, alle identità, producendo nazionalismi e integralismi. L’exploit della tecnologia presidia la nostra vita quotidiana e governa la vita sociale. Il Novecento è stato l’affermazione di nuovi soggetti quali le masse, i giovani e le donne: un secolo di ampie sensibili rotture sociali. Al centro, come monito, l’orrore dell’Olocausto, che ha ridotto l’uomo a pura cosa, spogliandolo di ogni dignità: è il punto di non ritorno della storia dell’uomo. Deve essere uno spartiacque alimentato dalla testimonianza, dalla memoria e dalla riflessione sul “come è potuto succedere”. L’avvento della globalizzazione economica, comunicativa e informatica deflagra nel XX secolo: la terra si fa patria unica per gli uomini del pianeta. Il Novecento proprio per le sue luci e ombre, è stato un grande secolo, che impone alla storia di ripensarsi e di cambiare rotta. Le svolte in pedagogia: la pedagogia si è fortemente rinnovata sotto la spinta della società di massa, sotto l’impulso della scienza e della tecnica che ha trasformato i saperi e le pratiche sociali. La scienza nel Novecento è ormai il paradigma centrale della conoscenza e modello guida della società. Tre sono state le innovazioni in campo pedagogico: 1. L’affermarsi delle scienze dell’educazione 2. Il costituirsi di un modello di pedagogia critica 3. Lo sviluppo della pedagogia sociale Sul piano diretto delle pratiche sociali, l’educazione e la pedagogia si sono ridefinite intorno a tre modelli: 1. Alfabetizzazione 2. Cultura di massa 3. Educazione per tutta la vita La pedagogia si è fatta scienza empirica con questi processi innovativi. Un secolo di svolta, decisivo per aver dato alla pedagogia una conoscenza più profonda di sé e un ruolo sociale. Il passaggio dalla pedagogia a scienza dell’educazione è stato decisivo, irreversibile e trasformativo del sapere pedagogico. Resta uno degli eventi chiave della pedagogia nel corso del Novecento, che sempre più si è dovuta ridefinire in senso scientifico. Si è venuto costruendo quel modello di pedagogia critica che oggi è presente in varie aree culturali, per fare pedagogia non ridotta alle sole scienze dell’educazione. Il settore fondamentale della pedagogia, è quello della pedagogia sociale: verte intorno alle emergenze, ai bisogni educativi delle società attuali, che sono molti e in costante crescita. Si pensi alla famiglia, tradizionalmente era il luogo dell’educazione primaria; oggi anche la famiglia deve essere educata e guidata. Nel Novecento si inoltre imposto l’alfabeto come fenomeno planetario, anche se oggi non basta più: il computer e le lingue sono nuovi strumenti essenziali per la cittadinanza. L’alfabeto ha reso i cittadini capaci di informarsi e comunicare con gli altri individui. La cultura di massa è stata un nuovo impatto educativo. L’avvento della stampa, del cinema, della radio e della tv hanno aperto nuove potenzialità educative ma anche nuove problematiche. I mass media hanno svolto una funzione di promozione: di entrata nella cultura borghese e industriale, sottraendo le masse al dominio del folklore. Di qui l’impegno per un’educazione per tutta la vita che deve scandirsi nei suoi vari fronti. L’avventura dell’attivismo Nel XX secolo la scuola subisce grandi trasformazioni, si apre alle masse, si nutre di ideologia, si afferma centrale nella società. Questa visione rinnovata fu massima nell’ambito della tradizione attivistica, quando la scuola si impose come istituzione chiave della società democratica e si alimentò di un forte ideale libertario, dando vita a sperimentazioni e didattiche fondate sul “fare”. L’attivismo è stato una grande voce della pedagogia novecentesca che ha avuto largo influsso nelle pratiche quotidiane dell’educazione scolastica, mettendo al centro il bambino, i suoi bisogni e le sue capacità; il fare che deve procedere il conoscere, che quindi si matura sul piano operatorio; l’apprendimento che pone al centro l’ambiente e non il sapere codificato. Si rompeva con un’educazione formalistica e tradizionale, con una pedagogia astratta e metafisica. Le “nuove scuole” e l’educazione attiva: agli inizi del Novecento si affermano nella pedagogia mondiale, alcune esperienze educative di avanguardia, legate alle nuove scoperte psicologiche e al movimento di emancipazione di larghe masse popolari nel mondo occidentale, che hanno innovato in profondità il ruolo della scuola e il suo profilo educativo. Le scuole nuove nacquero come esperimenti isolati, legate a condizioni e personaggi eccezionali, per poi avere grande risonanza nel mondo educativo, avviando una serie di richieste nel mondo dell’istruzione, rivolte a cambiare il mondo della scuola. Il carattere comune di queste scuole nuove va individuato nel richiamo all’attività del fanciullo. L’infanzia è vista come un’età pre intellettuale e morale, nella quale i processi cognitivi si intrecciano all’operare e al dinamismo. Il fanciullo è per sua natura attivo e necessita di essere liberato dai vincoli dell’educazione familiare e scolastica, permettendo invece una libera manifestazione delle sue inclinazioni. La scuola deve quindi essere allontanata dall’ambiente artificiale della città, l’apprendimento deve avvenire a contatto con l’ambiente esterno. Alla base delle scuole nuove vi è il comune ideale di scuola attiva. Le scuole nuove sono anche una voce di protesta contro la società industriale e tecnologica: esse si alimentano di ideologia democratica e progressista, ispirata ad un ideale di partecipazione attiva dei cittadini. L’esperimento delle scuole nuove fu avviato in Inghilterra da Cecil Reddie: la scuola è concepita come un piccolo mondo reale e pratico, dove si collega il teorico con il pratico. In Francia Edmond Demolins sperimentò una scuola in campagna, dove il fanciullo gode di ampia libertà. L’obiettivo è quello di attuare una formazione globale, intellettuale e fisica del fanciullo; lo studio è gestito per centri di interesse; si valorizzano le attività pratiche. E’ stato Ferriere si ispirò inizialmente alla teoria dell’elan vital di Bergson. Si pose in un atteggiamento di difesa dei diritti del fanciullo e dei suoi bisogni fondamentali, connessi ad un esercizio di libera attività. Questa difesa va posta al centro della scuola attiva, così da raggiungere il suo essenziale scopo, quello di essere liberatrice e di educare alla libertà. La lezione di Ferriere si caratterizzò soprattutto per l’ampio lavoro di sintesi e interpretazione della ricerca dei fondamenti comuni alle varie esperienze di educazione nuova e per avere dato a questi principi comuni, un’accezione bio-psicologico-spiritualistica. Maria Montessori, nota per la sua Casa dei bambini a Roma, si schierò a difesa dei diritti dell’infanzia. Alla base del metodo Montessori vi è uno studio sperimentale sul fanciullo che pone l’accento sulle attività senso motorie del fanciullo, che vanno sviluppate sia attraverso esercizi di vita pratica, si attraverso materiale didattico scientificamente organizzato. Montessori sviluppò anche il principio educativo della liberazione del fanciullo, del ruolo formativo dell’ambiente e della concezione della mente infantile come assorbente. Il fanciullo deve vivere le sue attività liberamente. La liberazione è una crescita ricca e armonica, sviluppo della persona e quindi deve avvenire sotto la guida attenta dell’adulto: il ruolo dell’ambiente quindi si vede nettamente ridimensionato, ma comunque la sua importanza rimane centrale, e quindi è il caso che sia adattato al fanciullo. Lo stesso arredamento scolastico deve essere adattato al fanciullo. Secondo Montessori, il fanciullo deve fare da sé e ricevere stimoli e sollecitazioni soprattutto dall’ambiente e non direttamente dall’adulto. Inoltre la mente infantile è vista come una mente assorbente, che si manifesta poi nell’immaginazione creativa, nel piacere dei racconti, nell’attaccamento alle persone, nel gioco. Per quanto riguarda l’impegno sociale, Montessori sviluppò aspetti ancora attuali in pedagogia, come la valorizzazione dell’educazione alla pace e alla solidarietà fra i popoli. Nuove teorie pedagogiche: l’idealismo italiano Giovanni Gentile elabora quella che viene chiamato “attualismo”, che muove dall’atto del pensiero come principio unico e fondante di tutta la realtà. Per Gentile la pedagogia si fa veramente scienza solo se diviene filosofia: la vera pedagogia scientifica è quella che pensa all’educazione, e l’uomo che ne è il protagonista, in termini di spirito, di sviluppo dialettico e di unità, attraverso il principio della sintesi a priori. In tal modo la vera scienza e solo la filosofia. L’attualismo di Gentile, legato ad una visione spiritualistica e filosofica dell’educazione, intende opporsi radicalmente a tutte le concezioni pedagogiche a base naturalistica, che non riconoscono adeguatamente la natura spirituale propria dell’uomo. Secondo Gentile, positivismo e herbertismo, separano la teoria della pratica, e corrono il rischio di darci un’immagine astratta della vita spirituale e di presentarla in termini materialistici. l’assenza della nozione di svolgimento spirituale, blocca la pedagogia naturalistica su un terreno non scientifico. Nel “Sommario di pedagogia come scienza filosofica”, Gentile delinea una precisa concezione della scuola, vista come il luogo dove si compiono i processi di formazione spirituale. L’obiettivo è quello di affermare l’unità della vita spirituale che si compie nell’atto educativo: tutto questo si compie attraverso la centralità dell’insegnante, della sua cultura, della sua autorità, dovuta al più alto grado di spiritualità che egli ha maturato. La scuola di Gentile è quella del maestro e della cultura; si sviluppa sulla lezione tradizionale alla cattedra. Il filosofo distingue tre tipi di fanciullo: il fanciullo eterno (che si incontra in qualunque età della vita); il fanciullo fantoccio (costruito dalla psicologia dell’infanzia; il fanciullo reale (quello esistente in carne e ossa). Tale fanciullo reale è artista e sognatore, rivolto al gioco e soggetto dotato di volontà e autonomia. La teoria gentiliana oscilla tra spontaneismo e disciplina, tra le ragioni del maestro e del fanciullo, proponendo però il recupero della scuola tradizionale. Gentile si pone contrario al principio di laicità, in quanto ogni educazione esige un orientamento ideale e una prospettiva di valori, e quindi iniziato ad una religione. Sul terreno della didattica, Gentile muove dalla visione spiritualistica del reale per cui il metodo di insegnamento è legato a tre momenti: arte, religione e filosofia. L’arte in modo particolare occupa un posto centrale nell’insegnamento, imprescindibile in ogni processo educativo. La religione è il momento dell’oggettività e pone una verità che lo spirito deve rispettare. Si passa poi alla sintesi filosofica che riconosce lo spirito come autonomia. La pedagogia gentiliana influenzò pesantemente il panorama italiano, ponendosi a difesa della superiorità della cultura umanistica, delineando un orientamento autoritario e conservatore dell’educazione stessa. Si afferma la centralità del maestro e della lezione passiva e si riduce la pedagogia a filosofia. La pedagogia nel neoidealismo italiano: la pedagogia dell’attualismo influenzò la tradizione pedagogica italiana operando una svolta in senso spiritualistico e provocando un netto rifiuto della tradizione scientifica e laica. L’attualismo fa da baricentro della pedagogia italiana e combatté con vigore le pedagogie positiviste e socialiste. C’è da dire che dalle posizioni gentiliane si allontanarono alcuni esponenti dell’attualismo, come Lombardo Radice e Codignola, fautori di una pedagogia legata a nuove esigenze. Interessanti le opinioni di Calogero che intendeva reintrodurre il dualismo tra maestro e scolaro, quali soggetti che si vengono unificando mediante un dialogo che li conduce l’uno verso l’altro. Calogero sviluppa anche un recupero della pedagogia tecnica e della didattica come problema specifico. La stessa educazione religiosa viene ricondotta ad un piano puramente etico, nella quale simboleggia l’apertura verso gli altri. In questa visione calogeriana, veniva respinta quella totale riduzione della pedagogia alla filosofia. Gino Ferretti contro i postulati dell’attualismo pedagogico, verso un recupero di alcune posizioni positiviste, quali l’autonomia e uno studio psicologico dell’infanzia, poi verso esigenze quali il materialismo storico e la pedagogia scientifica del fanciullo. Aldo Capitini ha rivendicato l’autonomia dell’esperienza religiosa e la sua superiorità rispetto alla filosofia. Lombardo Radice si attenne sempre al rigoroso idealismo gentiliano, legato alla concezione dello spirito come svolgimento attivo e dinamico. Emergono comunque alcuni aspetti di dissenso rispetto all’attualismo gentiliano: lo spirito di Radice diviene comunione di spiriti e vita di relazione. Egli insiste sui problemi sociali e sul ruolo educatore dello Stato. Anche lo stesso nazionalismo si presenta in forma diversa da quello gentiliano, in quanto legato ad un sottofondo socialista, che lo rende sensibile alle esigenze del popolo e alle istanze di una società egualitaria. Radice presuppone una didattica attiva e creativa, che opera contro l’eccessiva specializzazione. La didattica di Radice si risolve in una ricerca continua e problematica, in un esame critico dell’opera educativa. Innanzitutto la figura del maestro deve aprirsi alla collaborazione col fanciullo; la lezione risulta essere una ricca e complessa unità organica che si collega con tutti gli altri atti educativi; vi è alla base una specifica concezione dell’infanzia, come un’età creativa e attiva, intensamente affettiva e legata alla conoscenza del mondo. Il fanciullo è poeta, in lui è forte la fantasia che si esprime con l’arte. Da questi principi si sviluppa l’attenzione di Radice per l’educazione artistica e linguistica, vista come il baricentro dell’insegnamento. Il modello di scuola di Lombardo Radice prese il nome di “scuola serena”, una scuola di tipo attivistico, ma che poneva al centro l’espressione artistica e al posto del puerocentrismo, proponeva una collaborazione fra fanciullo e maestro. Tale scuola non può essere laica, ma vivere i valori religiosi del cattolicesimo. Radice riconosce anche la funzione essenziale di corsi in cui venga riconosciuto un ruolo formativo professionale anche alla psicologia e didattica. Tra pragmatismo e strumentalismo: John Dewey Dewey è stato il più grande pedagogista del Novecento, fautore di un nuovo modello di educazione nuova, un intellettuale sensibile al ruolo politico della pedagogia e dell’educazione; è stato anche un grande filosofo che ha sviluppato la lezione del pragmatismo americano verso esiti razionalistico-critici, metodologici ed etico-politici. La filosofia di Dewey si articola intorno a una teoria dell’esperienza, vista come l’ambito dello scambio tra soggetto e natura, scambio attivo, che resta costantemente aperto poiché caratterizzato da una crisi sul quale interviene il pensiero come mezzo di ricostruzione di un equilibrio. All’uomo e alla sua intelligenza è affidato lo sviluppo e il controllo dell’esperienza attraverso l’uso della logica, caratterizzata dal metodo scientifico. Purtuttavia anche all’arte, all’immaginazione e alle sue procedure simboliche, viene assegnato un ruolo fondamentale per attuare uno sviluppo intelligente. L’arte deve diventare un fattore centrale dell’esperienza e della sua dimensione valutativa. Un ruolo centrale occupa la riflessione politica, che ruota attorno al principio della democrazia, che deve essere costantemente costruita attraverso un’opera di educazione scolastica. La riflessione pedagogica ha accompagnato tutta la produzione deweyana, e si è diretta verso la costruzione di una rigorosa filosofia dell’educazione e verso la messa a punto di un progetto operativo radicalmente innovatore in campo scolastico e didattico. Si viene elaborando una pedagogia attenta ai problemi della società industriale moderna, e si caratterizza: ● Ispirata al pragmatismo e quindi ad un permanente contatto del momento teorico con quello pratico, in modo tale che il “fare” divenga il momento centrale dell’apprendimento; ● Intrecciata con le ricerche delle scienze sperimentali; ● Impegnata a costruire una filosofia dell’educazione che assuma un ruolo assai importante anche in campo sociale e politico, perché ad essa è delegato lo sviluppo democratico della società e la formazione del cittadino; Tutto questo sarà il modello guida della scuola attiva, rivolta a valorizzare il fanciullo come il protagonista del processo educativo e anche a porlo al centro di ogni iniziativa didattica. In “Scuola e Società”, Dewey fissa i caratteri fondamentali del suo pensiero: la scuola deve legarsi intimamente con l’evoluzione della società, deve diventare una comunità in miniatura attraverso il più stretto contatto con l’ambiente e con la realtà sociale del lavoro. Dovranno essere costruiti laboratori di vario tipo che colleghino le attività scolastiche con quelle produttive. Dewey riconosce la funzione innovatrice e formativa del lavoro manuale in quanto rende i ragazzi svegli e attivi, più utili e inclini ad aiutare la famiglia. L’altro grande tema dell’opera è la valorizzazione in ambito scolastico della vita del fanciullo. Nella scuola dovranno trovare spazio adeguato i quattro interessi, quello per la comunicazione, per l’indagine, per la costruzione e per l’espressione artistica. In “Democrazia e educazione”, Dewey sviluppa in maniera più organica il discorso intorno all’educazione, che deve avere i suoi legami con lo sviluppo sociale, con lo sviluppo naturale del soggetto e con la sua efficienza sociale, ovvero il legame con la cultura e la tradizione di una società. Dewey sviluppa anche altri temi come quello della funzione democratica dell’educazione e quello della valorizzazione della scienza come metodo specifico di un’educazione democratica. La scuola deve promuovere un incremento della democrazia e alla partecipazione alla vita sociale: le viene affidato il compito di trasformare politicamente il volto della società, sviluppandone i momenti di partecipazione e collaborazione. Affinché l’educazione possa realizzare il suo compito, è necessario che ponga al centro della formazione intellettuale il metodo della scienza. Esso è un metodo democratico, capace di esperienze educative a contatto con ragazzi abbandonati. La sua pedagogia si inquadrava nel “collettivo del lavoro” e nel “lavoro produttivo”. Il collettivo è un vivente organismo sociale di individui, legati fra loro mediante la comune responsabilità sul lavoro e sulla partecipazione al lavoro collettivo; ogni individuo assume compiti e responsabilità, agisce secondo norme disciplinari. Solo attraverso il collettivo è possibile formare quegli uomini nuovi, impegnati e socialisti, che sono richiesti per la creazione e lo sviluppo della società rivoluzionaria. Molto forte nel collettivo è la disciplina, che è si, socialmente gestita, ma pur sempre presente nella capillare organizzazione del lavoro del collettivo, e ai suoi valori fondamentali: dovere, onore, produttività. Il lavoro produttivo nasce dalla consapevolezza di essere inserito nello sviluppo della società, alla quale si deve partecipare attivamente. E’ necessario organizzare ogni giornata lavorativa in modo significativo, dotandola di obiettivi e prospettive: tali prospettive sono nello sviluppo economico e nello sviluppo collettivo, come pure nell’ideale di uomo nuovo. Uno spazio significativo viene assegnato anche al problema della famiglia che viene riconosciuta come la sede più idonea della prima educazione. L’autorità genitoriale deve fondarsi sulla solidarietà reciproca e sull’affetto: l’ambiente familiare deve realizzare il benessere del fanciullo e individuare le giuste forme di disciplina, di lavoro, di libertà, di gioco e di autorità. L’esperienza pedagogica più significativa del marxismo è quella di Antonio Gramsci, che ha ripensato i principi metodologici del marxismo all’interno di una condizione storica precisa: la non-diffusione della rivoluzione proletaria dopo il ‘17 russo. In queste nuove condizioni, anche le strategie del comunismo e del marxismo vanno ripensate. Nei Quaderni del carcere, egli ridefinisce il marxismo come filosofia della prassi. La filosofia della prassi si contrappone a ogni sapere positivistico ed empiristico, teso a delineare una concezione scientifica del reale, mentre il marxismo muove da una visione storico-critica della realtà, sottolineando il dinamismo, il ruolo attivo dell’uomo, il primato dell’economico politico. Gramsci si oppone a ogni forma di materialismo per interpretare il marxismo come storicismo, in quanto incentrato sull’attività dell’uomo nella società e nella storia. Nel mondo contemporaneo non è partendo dalla struttura (economia) che si può trasformare la realtà, bensì operando anche a partire dalla sovrastruttura (ideologia e cultura). In questo ripensamento del marxismo da parte di Gramsci, l’aspetto pedagogico è dominante: l’egemonia culturale si costruisce attraverso l’azione di molte istituzioni educative, e guarda alla formazione di intellettuali organici, funzionali al processo di costruzione dell’egemonia, attraverso un’organizzazione della cultura che deve investire ogni cittadino, conformandolo al progetto politico-culturale in costruzione. Centrale il ruolo assegnato alla cultura che libera dal folklore e integra le classi. In Americanismo e Fordismo Gramsci richiama anche la sua concezione di scuola, sottolineandone il nozionismo, il ruolo di guida nell’apprendimento della cultura, l’impegno nello studio e la disciplina, contro ogni spontaneismo e attivismo pedagogico. Il modello pedagogico gramsciano si manifesta come il modello più aperto, più avanzato e più democratico elaborato dal marxismo, caratteri che lo rendono ancora molto attuale, rivolto a rendere più socialmente attiva e partecipata la cultura e la coscienza critica. Il pensiero pedagogico gramsciano influì molto sulla pedagogia italiana. Pedagogia cristiana e personalismo Nel pensiero pedagogico del Novecento vi è una variegata presenza di orientamenti di matrice cristiana. Le soluzioni non sono state certamente omogenee, anche se sul versante cattolico hanno profondamente risentito del magistero ufficiale della Chiesa, che si è impegnata a definire gli elementi essenziali e irrinunciabili di un’educazione cristiana. Il magistero ufficiale della Chiesa rivolse le prime attenzioni ai problemi educativi sotto Leone XIII, riconfermando la dottrina tradizionale, sottolineando il ruolo primario della famiglia e il principio di libertà di educazione per la Chiesa stessa. La posizione cattolica si fece più rigida sotto Pio X, il papa dell’anti-modernismo, ribadendo che non esiste perfetta educazione se non quella cristiana, e che questa ha importanza capitale per la sopravvivenza dell’umanità. Garantisce una formazione integrale dell’uomo in relazione al fine della salvezza eterna tramite la fede e l’adeguamento ai comandamenti. Proprio alla Chiesa è riconosciuto un ruolo eminente nell’educazione dei giovani, accanto alla famiglia che ha la missione di educare la prole di Dio. Allo Stato spetta la funzione subordinata di proteggere e promuovere la famiglia e l’individuo. L’enciclica del papa auspica ad un pluralismo di scuole, della cui libertà lo stato deve farsi garante; lo stesso testo condanna molti aspetti dell’educazione moderna, quali la coeducazione dei sessi o l’educazione sessuale. Solo col Vaticano II le prospettive della pedagogia cattolica mutano: l’educazione non è più un diritto della Chiesa. L’educazione diventa opera di collaborazione e il suo obiettivo fondamentale viene visto nella formazione della persona umana in vista del bene nella società. Si approva una prudente educazione sessuale e un avvio alla vita sociale, ribadendo il dovere della famiglia come primo responsabile dell’educazione della prole. Alla luce del magistero cattolico si sono sviluppate una serie di forme educative che privilegiano l’associazionismo, dall’Azione Cattolica all’Opus Dei, dai gruppi spirituali a Comunione e Liberazione, il mondo cattolico si anima di un pluralismo di azioni educative a stretto contatto con la società civile, e le stesse parrocchie ricevono da questi movimenti un nuovo impulso. Anche presso le altre chiese cristiane e non si sviluppa questo approccio alla vita comunitaria. Ci sono stati anche pedagogisti ed educatori che hanno sviluppato in forme diverse la dottrina ufficiale della Chiesa in materia educativa: la figura di Don Bosco nell’Ottocento si dedicò alla cura dei fanciulli vagabondi. Nel corso del Novecento vi fu il desiderio di assimilare nell’ambito dell’educazione cristiana le scoperte delle scienze educative, aprendo all’attivismo cristiano. Manjon elabora un modello di educazione popolare cristiana che recepisce le istanze delle scuole nuove europee, quali un’educazione all’aria aperta e a contatto con la natura, la valorizzazione del gioco ed il richiamo alla centralità del lavoro. L’esperimento educativo di Manjon si dirigeva verso i figli del popolo che devono essere istruiti e formati in vista della loro salvezza. Devaud si oppose al naturalismo pedagogico quanto al tecnicismo attivistico che risulta incapace di trasformare l’educazione in un effettivo processo di vita. Devaud non si allontana dalle posizioni tradizionali della pedagogia cristiana, riconferma la superiorità del maestro e il ruolo positivo dell’autorità. L’integrazione di Devaud tra attivismo e cristianesimo resta molto problematica, ma sicuramente importante per lo sviluppo del pensiero cattolico. Lo sforzo più grande fu però quello della pedagogia del personalismo: questo indirizzo pedagogico intende sviluppare una concezione totale dell’esperienza educativa, ponendo al centro la dimensione dei valori. Il compito del personalismo è quello di svolgere il valore della persona, affermarlo, realizzarlo in ogni aspetto della vita. Gli approcci della pedagogia personalista sono stati molto diversificati. Forster fu influenzato dalla filosofia neokantiana e dagli ideali politici del socialismo, e nelle sue opere conduce una polemica contro la pedagogia tedesca. Per Forster la pedagogia si definisce attraverso il legame con la filosofia e la teologia, e congiunge problemi di tecnica scolastica ai problemi fondamentali della vita. La prospettiva di Forster è quella di un’educazione integrale che presuppone la coeducazione dei sessi, l’importanza dell’educazione fisica e del lavoro, l’impegno sociale della scuola. Sostiene il valore dell’obbedienza, in quanto solo questa educa il fanciullo. Il personalismo di Forster fondato sull’appello alla responsabilità e all’impegno sociale, vuole porsi soprattutto come un orientamento capace di risolvere la crisi spirituale contemporanea. Hessen mirava invece a rendere l’individuo partecipe della vita sociale, e in particolare a dei valori spirituali che vengono vissuti nell’intimità della coscienza. In tale prospettiva la pedagogia si caratterizza come una filosofia applicata che trova la sua organizzazione nella filosofia intesa come teoria della cultura. L’educazione della persona si caratterizza per una profonda sensibilità verso i valori e deve promuovere una nostalgia verso di essi. Hessen porta avanti anche un’interpretazione della scuola contemporanea, sottolineandone l’aspetto democratico: in una scuola democratica l’insegnamento deve avvenire seguendo i tre caratteri fondamentali, il tutto, la gerarchia e l’autonomia. Hessen cerca di unire la civiltà occidentale capitalista con quella orientale comunista. Secondo Maritain la pedagogia deve ritrovare il proprio fondamento nella metafisica e ispirarsi ad una visione della persona che mette in rilievo il suo rapporto con i valori spirituali. Il fine primario dell’educazione è quello di far conoscere la verità oltre che di sviluppare la capacità di pensare e di giudicare. L’educazione deve essere libera e per tutti, orientata verso la sapienza, centrata sull’umanità, mirante a sviluppare negli spiriti la capacità di pensare con rettitudine. Essa deve ispirarsi anche all’idea cristiana dell’uomo, valorizzando la funzione di una severa disciplina, che non è rivolta a soffocare le energie naturali, ma a perfezionarle attraverso l’amore di Dio. Mounier si fa fautore di un’educazione in senso comunitario: la rivoluzione personalista è una trasformazione educativa volta a incrementare nel soggetto umano delle responsabilità, creatività e capacità di partecipazione sociale. La pedagogia di Mounier mette al centro il momento dell’amore come incontro genuino con l’altro, e quello dell’attività integrale, vista come il momento del farsi donandosi agli altri. Tale uomo nuovo è il modello a cui le istituzioni educative devono guardare: qui l’educazione si manifesta come il riconoscimento della vocazione. Luigi Stefanini sottopone la scuola attiva ad un vaglio personalistico, proponendo un modello di educazione che vede messo al centro il ruolo di maestro quale guida intellettuale e morale del fanciullo e quale protagonista di ogni sperimentazione didattica Mario Casotti muove da una concezione pessimistica dell’uomo e del fanciullo, segnato dal peccato originale e bisognoso della grazia divina. L’educazione si manifesta come limitazione della libertà e con un rigorismo severo che conducono il fanciullo a trovare i valori della vita. Giuseppe Catalfamo sostiene la necessità di socialità nell’educazione, senza però rinunciare alla figura centrale del maestro. Giuseppe d’Arcais è noto per la teoria della persona: la persona dell’uomo si richiama alla persona divina. Nell’ambito della pedagogia cattolica ci sono state posizioni di dissenso con la Chiesa. Lucien Laberthonnier sviluppò una concezione della pedagogia cattolica ispirata alla solidarietà e alla collaborazione, sostenendo prima di tutto la necessità della libertà dell’allievo. In tutto ciò l’educatore cristiano deve correre a formare coscienze libere e la stessa dottrina deve essere insegnata in maniera personale e viva al fine di non destare noia. Un posto centrale viene occupato dalla formazione morale che si compie in una lotta fra la carne e lo spirito, nella quale si inserisce l’insegnamento religioso. Don Zeno Saltini costituì un’esperienza pedagogica alimentata da spirito profetico e da suggestioni utopiche, la Comunità di Nomadelfia, che si ispira al modello della famiglia. I suoi obiettivi sono quelli di realizzare uno scambio costante e solidale con tutti i componenti: Educazione e pedagogia nei paesi extra UE Uno dei caratteri della pedagogia del Novecento è l’apertura ai problemi mondiali e alle aree non europee, caratterizzate da una condizione economica, politica e sociale assai diverse da quelle dei paesi più avanzati. Sono stati soprattutto 3 gli ambiti in cui si è manifestato questo processo di innovazione: ● studi antropologico-culturali dedicati alle pratiche educative presso culture non occidentali; ● innovazioni pedagogiche attuate nei paesi in via di sviluppo, con processi di alfabetizzazione; ● campagne di educazione degli adulti, applicando modelli di coscientizzazione; Da questi versanti è venuta una ridefinizione dei processi educativi, delle finalità (rivolte alla formazione del cittadino), e delle istituzioni educative. Sul piano dell’antropologia culturale basti pensare all’importanza dei richiami di Levi Strauss all’educazione familiare presso i popoli primitivi. Levi Strauss aveva presentato le pratiche familiari degli indiani del Mato Grosso: è il rapporto genitori-figli che si delinea come caratterizzato da una forte componente affettiva che si manifesta in gesti e comportamenti contrassegnati dalla tenerezza; è il rapporto corporeo che lega i componenti delle famiglie, con carezze e abbracci. Possiamo dire che nuovi valori e atteggiamenti relativi all’educazione famigliare irrompono attraverso la ricerca antropologica a de-legittimare i nostri pregiudizi etnocentrici di occidentali: tutti gli antropologi mettono a nudo pratiche pedagogiche altre rispetto alle nostre. Interessanti gli studi adolescenziali sulla società primitiva in Samoa, dove si rilevava l’inesistenza di crisi adolescenziali; a Samoa la sessualità è più libera, il passaggio alla condizione adulta è meno problematico. L’educazione permissiva a Samoa realizza soggetti meno squilibrati e più armonici. Attraverso queste ricerche comprendiamo che non esistiamo solo noi con la nostra cultura. Altrettanto significative sono le ricerche sulla cultura dei ceti subalterni, che mantengono legami stretti con culture pre-moderne, magico-religiose. De Martino ha messo in luca questa mentalità arcaica, rilevando anche come tale mentalità educhi ancora oggi l’uomo del sud e delle aree pastorali attraverso canali sociali non istituzionalizzati. All’interno di questa cultura più arcaicizzante si producono anche forme di maggiore libertà. In relazione al Terzo Mondo, dobbiamo tener presenti due processi: quello coloniale e quello della decolonizzazione. I paesi europei hanno svolto un ruolo educativo in molte aree dell’Asia e dell’Africa e America Latina: hanno imposto la loro cultura e la loro lingua alle popolazioni locali, hanno formato una classe borghese, e hanno promosso una campagna di alfabetizzazione. Attraverso questi interventi hanno svegliato anche le culture locali, i modelli formativi alternativi a quelli europei e l’organizzazione di un altro orizzonte educativo e pedagogico. Ad esempio Gandhi ha teorizzato un’educazione non violenta aperta alla tolleranza e al dialogo. Con l’avvio della decolonizzazione si è attuato un processo di più radicale alfabetizzazione delle masse nei paesi ex-coloniali. Si sono svolte campagne che hanno portato gli strumenti elementari del sapere anche ai ceti più diseredati. Comunque si può dire che si è formata una scolarizzazione di massa, elemento necessario ma non sufficiente per attuare il decollo economico. Si è avviata una riflessione sulla scuola e sulla sua funzione. In questo senso prende piede un nuovo versante di ricerca: l’educazione comparata, che viene a confrontare i diversi sistemi educativi e scolastici e i vari modelli pedagogico- formativi attraverso un’analisi sistematica, storicizzante e contestualizzante, che esclude ogni etnocentrismo pregiudiziale, favorendo un ripensamento più aperto. L’altro fronte centrale dell’educazione extra UE è l’attenzione rivolta all’educazione degli adulti: si tratta di coinvolgere gli adulti in un processo di presa di coscienza culturale, che si allontanasse dal folklore e li avvicinasse al ragionamento critico, più razionale e scientifico. Anche l’associazionismo e la sindacalizzazione hanno svolto un ruolo analogo alla promozione culturale e capaci di emancipare il soggetto dal folklore e di avviarlo verso una concezione scientifica e storico-critica. Nel XX secolo cresce la capacità di rileggere criticamente i modelli eurocentrici attraverso la comparazione con altri modelli, superando il legame col folklore e prediligendo un approccio più razionale. Dalla pedagogia alle scienze dell’educazione Nella seconda metà del Novecento si è passati ad una radicale trasformazione, si è passati dalla pedagogia alle scienze dell’educazione, ad un sapere plurale e aperto, dal primato della filosofia a quello delle scienze. Questo passaggio è avvenuto soprattutto per ragioni storico sociali, l’avvento di una società sempre più dinamica, con uomini sempre più capaci di far fronte alle innovazioni sociali e culturali. Come si definisce questo passaggio alle scienze dell’educazione? ● Declino della pedagogia come sapere unitario dell’educazione; ● Affermazione di molte discipline ausiliarie del sapere pedagogico educativo, dalla psicologia alla sociologia, fino alle tecniche educative; ● Esercizio di un controllo riflessivo su questa molteplicità di saperi, affidato a una filosofia che svolge un ruolo culturale-antropologico La pedagogia è entrata in crisi come sapere unitario allorché si è fatta sempre più tributaria di saperi specializzati assunti come scienze ausiliarie, ma che ne hanno ridescritto l’identità interna, frazionandola e disseminando in vari settori. Scompare il sapere filosofico. Così la pedagogia si è oggi trascritta nelle scienze dell’educazione e solo partendo da esse si può affrontare la problematica educativa. Quanto alle scienze che compongono il ventaglio delle scienze dell’educazione, rientrano in esse tutti quei saperi specializzati e costituiti di cui è necessario tener conto per affrontare la complessità dei fenomeni educativi, che riguardano soggetti agenti in una società, immersi in una tradizione; fenomeni che vanno letti attraverso molteplici discipline che vanno dal settore psicologico a quello sociologico, a quello metodologico didattico, a quello dei contenuti. Ogni settore è animato da una molteplicità di saperi specializzati. Insomma, il sapere pedagogico si è pluralizzato, si è articolato al proprio interno dando vita ad una serie di competenze settoriali che hanno dissolto la figura del pedagogista, spesso trascritta in quella del tecnico, ma che hanno reso tematizzabili e risolubili problemi costantemente aperti nell’educazione. Quello che cambia è l’immagine del sapere pedagogico: questo viene configurandosi quale sapere ipercomplesso, costituito da molti elementi, da sottoporre a un coordinamento riflessivo e capace di sviluppare anche una radicale autoriflessione. Possiamo quindi dire che il passaggio dalla pedagogia alle scienze dell’educazione è stato un passaggio senza ritorno; oggi è impossibile pensare ai metodi di educazione tradizionale, ma vanno pensati in modo empirico per cogliere la specificità e la varietà dei problemi, e per sottoporli a procedure di analisi e di intervento che permettano soluzioni verificabili, ispirate ad una logica della sperimentazione e del controllo scientifico. Questo passaggio ha suscitato la critica dei trazionalisti, che sostengono la riduzione del sapere a un fascio di scienze. Le pedagogie metafisiche hanno rifiutato tale risoluzione in nome di una vocazione filosofica di tale sapere. Inoltre si è posto in luce il fatto che questo processo di ridefinizione scientifica della pedagogia ha portato alla frammentazione della disciplina. Si sono smascherati i miti di questo passaggio: il riduzionismo (il pedagogico viene sezionato attraverso analisi scientifiche) o il privilegiamento empirico, o l’idea di costruire un’enciclopedia dei saperi pedagogici. Pur con questi limiti, il passaggio dalla pedagogia alle scienze dell’educazione è stato epocale: la pedagogia si è fatta un’altra cosa rispetto al suo modello passato, si è ridescritta in termini empirici e si è articolata su varie scienze, una pedagogia che vive attraverso il filtro scientifico-tecnico il suo rapporto con la pratica. Guerra fredda e pedagogia La pedagogia del Novecento subisce anche un rilancio ideologico: è la guerra fredda che glielo impone, attraverso le sue divisioni del mondo contrapposte, attraverso la logica dello schieramento, insomma, secondo un dualismo testimone di un’ideologia elementare e propagandistica. La logica del muro comanda la politica, la vita sociale e culturale. La guerra fredda ha condizionato le nostre abitudini, ha spaccato nazioni e città, distrutto e fatto nascere nazioni. La pedagogia come la filosofia, come perfino la scienza, si è in quegli anni schierata e interprete di due concezioni del mondo. Ad Ovest la pedagogia è stata rivolta alla difesa dei principi della democrazia liberale e dell’organizzazione capitalistica, dell’autonomia dell’individuo e della libertà, e si è posta soprattutto al servizio di questi principi di educazione liberal democratica. All’Est si è elaborata una pedagogia di Stato, fissata a partire dai classici del marxismo. La pedagogia occidentale coincide soprattutto con la storia dell’attivismo, è la pedagogia che si richiama a Dewey; quella orientale comunista si colloca dentro la storia del marxismo pedagogico, rielaborato attraverso le nuove condizioni storiche. L’Italia fu un vero e proprio paese di frontiera: retta da governo filo-occidentali e schierati al fianco degli USA, inserita in uno sviluppo economico capitalista e democratico, fu caratterizzata da un’ampia e attiva presenza del partito comunista, e guidata spiritualmente dalla Chiesa cattolica (DC). In questa condizione di pluralismo ideologico, la pedagogia si delinea su tre fronti che si sono combattuti e opposti. Al potere c’è stato il fronte cattolico, apertosi solo col Vaticano II a esperienze dialogiche. In opposizione al fronte cattolico, si è collocata la pedagogia laica e progressista, elaborata attraverso il ripensamento di Dewey e il suo modello di educazione democratica. I laico-progressisti hanno delineato una pedagogia attivistica attenta al rapporto con le scienze, come pure all’impegno politico e alla trasformazione della scuola, con l’obiettivo di avviare il bambino a costruirsi una personalità nella società democratica, capace di collaborare e di emanciparsi dai giudizi. Infine c’è stato il fronte marxista legato al PCI. L’Italia è stata la fucina più netta delle pedagogie della guerra fredda, ed ha alimentato a lungo un dibattito pedagogico caratterizzato da sensibili contrasti ideologici: si sono così alimentate pedagogie di schieramento, contrassegnate in senso politico. Il ruolo che tali pedagogie hanno giocato è tale che ha operato in profondità, promuovendo scelte scolastiche e modelli di formazione culturale, lasciando un segno profondo nella pedagogia attuale. Il fronte marxista manifesta nel secondo dopoguerra alcune grandi innovazioni che ne contrassegnano il ripensamento, fino al crollo dell’89. In URSS con l’avvento di Krusciov, l’aspetto educativo subisce cambiamenti: si crea una scuola obbligatoria di 8 anni, si reintroduce il lavoro manuale accanto a quello culturale. In questo mutamento si vede il ritorno alla pedagogia marxista e all’idea di ricomporre il lavoro manuale con quello intellettuale. I paesi dell’est europeo, dopo la fine della guerra, avviano un processo di riorganizzazione dell’istruzione in senso democratico: i caratteri della politica scolastica dei paesi socialisti seguono le trasformazioni della Russia. Un caso significativo fu quello della Polonia che si è trovata a dover mediare tra la tradizione marxista e quella cattolica. Il pedagogista polacco Suchodolski parla di ricomposizione tra uomo e società attraverso la prospettiva del Bruner si interroga anche sul valore sociale e politico dell’educazione e se essa possa affermarsi a una ristrutturazione dei curricula. La sua risposta è che l’educazione deve andare più a fondo e affrontare anche problemi economici e sociali che vengono a condizionarla. Lo strutturalismo psicopedagogico di Bruner ha sottolineato: ● Il ruolo fondamentale del simbolico; ● Le implicazioni scolastico-istruttive di queste scoperte cognitive; ● La necessità di attuare una trasformazione della didattica; ● La possibilità di tradurre qualsiasi idea in modo utile nelle forme di pensiero del fanciullo; Su posizioni più aperte e critiche del cognitivismo si colloca Gardner, teorico dell’esistenza delle intelligenze multiple nell’uomo, ne ha studiato i modelli e li ha legati a una pedagogia modulare. Le intelligenze sono quelle logico-matematiche, corporea-cinestetica, spaziale, linguistica, musicale, intrapersonale e interpersonale. Ciò che muta è l’idea di intelligenza come fascio di abilità che si contrastano e si equilibrano. Fodor svolse invece ricerche sulla mente, inoltrando la pedagogia cognitivistica su una frontiera più sofisticata e più articolata, dove il cognitivo si struttura in molti modi e rivela un volto dialettico e complesso. Un ulteriore incremento cognitivista all’educazione è venuto dalla teoria del curriculo, sviluppata in area anglosassone, in sintonia con una situazione scolastica che assegna autonomia e libertà di programmazione alle scuole, quindi scelta degli obiettivi, contenuti, metodi, programmazione e valutazione. Fino ad arrivare a Schwab, di stampo strutturalista, che si orienta a organizzare le conoscenze secondo criteri di ordine, di leggi, di articolazione in discipline che devono agire come fattori di unificazione dei saperi. Con le nuove tecnologie educative si è venuta delineando una centralità maggiore assegnata alle macchine nei processi di insegnamento e apprendimento: calcolatore, televisore, video registratori, computers. Il modo di insegnare si è reso più impersonale. Secondo Skinner, le diverse macchine per insegnare sono pedagogicamente positive perché permettono l’autocorrezione. A questo ambito di ricerca rimandano gli studi di Banjamin Bloom che mettono a fuoco una pedagogia degli obiettivi scolastici individuati in due aree, conoscitiva e affettiva: nella prima ci sono conoscenza, comprensione, applicazione, analisi sintesi; nella seconda, ricezione, risposta, valorizzazione, organizzazione. Queste ricerche hanno portato anche all’apprendimento per padronanza, che vuole costruire una didattica individualizzata su misura dell’allievo, registrando i suoi punti di partenza, i suoi itinerari di sviluppo e i suoi punti di arrivo. Il ‘68, critica ideologica dell’educazione e pedagogie radicali I movimenti del ‘68 hanno attivato un processo di rivoluzione culturale e giovanile, i quali hanno investito tutte le società. Tali movimenti hanno dato luogo a una fiammata ideologico-culturale ispirata al pensiero delle tre M (Marx, Mao, Marcuse), orientata verso il marxismo, ma anche secondo ispirazioni anarchiche, richiami trotskisti, atteggiamenti di estremismo. L’esempio forse più ampi fu quello del Maggio francese delle lotto studentesche, per ottenere trasformazioni nella scuola/università come pure nella politica. La lotta mirava ad una riqualificazione della vita sociale. Negli USA fu soprattutto il sapere accademico ad essere smascherato nel suo ideologismo, nella sua non-neutralità, e fu investito da una critica radicale, come pure le scuole e le università ad essere poste in discussione. In Germania ci si appellò ad una ripresa più creativa del marxismo, antistaliniana, influenzata dalla scuola di Francoforte e aperta a esperienze più libertarie: si pensi alla rivoluzione sessuale ed erotica come componente del marxismo, riletto dai suoi orizzonti dogmatici e repressivi. In Italia il movimento degli studenti si innestò in una rivolta sindacale e operaia, investì con una critica frontale il PCI e dette vita ad un pulviscolo di gruppi: così il movimento si politicizzò e degenerò nell’attivismo di Potere operaio e Lotta continua, che produssero un lavoro di rilettura del ruolo e dell’identità culturale, dei vari saperi, fino alla pedagogia. Comunque sia, in tutta Europa, si venne delineando un nuovo modo di affrontare i problemi dell’educazione e di interpretare la scuola; si trattò di un modo radicalmente critico che tendeva a ricondurre gli interventi educativi alla matrice ideologica (intesa come falso pensiero). Anzi la pedagogia e la scuola sono i luoghi in cui l’ideologia si riproduce. Althusser e Broccoli furono i teorici più espliciti di questo ideologismo della pedagogia e della scuola, e attivarono una critica dell’ideologia a base politica per smascherare e rinnovare attraverso l’azione sociale e politica l’ideologia pedagogica. La critica all’ideologia scolastica e quella pedagogica furono i temi più significativi del dibattito del ‘68 intorno all’educazione; e intorno a tali temi si svilupparono ricerche teoriche e storiche, tese ad individuare sia la modalità di azione dell’ideologia dentro la scuola, sia le forme storiche assunte dall’ideologia nei vari momenti di sviluppo della scuola contemporanea. In tale modo si è venuta elaborando una lettura critica della scuola che ne ha colto in modo più articolato il suo ruolo sociale e il suo funzionamento interno, la sua stessa identità ambigua. Anche la pedagogia fu smascherata nei suoi processi, atteggiamenti e valori autoritari nel suo collocarsi al servizio della società, nel suo configurarsi come scienza tra altre scienze: la pedagogia è un sapere sempre schierato ma che deve scegliere di schierarsi per l’emancipazione, per la liberazione dell’uomo, come soggetto individuo e come genere. In questo clima di revisione si vennero affermando alcuni modelli alternativi, che si orientavano verso i principi e valori altri, rispetto a quelli borghesi e capitalistici, saturi di ideologia autoritaria e conformistica. Furono significative le pedagogie dell’auto-gestione di Lapassade ; o quelle della descolarizzazione; come pure l’esperienza di controscuola rappresentata dalla comunità di Barbiana. Furono modelli che intendevano rompere con pratiche scolastico-educative tradizionali e favorire processi di formazione più aperti e capaci di dar vita a soggetti più creativi. Si veniva delineando un modo di fare pedagogia di tipo critico- radicale, liberato dalla visione borghese delle scienze, ispirato al principio della differenza. Molti pedagogisti si orientarono verso una pedagogia libertaria e critica, antirepressiva e dialettica, capace di emancipare tanto l’individuo quanto la società, ispirandosi al marx- frudismo. Con Lapassade si demolisce il mito dell’adulto, che ha pesato in modo determinante sulla pedagogia occidentale, contrapponendo ad esso l’infanzia come età dell’incompiutezza; infanzia che deve essere valorizzata da una pedagogia istituzionale che mette in crisi la prassi pedagogico-scolastica tradizionale e sviluppa l’autogestione pedagogica. La pratica dell’auto gestione troverà ampio rilievo sia teorico sia applicativo in Francia e in Italia. Con Goodman e Reimer siamo davanti ai teorici della descolarizzazione: bisogna de- scolarizzare la società per sottrarre l’apprendimento e la formazione delle giovani generazioni all’ideologia del potere e riportare tali processi dentro tutta la società, dando vita a una pedagogia e una inculturazione alternativa, capace di favorire l’indipendenza dei giovani. Si deve organizzare un apprendimento diffuso in diversi momenti e ambiti della vita sociale: lo scopo non è la professionalizzazione dell’individuo, ma la formazione umana e sociale di ogni uomo. Secondo Freire una pedagogia alternativa ha una precisa coscienza politica, è la pedagogia degli oppressi che si pone dalla parte dei poveri, degli ultimi e attiva processi di apprendimento che vanno ben al di là della semplice alfabetizzazione, per realizzare una coscientizzazione. Questa si sviluppa come riconquista del linguaggio, analisi dei significati e loro collocazione storica e sociale, in modo da produrre l’emancipazione delle coscienze dei ceti poveri e innalzarli alla partecipazione civile. Nella pedagogia della de-scolarizzazione c’è un forte appello politico e profetico, rivolto al riscatto dei gruppi sociali più marginali. Tali caratteri sono presenti nell’esperienza della controscuola di Don Milani. La Lettera a una professoressa è una forte denuncia nei confronti della scuola italiana, classista e discriminatoria. Contro questa scuola smascherata dai nei suoi contenuti e nelle sue pratiche di classe, a Barbiana si fa scuola lavorando tutto il giorno, intorno a una cultura non formalistica, discutendo e scrivendo e riappropriandosi del pensiero. Nonostante i suoi limiti, l’esperienza di Don Milani ebbe grande successo ed operò come una delle esperienze di punta della contestazione studentesca e scolastica. Quanto alla pedagogia delle differenza, ha dato vita ad una pedagogia anti-autoritaria rivolta interpretare il bambino come emblema di un’umanità diversa rispetto a quella caratterizzata dalla tradizione cristiano-borghese: il bambino interpreta il modello umano libero, più comunicativo e anticonformistico. Spicca nel campo della pedagogia della differenza l’Emilio Pevertito di Scherer, che conduce una critica radicale dell’educazione così come è praticata in Occidente, come pratica di vigilanza del bambino e che produce la sua castrazione. Bisogna invece liberare la corporeità infantile e le sue perversioni, favorirne l’emancipazione dagli adulti. La pedagogia deve affermare la differenza dell’infanzia, affermandone i diritti in modo radicale, dando luogo ad un insegnamento anticonformistico. In Italia si afferma il razionalismo critico di Bertin, il quale eleva i valori di differenza e creatività come obiettivo della formazione. Bertin si richiama ai caratteri dell’oltreuomo di Nietzsche e reclama una formazione che valorizzi la personalità inquieta e aperta al dissenso. Con Pasolini abbiamo una coscienza educativa sensibile e inquieta: egli educa alla differenza, ad altri valori non consumistici ma di comunicazione e di qualificazione esistenziale. Pasolini si è fatto educatore della società civile attraverso scritti che provocavano un rifiuto dell’etica capitalistica e il ritorno a un tipo convivenza sociale che valorizzasse istanze comunitarie. In conclusione, il ‘68 ha alimentato un ampio movimento in campo educativo, scolastico e pedagogico, e ha inciso in profondità sull’identità della pedagogia in tre direzioni: l’ha richiamata alla sua fondamentale politicità; la rivisitazione critica nella sua tradizione che deve portarla ad essere una disciplina dialettica; messa a fuoco di nuovi modelli formativi che guardano ad una condizione dis-alienata della vita individuale e sociale, contrassegnata in senso libertario. La scuola dal secondo dopoguerra ad oggi Nei paesi industrializzati la scuola ha avuto un ruolo sociale sempre più centrale e per un’organizzazione sempre più aperta. Dal ‘45 ad oggi la scuola si è caratterizzata per: ● crescita in senso sociale ● ruolo nello sviluppo economico ● funzione svolta nell’assetto democratico ● forti tensioni riformatrici L’Italia in questo processo ha assunto una posizione esemplare proprio per le contraddizioni che anche in questo ambito la caratterizzano, rispetto agli altri paesi avanzati e occidentali. La crescita sociale della scuola si è manifestata attraverso l’alfabetizzazione di massa, l’innalzamento dell’obbligo scolastico e l’assunzione di un ruolo di mobilità sociale. Solo nel dopoguerra le masse sono entrate nelle scuole, e in tal modo il popolo si è innalzato a condizione di cittadinanza, protagonista politico e sociale: la scolarizzazione attiva un’ascesa sociale. Nelle società industriali e democratiche le competenze professionali favoriscono un passaggio tra i ceti e tra le classi sociali. Tutto ciò sottolinea il ruolo della scuola nello pedagogia come sapere complesso, che può essere interpretato attraverso diversi paradigmi teorici. La pedagogia si è fatta un sapere sofisticato, ma allo stesso tempo più compiuto. Nuove emergenze educative A partire dagli anni Ottanta la pedagogia è stata attraversata da un fascio di nuove emergenze e esigenze, di nuovi orientamenti politico-culturali. Sono stati rilevanti 3 profonde trasformazioni sociali: il femminismo, il problema ambientale/ecologico e la crescita delle etnie nei paesi occidentali. Ad essi andrebbe aggiunto anche quello della Terza età, esploso come problema sociale. I movimenti femminili hanno posto al centro della coscienza educativa e della riflessione pedagogica il problema del genere. Hanno rimesso in dubbio il modello tradizionale di formazione, modello negatore del secondo sesso e quindi insufficiente. Se inizialmente il femminismo ha richiesto la pari opportunità e l’emancipazione, in un secondo momento si è rivendicata la specificità femminile, affermando la priorità educativa di genere e il suo carattere di differenza. Si è così impostata una pedagogia della differenza che ha avuto una discreta diffusione e che si è proposta di affermare i valori, principi e gli ideali dell’universo femminile, operando una radicale trasformazione dell’educazione. Si è impostata anche una prassi educativa che tende a separare maschi e femmine. Un nuovo soggetto si è imposto alla pedagogia contemporanea, che ne ha rivoluzionato il territorio. Luce Irigaray è stata forse l’interprete più innovativa del messaggio femminista: differenza sessuale che significa differenza emotiva, che va affermata e presidiata perché può e deve giocare un ruolo di alterità nella dialettica della vita sociale e culturale. Irigaray ha studiato l’universo femminile e ha sottolineato la sua differenza, ma ha anche sviluppato un’idea di formazione al femminile che muoveva dalla separazione tra i sessi e anche da una loro contrapposizione. Anche l’ecologia ha lasciato il segno nella riflessione pedagogica: ha posto in rilievo nuovi valori e nuovi modelli antropologici e culturali esaltando un rapporto soft tra uomo e ambiente. La pedagogia ha ricevuto la nozione di ambiente come una nicchia da rispettare e preservare. Oggi l’ecologia sta diventando un neo paradigma educativo e pedagogico: si è parlato di uomo ecologico da costruire e di una mente ecologica. L’ecologia sta svolgendo nella cultura un ruolo indicatore essenziale in vista di un nuovo rapporto uomo-natura. Ci sono poi le enormi migrazioni e la fusione con popoli altri che sollevano grandi problemi educativi. Sono i problemi della multiculturalità. La pedagogia deve comprendere le culture altre, deve elaborare vie di comunicazione e criteri di scambio tra queste culture, deve allenare il dialogo alla tolleranza. Si tratta di smascherare i caratteri del razzismo e di intolleranza per favorire la messa al centro di principi non-etnocentrici. Le posizioni pedagogiche legate all’intercultura sono diverse: vi è un modello multiculturale di convivenza pacifica, e uno interculturale, che prospetta un incontro attivo tra culture e la loro ibridazione. Inoltre vi è il problema della terza età, che pone la questione della rivalutazione della vecchiaia, di affermarla come età vitale e attiva. Bisognerà dunque predisporre percorsi educativi di apprendimento, ricreazione. Verso il XXI secolo E’ ormai evidente che siamo davanti ad una pedagogia che vuole dialogare con gli altri saperi ma sempre vincolandosi ad un paradigma critico di pensiero che la connota ancora in senso filosofico. La pedagogia è immersa nei problemi del tempo storico. Si è parlato spesso di espropriazione della pedagogia da parte delle scienze umane come la psicologia o la sociologia, sicuramente in atto in molti aspetti. Sulla frontiera della teorizzazione pedagogica la condizione attuale è contrassegnata da una opposizione. Da un lato si collocano le pedagogie funzionaliste, che mettono in luce la funzione sociale dell’educazione, la quale reclama cittadini partecipi e responsabili. Dall’altro si collocano le pedagogie critiche, cioè quei modelli di pensiero pedagogico e di azione educativa che puntano sulla formazione di soggetti come individui-persone, dotati di intelligenza critica. Se il modello funzionalista ha alle spalle soprattutto gli studi sociologici, il modello critico è l’erede di tutto un complesso movimento culturale che aveva nella scuola di Francoforte i suoi sostenitori più espliciti. Il dibattito fra i due modelli di pedagogia è in corso e assume toni diversi, ma sempre di netta contrapposizione. Ma è forse in Germania che i due modelli si sono più decantati e meglio delineati in uno schieramento politico, che può essere indicato nell’opposizione Luhmann e Habermas. Luhmann è stato il massimo esponente di una sociologia che rilegge la società come sistema, come una rete integrata di funzioni e apparati. Luhmann legge l’educazione e la scuola come sottosistemi sociali, la cui funzione è quella di conformare e selezionare, ma che per funzionare hanno bisogno anche di un’idea pedagogica capace di guidarli, la quale però è sempre funzionale alla società nel suo presente storico. Oggi la formula adeguata è “apprendere per apprendere”, che sottolinea la centralità dei saperi e delle tecniche che rendono l’uomo un cittadino efficace nella società. Il modello funzionalista di Luhmann è stato ripreso e superato, in particolare i tecnologi dell’educazione, che hanno valorizzato le macchine, sono stati le voci più forti e decise nel rivendicare tale approccio a-ideologico, libero da valori, neutrale alla pedagogia. Sul fronte della pedagogia critica è ancora la scuola di Francoforte a tenere il campo: oggi è Habermas a tener ferma questa posizione contrapponendo a tecnologi e tecnocrati la teoria critica della società, che intende guardare sia a un altro modello di società sia a un altro modello di uomo. Tra tecnica e cultura: tale dualismo si presenta secondo la scansione fra un modello più attento ai bisogni sociali e uno più impegnato nel riconoscimento e soddisfazione dei bisogni individuali. Per alcuni sono i bisogni di professionalità ad avere la supremazia, in modo che il soggetto formato si integri nel contesto sociale e vi agisca. Per altri sono i bisogni di formazione personale, di costruzione del sé autonomo, capace di attuare nel contesto sociale prospettive di innovazione. Per fare ciò il soggetto deve formarsi centrato nel proprio sé, essere capace di coltivarsi per tutta la vita secondo uno sviluppo intellettuale e morale. Se il primo modello guarda allo sviluppo delle capacità tecniche, il secondo pone l’accento sulla personalità del soggetto, sulla coltivazione della sua psiche, sulla capacità di esercitare la cura di sé. Nelle pedagogie a sfondo tecnico l’istruzione tende ad essere contrassegnata da competenze e professionalità; anche la formula apprendere per apprendere assume qui una valenza di addestramento attivo alle conoscenze e di possesso dei metodi. Secondo le pedagogie della cultura sta al centro la formazione del soggetto come individuo, capace di rendersi sempre più attore del fare cultura, e di una cultura che è si tecnica, ma è soprattutto alimento, crescita e universalizzazione della propria humanitas. La scuola viene a contrassegnarsi in modo differente sui due fronti: trasmissiva, cognitiva e produttrice di competenza per la pedagogia tecnica; formativa, culturale, stimolatrice di un risveglio di tutto il soggetto per i fautori della pedagogia della cultura. Luhmann in riferimento all’educazione e alla scuola ha sottolineato l’apprendere ad apprendere come formula di contingenza attuale, e l'ha contrapposta al modello della Bildung. Morin, invece, guarda al soggetto, alla sua mente e reclama una scienza con coscienza e un sapere che sia in grado di pensare. La ripresa del soggetto e il lifelonglearning: nella nostra società frammentata, i legami collettivi si sono indeboliti e le identità fatte più individuali. C’è però un sensibile ritorno al centro delle tematiche connesse al soggetto, alla sua formazione. La nuova congiuntura storico-sociale e culturale ha prodotto un’attenzione forte al problema del soggetto, che è stato posto come protagonista centrale dello stesso processo formativo. Il soggetto è tornato al centro di molte pratiche educative e autoeducative, in una società disorientata che ha perduto le credenze comuni e i comuni obiettivi per lasciare posto a stili di vita e a visioni del mondo sempre più pluralistici, sempre più frammentati, sempre più individualizzati, anche nella politica. Ed è tornato al centro nella cura di sé, nell’autobiografia, nel lifelonglearning. La cura di sé è stata rilanciata sul terreno etico e educativo da Foucault attraverso la sua storia della sessualità in occidente. La stessa pratica dell’autobiografismo risulta collocarsi si questo versante: narrare se stessi e fare del soggetto pratica di scrittura, produce necessariamente formazione negli strati profondi dell’io, poiché la pratica del ricordo impone di riandare verso le origini e attivare un recupero. Oggi poi si parla anche di formazione per tutta la vita, paradigma che si è imposto nell’educazione degli adulti, intesa come sostegno all’età adulta in campo professionale e sociale. Le molte agenzie dell’educazione: dal punto di vista sociale bisogna sottolineare l’apertura di molti fronti dell’educazione, convergenti e divergenti, creando un problema alla stessa educazione. Oggi si fa educazione attraverso tante agenzie: famiglia, scuola, stato, chiesa, attraverso i media. L’atto educativo si è ormai disperso in molti rivoli, mostrandosi oggi anche nella sua sua contraddittorietà tra le diverse agenzie. Se da un lato il moltiplicarsi dei fronti dell’educazione è un rischio e produce disordine, dall’altro è risorsa, poiché articola l’educare in tutta la società e la spinge ad assumere sempre più consapevolmente questo ruolo. La condizione attuale dell’educazione è di crisi e di crescita, di sviluppo problematico e di proiezione critica: si offre in una gamma articolata di possibilità, la cui stessa contraddittorietà può rivelarsi una risorsa, poiché impone di fare un’opzione personale, di elaborare un modello per sé. Questa condizione va vista come occasione verso un fare autoformazione da porre sempre più al centro dell’agire educativo, per far si che sia il soggetto a orientare e correggere la propria formazione. Orizzonte mondialità: la mondialità è la condizione attuale della politica e dell’economia, ma anche dell’antropologia e della formazione. La mondialità si impone attraverso la globalizzazione: il pensare i diritti come diritti umani; riconoscendo il diritto di formazione; il dar corpo a questi diritti; il creare una condizione di collaborazione e di scambio planetario. La mondialità è presente in tutti i paesi attraverso la tv, siamo in un villaggio globale, ci immerge in un mondo virtuale, ci obbliga alla multiculturalità. Tutto questo implica problemi in fase di educazione interculturale. Quella passione per l’uomo che sta alla base dell’educazione, è presente in molte forme e secondo molte identità, ma che ci si deve abituare a pensare oltre le differenze, in un comune sentire fra umani.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved