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Le ragazze di Asmara. Lavoro domestico e migrazione postcoloniale di Sabrina Marchetti, Sintesi del corso di Antropologia

Riassunto del libro "Le ragazze di Asmara" di Sabrina Marchetti

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 10/06/2020

samantha-suigintou-n
samantha-suigintou-n 🇮🇹

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Scarica Le ragazze di Asmara. Lavoro domestico e migrazione postcoloniale di Sabrina Marchetti e più Sintesi del corso in PDF di Antropologia solo su Docsity! Le ragazze di Asmara. Lavoro domestico e migrazione postcoloniale (Sabrina Marchetti) Introduzione La migrazione eritrea in Italia inizia a partire dagli anni ’70 a causa del conflitto tra Eritrea ed Etiopia, che vide moltissimi eritrei fuggire in Italia per giungere versi destinazioni più lontane. Fra coloro che si fermarono in Italia emergono le donne provenienti da Asmara per lavorare come domestiche, bambinaie e cuoche per le famiglie benestanti italiane. Con l’espressione “lavoro domestico” si intende quell’insieme di attività in cui un individuo pulisce e fa lavori di cura per un’altra persona o famiglia. Il lavoro domestico è visto su un’ottica diversa, in virtù della dimensione di intimità in cui si rivolge, per la forte costruzione di genere su cui si fonda e per l’unicità della relazione tra datrice e lavoratrice. Attualmente le lavoratrici migranti svolgono un ruolo importante, in quanto garantiscono la cura di bambini e anziani, supportando il welfare statale. Ciò che contraddistingue l’esperienza migratoria delle donne eritree rispetto alle altre è l’esistenza di un passato coloniale tra Eritrea e Italia, in grado di influenzare la propria identità, della propria esperienza lavorativa come domestiche e della propria relazione con l’Italia in quanto ex colonizzatrice. La ricercatrice analizza in questo volume il caso delle donne eritree arrivate in Italia tra gli anni ’60 e ’70, al fine di analizzare quanto l’esperienza coloniale possa influenzare le autorappresentazioni di alcune lavoratrici migranti e il loro rapporto con le datrici di lavoro. Il passato coloniale può produrre due effetti; da un lato possono facilitare la vita della lavoratrice, dall’altro possono relegarla agli strati più bassi del lavoro. Il legame tra eritree e italiane assume un carattere duplice, oscillando tra riconoscimento e oppressione. Cap.1 Lavoro domestico e migrazione postcoloniale 1.1 Postcolonialità e migrazione E’ opportuno distinguere tra postcolonialismo, inteso quegli approcci intellettuali validi sul piano estetico e letterario, e postcolonialità, che fa riferimento al regime culturale acquisito durante l’esperienza coloniale capace di influenzare i processi contemporanei di mercificazione del lavoro, mostrando una relazione di continuità tra prima e dopo. L’eredità del colonialismo svolge un ruolo fondamentale nel controllo, etnicizzazione e discriminazione delle donne migranti nell’Italia contemporanea. Le donne eritree, in quanto ex colonizzate e lavoratrici migranti, sono costruiti dal colonialismo come Altri e sono al centro dei processi di mercificazione del lavoro. 1.2 Diaspora africana Nel contesto della postcolonialità, i movimenti migratori non rappresentano il frutto di scelte individuali, quanto piuttosto l’effetto di forze che spingono i soggetti a migrare. Il termine diaspora fa riferimento a 3 significati:  alla condizione delle persone che sono costrette a emigrare dal proprio paese d’origine a causa di eventi conflittuali, come guerre e persecuzioni  all’esperienza dei migranti che hanno avuto una storia di rottura traumatica con la propria comunità e terra d’origine  alle interazioni materiali e simboliche tra migranti e non migranti. La condizione diasporica è vissuta dai migranti di origine africana in Europa come conseguenza della crisi politica ed economica del proprio paese durante la fase di decolonizzazione. La diffusa presenza di persone nere in Europa ha portato ha formulare l’espressione di Europa Nera. Quest’ultima viene utilizzata per sottolineare l’infondatezza di un’idea di Europa come un progetto senza razza e senza riferimento al passato coloniale. A livello immaginario, l’espressione Europa Nera preclude la possibilità di una comunanza tra Europei e a livello politico, l’uso di tale termine viene proposto come strategia per denunciare le difficili condizioni socio-economiche che accomunano i neri in Europa, derivati dai processi di razzializzanti di esclusione, discriminazione e stigmatizzazione. 1.3 Narrazione della memoria e dell’identità Le identità sono narrazioni di tipo culturale basate su somiglianze e differenze, le quali forniscono un’interpretazione più o meno stabile del posizionamento sociale e altrui. Sono le narrazioni che dividono un noi da un loro. Si costruisce costantemente. I questo volume vengono analizzate le narrazioni di identità, intese come il prodotto di ricordi che affiorano alla mente delle intervistate e che ripropongono, sotto forma di racconto, aneddoti e resoconti di eventi specifici. Rientrano qui gli atti di memoria, ovvero quei momenti performativi o rappresentazioni attraverso cui gruppi o individui costruiscono la propria identità in riferimento a un passato condiviso, comprende elementi nostalgici, traumatici, paure e desideri. E’ importante sottolineare la dimensione postcoloniale della memoria come modo per riattivare e ricodificare i sentimenti antichi e profondi circa il periodo coloniale e le sue eredità e per trasformare la comprensione degli eventi attuali. 1.4 Intersezionalità e postcolonialità Assume un ruolo importante il concetto di intersezionalità, esso insiste sull’idea di un intreccio, piuttosto che su una sovrapposizione, delle categorie sociali, quali razza, genere, classe, età e razza. Questi diventano fattori sociali che incidono sugli assi i potere sia a livello macro che nella vita quotidiana. Vengono analizzati i processi di identificazione nella loro multidimensionalità. Nel momento che le persone modificano la propria posizione nello spazio sociale rispetto ad una di queste categorie, ciò avrà delle ripercussioni su tutte le altre. Diventa quindi impossibile parlare di razza senza interrogarsi sul genere o classe ecc. In questo volume si cerca di combinare l’approccio intersezionale con quello postcoloniale, finalizzato a evidenziare che il significato delle categorie sociali di oggi non può essere compreso senza considerare il contesto storico in cui queste si sono formate. Le differenze intrasoggettive derivanti da categorie quali genere, razza e classe non possono essere slegate dal discorso coloniale. 1.5 Corpi al lavoro Nel dibattito femminista e postcoloniale emerge quanto il corpo sia sessualizzato e razzializzato nella nostra società. La questione delle disposizioni attribuite al corpo, a seconda della categorizzazione sociale, richiama la teoria dell’habitus. Con tale espressione si intende l’io incarnato che le persone apprendono nel corso della vita e che si esprime attraverso il portamento e il modo di camminare, parlare e stare fermi. Questi atteggiamenti sono il risultato di un processo storico e culturale. L’habitus viene inteso come il processo storico che sottintende i comportamenti individuali e collettivi. Questo saggio si sofferma sulla relazione tra corpo e lavoro. La dimensione del corpo assume un ruolo importante nel settore terziario, specialmente nei servizi di cura, in quanto è caratterizzato da un lato da una corrente interazione tra il corpo di chi presta le cure e quello della persona che le riceve, dall’altro alla relazione tra il corpo della lavoratrice domestica e gli oggetti. Sono qui importanti le definizioni di lavoro corporeo, focalizzato sul contatto intimo con il corpo che riceve le cure, e il lavoro emotivo, riferito al fenomeno della mercificazione dei sentimenti. La relazione di cura richiede alla lavoratrice di disporre di tecniche corporee, al fine di comprendere le necessità del destinatario del servizio e di conseguenza modificare il proprio atteggiamento. I settori lavorativi che richiedono la conoscenza delle tecniche corporee sono considerati di basso rango e sono quindi caratterizzata da un’alta percentuale di donne, neri e migranti. Di conseguenza nei lavori di cura entrano costruzioni di genere, classe e razza che regolano la divisione del lavoro sulla base di rappresentazione essenzialiste. Il presente volume indaga la relazione tra lavoro corporeo e postcolonialità, secondo cui il colonizzatore è orientato a preservare la sottomissione dei colonizzati tramite le pratiche centrate sulla corporeità e legate alla pulizia e accudimento. Il suo tentativo è quello di proteggere il suo corpo bianco dalla contaminazione dell’altro. 1.6 La casa come luogo di lavoro La casa diventa lo spazio in cui si svolgono le pratiche domestiche e di cura e in cui le identità si costruiscono e ristrutturano. In questo spazio domestico si sviluppa la relazione tra datrice di lavoro e lavoratrice, svelando le interconnessioni tra spazio, potere e identità. Le abitazioni delle datrici di lavoro possono essere considerate come luoghi in cui si manifestano alcuni tratti della postcolonialità. Le eredità del colonialismo legate al genere, classe e razza diventano terreni di negoziazione e confronto nella relazione tra lavoratrice e datrice. 1.7 Tattiche e capitale culturale postcoloniale Stati Uniti e Australia, finalizzata a richiedere l’asilo politico, non possibile in Italia. Intorno al ’75 si registrò un ulteriore aumento della migrazione eritrea in Italia a causa del conflitto con l’Etiopia. Dalle narrazione delle intervistate emerge la loro familiarità con la società e la cultura italiana acquisite ad Asmara. Arrivate in Italia esse sperimentarono una sensazione di straniamento in quanto la rappresentazione immaginaria entrava in contrasto con la realtà, acquisendo la consapevolezza del carattere solo parziale della loro identificazione con la terra dei colonizzatori. Nei momenti successivi al loro arrivo, la relazione con gli italiani in Italia risulta essere ambivalente, in quanto da un lato coloro che avevano una rapporto di scarsa intimità con gli italiani ad Asmara hanno mantenuto una continuità, dall’altro chi invece aveva costruito una relazione più stretta sperimentò una forte frustrazione nella difficoltà di ristabilire la stessa intimità in Italia che avevo ad Asmara. Queste differenze dipende principalmente dallo status sociale e culturale posseduto nel paese d’origine. L’arrivo in Italia per alcune intervistate si configura come un momento di rottura a causa dello scontro tra l’Italia reale e quella immaginata nel proprio paese, formulata sulla base delle conoscenze acquisite. Il capitale culturale postcoloniale che le donne avevano accumulato in Eritrea perde d’importanza una volta giunte in Italia, ritenuto insufficiente per raggiungere una posizione sociale migliore di quella di lavoratrici migranti che svolgono il lavoro di cura. Cap. 5 Brave, intelligenti e pulite. Donne eritree e lavoro domestico in Italia. A causa dell’intensificarsi della guerra con l’Etiopia, moltissime donne eritree giunsero a Roma per lavorare nel settore domestico. L’aumento di lavoratrici migranti in questo settore era il risultato di una migrazione canalizzata al fine di rispondere alle carenze del mercato del lavoro italiano. Queste donne venivano assunte attraverso dei contratti firmati dalle future datrici prima dell’arrivo, redatti dalle agenzie o intermediari. Ciò offriva alle lavoratrici migranti l’opportunità di inserirsi immediatamente nell’ambiente professionale comprendente anche il vitto e alloggio. Le donne eritree sono confluite nel lavoro domestico a causa dell’attrattiva esercitata dal lavoro in quanto donne migranti e l’impossibilità di trovare un lavoro diverso. 5.1 Il lavoro domestico come nicchia per le donne migranti postcoloniali I migranti tendono a raggrupparsi in lavori di nicchia, ovvero quelle categorie caratterizzate da un’alta omogeneità dei suoi membri per caratteristiche nazionali, razziali, linguistiche, religiose e di genere. Per quanto riguarda il lavoro domestico, la razza e il genere rappresentano due elementi importanti nell’indirizzare le lavoratrici migranti in questo settore. Il lavoro domestico è così divenuto per le donne migranti un’occupazione di nicchia e l’unica opportunità per lavorare. Questi lavori sono generalmente rifiutati dai cittadini in quanto poco remunerati, precari e scarsamente valorizzati. Per le donne eritree l’accesso al mercato del lavoro risulta essere fortemente influenzato dall’esperienza coloniale, evidenziando una loro segregazione e formazione di nicchie lavorative. 5.2 Prendere il posto delle italiane A partire dagli anni ’70, il lavoro domestico retribuito svolto dalle donne italiane di classe bassa si trasformò in nicchia lavorativa per le donne migranti. A seguito del boom economico degli anni ’50 e ’60, le donne italiane iniziarono a lavorare maggiormente nell’industria e nel commercio e donne straniere vennero chiamate per sostituirle. Dalle narrazioni delle intervistate, questa sostituzione era però contestualizzata alla fase di decolonizzazione dell’Eritrea e le trasformazioni sociali e di classe verificatosi in Italia a seguito della crescente partecipazione femminile delle donne nel mercato del lavoro. Per le interlocutrici, le ragazze eritree erano preferite. 5.3 Preti e suore come intermediari Dalle interviste è emerso il ruolo assunto dalle figure religiose che fungevano da mediatori e intermediari nella ricerca di datrici di lavoro in Italia e nella stipula dei contratti. Da alcune narrazioni affiora quanto i missionari, preti e suore fossero importanti nell’insegnare alle donne eritree le usanze italiane e le pratiche di cura e pulizia. Queste conoscenze furono fondamentali per le intervistate, in quanto permise loro di rappresentarsi come adatte e competenti, proteggendole dal timore del fallimento migratorio. 5.4 Etnicizzazione del lavoro domestico Le donne eritree usano il legame coloniale tra il loro paese d’origine e quello di arrivo come strumento narrativo usato per promuovere il loro capitale culturale. Avviene qui un’etnicizzazione del lavoro domestico, secondo cui le donne eritree, disponendo delle competenze pre-migratorie, vengono relegate a questa nicchia lavorativa. 5.5 Le brave serve Dai racconti riportati dalle donne eritree intervistate, le famiglie italiane presso cui lavoravano avevano una conoscenza minima della presenza coloniale in Eritrea, ereditando però la rappresentazione degli eritrei come persone docili, fedeli, intuitive e sottomesse. Le eritree venivano descritte come soggetti addomesticati, confermando così la loro posizione di inferiorità quando ricevevano delle lodi per la loro idoneità al lavoro, affidabilità e propensione all’italianizzazione. Queste non venivano descritte sulla base di caratteristiche individuali, ma collettive, attribuendo la loro bravura in quanto eritree. Questa tendenza a omogenizzare tutte le persone a una comunità consentiva alle intervistate di acquisire potere, autoidentificarsi come competenti e affidabili. L’assegnazione di attribuiti quali affidabilità e docilità risale all’immagine degli ascari nel combattere al fianco degli italiani contro gli etiopi e i libici, mentre la loro disponibilità si riallaccia alla pratica di sfruttamento nei servizi domestici e sessuali tipica del madamato durante la dominazione coloniale. Le due immagine, la venere nera addomestica da un lato e l’ascaro fedele dall’altro, assolvono un ruolo importante nella costruzione di genere nella relazione tra italiani ed eritrei, fornendo una molteplicità di stereotipi di sottomissione, docilità e affidabilità. 5.6 Il capitale delle eritree Durante le interviste, le donne eritree sottolineano quando la loro competenza nello svolgere le attività richieste sia influenzata dalla familiarità premigratoria. Secondo quest’ultime le conoscenze pre migratorie, acquisite in una città altamente italianizzata o a seguito dell’esperienza lavorativa svolta in famiglie italiane in Eritrea, le rende più competenti rispetto alle altre migranti, rafforzando così la propria posizione nell’ambito lavorativo. Anche se questo capitale di conoscenze non permette loro di modificare in modo significativo il proprio status sociale, rappresenta per loro una risorsa importante per acquisire sicurezza e autostima e per dare un senso all’esperienza migratoria e lavorativa. Le eritree si considerano le sostitute delle italiane e nel sottolineare questo carattere di sostituzione, in senso sia economico che culturale nell’essere il sostegno ideale per le famiglie italiane, si descrivono come simili alle italiane, permettendo loro porsi nello stesso spazio sociale e di non rappresentarsi come completamente straniere. 5.7 Parlando di cibo Nelle pratiche legate al cibo si rintracciano dei momenti di negoziazione tra datrici e lavoratrici a livello di genere, classe e razza. Per le intervistate, parlare di pratiche relative al cibo costituiva un’opportunità per mostrare la propria italianizzazione nella speranza di ricevere un trattamento lavorativo migliore che a volte non accadeva. Queste narrazioni mostrano un’ambivalenza nei confronti dell’etnicizzazione del lavoro domestico. Se da un lato la loro competenza ed esperienza rafforzava la propria posizione permettendole di elaborare una rappresentazione di sé più appagante, dall’altro venivano riprodotte le stesse caratteristiche tipiche del periodo coloniale, mantenendo una gerarchia tra padrona e serva, bianco e nero. Cap. 6 <<Forse perché sono nera>> Identità, postcolonialità e razzismo nel lavoro domestico L’esperienza lavorativa riportata dalle intervistate risulta essere caratterizzata dalla dimensione di oppressione connessa all’etnicizzazione che le definisce in quanto soggetti postcoloniali, ma che viene utilizzata anche dalle stesse migranti per negoziare uno status migliore, generando però in alcuni casi delle forme di discriminazione. 6.1 Identità performative e compiti domestici La pratiche richieste nei lavori domestici esprimono la dimensione performativa delle esperienze delle intervistate e il loro processo di identificazione come lavoratrici domestiche migranti. Le identità vengono quindi costruite nelle azioni da svolgere. Nelle pratiche domestiche e quotidiane emerge la dimensione di potere tra datrice e lavoratrice interna alle loro esperienze. 6.2 Tempi, corporeità e gerarchie fra donne Le datrici bianche e lavoratrici nere modellano la loro identità l’una sulla presenza dell’altra lungo assi di genere, età, razza e classe e la questa negoziazione avviene nello spazio domestico. Da alcuni racconti le intervistate attribuiscono alle loro datrici un’immagine infantilizzata, ritenendolo incapaci di prendersi cura della casa e dei bambini senza il loro aiuto. Si distinguono così due modelli di femminilità, secondo cui da un lato vi erano le donne bianche di classe elevata, a cui veniva richiesto di essere più leggere e giovanili, dall’altro le donne migranti, materne e protettive. Dalle narrazione emerge il mantenimento di una dicotomia e struttura gerarchica tra colonizzatrice e colonizzata, che si traduce nelle restrizioni corporee e temporali messe in atto dalla datrice nei confronti della lavoratrice, come la perdita del tempo libero e del controllo su di sé. Il tempo viene percepito dalle donne eritree come scarso e soffocato dalle continue richieste. I dispositivi narrativi da loro utilizzati risultano essere funzionali per costruire delle narrazioni delle identità attraverso dl descrizione del proprio lavoro. 6.3 Razzismo in Italia e postcolonialità L’Italia utilizza un modello di integrazione dei migranti definito di inclusione differenziale, basato sull’importazione della forza lavoro alla quale non garantisce il diritto di cittadinanza o di tipo socioeconomico, relegando il migrante alla condizione di lavoratori temporanei. Per molto tempo, gli italiani hanno sottovalutato l’importanza di riconoscerli come soggetti titolari di diritti politici e sociali. Questa assenza di consapevolezza è alla base dell’idea che gli italiani sono siano razzisti. Ad essa si aggiungono le credenze radicate nella rappresentazione degli italiani come brava gente e colonizzatori dal volto umano. A ciò si aggiunge l’opinione condivisa secondo cui poiché gli italiani erano stati essi stessi discriminati come migranti in vari paesi erano in grado di empatizzare con i nuovi arrivati. I racconti delle intervistate connettono spesso la propria identità razzializzata alle esperienze di oppressione, alle offese e alle affermazioni razziste che hanno subito sul lavoro. Il backgroud razziale delle lavoratrici viene usato dalle datrici e società per relegarle agli strati sociali più bassi. Le donne intervistate esprimono una forma simile di ressentiment, intesa come reiterazione dell’esperienza di oppressione vissuta nel passato, nel descrivere il razzismo come una forma di schiavismo, ossia nel descrivere le offese e gli insulti razzisti formulati dalle datrici come un qualcosa che evoca l’oppressione schiavista. La xenofobia attuale risulta essere scatenata da sentimenti fondati sul ressentiment, identificandola come una sorta di rifiuto dell’identità fascista degli italiani e come un desiderio di rifarsi per la passata povertà e l’esperienza di ex migranti. 6.4 La stanza della domestica Dalle interviste è emerso che alle interlocutrici venivano assegnate stanze dalle dimensioni molto ridotte, rendendo difficile posizionare anche gli oggetti personali. Viene quindi ripresa la tendenza della classe borghese a relegare i membri della servitù in stanze il più possibile lontane da quelle abitate dalla famiglia, al fine di evitare qualsiasi forma di contatto e presunta contaminazione. 6.5 Livree e grembiuli Analizzando il servizio irlandese e afroamericano negli Stati Uniti del XIX secolo, l’abbigliamento assegnato alla servitù, quali la livrea, simboleggiava la trasformazione dei domestici in beni di lusso al fine di esprimere la ricchezza e il potere della famiglia per cui lavoravano, sottolineando la loro posizione subordinata e le gerarchie interne. Nel caso delle donne intervistate, il grembiule simboleggiava la loro ascesa sociale e differenziazione rispetto ad altre lavoratrici, mentre per altre confermavano la disuguaglianza. Nel caso di un’interlocutrice, costretta a indossare dei guanti bianchi per servire a tavola, percepiva la richiesta di un indumento specifico, in questo caso il guanto, come un segno di umiliazione per nascondere la sua pelle nera. Le lavoratrici eritree vedono il dress code come uno strumento usato dalle datrici di lavoro per amministrare, disciplinare e regolare il pericolo rappresentato da una presenza fisica indesiderata. Il corpo nero viene percepito come fuori posto e per questo deve essere regolamentato e disciplinato. Conclusioni. Una prospettiva postcoloniale su migrazione e lavoro domestico.
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